Fedele Nei Secoli. Sarah McLachlan – Laws Of Illusion

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Sarah McLachlan – Laws Of Illusion – Arista

Ovviamente il titolo non prelude ad un bel post sulla Beneamata, L’ Arma dei Carabinieri, ma si parla del settimo (escluso un profluvio di raccolte, live, compilation di remix, dischi natalizi, no quello conta nella discografia!), ebbene sì, è solo il settimo album di studio di Sarah McLachlan.

Premessa: a me la nostra amica canadese piace e parecchio, al suo apparire nel 1988 con l’album Touch crede di essere stato uno dei primi ad acquistare ed apprezzare quella che sembrava (ed era) una delle voci nuove più interessanti in quegli anni di orribile musica sintetica. Poi si era confermata con gli ottimi Solace e Fumbling Towards Ecstasy fino ad arrivare al mega successo di Surfacing che nel 1997 ha venduto più di 8 milioni di copie nei soli Stati Uniti e la musica, vi assicuro, era sempre ottima. Lo stesso anno ha visto la nascita anche del Lilith Fair il primo Festival itinerante con un cast tutto al femminile ripetuto anche nel 1998 e 1999 sempre con grande successo. Quest’anno, pochi giorni fa, il 26 giugno è partita la nuova edizione del Festival che ritorna dopo dieci anni di pausa e in concomitanza con il nuovo album.

Già il nuovo album, avrete notato che sto ciurlando nel manico per rinviare il commento: la prima volta l’ho sentito con gli auricolari (il tempo per ascoltare i dischi è quello che è, quindi approfitto per ascoltare anche quando sono in giro) e non mi è piaciuto molto, sarà che l’equalizzazione che viene utilizzata per i dischi moderni li rende un po’ tutti uguali, sarà l’ascolto distratto ma avevo trovato l’utilizzo delle moderne tecnologie alquanto “fastidioso”. Ad un secondo ascolto sull’impianto di casa devo dire che l’impatto con la musica del disco mi è parso decisamente migliore anche se non entusiasmante: il titolo relativo alla fedeltà nei secoli (a cavallo dei quali sono usciti i suoi dischi) si riferisce a una certa omogeneità nei suoni e nei contenuti, per dirla “papale papale” mi sembra uguale a quelli precedenti.

Non si può dire che sia brutto, tutt’altro, ma anche dopo una ulteriore serie di ascolti non mi convince a fondo. Oltre a tutto le premesse per un disco più sofferto c’erano tutte: i critici musicali, che sono delle carogne, dicono che gli album che fanno seguito ad una separazione, di solito, sono più interessanti perché mettono a nudo situazioni e sentimenti che sembrano in grado di creare una musica “migliore”. Questo è il disco del post separazione di Sarah McLachlan che dopo aver messo al mondo nel 2007 una seconda figlia avuta dal marito, il batterista Ashwin Sood , l’anno successivo si è separata dallo stesso (creando anche un vuoto nella band, recensore carogna!).

La voce è il solito piacevole mezzo-contralto, lo stile è sempre quella fusione di new-age e cantautrice classica discepola delle grandi degli anni ’70 e anticipatrice delle varie Tori Amos, Fiona Apple, Regina Spektor, anche l’Alanis Morissette meno rockeggiante e una pletora di altre che sarebbero venute dopo di lei: ripeto il disco non è brutto (e poi magari lo rivaluterò e i fans e le fans sicuramente apprezzeranno) ma le tecnologie e la produzione di Pierre Marchand amplificano quel sound molto “carico” che sembra essere molto di moda ai tempi d’oggi.

Rolling Stone l’ha massacrata (ma vista la non massima autorevolezza della rivista ultimamente, non farebbe testo), dandole due stellette e dichiarando che è un disco di “gemiti e sospiri” e il singolo Loving You Is Easy non c’entra molto con il resto dell’album, ma secondo me non è malaccio, una piacevole pop song quasi Beatlesiana, uno dei momenti più piacevoli di un disco per il resto troppo “serioso”.

Da Letterman fa un figurone.

Anche il Los Angeles Times non la tratta troppo meglio, due stellette e mezzo, dicendo che l’album sarebbe potuto uscire in qualsiasi momento degli anni ’90 e che le tonalità di chitarre e tastiere troppo spesso sono fastidiose e omologate al suono attualmente vigente, e qui glielo appoggio, e aggiunge che il brano migliore è la versione solo voce e piano, con una spruzzata di archi,  di Bring On The Wonder, che conclude il disco e approvo di nuovo.

Viceversa Jon Pareles del New York Times (che è un ottimo critico) lo recensisce molto positivamente, 4 stellette, citando questa “compassione e consolazione” che sono sempre state caratteristiche delle musica della McLachlan e che questa volta si applicano alla sua situazione e devo dire che visto sotto questo punto di vista il disco ha i suoi meriti (ascoltandolo ricomincia a piacermi). In effetti gli attacchi e i finali dei brani, con brano e voce in evidenza piacciono sempre, non sempre la parte centrale, quella più arrangiata è all’altezza del resto, sarà anche l’assenza del “vecchio”  batterista sostituito dal più “sintetico” Matt Chamberlain e, spesso, da una batteria elettronica? Mah!

In conclusione? Non so, credo che Ponzio Pilato sarebbe stato fiero di me per questo utilizzo di altre “fonti” per non schierarmi troppo, in definitiva lascio sospeso il giudizio, più buono che no, interlocutorio, fate vobis, comunque meglio del 90% della spazzatura che impazza nelle classifiche.

Come detto in altro post, N.3 nelle classifiche Usa, ma anche 2° posto in Canada, 9° in Nuova Zelanda, 12° in Australia, solo in Gran Bretagna non bene, esordio al 76° posto.

P.S. Esiste anche una Deluxe Version con DVD con 6 pezzi dal vivo in studio, il tutto rigorosamente non distribuito in Italia.

Bruno Conti

Fedele Nei Secoli. Sarah McLachlan – Laws Of Illusionultima modifica: 2010-06-30T19:41:00+02:00da bruno_conti
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