Ormai è raro che Joni Mitchell pubblichi un nuovo album (ma succede) oppure conceda una intervista (è successo). Qualche giorno fa ne ha concessa una in coppia con John Kelly, un artista che ha reso l’arte del travestimento una disciplina assai sofisticata, non solo parrucche e moine, ma anche studio dei caratteri dei personaggi che impersona, drag queen con cervello.
Ma non è di questo che vogliamo parlare. Joni Mitchell si fa vedere raramente (o mai) in quanto affetta da una rara malattia la sindrome di Morgellons ma questo volta ha accettato di parlare in quanto intrigata dall’opera di John Kelly e già che c’era ha detto due o tre cosette tanto per gradire.
Un pensiero delicato per Bob Dylan: “Bob non è autentico. Per niente, è un copione, un ladro, il suo nome è finto e la sua voce è finta. Non dovete mai fidarvi di Bob Dylan. Io sono il giorno e lui la notte.” Ma cosa le avrà fatto? Le ha alitato contro durante la Rolling Thunder Revue?
Uno anche per Madonna. “Gli americani hanno deciso di essere degli idioti più o meno dal 1980. Direi che Madonna è un po’ come Nerone, il punto di svolta, il punto di non ritorno, l’inizio della parabola discendente.”
Salva solo Jimi Hendrix: “Poco prima che morisse, Jimi Hendrix, il suo batterista (Mitch Mitchell) ed io passavamo intere nottate ad ascoltare i nastri dei nostri spettacoli. Jimi era veramente dolcissimo…”
Parla anche di Grace Slick, Janis Joplin, Prince e, ovviamente, di questo John Kelly.
Il giornalista, prudentemente, ha preferito non approfondire, l’argomento Dylan.
Eli “Paperboy” Reed & The True Loves – Come And Get It – EMI
Per la serie anche i dettagli hanno la loro importanza, vi chiederete il perché delle due copertine, stesso disco due copertine diverse. Presto detto: la prima copertina è quella della versione inglese, in uscita su etichetta Parlophone il 10 maggio, la seconda è la versione americana su etichetta Capitol in uscita il 10 agosto, in Italia, per distinguerci, dovrebbe uscire il 18 maggio su etichetta Capitol quindi con la copertina americana.
Il lato esteriore è importante ma quello che ci interessa è il contenuto: non ho controllato da vicino se ha gli occhi blu, ma il suo genere musicale è quello che si è soliti definire “blue-eyed-soul”, ma, come ho voluto precisare nel titolo del Post, con la lettera maiuscola. Non è musica di plastica, da consumo, usa e getta, anche se, avvalendosi di un produttore come Mike Elizondo (Eminem, Pink, Gwen Stefani) ha voluto curare nei minimi particolari il suono dandogli quella patina radiofonica che aiuta: niente paura, non ci sono rapper in vista, niente hip-hop, men che meno batterie elettroniche e synth a go-go, solo sette valorosi uomini al comando, due chitarristi, basso e batteria e una sezione fiati di tre elementi come ai bei tempi andati.
La sua musica è stata paragonata a quella di Otis Redding, Wilson Pickett e Sam Cooke! Niente di più falso, no cosa avete capito? Questi elementi ci sono tutti e all’ennesima potenza, ma convivono nel suo corpo (che casino ci deve essere lì dentro) anche la Tamla-Motown intera, i grandi cantanti gospel, la musica blues. Per intenderci, con tutto il rispetto, non stiamo parlando di Terence Trent D’arby o Paul Young (anche se all’inizio con i Q-Tips faceva ben sperare), ma siamo più sulle coordinate di James Hunter (amato e sponsorizzato da Van Morrison che di soul è uno che se intende) o per andare nel passato e rimanendo sempre in un ambito “bianco” del grande Eddie Hinton, che è stato anche autore di vaglia e cantante dalla sfortunata carriera. Quindi per usare un termine “sportivo” direi che Eli “Paperboy” Reed è un Bianco Nero (staccato per favore): d’altronde uno nato e cresciuto in quel di Brookline, Massachussetts da un padre critico musicale che lo ha cresciuto a pane e gospel, soul, blues e R&B e poi studente in quel di Clarksdale, Mississippi, la patria del blues e ancora a Chicago sotto la guida di Mitty Collier, una grande soul singer degli anni ’60 divenuta “ministro” di qualche chiesa evangelica, dicevo, uno così come poteva fallire nella sua missione musicale? E infatti non ha fallito, quando è tornato a Boston, ha fondato il suo gruppo e pubblicato un primo album introvabile nel 2005 e poi nel 2008, l’ottimo Roll With You, tutti brani originali firmati da Reed ma nel puro stile dei tempi che furono.
Ora, tra pochi giorni, uscirà questo Come And Get It (un titolo, un’esortazione): anche i super giovani non devono spaventarsi, immaginate Michael Jackson da ragazzino quando era il leader dei Jackson Five, musica fresca, ballabile, coretti irresistibili, fiati sempre presenti, una voce che sprizza gioia di vivere ma anche grande maturità. Si parte dal soul irrefrenabile dell’iniziale Young Girl, che un debito o duemila li deve al grande Otis Redding (con falsetti, urletti e tutto il repertorio dei grandi cantanti) per passare a Name calling con quel terrificante (in senso postivo) call and response con delle voci femminili libidinosissime e la voce di Reed che assume delle tonalità non dissimili da quelle del giovane Peter Wolf quando era il cantante della J Geils band. E cosa vogliamo dire di Help Me, con quella chitarrina malandrina che fa tanto Motown dell’epoca d’oro e il crescendo vocale di Reed che distilla fino all’ultima nota dall’ugola. Just Like me è il primo brano che rallenta i tempi, ma non troppo, sempre rimanendo in territori Motown, ma con quelle urla più da soulman di casa Stax, il meglio dei due mondi. Come and Get It con un basso funky pompatissimo ti spinge a muovere il piedino o andare direttamente sul dancefloor, un super ballabile si diceva un tempo.
