Adesso lo sapete!! Parte I

Visto che la rubrica si chiama Non tutti sanno che…, questo è un post domenicale un po’ ozioso, vai con le curiosità, se piace la rubrica poi ci torniamo (ormai parlo come il Papa).

Partiamo dai Beatles. Quale canzone Frank Sinatra era solito eseguire regolarmente nei suoi concerti dedicandola alla memoria di John Lennon?

Questa era facile, peccato che era di George Harrison!
Dai Beatles a Elvis. Quale è stato il primo singolo di Presley a raggiungere il numero uno nelle classifiche, inglesi però?

L’8 gennaio 2010 Elvis avrebbe compiuto 75 anni. Per l’occasione la RCA pubblicherà (distribuzione Sony/BMG) un box di 4cd intitolato Elvis 75 Good Rockin’ Tonight con 100 canzoni, secondo voi uscirà anche in Italia, prima di Natale? Non fa parte delle domande.

Questa è un po’ più difficile: Bruce Springsteen, Elvis Costello e Dave Grohl quale brano hanno eseguito insieme ai Grammy del 2003?

 

E il vecchio Bob? Sapete che Lay Lady Lay avrebbe dovuto essere usata nella colonna sonora di un famoso film, quale?

Questa sotto è quella che hanno usato nell’Uomo da Marciapede. La canta Harry Nilsson ma l’ha scritta il grande Fred Neil, Dylan è arrivato in ritardo.


Ma scusa e gli Stones? un attimo che arrivo: di chi è quell’assolo di slide mirabile e serpentino in Sister Morphine da Sticky Fingers?

Per il primo giro erano abbastanza facili, la prossima volta aumenteranno le difficoltà.

Ah dimenticavo, ovviamente il chitarrista era Ry Cooder.

Bruno Conti

Grande musica dal Canada. Blue Rodeo All the things we left behind

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Blue Rodeo All things we left behind. Warner Music Canada.

Chi li conosce e li ama (e il sottoscritto fa parte della famiglia, quindi sarò parziale) non ha bisogno di presentazioni: la miglior band canadese degli ultimi venti anni, due autori, cantanti e chitarristi formidabili, Jim Cuddy e Greg Keelor, i Lennon-McCartney canadesi, o se preferite i degni eredi di Robbie Robertson e la Band, una lunga serie, dodici, di album sempre di pregevole fattura con la vetta di Five Days in July. Quattro milioni di copie di dischi vendute in Canada, 5 Juno awards (l’equivalente dei Grammy), una lunga militanza sempre svolta nel territorio canadese (non sono degli espatriati come la Mitchell, Cohen o Neil Young, che è forse quello con cui hanno maggiori affinità musicali).

E dopo tutto questo po’ po’ di roba escono con un nuovo album, doppio, pure in vinile che forse è il più bello della loro carriera, circa novanta minuti che toccano tutti i generi: ballate stupende con ampio uso di piano, rocker grintosi e gagliardi, lunghi brani con aperture ora jazzate, ora psichedeliche, brani country-rock che neanche gli Eagles dei tempi d’oro, armonie vocali alla Lennon-McCartney, o alla CSN&Y, o per restare in tempi recenti alla Jayhawks (ma è viceversa i Blue Rodeo sono in pista da piùdi venticinque anni.

Questo album è uscito in Canada il 10 novembre, uscirà negli States a fine gennaio, si spera per un’uscita europea in mezzo alle due date. Appena pubblicato, in Canada è andato al secondo posto delle classifiche (ma allora qualche speranza per la buona musica e per queste operazioni spericolate e gloriose c’è ancora!).

Ma partiamo dalla fine: Venus Rising di Greg Keelor, è un brano stupendo e tormentato, lungo, oltre dieci minuti, mi ha ricordato il Neil Young epico di Cortez the Killer, un inizio soffuso con organo e piano, una batteria cadenzata, chitarre arpeggiate, la voce di Keelor dolce e melliflua, con un leggero eco, la musica sale poco a poco, entra la voce di Cuddy e i due armonizzano come loro sanno fare, melodici e incisi, partono i primi strali di elettrica, lirica e distorta, molto younghiana, ne entra una seconda, le due chitarre si rispondono dai canali dello stereo in una jam psichedelica emozionante, poi una pausa e riprende il tema della canzone, fino alla cavalcata finale chitarristica, un brano memorabile.

