E in principio venne Davy Graham

Davy Graham – Cry Me A River                                                                                                                                                     Caricato da Pitoucat. – Guarda altri video musicali in HD!
Questo giovane che suona la chitarra, un prototipo della serie “bello e maledetto” è Davy Graham, filmato per la BBC nel 1959 da Ken Russell.
In principio venne Davy, perchè si tratta di uno dei grandi innovatori della chitarra acustica, uno dei precursori, anzi il Precursore di quello che verrà chiamato il fenomeno del folk revival in Inghiltera: senza di lui niente Bert Jansch e John Renbourn e di consequenza Donovan, John Martyn e Nick Drake, niente Pentangle, ma anche, forse, niente Paul Simon e di conseguenza Simon and Garfunkel. Se vi viene in mente qualche nome inseritelo nella lista degli “influenzato” e di sicuro non vi sbaglierete.
Lo stesso Jimmy Page (via Bert Jansch) per le sue scorribande nella musica modale di influenza orientale qualche ideuzza se l’è presa.
In questi giorni la Decca/Universal ha pubblicato una superba doppia antologia dedicata a Davy Graham A Scholar and a gentleman, anche a prezzo speciale: non può mancare in nessuna discoteca, c’è tutto, dalla mitica Anji che fu il principio del principio, le collaborazioni con Shirley Collins, i pezzi acustici, le escursioni nel folk-jazz che di lì a poco i Pentangle avrebbero popolarizzato, brani dal repertorio, Topic, Decca, Paramount, tutto, la prima antologia multilabel, fantastica.
Il filmato qua sotto, assai raro è di Paul Simon con fratello al seguito che esegue, appunto, Anji.

Magari in uno dei prossimi post vi racconto del mio incontro ravvicinato con Davy Graham, Londra fine anni settanta.

Bruno Conti

Pete Townshend e Keith Richards: chi è l’inventore del “mulinello”

Molti, girando per libri e per siti (Wikipedia incluso, che non è la Bibbia), avranno letto della presunta paternità del windmill attribuita al chitarrista degli Stones.
Vero, lo ammette anche il buon Pete, il primo a cui lo ha visto fare è stato proprio Keith Richards, e qui cadrebbe un mito!
Perchè dico cadrebbe: in effetti l’episodio preciso lo ha raccontato lo stesso Townshend all’interno del capitolo Guitar Heroes a sua volta all’interno della bellissima Storia del Rock al solito in inglese History of Rock’n’roll, quintuplo dvd che era stato pubblicato dalla Warner Home Video anche in Italia con sottotitoli, ora fuori catalogo ma magari import si trova ancora, cercatelo perchè ne vale la pena.
Il filmato che accompagna quella breve intervista è proprio quello che vedete qui sopra (con Pete Townshend barbuto): per farla breve, correva l’anno 1963, gli Who si chiamavano ancora Detours e in quel di Putney aprivano per il concerto degli Stones.
Finita la propria esibizione Townshend si ferma a guardare il riscaldamento preconcerto dei propri idoli: tra gli altri c’è Keith Richards accovacciato che sta facendo dello stretching e nel contempo con entrambe le braccia fa dagli ampi mulinelli per favorire la circolazione del sangue. A questo punto, a sorpresa, si apre il sipario e Richards con assoluta nonchalance prosegue con questi ampi mulinelli che finiscono sulle corde della chitarra, tripudio del pubblico e Pete Townshend stregato dal trucchetto decide di provarlo anche lui.
Passa qualche mese e gli Who nel frattempo sono diventati famosi, quindi il nostro nasuto amico decide di affrontare Richards: “Scusa Keith, volevo chiederti se posso copiare il tuo mulinello?”. A questo punto Townshend dice che Keith Richards “mi ha guardato come se fossi un verme!”, testuali parole e in quel momento ho realizzato che non si ricordava una mazza di quella serata.
Nascevano contemporaneamente uno degli stili di suonare la chitarra tra i più inconfondibili (ed efficaci, perchè quella tecnica, per chi la sa usare, come ha detto Pete dà una potenza di suono devastante, vedi riff nel filmato) e una delle “false leggende” del rock più false.
Bruno Conti

Beatles: una curiosità

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Tutti conoscono il proverbiale sarcasmo di John Lennon, i testi dei Beatles spesso nascondono mille sorprese: recentemente riascoltando i loro CD in occasione dell’uscita del Box e rileggendo i testi, mi sono imbattuto in Happiness is a warm gun che secondo me è una delle quattro o cinque canzoni più belle e originali dei Beatles e che, come A day in the life, è un costrutto di due brani, la parte principale di Lennon con un sostanziale contributo di McCartney.

Ma torniamo a bomba: una delle parti più criptiche è quella in cui dice ” A soap impression of his wife which he ate and donated to the National Trust”!! Che vuol dire? Troppo LSD!?!