Pick a number è un semi lentone alla Marvin Gaye con qualche retrogusto del ReV. Al Green. I found you out, molto Sam & Dave, o Blues Brothers per i più giovani, sempre con i fiati in evidenza (non mancano in nessun brano) e Tell Me What I wanna Hear, questa in puro stile Sam Cooke, accelerano di nuovo i tempi. Time Will Tell è il lentone da crooner, ancora con Otis, Wilson e Sam nel cuore e nei polmoni, molto bella e il brano più vicino a quell’altro contemporaneo del soul che risponde al nome di James Hunter e che vi consiglio vivamente! Straordinario il tour de force gospel soul di You Can Run On, pensate a Turn On Your Lovelight a velocità supersonica e moltiplicate per due. Pick Your Battles è l’altro “lento” da s(ballo), una meravigliosa soul ballad a cavallo tra Marvin Gaye e Sam Cooke nei loro momenti più romantici, cantata con grande trasporto da Eli “paperboy” Reed che si conferma cantante di grande sensibilità vocale, se c’è da ballare balliamo ma sui sentimenti non si scherza! Si conclude con la dichiarazione di intenti di Explosion, una vera esplosione di energia che costituisce il gran finale con tanto di conto alla rovescia e strumenti in overdrive.
Smokin’ Joe Kubek and Bnois King – Have Blues Will Travel – Alligator Records/Ird
Sono in pista dagli inizi degli anni ’90, ma ad ogni disco migliorano, come il buon vino: questo dovrebbe essere il dodicesimo disco della coppia, il secondo per la Alligator e Kubek e King, un texano e un californiano trapiantato in Texas, continuano a regalarci dischi di blues sempre più freschi e pimpanti. Se dovessi consigliarvi un disco di blues per questo mese, non avrei dubbi, questo Have Blues Will Travel vale ogni euro che ci vorrete investire: oltre a tutto per le stranezze del mercato discografico in Italia è gia disponibile in tutti i negozi mentre in America uscirà solo il 25 maggio. Come avrebbe detto Ruggeri prima di sparire dalla trasmissione di Italia Uno: Mistero!
Non ci sono misteri nella musica delle due personcine che vedete effigiate qua sopra: Joe Kubek è il bianco, chitarrista di grande classe e varieta, sia flat che slide, un omone dalla tecnica raffinatissima (qualche affinità anche con il conterraneo Stevie Ray Vaughn), Bnois (che razza di nome) King è il nero con la voce da bianco (è raro ma succede), nonché ottimo chitarrista ritmico e solista all’occorrenza.
E questa è la particolarità abbastanza inconsueta: è raro trovare nel blues, più o meno canonico, un gruppo con due chitarre soliste, ammesso che esista, ma non ricordo (nel rock viceversa non dico che sia una consuetudine ma accade abbastanza spesso). Aggiungete una sezione ritmica dal drive chiaramente rock et voilà i giochi son fatti. Più facile a dirsi che a farsi ma in questo caso funziona alla perfezione.
Bnois King, oltre che cantare, scrive anche i testi dei brani, la musica è affidata a Kubek, la produzione è nelle capaci mani del boss della Alligator, Bruce Iglauer e i risultati si vedono o meglio si sentono.
La partenza è addirittura fulminante: la canzone che da il titolo a questo disco, Have Blues Will Travel, è uno straordinario brano a trazione sudista, tipo ZZTop epoca Lagrange o il Johnny Winter più pimpante del periodo Johnny Winter And, boogie blues con assoli di solista e slide di Kubek che si alternano a quelli di King senza soluzione di continuità, con una fluidità incredibile e ti coinvolgono alla grande. Got You Out Of My Blood è un sanguigno funky-blues con il King Bnois che omaggia il King Albert del periodo Stax e Joe Kubek non sta a guardare. La varietà di stili e ritmi è uno dei punti vincenti del disco, Out Of Body Out Of Mind , sempre con la voce “strana” di Bnois King, da bianco si diceva, una voce alla Willie Nelson se fosse nato in Texas (ma questo è successo) in un corpo da nero, quindi grinta ma anche gran classe e poi quelle due chitarre che si rincorrono e duellano daii canali del vostro stereo. Ru4 Real? è il classico slow blues che un altro King, Freddie detto “The Texas Cannonball” avrebbe inserito con piacere nel proprio repertorio. Piccola curiosità, Joe Kubek ha iniziato la sua carriera, a metà anni ’70, proprio nel gruppo di Freddie King, che sarebbe morto di lì a poco. Payday in America, con un basso molto funky e la slide di Kubek in evidenza è un altro brano notevole, quasi alla Thorogood mentre Shadows in The Dark con le sue atmosfere ariose si avvicina a sonorità più rock, quasi Claptoniane e My Space or Yours è uno shuffle ancora molto vicino alle sonorità di Freddie King e questo non è certo un difetto. Senza stare a citarveli tutti, nei dodici brani dodici che compongono questo CD non ci sono cedimenti: per chi vuole il suo Blues, bluesato ma con la giusta dose di rock non andate a cercare troppo lontano, questo è il disco che fa per voi!