Vedo già delle faccine perplesse: ma come, niente electro-soul, post-rock, math-rock, electro hip-hop dance, ante-punk, neo swing, orrore, fanno rock e pure con venature country, ampie concessioni alle armonizzazioni vocali beatlesiane dei due leader. Facciamo un passo indietro, addirittura l’iniziale All the things we left behind si apre con alcuni colpi di timpani minacciosi e quelli che sembrano degli archi e un flauto ma in effetti è un mellotron, poi si sviluppa con le consuete ariose atmosfere tipiche dei canadesi.

One more night dall’andatura decisamente più rockeggiante e il leggero falsetto di Jim Cuddy illustra il lato più estroverso della musica dei Blue Rodeo come pure il classic rock della spensierata Never Look Back o il quasi Everly Bros meets Poco di Sheba, molto country-rock con un bel pianino elettrico aggiunto.

Ognuno può trovare elementi per gustare la musica dei Blue Rodeo, il secondo cd ha atmosfere molto più dilatate, più spazio a jam chitarristiche ma anche alle tastiere: qualcuno ha notato, in alcuni brani, addirittura delle affinità con i Pink Floyd più bucolici e rurali dei primi anni ’70, Don’t the let the darkness in your head per esempio. In definitiva un gran bel disco, inaugurato in Canada con un bel concerto sul tetto di un edificio pubblico, un negozio credo.

Per la gioia di grandi e piccini, ma non la mia, la versione dell’album in Itunes ha cinque brani in più.

Se volete approfondire questo è il sito dei Blue Rodeo.

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Voto 8

Bruno Conti

 

Tanto rumore per nulla! Man Erotica e Serge Gainsbourg-Jane Birkin Je t’aime…mois non plus

Man_Revelation.jpgCorreva l’anno 1969 e i signori che vedete qui accanto esordivano con un album chiamato Revelation, si tratta dei Man, gruppo gallese, ebbene sì, oltre al noto minatore gallese Tom Jones, c’è stato anche un filone di “welsh rock”, con altri ottimi gruppi come i Neutrons o gli Help Yourself, ma i Man indubbiamente sono stati i migliori.

Grande rock con venature psichedeliche, due chitarre soliste spesso impegnate in lunghe improvvisazioni, un organo, sezione ritmica con un’andatura tipicamente saltellante, tra i loro dischi migliori il doppio Back to the Future e il live Maximun Darkness con il loro vate e omologo californiano, il grande John Cipollina dei Quicksilver, questo per la cronaca.

La leggenda (ma anche la storia) narra che nel gennaio del 1969 viene pubblicato il succitato Revelation che contiene un brano Erotica (tiè Madonna, manco questo hai inventato!), dove una voce femminile simula un orgasmo su un tappeto musicale rock di pregevole fattura. La BBC provvede a bandire il brano e nessuno, o pochi lo vengono a sapere.

Perchè tutto questo mi ricorda qualcosa? Passano pochi mesi e esce un singolino Je t’aime…mois non plus destinato a creare uno scandalo di proporzioni galattiche. Cantano ( si fa per dire) Serge Gainsbourg, genio della canzone francese, e Jane Birkin; apriti cielo, in Italia la Radio Vaticana lo bandisce, la Rai nella mitica Hit Parade di Lelio Luttazzi manco la trasmette, si passa oltre. Primo posto in Inghillterra e in decine di paesi sparsi per il mondo.

Qui c’è la discografia e qualche “migliaia” di versioni del brano.

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Secondo alcuni la paternità del primo “sospiro” su disco rimane comunque a Gainsbourg che già l’aveva incisa un anno prima con Brigitte Bardot, senza pubblicarlo su richiesta della stessa. Per me i Man rimangono i capostipiti perchè sicuramente non potevano sapere che nei cassetti di Serge Gainsbourg giaceva questo brano o comunque un pareggio, per affinità telepatiche.