No, ancora una volta il sarcasmo, ma anche la cura dei Beatles per i particolari, le piccole cose, prende il sopravvento: mi sono ricordato di averlo letto alcuni anni fa. Praticamente si tratta di una vecchia tradizione inglese riportata ai giorni nostri: nell’Inghilterra dei giorni che furono (ma anche in Italia, ovunque) in passato nulla si gettava, donare qualcosa al National Trust voleva dire, in termini brutarli, farla per strada, poi il “dono” veniva trasformato in concime, ovviamente nella Gran Bretagna rurale dei tempi che furono aveva una sua utilità, nel testo di Lennon assume l’aspetto di una piccola malignità ma innocua.

Il testo è qui sotto, il brano si trova nel doppio bianco.

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Bruno Conti

Rosanne Cash The List

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Questo è un disco molto bello, uno dei più belli del 2009, non posso che unirmi al coro delle recensioni positive: Buscadero 4 stellette (prima i Boss), Jam 3 stellette e mezzo, Mojo 4 stellette. Una ragione ci sarà. Stranamente, vista la categoria in cui è inserito, il disco è stato pubblicato anche in Italia, ma nonostante il successo in America, dove è arrivato nei Top 30 delle classifiche per la prima volta in trent’anni di carriera, qui in Italia non se lo è filato nessuno, quindi promuoviamo, fortemente promuoviamo.

Oltre a tutto nel disco ci sono Costello, Jeff Tweedy dei Wilco, Rufus Wainwright e, soprattutto Springsteen, che duetta con Rosanne Cash, che, detto per inciso, è una delle più belle voci della canzone d’autore.

Il brano dove appare Bruce è proprio un duetto con tutti i crismi, non quei classici brani con la scritta featuring…, e poi vi dovete rivolgere ad un audiometrista per rilevare la presenza del personaggio: si chiama Sea of Heartbreak ed è una bellissima canzone d’amore dove la voce di Springsteen si amalgama alla perfezione con quella di Rosanne, come il cacio sui maccheroni (mi scuso con Bruce per la citazione culinaria ma ci sta), un brano romantico, tenero, vibrante, bellissimo.

Facciamo un passo indietro: il disco si chiama The List, perchè, oltre trentacinque anni fa, quando è uno dei personaggi simbolo della canzone americana, Johnny Cash consegna alla figlia allora diciottenne una lista dei cento brani della canzone americana da conoscere e preservare per i posteri.

Rosanne recepisce ed accantona, poi, ad alcuni anni dalla morte del padre decide di tornare su questa lista e sceglie una prima tranche (ci sarà un seguito) di dodici brani e con l’aiuto del marito, il musicista e produttore John Leventhal realizza il disco più bello della sua carriera.

Una carriera lunga, non prolifica, escluse le raccolte se non ricordo male tredici album: alcuni molto belli, su tutti Interiors e The Wheel, ovvero la crisi e la disgregazione del suo rapporto con il primo marito Rodney Crowell, altro caposaldo della musica roots americana, in precedenza aveva realizzato anche King’s record shop, forse il suo migliore disco. In questo nuovo album, in uno dei brani più belli, 500 Miles appare anche la figlia Chelsea Crowell e la dinastia continua.

Una grande autrice, stranamente ma non troppo, ha realizzato il suo disco migliore, questo The list che contiene solo covers, brani della grande tradizione musicale americana: oltre ai già citati, ottimi anche Long Black Veil, con Jeff Tweedy, in una versione tra le migliori mai sentite di questa canzone e Girl From The North Country (già su Nashville Skyline), che era la collaborazione di babbo Johnny con Bob Dylan, altrettanto bella. Meritano anche le collaborazioni con Rufus Wainwright, molto misurato, presente in Silver Wings a firma Merle Haggard e con Costello in Heartaches by the Numbers, il buon Elvis sembra nato per la country music, parola di Rosanne.

Se vi trovate davanti ad uno scaffale, in un negozio di dischi (esistono ancora!) e siete in crisi di idee, allungate la manina e acchiappate questo The List, potreste non pentirvene.

Voto 8

Bruno Conti

Arriva Natale e siamo tutti più buoni ma non le case discografiche

doors live in new york.jpgUna settimana prima, per non farci mancare niente, la Rhino records via Warner Bros pubblica un bel box di 6CD dedicato ai Doors, Live in New York è la registrazione completa dei quattro concerti tenuti al Felt Forum di New York nel gennaio del 1970, il 17 e il 18, 90 pezzi tra cui molti inediti: questo box stranamente non festeggia nessun anniversario (quest’anno è il quarantennale di Woodstock, di Get Yer ya-ya’s out degli Stones, dei King Crimson, ma anche del gruppo TNT di Alan Ford, vuoi mettere, il ventennale della caduta del muro di Berlino, tutti eventi epocali), come pure il boxettino, solo 71 cd + 1dvd, The Complete Columbia Albums dedicato a Miles Davis, che sarà mai non dovrebbe costare nemmeno 250.00 euro, che in effetti visto il numero dei cd è veramente poco.