Le uscite del 4 maggio, tra ufficiali e ufficialmente “ritardati”, più o meno ve le ho date, portiamoci in là nel mese!
L’11 Maggio esce l’atteso Carole King & James TaylorLive At The Troubadour un CD+DVD del concerto tenutosi in quel di Santa Monica Boulevard, West Hollywood, California nel novembre del 2007. Riuniti con loro ci sono anche i mitici musicisti di The Section, Danny Kortchmar, Leland Sklar e Russell Kunkel e naturalmente tutti i loro successi. Vi chiederete, ma perché ci ha parlato prima di questo rispetto al nuovo Ligabue che venderà il decuplo? Ve lo siete chiesti. La risposta è che questo live negli States esce una settimana prima il 4 maggio quindi fate vobis.
Il nuovo LigabueArrivederci, Mostro, tutti brani nuovi, prodotto per la prima volta non da Luciano Ligabue ma da Corrado Rustici, esce sempre l’11 maggio, in tre versioni, CD normale, vinile 180 grammi nero, vinile 180 grammi blu, 2000 copie vinile nero, 1000 copie vinile blue.
Sempre l’11 maggio tornano anche i Keane con il nuovo album Night Train: hmm, cosa vedo, intanto è un EP, 8 brani , con la collaborazione del rapper somalo/canadese N’kaan in due brani e del Mc Tigarah esponente del Japanese Baile Funk, doppio hmm e anche bah!
Sempre l’11 maggio esce una nuova versione di Alchemy dei Dire Straits. Non so che anniversario sia, in origine era uscito nel 1984, il ventiseiennale, forse? Comunque sarà disponibile, in DVD per la prima volta, in una confezione doppio CD + DVD e in BluRay. Sempre lo stesso giorno (ma in America è già uscito) viene pubblicato American Idiot Original Broadway Recording featuring Green Day, un doppio cd del famoso disco che nel frattempo è diventato anche un musical, quindi c’è il cast originale del musical più, in tutti i brani, i Green Day! Jack White era già un paio di mesi che taceva stavo cominciando a preoccuparmi! Niente paura, esce il secondo, nuovo album, del suo secondo gruppo collaterale, i Dead Weather in comproprietà con la cantante e chitarrista Alison Mosshart, si chiama Sea of Cowards. Entro fine anno dovrebbe uscire anche il primo album a nome Jack White, era tempo. Scherzi a parte il nuovo Dead Weather esce solo in CD o vinile.
Il 18 maggio, come annunciato più volte, esce la ristampa di Exile On Main Street dei Rolling Stones, versioni disponibili: standard edition, 1 CD, l’album originale rimasterizzato, Deluxe Edition, doppio cd con dieci brani inediti, digipack a tre ante e booklet di 12 pagine (so che sono questi particolari che vi piacciono), Doppio LP Gatefold 180 Gr. senza bonus, Super-Deluxe Edition, con doppio CD, doppio LP più DVD con un documentario di trenta minuti con il making of dell’album e immagini tratte da Ladies And Gentlemen: The Rolling Stones e, soprattutto, il rarissimo Cocksucker Blues. Libro di 64 pagine rilegato in brossura e alcune cartoline da collezione. Sciambola!
Dopo soli 33 anni di carriera esce il primo album di solista di Jim Kerr il cantante dei Simple Minds si chiama Lost Boy a.k.a Jim Kerr. E’ un dilettante, esce solo in tre versioni: CD (con 3 bonus tracks), Lp e confezione CD+Lp.
So che vi state chiedendo cosa diavolo sia quel Jayhawks? Purtroppo non si sono riformati e quindi non è un nuovo album ma bensì si tratta della (ri)stampa in CD del primo rarissimo The Jayhawks (aka The Bunkhouse Album) uscito in vinile nel 1986 in una tiratura limitata di 2000 copie!
Last but not least, il 21 maggio esce il nuovo album dei Black KeysBrothers, CD, doppio Lp o edizione limitata in doppio CD, nonché il secondo album (il primo per una major, Capitol/Emi) di Eli Paperboy ReedCome And Get It di questo cantante bianco, eccezionale, che viene presentato come la nuova promessa del soul dalla sua casa discografica. Il bello è che è tutto vero, anche meglio. Recensione nei prossimi giorni. Mi dicono che dovrebbe uscire il 18 maggio, in America lo danno in uscita addirittura per agosto.
Chris Bell – I Am The Cosmos (Deluxe Edition) -2CD Rhino Handmade
Questa è l’edizione definitiva dell’unico disco di Chris Bell, o meglio sarebbe dire dell’unico non disco, visto che l’artista in vita vide solo la pubblicazione di un misero 45 giri I Am The Cosmos con You And Your Sister sul lato B, uscito nel 1978 pochi mesi prima della morte avvenuta il 27 dicembre 1978 in un incidente automobilistico (quindi niente droghe, overdosi o alcolismo terminale anche se avevano avuto una parte importante nella sua vita), avrebbe compiuto 28 anni il 12 gennaio successivo.