La curiosità nella curiosità è che il brano Je t’aime che già aveva “ispirato” Giorgio Moroder e un’altra “esperta in sospiri” Donna Summer per il loro orgasmo prolungato in Love to love you baby, ebbene quel brano verrà inciso dalla coppia per la colonna sonora del film Thank God It’s Friday e pubblicato come singolo in Brasile (lì sono avanti).

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Bruno Conti

Wolgang’s Vault 2 La vendetta

mozart.jpgSarà la rivincita di Wolfgang, quello vero?

Un paio di giorni fa vi parlavo del sito Wolgang’s Vault dicendo che era molto interessante ma in effetti un po’ costoso e vi dicevo che avevo fatto da cavia e mi ero iscritto (o meglio, avevo fatto il login dei miei dati), ebbene passano un paio di giorni e, non posso pensare che mi abbiano letto negli States, oltretutto in italiano, ma una più banale coincidenza e nella posta elettronica mi arriva una mail che mi illustra le ultime offerte e io pubblico e correggo l’informazione data erroneamente.

Si paga sempre un abbonamento annuale di 48 dollari per accedere ai servizi di download gratuito ma, colpo di scena, con la WVip Membership-Concert Vault, vi danno un credito di 50 dollari da utilizzare per i download a pagamento o per l’acquisto di posters o memorabilia, quindi in pratica è gratis e in più vi fanno pure lo sconto del 30% su tutte le operazioni, SGQA, Sò Geniali Questi Americani.

Bruno Conti

Un altro figlio di…Harper Simon

harper simon.jpgVedo della malizia e anche dell’ironia nei vostri occhi, sarà per il titolo? Non credo!

Ma veniamo al disco e al personaggio in questione che sono un tutt’uno: Harper Simon, una persona ma anche il titolo dell’album, ma anche il figlio di Paul Simon (sarà questa la ragione? Mah!): un disco e un personaggio controverso che ha avuto ottimi riscontri di critica e stroncature senza pietà, ovviamente, e qui una bella Catalanata non ve la toglie nessuno, la verità sta nel mezzo, e vi ho risparmiato il latino.

A dire il vero questo album, con i suoi dieci brani dieci, per un totale di poco più di trenta minuti, non mi pare malvagio: per forza direte voi, con quello schieramento di musicisti al suo fianco sarebbe stato difficile fallire e qui devo dire che ve l’appoggio. Sono della partita Bob Johnston, storico produttore di Bob Dylan, alcuni dei musicisti di Nashville che suonarono con lo stesso Bob e con Elvis, tra gli altri Hargus Pig Robbins, Lloyd Green e Charlie McCoy, nomi che scatenano un fremito tra gli appassionati del buon country, ma anche altri figli di…Petra Haden, in qualità di coautrice con babbo Paul di Ha Ha, la figlia di Lowell George Inara, Sean Lennon e ancora Steve Gadd, Eleni Mandell, Marc Ribot, Steve Nieve e molti altri, quindi…

Il DNA di famiglia è assolutamente presente nella musica di Harper, ma il nostro amico, come si può desumere da alcune cover che circolano in rete ha anche buone frequentazioni, per esempio con la musica di Nick Drake e con Bob Dylan, una bella versione di You ain’t goin’ nowhere (si vedono in Youtube, sono in un concerto a Largo).

L’iniziale All to God con il suo falsetto che ricorda vagamente il Jon Anderson più pastorale, è un arrangiamento di un tradizionale a sfondo religioso; Wishes and Stars sembra uscire da un disco di Paul Simon inizio anni ’70, voce ed arrangiamenti sono molto simili, evidentemente i dischi di papà circolavano molto in casa in quegli anni ( a quattro anni Harper ha partecipato con il padre alla trasmissione Sesame Street, quella coi Muppets per intenderci, c’è il filmato in rete). Il disco ha anche molti pregi, The Audit è un bellissimo brano, sognante, dall’arrangiamento maestoso, Shooting Star con una pedal steel sgargiante è uno dei brani country registrati in quel di Nashville, Tennessee con la produzione di Johnston, e si sente, bellissima, antica e moderna al tempo stesso, come sonorità, Tennessee, un titolo, un programma, non sfigurerebbe in qualsiasi disco di alt-country, ma ha anche forte connotazioni con la musica del padre, un piccolo gioellino. La già ricordata Ha ha è un acquarello acustico con delle belle voci femminili di supporto, tipico dell’augusto genitore. Cactus Flower rag è il brano più rock del disco, forse una parola forte, più mosso rende l’idea. Ancora il country di All I have are memories sempre curatissima a livello vocale e arrangiamenti.