Un bel cinquantenario non lo vogliamo festeggiare? Certo che sì e allora vai con Not fade away The Complete Studio recordings and more dedicato a Buddy Holly, solo 6 cd con 203 brani, che sarebbe stupendo se questo anno, nella prima parte dell’anno, non fossero già usciti almeno altri tre o quattro prodotti dedicati all’occhialuto genio texano tra i grandi del rock and roll a pieno diritto.

Come avrete notato cerco sempre di parlarvi, in queste anticipazioni, di prodotti la cui uscita è quantomeno imminente e sicura, lasciando alle riviste specializzate la voglia di sognare o incazzarvi per quelle interminabili liste che non sempre si concretizzano: a questo proposito il Box di Mellencamp è stato rinviato al 2010, mentre quello di Joni Mitchell, per il momento, è stato cancellato. Niente paura però, Neil Young un altro bel live, del 92, lo pubblica entro fine mese.

Bruno Conti

Piccolo errore seconda puntata. Ma allora è un vizio

elton john 1994.jpgTorniamo alle imprese del nostro amico: è passato qualche annetto, lo scenario è cpmpletamente diverso ma il lupo perde il pelo ma non il vizio.

In questo caso forse un alibi ce l’avrebbe, lo stesso dell’altra volta: vale a dire, i giornali hanno un limìte di tempo invalicabile oltre il quale si va in stampa, per cui l’articolo deve essere pronto, ma perché capita ancora e solo a Lui?  Festival di Sanremo: tra gli ospiti è annunciata la presenza di Elton John, l’innominabile prepara il suo bell’articolo corposo sull’esibizione del cantante inglese sul palco dell’Ariston, questa volta, forse, il titolo è “solo” a otto colonne, però l’articolo è molto ben circonstanziato con la descrizione del pezzo cantato, l’abbigliamento, l’entusiasmo del pubblico, un bel pezzo. Anche questa volta purtroppo la sfortuna ci ha messo lo zampino: a Elton John, come a Bartali, gli son girate le balle e quindi sulla strada dalla Costa Azzurra alla Riviera dei Fiori ha fatto un bel dietrofont e via per Londra, ma i lettori del noto giornale si sono letti un bell’articolo.

Ma in fondo è andata bene, pensate se, per sbaglio, fosse stato pubblicato il “coccodrillo”, il pezzo che i giornali hanno pronto nel caso muoia qualcuno?

Bruno Conti

Chip Taylor Yonkers NY

Capito di che canzone si tratta? Esatto! Aveva gli occhi dell’amore, verdi di Renato e i Profeti! Ma la sua vita è tutta una avventura: dopo questi anni dove ha fatto soprattutto l’autore, negli anni ’70 ha intrapreso anche una carriera come cantante e poi è stato un gambler, soprattutto corse di cavalli (nel retro della copertina dell’ultimo album c’è una ricevuta di una scommessa) per molti anni fino al suo ritorno sulle scene musicali nel 1993. Chip Taylor è anche uno scopritore di talenti: nel suo gruppo hanno militato due violiniste/cantanti, prima Carrie Rodriguez e ora Kendell Carson, che come direbbe Paolo Hendel sono anche due belle topone, ma sono pure molto brave e hanno fatto degli ottimi dischi da soliste in proprio (con la produzione di zio Chip).

Questo Yonkers NY, che esce per la propria etichetta, la Train Wreck, è un ennesimo, ottimo album che attraverso undici canzoni racconta la storia dell’infanzia di Chip Taylor in quel di New York. Accompagnato da un manipolo di validi musicisti, dove oltre alla Carson, spiccano John Platania, per anni fido pard di Van Morrison, e Greg Leisz, alle chitarre. Il suono è un country-rock-roots dove su un tappeto di chitarre, mandolini, dobro e steel guitars, il violino della Carson e una fisarmonica sottolineano la voce vissuta ed espressiva di Chip Taylor, quasi una talking voice che racconta storie affascinanti e senza tempo, uno dei grandi “vecchi” della canzone americana, anche se ha solo 65 anni.

Un disco deliziosamente retrò per chi ama la country music di qualità e i cantatutori di “culto”, così ne fanno ancora pochi.

Voto 7,5

Bruno Conti

 

The swell season Strict Joy

Quelli di Once, echi anni ’70, Cat Stevens, John & Beverly Martyn, disco magnifico.


Crosby, Stills, Nash & Young Sequoia!!!