Ma torniamo all’inizio della storia. Come tanti suoi coetanei, all’inizio degli anni ’60 si innamora di quella che verrà chiamata “British Invasion”, quindi Beatles in primis ma anche Yardbirds e Who, almeno per quello che lo riguarda. Bell è un ragazzino precoce, vive a Memphis, Tennessee, una delle culle della musica americana e già nel 1964 e 1965 comincia a formare i suoi primi gruppi con altri talenti locali tra cui Terry Manning, che diventerà musicista e produttore tra i più importanti. In quegli anni avvengono i primi incontri ravvicinati con Alex Chilton in un gruppo di Bell chiamato Jynx (in omaggio ai Kinks). Chilton è la causa indiretta dello scioglimento del gruppo quando nel 1966 se ne va con il bassista Bill Cunningham per formare i Box Tops, band che avrà un successo fulminante e stratosferico.
Nel frattempo Bell rimane a Memphis e continua nei suoi tentativi musicali, formando varie formazioni tra cui gli Icewater e i Rock City in cui militano tra gli altri i futuri Big Star, Jody Stephens e Andy Hummel, e siamo arrivati alla fine anni ’60. A questo punto, le opinioni divergono, Chris Bell chiede a Chilton di unirsi al gruppo o viceversa, questo non è dato sapere anche se sarebbe un particolare importante. In ogni caso decidono per il nome Big Star, si chiudono nei famosi Studi Ardent di Memphis e sotto la guida del proprietario degli studi stessi, John Fry e con Terry Manning come ingegnere del suono, messi sotto contratto dalla Stax (o meglio Ardent Records distribuzione Stax), confezionano il loro primo album, quel #1 Record che li ha consegnati agli annali della storia della musica (pop). L’accordo tra Bell e Chilton prevedeva che i brani, in puro stile Lennon/McCartney, dovevano portare la firma di entrambi gli autori, quindi Bell/Chilton a prescindere dall’apporto di ciascuno a ogni singolo brano. Evidentemente la cosa non funzionò, perchè di lì a poco, siamo nel 1972, complici gli errori della Stax, a seguito del flop clamoroso del disco Chris Bell decide di prendere la sua strada, ma comunque la storia dei Big Star per quanto parallela è un’altra storia.
Dopo un breve riavvicinamento per apparire in un paio di brani del successivo Radio City, la carriera di Bell dovrebbe avviarsi verso quella del solista in proprio. Ma qui cominciano i problemi: una depressione cronica che lo accompagnerà fino alla fine della vita, un paio di tentativi di suicidio, l’uso di vari tipi di droga, lo smacco di essere dovuto tornare a lavorare nell’azienda di famiglia, in una piccola catena di ristoranti. In mezzo a tutto questo Chris continua a registrare musica, a Memphis, ma anche ai famosi Chateau D’Herouville Studios in Francia, quelli dove Elton John ha registrato Goodbye yellow brick road, dove fu portato dal fratello David. Alla fine del 1978 in macchina stava tornando a casa quando perso il controllo dell’automobile andò a finire contro un palo, morendo sul colpo. L’unico risultato della sua opera, a questo punto, era quel misero 45 giri citato prima. Ma la storia non finisce qui: nel frattempo una miriade di gruppi “alternativi” scopre i Big Star e quindi anche i suoi componenti e la gloriosa Rykodisc decide di pubblicare un disco postumo I Am The Cosmos, con quindici brani, dodici tracce più tre bonus con versioni alternative.
Ma la versione definitiva è questa della Rhino Handmade: uscita sul finire del 2009, a tiratura limitata, un po caruccia nel prezzo per usare un eufemismo e già quasi introvabile e comunque una specie di Santo Graal per gli appassionati di musica.
Parere personale: pur essendo felice possessore dell’edizione Ryko avevo sempre avuto delle perplessità sul fatto che questo I Am The Cosmos fosse il capolavoro assoluto che veniva dipinto da tutti. Intendiamoci i due lati del 45 originario, I Am The Cosmos e You And Your Sister sono due brani straordinari, ma ogni tanto la qualità del suono sa molto di demo e non sempre le canzoni sono all’altezza. Il suono deve molto al John Lennon solista degli anni ’70, ma anche, in certi momenti, al glam rock migliore tipo Mott The Hoople e la ballate a McCartney e Harrison oltre che, in toto, al suono dei Beatles del White Album. Brani come Speed of Sound ricordano molto il sound dei Big Star (alimentando la diatriba su chi avesse scritto e cosa!), I Get Kinda Lost è un antesignano del garage rock. I don’t know avrebbe potuto essere un altro episodio della saga Big Star mentre Though I Know She Lies è una piccola gemma acustica degna dei migliori cantautori di quel periodo. Ma è il secondo disco di questa edizione Deluxe la vera sorpresa: quasi tutti i brani presenti, al sottoscritto, paiono più belli delle versioni già conosciute. Migliore il suono, più presente, più brillante, spesso i brani acquistano un nuovo fascino e poi ci sono molte gemme sconosciute.