I due brani migliori sono in conclusione: The Shine è una stupenda ballata pianistica che rivaleggia con il meglio della produzione di Paul Simon (che ne è anche coautore con la seconda moglie, l’attrice Carrie Fisher, esatto la principessa Leila!), veramente bellissima, a seguire Berkeley Girl Voce e chitarra acustica, delicata e sognante, ancora nel segno di famiglia.

Bruno Conti

Wolfgang’s Vault & Archive

bill graham.jpgUn paio di precisazioni iniziali: non vi parlerò di qualche sito che tratta l’opera omnia di Mozart, per fortuna o purtroppo a seconda dei punti di vista di chi si è imbattuto in questo post magari digitando Wolfgang, ma neppure il titolo contiene errori o imprecisioni, è proprio voluto così e ora vado a spiegarvi perché.

Questo “losco” figuro qui a fianco, qualcuno lo avrà riconosciuto, è Bill Graham, promoter di concerti per antonomasia, storico fondatore del Winterland e dei due Fillmore e già questo lo consegnerebbe alla storia del rock, ma la sua è una storia lunga e tortuosa che qui non tratteremo. Basti sapere che alla sua morte (avvenuta ormai nel lontano 1991) Graham ha lasciato un vastissimo archivio di concerti completi registrati nei suoi locali: orbene dovete sapere che già da un po’ di anni alcuni erano disponibili per lo streaming (l’ascolto gratuito) in rete.

Dal mese di novembre l’archivio, che nel frattempo si è arricchito di materiale proveniente da altre fonti (tra cui la mitica serie King Biscuit Flower Hour), è divenuto dispobile per il download (un termine che scatena un friccicore tra gli appassionati), oltre allo streaming.

Il sottoscritto che già aveva frequentato il sito nelle sue varie configurazioni nel passato si è trasformato in cavia per vedere come funzionava la faccenda: l’indirizzo è semplice www.wolfgangsvault.com, la lista dei concerti è impressionante (ci sono tutti, Hendrix, Doors, Beatles post scioglimento, Grateful Dead, pensateli e ci sono), aggiornata da la creme de la creme degli artisti attuali, mainstream, indie, rock, metal, folk, alternative, c’è di tutto. La qualità sonora è notevole, le modalità…e qui casca un po’ l’asino.

Il download è a pagamento, doppio pagamento per la precisione: c’è una tessera annuale del costo di 48 dollari che dà diritto, non allo streaming illimitato dei concerti come erroneamente è stato scritto da qualche parte, ma al download dei concerti che nel reparto vault (archivi) sono indicati come free, ovvero tutti quei concerti, e qui ammetto sono tantissimi, che non rientrano nella categoria di quelli a pagamento.

Quelli belli (i più vecchi) sono tutti a pagamento, tra i 9 e i 13 dollari oltre all’abbonamento: viceversa per lo streaming non si paga nulla, basta fare il login dei propri dati e si possono ascoltare tutti, ma proprio tutti compresi quelli mitici.

Questa è la notizia, ma i più attenti avranno notato quel & Archive nel titolo: orbene, per i meno ricchi ma ugualmente appassionati, esiste in rete un archivio, appunto www.archive.org, dove sono radunati circa 3.900 artisti, 71.000 concerti, solo dei Grateful Dead, all’ultimo controllo, 7.014, tutti concerti gratuiti per il download legale, in quanto gli artisti o i loro manager hanno mandato delle liberatorie che consentono l’uso gratuito del tutto. Se non sbaglio, alcuni, tipo Ryan Adams li caricano di persona.

Il tutto è perfettamente ordinato, schedato, località, titoli dei brani, musicisti, autori, fonte della registrazione, qualità della stessa, in definitiva una meraviglia, e qui, devo dire, ci si perde un po’. Buon ascolto.

