The Jersey Shore Devils. Gaslight Anthem – American Slang

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The Gaslight Anthem – American Slang – Side One Dummy Records – 15-06-2010

Sarà nei negozi il 15 giugno ma non ho resistito, ve ne parlo con un “leggero” anticipo, il vantaggio dei Blog, non occorre aspettare l’uscita del mensile preferito!

Terzo album per il quartetto del New Jersey, conterranei e non solo del grande Bruce Springsteen, pupilli ed allievi nonché grandi fans del Boss con il quale lo scorso anno hanno diviso il palcoscenico a Glastonbury.

E’ il secondo album della Side One Dummy di cui vi parlo in un breve lasso di tempo dopo quello di Audra Mae. Non sbagliano un colpo! Anche i Flogging Molly sono della stessa parrocchia. Terzo album, scusate, dimenticavo Jesse Malin, qualche tempo prima, Tutti dischi prodotti da Ted Hutt che naturalmente produce anche questo American Slang. Il nuovo Re Mida dei produttori visto che anche il disco dei Lucero porta la sua firma?

Può essere! Comunque questo CD è, ancora una volta, una vera festa del Rock. I “soliti noti”, nel senso di influenze, sono sempre presenti: quindi Springsteen in primis, i Clash del periodo americano, la “velocità” dei Ramones, la voce del frontman Brian Fallon ricorda quello del giovane Bono e anche la sua urgenza, in questo album e nei brani più lenti qualcosa anche dei Counting Crows di Adam Duritz e il Tom Petty più rock. Tutti nomi “importanti” ma i Gaslight Anthem sono assolutamente all’altezza delle aspettative di chi aveva apprezzato The ’59 Sound, anzi rilanciano. Dieci pezzi, meno di trentacinque minuti di musica, ma che musica ragazzi! La rivista Rolling Stone li ha inseriti tra i 40 dischi da seguire dell’anno. Nel 2008, Kerrang (sì, quella dei metallari), li ha messi in copertina senza avere mai parlato prima di loro e li ha proclamati “gruppo dell’anno”.

Con tutte queste credenziali a loro credito era difficile fallire (o facile!), ma non è questo il caso. I Gaslight Anthem sono dei “citazionisti”, nel senso che amano citare versi, piccole frasi, sensazioni e musiche dei musicisti che ammirano. Di questo album non ho avuto ancora occasione di leggere i testi per cui vado a naso, ma la citazione del “Wait a Minute, Wait A Minute” ripetuto e reiterato da Please, Mr. Postman dei Beatles è troppo clamorosa per non notarla. Nel precedente album venivano citati versi di Bruce Springsteen (ripetutamente), Bob Dylan, Tom Waits, Tom Petty, Counting Crows, Otis Redding, Bob Seger, Sam Cooke, Gary U.S Bonds, Warren Zevon, una vera enciclopedia del rock che conta e un omaggio convinto alle radici del R&R.

L’album si apre con American Slang, il singolo, un vero “inno”, con oh-oh come piovesse, ritmi incalzanti, un riff di chitarra fantastico, un ritornello irresistibile, la perfetta pop song, come quelle che Springsteen sfornava all’impronta nei primi anni di carriera con aggiunta l’urgenza del punk melodico più intelligente e coinvolgente, non si poteva iniziare meglio. Stay Lucky raddoppia ritmi e velocità, sembrano quasi gli Stiff Little Fingers, ma senza perdere quel gusto per la melodia che è una loro prerogativa. Bring It On è quella che cita i Beatles nel finale, ma parte come una outtake di Springsteen degli anni ’70, con citazioni di Romeos vari e le chitarre che sfiorano le sonorità dei primi Big Country, l’arrangiamento vocale è fantastico nella sua semplicità, gli oh oh non mancano qui come ovunque nell’album. Dal vivo deve essere una vera goduria.

The Diamond Street Choir esce a viva forza dai solchi di Greetings… o The Wild… e si immerge in quelli dei primi Mink De Ville passando per gli U2 di Boy e citando i Counting Crows di August. Queen Of Lower Chelsea viaggia su ritmi reggae tipo i primi Costello o Parker o gli stessi Clash degli esordi, poi deflagra  in un finale travolgente. Orphans torna ai ritmi supersonici degli esordi, le analogie con altri “nuovi eroi” del R&R come Hold Steady e Jesse Malin sono evidenti ma molto gradite, una volta si chiamava Blue-Collar Rock, lo facevano anche gli Iron City Houserockers di Joe Grushecky o i Del-lords e prima i Dictators. Anche la devastante Boxer è un perfetto esempio della dirompente energia che emanerebbe dai solchi del disco se esistesse, ma esisterà perché il disco, per gli amanti, esce anche in vinile.

All’inizio e all’interno di Old haunts mi è sembrato di cogliere anche delle citazioni di Cherry Bomb di Mellencamp, ma bisogna stare molto in campana e sono solo dei brevi flash, delle impressioni che non deviano troppo dallo stile dei Gaslight Anthem.

Con la conclusiva We Did It When We Were Young affrontano anche, superandoli, i perigli della canzone lenta anche se qui devono ancora perfezionarsi, ma il crescendo conclusivo lascia ben sperare e questa versione acustica lascia intravede ulteriori sviluppi. Take a look.

Qui Brian Fallon parla del disco e di altro, se masticate l’inglese è la parte uno di quattro watch?v=sPK65AzzxIA

Ho visto il futuro del Rock and Roll e il suo nome era Gaslight Anthem? Adesso non esageriamo, accontentiamoci del presente.

Bruno Conti

The Jersey Shore Devils. Gaslight Anthem – American Slangultima modifica: 2010-05-21T19:18:00+02:00da bruno_conti
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