A partire dai due brani degli Icewater, citati all’inizio, soprattutto la grintosa Looking Forward, con la voce filtrata di Bell che profuma di psichedelia ma anche il bozzetto acustico di Sunshine, tanto McCartney. Non male anche My life is right dei Rock City dove il classico falsetto di Bell anticipa i temi dei Big Star. Tra le versioni alternative, fantastica I Don’t Know più tirata e con un bell’arrangiamento vocale, la dolcissima You and Your Sister con un mellotron che sostituisce gli archi originali per non parlare della long version rallentata di I Am The Cosmos che già appariva tra le bonus della prima versione, ma qui gode di una ulteriore miglioria in fase di missaggio (come peraltro tutto il disco). Bellissima anche Get Away con la sezione ritmica di Ken Woodley al basso e Richard Rosebrough alla batteria che da maggiore profondità al suono, ciliegina sulla torta la chitarra di Alex Chilton, grande versione. Ottima anche Stay With Me con Keith Sykes (allora agli esordi, e tra i migliori discepoli di Bell e Chilton) alla seconda voce. In totale il secondo CD contiene 15 brani e a parte lo strumentale conclusivo Clacton Rag , tutti fondamentali nel rendere questa la “versione definitiva”. Costa ma varrebbe il sacrificio.
Jesse Malin & The St. Marks Social – Love It To Life – Side One Dummy Records
Questo è il quinto disco da solista di Malin se si esclude il live Mercury Retrograde e un altro strano disco dal vivo, chiamiamolo un bootleg ufficiale che, bizzarramente, tanto per non creare confusione, aveva lo stesso titolo di questo album.
Per molti, giustamente, la figura di Jesse Malin è legata al brano Broken radio, una intensa ballata pianistica cantata in duetto con Bruce Springsteen che appariva su quello che è forse il suo disco migliore, quel Glitter in The Gutter che gli aveva regalato recensioni positive un po’ sulla stampa di tutto il mondo, Italia compresa. Ma già il suo primo album The Fine Art Of Self Destruction, prodotto dall’amico Ryan Adams, conosciuto ai tempi del suo primo gruppo i D Generation, di cui Adams era un fans, aveva generato buone vibrazioni musicali. Dopo l’album del 2007 Malin aveva avuto un periodo di super attività, con il bootleg live dello stesso anno, il disco di cover On Your Sleeve nel 2008 e, sempre nello stesso anno, il live ufficiale, poi silenzio. Cominciavano a correre voci su un suo presunto ritiro o forse era semplicemente la difficoltà di trovare una nuova etichetta o un semplice calo di ispirazione, fatto sta che dopo avere vissuto sul divano della sorella per qualche mese (pur essendo proprietario di bar e ristoranti in quel di New York), la ri-lettura di JD Salinger e la visione di un film sullo scrittore americano lo ha convinto a riprendere la chitarra in mano. A questo punto ha sospeso il progetto di un documentario sui Bad Brains ed insieme an un gruppo di amici definiti The St. Marks Social ha realizzato questo nuovo disco.
Prodotto da Ted Hutt, ex membro fondatore dei Flogging Molly (di cui è stato anche produttore, così come di Gaslight Anthem e Lucero), non si avvale dell’operato di nomi noti o collaboratori illustri, se vogliamo escludere la presenza del batterista Randy Schrager che ha suonato nei Scissor Sisters.
A richiesta diretta, in un’intervista, gli hanno chiesto di che genere musicale si trattasse e Malin ha risposto, testualmente: “Power-punk-pop-tribal-roots-new Wave-New York-shake appeal-Wang Chung-emo-singer-songwriter-cultural folk-peace punk liberation!”, sottoscrivo il tutto e concluderei la recensione qui. Scherzi a parte, ma non troppo, gli hanno anche chiesto le sue influenze musicali: “I Clash, l’Elton John di Goodbye Yellow Brick Road,Neil Young, Bad Brains, Cheap Trick e Replacements, tombola! Tra i contemporanei Wilco, Spoon, Gaslight Anthem, Hold Steady e Lucinda Williams. Anche in questo caso sottoscrivo e concludo. Non si può? Vabbè.
L’album contiene dieci brani, trentacinque minuti di musica, sano rock’n’roll con qualche pausa di riflessione: le danze si aprono con l’ottima Burning The Bowery, il singolo di cui si farà anche un video, due chitarre, basso e batteria, la voce particolare di Jesse Malin, un inno alla città di New York, cori antemici, chitarre tintinnanti alla Big Country degli esordi, un inizio perfetto, come in tutti i dischi di rock che si rispettino il 45 giri di traino all’inzio del disco. Coretti stile sixties, un basso pulsante, chitarre in overdrive, ritmi “forti”, come se i Replacements non si fossero mai sciolti, energia allo stato puro, cantato con inusitata veemenza da un Malin motivatissimo, ah il titolo All The Way From Moscow, dimenticavo! The Archer, chitarre acustiche e tastiere, un melodico midtempo da cantautore “puro”, è un altro bell’esempio della bella scrittura di un Malin ispiratissimo. Lo stato di grazia prosegue con l’ottima e antemica St. Marks Sunset, chitarre in Paradiso e ritmi spezzati, ritornelli che ti rimangono in testa, insomma quel genere di musica citato dall’autore stesso, quale? Non saprei.