Bruno Conti

Jay Farrar & Benjamin Gibbard One Fast Move or I’m Gone

Son Volt + Death Cab For Cutie + Jack Kerouac= Ottima Musica

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Piccoli gioiellini dagli States: Langhorne Slim, Maldives e Cory Chisel & the Wandering Sons

Brevemente, come direbbe Biscardi ( e poi vai con uno sproloquio di venti minuti), altrimenti mi sgridano per le lunghezze dei post.

maldives.jpgPartiamo dalle Maldive, anzi dai Maldives (se digitate su google, 27.500 sulle isole, una decina sul gruppo): per ora se ne è parlato poco; sono di Seattle, o perlomeno hanno la loro sede a Seattle, se no mi bacchettano subito, sono in nove (pronto?!?), 3 chitarristi, banjo, violino, pedal steel, basso, batteria più il leader e voce solista Jason Dodson. Per loro si sono scomodati accostamenti a nomi importanti: Neil Young, Band, tra i contemporanei Drive -by-truckers e Old ’97, esageriamo! No, tutto vero, anzi io rilancerei con i Jayhawks, il primo brano Goodbye, me li ha ricordati moltissimo.

Il disco si chiama Listen to the thunder, alternative country-rock può andare bene, ma anche il vecchio southern rock rende bene l’idea, quando la band prende l’abbrivio con le tre chitarre soliste. pedal steel e violino, mi hanno ricordato i gloriosi “sudisti” Outlaws senza scomodare i Lynyrd Skynyrd – Time is right now ne è un ottimo esempio. Non manca il classico country-rock che ci riporta a Gram Parsons, primi Eagles e Poco, ma anche brani epici come la lunga, oltre dieci minuti, Walk Away.

Ottimi e abbondanti! Poi il disco è edito dalla famosa Mt. Fuji Records, quindi reperibilità che ve la raccomando (per fortuna che c’è l’Ird).

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Langhorne Slim è ovviamente un nome d’arte. Be set free è il titolo dell’ album, il terzo ufficiale per questo musicista della Pennsylvania e segna una svolta nella sua produzione discografica: il suono si fa molto più ricco, espansivo, con l’aiuto del chitarrista dei Decemberists gli arrangiamenti sono molto più curati, confluiscono mille colorazioni sonore, si va dai Waterboys meets Van Morrison dell’iniziale Back to the wild dai profumi celtici,e quanti hanno incontrato la musica dell’incazzoso irlandese, che non perde occasione nelle rare occasioni in cui parla e non manda a quel paese il giornalista della situazione, per ricordare, a ragione, quanti hanno preso a piene mani dalla sua musica (senza raggiungere i suoi vertici, ma si sa, il grande Van da piccolo ha ingoiato un microfono e quindi hai voglia!); notevoli anche l’ottima I Love you but Goodbye, Be Set Free, la marcetta rock’n roll di Cinderella che ricorda i Violent Femmes (il batterista viene da lì, figlio di… ), i sapori country di Land of Dreams ma tutto l’album è molto valido, completo, con sonorità seventies che ricordano, anche vocalmente, il miglior Cat Stevens, assolutamente da sentire.

La discografia non è molto aggiornata, ma qua ci sono parecchi video (è andato anche da Letterman).langhorne%20slim

Last but not least, come diciamo noi che parliamo le lingue, vorrei parlarvi anche di tale Cory Chisel & the Wandering Sons, l’album si chiama Death Won’t send a letter e in Italia direi che non so lo è filato proprio nessuno. Peccato perché è veramente bravo, l’album in America è uscito con la distribuzione Sony/Bmg in una sottoetichetta della Rca, è prodotto da Joe Chiccarelli (Shins e White Stripes, quindi le credenziali migliori), ci sono molti ospiti di quel giro, ma anche la sua band ufficiale dove spicca la bionda e bravissima organista e vocalist, Adriel Harris, anche l’occhio vuole la sua parte, veramente carina.

