Giovani Talenti Crescono 1 – Dylan LeBlanc – Paupers Field

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Dylan LeBlanc – Paupers Field – Rough Trade

Ammetto che sono stato incuriosito dal nome (e dal cognome). O la mamma era un fan della serie televisiva 90210 Beverly Hills (che iniziava proprio nel 1990, anno di nascita di LeBlanc e aveva tra i suoi personaggi un Dylan) oppure il padre amava Bob Dylan. Propenderei per la seconda ipotesi visto che anche nel caso di questo giovan(issimo) musicista trattasi di Figlio di… Anche lui è un figlio dei Muscle Shoals, come Patterson Hood leader dei Drive-by-Truckers è figlio del grande bassista David Hood, Dylan LeBlanc è il figlio di James LeBlanc, cantante e chitarrista, autore di parecchi successi country per altri artisti, nativo di Shreveport, Louisiana.

Con un nome e un cognome così impegnativi il nostro amico ha avuto anche una recensione molto positiva, da 4 stellette, nella rubrica dei debutti della rivista Uncut ed è questo il motivo che mi ha incuriosito. Talento vero o ennesima sòla? Visto che dall’età di 7 anni nei Fame Studios di Rick Hall lo crescevano a pane, chitarra e musica, i risultati poi si sono visti!

Può un ragazzo di 20 anni appena compiuti registrare un album che tratta degli argomenti della vita con la abilità e la competenza che vengono dall’esperienza? Evidentemente sì, visto che l’ha fatto.

Mi sembra che il riferimento maggiore possa essere il Ryan Adams dell’album di debutto Heartbreaker (che però aveva avuto una lunga militanza nei Whiskeytown), perchè, ebbene sì, di country, country rock, perfino country got soul stiamo parlando, e della più bell’acqua.

L’attacco di Low con la pedal steel di Wayne Bridge (un Burrito Brother di seconda generazione) subito in grande evidenza ti catapulta nei primi anni ’70, quelli di Gram Parsons e del country-rock degli albori, ma la vena malinconica del brano potrebbe far pensare anche al Neil Young più intimista o al Townes Van Zandt meno acustico degli inizi, mica riferimenti da poco ma la qualità e la stoffa ci sono, la voce sembra essere quella di “uno vissuto”, le sue biografie già narrano di sesso, droga e Rock’n’roll ma ci vuole poco a costruirle per un buon Ufficio Stampa.

La musica è comunque buona, If Time Was For Wasting, con la solita pedal steel che “piange” le sue note, affiancata da banjo e mandolino e una sezione ritmica più pimpante sembra più movimentata.Lui è pure belloccio, potrebbe avere le ragazzine ai suoi piedi, take a look!

Ma è nei momenti più intimi, quasi narcotici, nelle ballate che trattano i dispiaceri dell’amore che il nostro amico eccelle. Quasi a mettere un suggello di qualità, nel terzo brano If The Creek Don’t Rise (sul titolo ci torniamo fra un attimo) le armonie vocali sono di Emmylou Harris e nobilitano ulteriormente un brano che è già intenso di suo, con il testo che recita “qualcuno mi ricordi di non ricordarmi di te”, tutto molto, molto buono. Il titolo dicevamo: è lo stesso di un brano e dell’intero ultimo, ottimo, album di Ray LaMontagne ma non c’entrano nulla sono due cose completamente diverse. Quindi non essendo americano e già faticando a comprendere l’inglese ho scoperto che si tratta di un modo di dire – God willin’ and if the Creek don’t rise – con Creek maiuscolo perchè si riferisce ad una Tribù indiana, vorrebbe dire “A dio piacendo e se i Creek non ci si metteranno di mezzo”, ovvero se nessuno cerca di ostacolare le tue azioni con l’aiuto della provvidenza, in parole povere.

Torniamo alla musica, finito l’intermezzo culturale. Tuesday Night Rain, sempre titoli allegri e pedal steel in evidenza (è lo strumento principe di questo disco) sembra quasi un outtake da Desperado degli Eagles con la voce di Dylan LeBlanc che si avvicina molto a quella di Don Henley come pure le atmosfere sonore del brano, tra picchi e vallate di suono che rimane sempre brillante nella sua gentilezza.

Emma Hartley, quasi sussurrata e con un violoncello e degli archi che si aggiungono alla pedal steel d’ordinanza ci rimanda al genere “cantautore soffererente” molto frequentato dalle ultime generazioni dei musicisti ex-Alternative rock, non memorabile. Ain’t Too Good at losing è un’altra variazione del genere ma più riuscita e meglio arrangiata, sofferta senza cadere nel melodrammatico, sul come soffrire d’amore, ma con classe per carità.

Changing Of The Seasons, cantata in un leggero falsetto è quasi allegra in confronto al resto dell’album, un country-rock vagamente alla Everybody’s Talkin’ dell’Uomo Da Marciapede.

Ricorderei ancora 5Th Avenue Bar, una bella prova da cantautore acustico puro senza influenze country con un leggero arrangiamento di archi e un cantato molto naturale, con la sua bella voce in evidenza, malinconica il giusto. Non male anche il valzerone On With The Night e la lunga Coyote Creek che mi ha ricordato certi episodi elettroacustici, anche nella voce, di Stephen Stills (se citiamo sempre solo Neil Young poi magari si offende). Last but not least (ormai è un classico) l’eccellente Death Of outlaw Billy John, una storia di amore e crimini ai margini del vecchio West con un arrangiamento minimale a base di banjo e chitarra acustica arricchito da piccoli tocchi sonori e da una interpretazione misurata. Visto che le abbiamo citate tutte, No Kind Of Forgiveness, sta giusto a cavallo tra il Ryan Adams più riflessivo e il più volte citato Neil Young, la pedal steel non manca neppure questa volta a fianco di un pianoforte delicato e il falsetto di Dylan LeBlanc ci sta proprio a fagiolo!

Si farà (non nel senso che pensano i più maliziosi), per il momento, effettivamente, uno dei migliori esordi dell’anno. Nei prossimi giorni vi parlerò di Caitlin Rose, un’altra giovanissima (ecco il motivo dell’1 nel titolo del post) di sicuro valore che, come dire, non ama l’electro-dance: ce ne sono a bizzeffe, basterebbe avere il tempo e lo spazio per parlare di tutti. Io, nel mio piccolo, ci provo.

Bruno Conti

Giovani Talenti Crescono 1 – Dylan LeBlanc – Paupers Fieldultima modifica: 2010-08-24T19:24:00+02:00da bruno_conti
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