Jesse Malin non ha la voce di Willy DeVille, ma Lowlife in High Rise potrebbe averla scritta il gitano newyorkese: atmosfere sixties, ritmi vagamente latini, una melodia gentile ed insinuante, brano meraviglioso e accattivante ti entra sottopelle. Viceversa Disco Ghetto potrebbero averla scritta solo i Clash, basso pulsante, ritmi spezzati, chitarre choppate, direi epoca tra Sandinista e la svolta commerciale di Combat Rock, come dite? Rock The Casbah parte 2, potrebbe, più o meno, comunque non male. Con Burn The Bridge i tempi accelerano, i cori sono di nuovo antemici, le chitarre tornano a ruggire, Malin ci mette la solita energia inesauribile e il risultato ti soddisfa. Revelations si situa in quei territori frequentati anche da Hold Steady e Gaslight Anthem, la lezione Springsteeniana rivisitata attraverso l’ottica di vecchi punkers invecchiati, marurati ma non pentiti, con tanto di uoh uoh uoh immancabili, dal vivo dovrebbe fare un figurone. Black Boombox, velocissimo superpunk alla Stiff Little Fingers è l’unico brano non particolarmente memorabile di questo album.
La conclusione è affidata a Lonely At heart, inizio alla Lou Reed, svolgimento in crescendo Orbisoniano, altro monumento alla ritrovata creatività del nostro amico Jesse Malin, un onesto rocker from New York City che fa dall’ottima musica.
Per chi se la fosse persa, tanto per avere una idea di cosa vi aspetta, il disco nuovo esce la settimana prossima.
W.I.N.D. – Walkin’ In A New Direction – Artesuono Records/Ird
Per essere precisi, come orgogliosamente annunciato nel loro MySpace, Jam Bluesy Power Trio from East Coast, aggiungo io (Ok a voler essere pignoli Cavalicco in provincia di Udine non è proprio sul mare, ma è lì a due passi).
La recensione “ufficiale” la trovate sul Buscadero di Maggio (quando esce l’album), per ingannare l’attesa due parole in libertà su questi ottimi musicisti che non hanno nulla da invidiare alla crema del rock mondiale nel loro genere.
Il primo album, omonimo, è uscito nel 2000 (quindi quest’anno festeggiano dieci anni di attività anche se la formazione, un paio di anni fa, è cambiata per due terzi), poi gli altri dischi con una cadenza biennale salvo nel 2008 quando non avendo nulla di pronto, astutamente, hanno ripubblicato il primo CD con nuova grafica e contenuti aggiunti. Nel 2004 hanno suonato nel disco di Johnny Neel (mitico tastierista aggiunto di Allman Brothers Band e Gov’t Mule) che, a sua volta, ha spesso collaborato con loro e si è espresso in modo lusinghiero sui suoi compagni di avventura definendoli così: “Gli W.I.N.D. sono un power trio con una potenza, capacità di scrittura e di improvvisazione che non sentivo dai tempi dei Gov’T Mule con Allen Woody”, ciapa lì e metti in cascina!
Una curiosità sul live del 2006 (ma inciso nel 2005): girando per siti a un certo punto sono capitato su una recensione, peraltro ottima, dove il gruppo veniva definito una Polish (maiuscolo) band, quindi l’internazionalizzazione prosegue, stiamo annettendo nuovi territori.
Ma veniamo a questo CD, brevemente (non alla Biscardi, spero): le danze si aprono con la tiratissima e riffatissima Amnesia, con il basso di Fabio Drusin (bassista dalla tecnica e dalla potenza mostruose, attualmente, tra i migliori al mondo, per il sottoscritto) a disegnare ghirigori incredibili inseguito dalla batteria di Silver Bassi (e qui siamo nell’ambito degli ossimori, un batterista che si chiama Bassi) e dalla chitarra dell’enfant prodige Anthony Basso, che divide anche gli interventi vocali con Drusin; ottimi gli interventi del piano elettrico dell’ospite Glauco Venier e del basso con wah-wah di Drusin. Come se gli anni ’70 non fossero mai finiti o un ritorno di fiamma? Che inizio e il seguito è anche meglio: la successiva Deja Vu With The Blues molto zeppeliniana e quindi vicina anche agli ultimi Gov’T Mule, con il basso di Drusin a duellare con il drumming Bonhamiano di Bassi e la chitarra di Basso a cesellare assoli degni del miglior Jimmy Page, finale a sorpresa con l’assolo di trombone dell’ospite Mauro Ottolini che vira la musica verso lidi jazzati e orientaleggianti. My solitude, con quella andatura indolente a cavallo tra l’epica Younghiana e certo southern glorioso dei tempi che furono una volta si sarebbe definita una power ballad, con la costruzione del brano tutta tesa all’esplosione liberatoria dell’assolo di chitarra fantastico e lirico di Basso, brano fantastico. Wastin’ My Time come dico anche nell’altra recensione che leggerete (mi posso citare?), forse anche per la voce di Basso mi ha ricordato certe cose dei Rush più progressivi degli anni ’70, quelli che tiravano e pompavano come dei dannati, sempre con questo basso (nel senso di strumento bisogna stare attenti!) che riempie i canali del vostro stereo con una veemenza inusitata e soliste che oscillano tra slide e wah-wah. Wah-wah che è il protagonista assolutto della Hendrixiana Unbelieve ma tutto il brano, cantato da Drusin, oscilla tra Experience e Cream, in perfetto stile jam bluesy power per citarli.