Sin dall’iniziale singolo Born Again con un riff d’organo inconsueto per il rock di oggi ( e che ha fatto scomodare nei paragoni addirittura gli Animals di Eric Burdon), la voce di Cory Chisel si libra sicura e potente, su un tappeto marcato da basso e batteria, ma anche nei momenti più riflessivi, come la successiva Calm Down che mi ha ricordato uno Springsteen più vulnerabile o nel rock riffato alla Replacements di Longer Time At Sea si sente che siamo di fronte ad un musicista di sicuro talento al massimo delle sue capacità, anche commerciali, perchè si tratta di musica che potrebbe avere un potenziale di vendita, e la casa discografica ci crede (per il momento) e gli ha finanziato un paio di video e io ve li infilo così potete giudicare da soli, ma tutto l’album vale, fidatevi.

Bruno Conti

 

 

Lo strano caso della Famiglia Muldaur. Ovvero, non sempre cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia!


 

La mamma (poi ne parliamo) si chiama Maria Grazia Rosa Domenica D’Amato, ma tutti la conoscono come Maria Muldaur, classe 1963, newyorkese, una carriera lunghissima alle spalle, culminata con il successo clamoroso del brano Midnight at the oasis (lo vedete qui sopra) nelle classifiche americane del 1973, alla chitarra solista il grande Ry Cooder: Maria Muldaur che ha mantenuto il nome del marito pur essendo separata dal 1972 ha recentemente pubblicato un nuovo album Maria Muldaur & her Garden of Joy, dove ripercorre i sentieri della musica delle sue origini, la jug band music (c’avete presente il basettone dei Mungo Jerry quelli di In The Summertime?Esatto, il jug è quel grosso vaso di vetro dove si soffia dentro per creare un effetto ritmico). Questa era una musica che all’inizio degli anni ’60 era suonata da fior di musicisti, divertente e scanzonata come in questo nuovo CD dove appaiono alcuni dei protagonisti di allora, John Sebastian (poi nei Lovin’ Spoonful e a Woodstock), David Grisman e Taj Mahal tra gli altri, la Muldaur ha sempre una gran voce.

Il Babbo (altro che Dinasty o la famiglia Wainwright, dei dilettanti), Geoff Muldaur, altrettanto lunga militanza alle spalle, tra gli altri Even Dozen Jug Band e Better Days di Paul Butterfield, oltre a una corposa carriera solista (ha inciso anche un disco per la Deutsche Grammophon, tiè Sting!) recentemente ha pubblicato un CD del suo nuovo gruppo, i Texas Sheiks, ottima roots music, con l’ultima apparizione del grande chitarrista Stephen Bruton, recentemente scomparso, ma non è di questo che voglio parlarvi.

La figlia, Clare Marchon, come Marchon? Da celibe Clare Muldaur, è la figlia di Geoff ma non di Maria, quindi vedete che cambiando i cognomi il risultato cambia, eccome se cambia (Maria quindi sarebbe la prima moglie di papà, elementare Watson!); ci sarebbe pure un’altra sorella Jenni Muldaur anche lei cantautrice e una sorella di Geoff che fa l’attrice, tra gli altri LA Law e Star Trek Next generation. Per i cinefili…Geoff canta il brano Aquarela do Brasil nella colonna sonora di Brazil di Terry Gilliam.

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Ma torniamo a Clare che ha un gruppo Clare and the Reasons che ha pubblicato due dischi: uno The Movie nel 2007 (pubblicato anche in Europa dalla gloriosa Fargo) e da poco il nuovo Arrow. Entrambi sono dei deliziosi lavori di chamber pop finemente cesellato, Kate Bush (senza raggiungerne le vette vocali eccelse ma con pari fantasia creativa) meets the Beatles. Esageriamo, ma anche echi dei Beach Boys (“zio”, a livello artistico, Van Dyke Parks collabora e tesse le lodi di Clare), affinità elettive con nuovi gruppi come My Brightest Diamond (che una è, e pure lei è presente) e musicisti come Sufjans Stevens. Tra atmosfere fiabesche, quartetti d’archi che si rincorrono, echi canterburiani, la voce della Marchon, pardon Muldaur si libra in modo divino su questi quadretti dove appaiono e scompaiono trombe pennylaniane, chitarre con accordature beatlesiane, aperture jazzate un po’ demodè, un piccolo bijou (c’è pure un brano cantato in francese). Questi sono i veri dischi cult, attendiamo notizie dalla Fargo per una uscita italiana, merita assolutemente, se no buona caccia.

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Voto 7,5

Bruno Conti