La scena è quella (e qui assumo le mie sembianze da Numero Uno del gruppo TNT), chi scrive si trova nell’underground (nel senso di Metropolitana, a Milano), è un sabato pomeriggio e inizia in negozio la processione dei questuanti, tutti vogliono acquistare Sequoia il nuovo album di Crosby, Stills, Nash and Young (credo di ricordare fosse il primo di aprile e questo non è un particolare trascurabile):”Ma come non lo avete! E’ recensito su Gong (o Muzak, e qui non ricordo, bisognerebbe chiedere ai responsabili) , ne parlano benissimo, tutti i brani nuovi di Crosby, di Stills, di Young ( Nash non se lo filano molto), c’è anche la copertina con una bella Sequoia, ma dai!”. Poco dopo la situazione si complica, cominciano ad arrivare i primi che “ il mio amico ce l’ha già l’ha comprato d’importazione” e alle richieste di portarlo per vedere questo glorioso manufatto promettono di ritornare con l’oggetto del desio. Altri più ragionevoli, ma sempre attizzati, “in fondo sono passati quasi quattro anni da Four Way Street, dai prova a guardare sotto il bancone che qualche copia di sicuro ce l’hai”, altri anche minacciosi ma tutti convinti, l’ha detto il giornale tu che ne vuoi sapere, se c’è scritto sarà vero. Le teste di Modigliani verranno esattamente dieci anni dopo, di Sequoia purtroppo non c’è traccia.

Bruno Conti

Ian McDonald The Beatles Revolution in your head

Il libro, in Italia, è uscito per la Mondadori, prima in edizione rilegata, poi negli Oscar e, in teoria, dovrebbe essere ancora in produzione: se riuscite a metterci le mani sopra non fatevelo sfuggire (se non lo trovate, insistete, brigate, pregate la vostra libreria di fiducia, il vostro sito preferito, la Mondadori che visto che lo tiene in catalogo, lo faccia trovare nei negozi, lo so per certo perché l’ho cercato più volte per regalarlo e alla fine ho dovuto prestare il mio), si legge come un romanzo, un manuale, una guida all’opera di… come volete ma si deve leggere.

Un passo indietro, l’autore è Ian McDonald (no, non il musicista dei King Crimson, poi con McDonald & Giles e nei Foreigner, che merita comunque di essere conosciuto, a proposito quest’anno è il quarantennale di In The Court of the Crimson King, magari ci torniamo con un post ad hoc, fine digressione), vero nome Ian McCormick,  uno scrittore e giornalista che ha avuto una vita da (quasi) rock star il suo pseudonimo lo deve pur avere. La sua carriera inizia nei primi anni ’70 al leggendario New Musical Express di cui fu vicedirettore dal 1972 al 1975 e in quegli anni frequentò la creme de la creme dell’intellighencia del rock di allora, poi ( e qui le leggende abbondano su sesso, droga e rock’n’roll), dopo un periodo di oscurità riappare come uno dei critici musicali più riveriti e brillanti di musica “classica”! Colpo di scena, le sue recensioni sulla rivista Classic Cd e il suo libro su Shostakovich sono considerate tra le migliori opere del giornalismo classico britannico. Ma, per farla breve, il nostro amico non resiste al richiamo della pop music e scrive questo libro sui Beatles,  visto contemporaneamente con l’ottica di un grande critico di musica classica e di un fan dei Beatles, dopo l’enorme successo del libro decide di tornare a parlare di pop music (con grandissima competenza e arguzia aggiungo io) sia su Mojo che su Uncut i due mensili inglesi più prestigiosi, poi, improvvisamente, nell’agosto del 2003, viene trovato morto nella sua casa, il verdetto dice suicidio altri parlano di overdose, scompare comunque un grande personaggio. Perché è così importante leggere questo libro?

Perché vi apre una moltitudine di mondi incredibile, brano per brano, con puntiglio, competenza, ironia, rigore critico (mutuato dalla sua lunga militanza nel mondo della musica classica) Ian McDonald vi guida all’ascolto della musica dei quattro di Liverpool come non l’avete mai sentita, comodamente seduti nella vostra poltrona, lo stereo acceso, il libro aperto sul brano che state ascoltando, vi viene raccontata la genesi del brano, chi ha scritto cosa tra Lennon, McCartney e Harrison, il contributo di George Martin e Ringo, i trionfi, le cappellate, chi ha suonato e cosa ha suonato, ma anche cosa stava avvenendo nel mondo, a Londra in quel momento, cosa succede al minuto 1:07 del tal brano e perché, un rigore quasi scientifico (il quasi lo toglierei) ma anche una lievità di approccio deliziosa, quando c’è da bacchettare ci va giù duro, non aspettatevi un libro schierato, la critica di alcuni brani spesso è feroce (soprattutto George non ne esce molto bene) ma sempre ben motivata.
In poche parole, imperdibile, come la musica dei Beatles.
Bruno Conti