It’s too late to lie è un’altro slow a cavallo tra power ballad e blues con l’ottimo organo di Venier a regalargli quel sentire “sudista” Allmaniano con la chitarra di Basso ancora sugli scudi. C’è spazio anche per il quasi folk psichedelico dell’acustica Demons dove il percussionista U.t. Gandhi, un nome un programma, aggiunge sonorità ancora orientaleggianti. Per la serie se una cover s’ha da fare facciamo che sia “oscura”, Funky To The Bone, se volete sentire l’originale si trova sul quarto CD di What it is’ il favoloso cofanetto della Rhino dedicato alla musica funky anni ’70 meno nota (un Bruno informato), i (o gli?) W.I.N.D la trasformano in una funky jam con slide e organo per divertirsi e divertirci. Beautiful Awareness è un altro episodio psichedelico che ci avvia alla conclusione affidata alla lunga versione in studio di Lucky man uno dei cavalli di battaglia dei loro concerti dal vivo e occasione per una ulteriore epica jam. Ma non finisce qui, breve pausa e parte la “traccia nascosta”, una versione gagliarda di Almost Cut My Hair, uno dei brani più belli regalati da David Crosby all’avventura CSNY.
Se Walkin’ In New Direction è l’acronimo di W.I.N.D (che fatica tutti questi puntini), la nuova direzione piace e parecchio. Grande musica e grande gruppo, italians do it better! Ma cosa? Il Rock! Per ulteriori indagini windbandjampowertrio
Come da foto Jackie Leven non è quello che definiremmo una “personcina”, al contrario si tratta di un personaggio imponente, uno scozzese di Kirkcaldy, Fife che quest’anno a giugno compirà 60 anni e che, ormai alla sua terza vita artistica, non potremmo neppure definire un personaggio di culto ma addirittura di Sottoculto, amato dalla critica e da uno sparuto manipolo di fans sparsi per il mondo, ma non che ha mai avuto i riconoscimenti che la sua musica meriterebbe, forse il personaggio di maggior talento tra quelli che stanno ai margini, gli outsiders, il maggior talento con i minori risultati.
La sua carriera inizia nel lontano 1971 con lo pseudonimo John St Field, quando pubblica un album dal titolo Control, che lui dice essere il suo preferito e la cui reperibilità è simile al Gronchi rosa, ma che sentito oggi non è tanto dissimile dal Jackie Leven attuale, certo con una voce “più giovane” di quarant’anni e con delle similitudini con i contemporanei John Martyn e Shawn Phillips. Vendite zero: fine della prima opportunità. 1978, piena era punk, Leven forma i Doll By Doll, una band straordinaria autrice di quattro album notevoli che con il punk spartivano solo l’energia e l’etica DIY, ma poi spaziavano tra folk, rock, psichedelia morbida, influenze celtiche e mille altri colori. Vendite, indovinate?, vicino allo zero, qualcuno inizia a notarlo! Forse troppo. Nel 1984 durante la registrazione del suo primo album solista, viene aggredito per strada, cercano di strangolarlo e rimane, come conseguenza, incapace di parlare e quindi cantare per oltre due anni. Una delle conseguenze è che diventa un eroinomane e la sua dipendenza dalla droga lo rende una sorta di relitto umano. Ma risorge per la terza volta e nel 1994 inizia la sua carriera solista (era ora!) con un album dal titolo e dal contenuto straordinario The Mystery Of Love Is Greater Than The Mystery Of Death. Da allora non si è più fermato e tra album officiali, raccolte di materiale inedito, dischi sotto pseudonimo (ma allora è un vizio), dischi dal vivo, voi li pensate lui li fa, ha pubblicato oltre trenta dischi. Rimane celebre una conversazione con il boss della sua casa discografica il quale di fronte alla sua richiesta di pubblicare più album rispose con un laconico no. Alle argomentazioni di Jackie Leven che gli ricordava che i Beatles erano arrivati a pubblicare anche quattro dischi in un anno, Martin Goldschmidt se ne è uscito con una risposta formidabile “Jackie non siamo più nel 1967 e tu non sei i Beatles”. A questo punto si sono messi d’accordo sull’escamotage dello pseudonimo, Sir Vincent Lone, che ha colpito l’ultima volta nel 2009 con Troubadour Heart.
Questo Gothic Road non è sicuramente il suo disco più bello ma rimane comunque un CD dai contenuti musicali e dai testi incredibili e visionari come sempre. In questo disco Leven si fa aiutare in fase di produzione e arrangiamento dal cantautore gallese David Wrench, un altro personaggio incredibile, un albino, anche ingegnere del suono che pubblica album di synth pop alla Pet Shop Boys e che in questo disco fornisce una patina di elettronica ed effetti speciali che si uniscono alla consuete chitarre acustiche ed elettriche, pianoforti, percussioni (mai un drum kit completo), contrabbassi, archi vari, strumenti celtici che da sempre caratterizzano la musica di Leven e la rendono così unica. Anche i testi sono fantasiosi e iconoclasti: si va dall’iniziale Gothic Road che utilizza il sound corale delle Ghost Voices Of The Kursk, che null’altro sono ma tre giovani russi i fratelli dei quali sono periti nella tragedia del sottomarino atomico russo e la canzone rende tutta la drammaticità epica di quell’evento. Si passa poi alla drammatica Last Of The Badmen, un brano bellissimo dove la voce di Leven si moltiplica in un coro celestiale e con effetti speciali, chitarre acustiche e percussioni varie costruisce un affresco mirabile che si conclude su una richiesta cruciale “Per Favore non uccidermi solo perchè potresti farlo!” Un altro brano memorabile è Cornelius Whalen, un duetto con il redivivo Ralph McTell (ogni volta che sento quella voce che negli anni non è cambiata di una virgola non posso non pensare a Streets Of London, anche se le sua carriera ha regalato altri momenti notevoli) che racconta la storia dell’ultimo sopravvissuto di una famosa marcia avvenuta negli anni ’30 della crisi economica della prima depressione, il marching marching del testo è più esplicativo di mille editoriali . Leven ci porta anche sulla John Paul Getty’s Silver Cadillac, una ballata midtempo cantautorale affascinante e ci parla nel brano Absolutely Joan Crawford dei suoi incontri virtuali, oltre che con la stella del cinema del passato, con Patsy Cline e Tilda Swinton, atmosfere ed ambientazioni surreali dal fascino unico. Molto bella anche Song For Bass Guitar And Death, che titoli incredibili, ma anche bellissime atmosfere musicali e la voce affascinante di Jackie Leven una delle più peculiari in circolazione.
Potrei bombardarvi di titoli, ce ne sono altri di brani notevoli, New Wreath tanto per non fare nomi, ma mi limito a un’ultima notazione: l’edizione in Itunes che mi fa in…zzare come l’automobilista di Gioele Dix ha due bonus tracks tra cui l’omaggio colto e indiretto a Neil Young di Cinnamon Girl Bluesology. Per cui indagate, indagate, indagate.
Sulla mia annotazione conclusiva del post di ieri, una piccola precisazione: so che RootsHighway non è un blog ma un sito, ma ci sono, come detto, alcuni contenuti in comune e la comune appartenenza di molti, come collaboratori del Buscadero (io c’ero già trent’anni fa, non dal primissimo numero). A proposito di quest’ultimo e di blog vi segnalo quello di Chiara Meattelli, corrispondente del Busca da Londra e con una comune passione per i “sudisti pavesi” Lowlands (il nuovo album dovrebbe uscire a ottobre) http://thebrixtownmassacre.wordpress.com/ e per par condicio quello dell’ex collaboratore di Jam, Paolo Vites, grande Dylanologo http://gamblin–ramblin.blogspot.com/.
Oggi non ho avuto tempo per un post “adeguato” quindi mi limito ad alcune precisazioni sulle ultime uscite di aprile (e le prime di maggio). Come dicevo nel post dedicato al DVD Box di CostelloSpectacle (niente paura è confermato per domani), siamo in Italia quindi la data di uscita è un po’ un optional. Quindi il forse che mi è scappato nella recensione, riferito all’uscita del Cd della Natalie MerchantLeave Your Sleep il 13 aprile purtroppo nel frattempo è diventato una certezza e la data è slittata (per il mercato italiano, in America e Inghilterra nonostante nubi e vulcani è uscito regolarmente) al 27 aprile. Lo stesso giorno (e questa è una piacevole aggiunta) esce su etichetta Rhino/Warner un bellissimo box quadruplo dei Grateful DeadCrimson, White & Indigo 3 CD + 1 DVD registrati al JFK Stadium di Philadelphia il 7 Luglio del 1989. Lo stesso giorno non escono, perché slittano al 3 maggio, il nuovo album di Peter WolfMidnight Souvenirs (bellissimo), il nuovo Melissa EtheridgeFearless Love nonché il nuovo di Mary Chapin CarpenterThe Age Of Miracles.
Viceversa, dovrebbe uscire domani, il nuovo album di Jackie Leven,Gothic Road, molto bello, che da alcuni giorni mi riprometto di recensire e per una ragione o per l’altra rimando, domani prometto! Il Cd di John Grant con i MidlakeThe Queen Of Denmark è confermato in uscita, come pure il nuovo della PFMAD 2010 La Buona Novella – Opera Apocrifa, tutti e due da domani.
Sempre per i Beatiful Losers (come il citato Leven, Anais Mitchell o il recensito Joe Gibbs, ricordate dove l’avete letto per primo) mi scappa di citare il nuovo album di Mary Gauthier in uscita il 18 maggio per la nuova etichetta Razor & Tie negli States e su Proper in Europa, ma già disponibile per il Download: è bellissimo, tristissimo ma coinvolgente. Per chi la conosce, è la storia della sua vita messa in parole e musica. Il tutto è prodotto da Mike Timmins (che per qualche oscura ragione la Mary Gauthier chiama Timmons sul suo sito) e partecipa anche Margo. Anche per questo recensione nei prossimi giorni, promesso.
Sempre per la serie, mi faccio dei promemoria così mi ricordo. Devo anche parlare di un altro grande outsider Chris Bell di cui la Rhino/Handmade ha pubblicato (sempre che si trovi, ma a prezzi proibitivi) un doppio CD con la versione espansa del mitico I Am The Cosmos.
Non è riferito a nessun Cd in particolare ma in generale: quando vedete sui siti italiani date di fantasia e poi spedizione in 4,5,8,14 giorni fatevi sorgere qualche dubbio sull’attendibiltà delle date indicate.
Per gli altri dischi in uscita dovrebbero rimanere valide le date che vi ho segnalato.
In questa occasione mi sono sostituito al servizio pubblico per informazioni di pubblica utilità, a chi ama la musica.
Sempre per amanti ed amatori, nei commenti mi viene richiesto di segnalare qualche blog “interessante”! Con piacere, anche se per alcuni contenuti è un concorrente vi segnalo questo http://www.rootshighway.it/