Ulteriori Dispacci Dalle BasseTerre. Lowlands – Gypsy Child

gypsy_child_pubblicity_unito_xtra_small_kksb.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Lowlands – Gypsy Child – Gypsy Child Records/Ird

Quando si dice la precisione! L’ultima volta che avevo parlato dei Lowlands in questo Blog ci eravamo lasciati dicendo che il nuovo album, questo Gyspy Child, sarebbe uscito all’inizio dell’autunno e zac, precisi come dei lombardi, il 23 settembre sarà in tutti i negozi (si spera!).

Per cominciare, una precisazione: visto che sia lui che famiglia ed amici tutti si sono preoccupati, ma esisterà ancora, si chiedevano? In effetti nella recensione apparsa in anteprima sul Buscadero (impossibile ma vero), nella lista dei partecipanti al disco vengono citati tutti, ospiti stranieri, componenti della band, inservienti e quant’altro ma, per un refuso o dimenticanza, non appare il nome di Roberto Diana, impegnato come al solito con una miriade di chitarre e co-produttore del disco, che dunque c’è e la sua presenza si sente!

Quindi viene citato prima di Edward Abbiati per riparare al piccolo torto: il co-produttore e cantante e autore anglopavese con i suoi soci affronta, come dicono le riviste inglesi che parlano bene,  “That Difficult Second Album”. Anche se devo dire che  i nostri amici hanno un po’ barato, mescolando le carte e pubblicando una nutrita serie di EP, CD e DVD a tiratura limitata hanno aggirato l’ostacolo e arrivano a questo nuovo album belli freschi e piene di idee.

La prima impressione, al primo ascolto, fatto camminando per strada e sentendolo su un lettore Cd portatile è stata la seguente: “Già finito?”. La seconda pure e via così all’infinito. No, scherzi a parte, i successivi ascolti, più attenti, rivelano ulteriori particolari e dettagli e la bellezza dei brani contenuti, ma la prima impressione, più che positiva è che si tratta di un album che non stanca anzi ne vorresti di più, non ti basta quello che trovi. E cosa trovi nel disco?

Sono undici brani, dicansi undici, senza tracce nascoste, special o Deluxe Editions (un sollievo), solo della sana musica rock, genuina e piena di passione fatta da un manipolo di prodi appassionati che sciorinano le loro influenze vere o presunte con orgoglio e determinazione aiutati da alcuni amici giunti da tutte le contrade del mondo.

Le influenze si diceva: c’è un po’ tutto lo scibile della musica rock che conta (da Brooce a Mike Scott, Dylan, i Green On Red, Steve Wynn per citarne alcuni) e poi come si usa dire loro le “influenze le indossano” anzi di più, le invitano e così abbiamo Chris Cacavas a “rappresentare” i Green On Red e Steve Wynn, Mike Brenner i Marah e i Magnolia Electric Co., Joey Huffman i Soul Asylum, Tim Rogers gli You Am I e Amanda Shires se stessa e Rod Picott. Ovviamente alcuni di questi musicisti non sono delle influenze ma degli amici che condividono le stesse passioni musicali. Poi parlando dei vari brani magari approfondiamo.

Si parte con Gypsy Child che mescola Inghilterra e Stati Uniti con la voce di Edward Abbiati subito protagonista con quel suo timbro sabbioso e ruvido ma capace di grande dolcezza e partecipazione, gli altri si danno un gran daffare, con il violino di Chiara Giacobbe subito protagonista ma anche le chitarre, tante come al solito, acustiche ed elettriche, un pianino insinuante, la batteria che lavora di fino. E poi è un brano che più lo ascolti e più si insinua. Infatti se entrate nel loro sito home.html è lì in agguato che vi attende e a furia di ripetizioni non può non piacervi.

Ma le cose si fanno serie con la successiva Only Rain (il tempo di Pavia?): questo è un brano rock di grande potenza e coinvolgimento, con i fiocchi, i controfiocchi e il pappafico, lungo quei sei minuti che ci vogliono per goderselo appieno, se quello Springsteen evocato prima lo avesse sentito penso che una partecipazione “a gratis” avrebbe potuto pure farla ma anche quell’organo Dylaniano sempre di Huffman dà quel tocco di classe al tutto, poi c’è la chitarra di Roberto Diana che con le sue svisate (si dice così in italiano) ti esalta fino all’assolo liberatorio nel finale. Le continue accelerazioni e il tempo incalzante ti tengono inchiodato alla poltrona ma dal vivo devono essere da pugnetto alzato. Tra l’altro questo brano come il precedente si segnalano per la grande varietà degli arrangiamenti e per il “calore” del sound merito del mixaggio di Cacavas che evidenzia i vari strumenti e la voce di Edward come nei vecchi vinili d’epoca.

In Street Queen torna protagonista il violino di Chiara Giacobbe e la voce di Abbiati si sdoppia tra le tonalità di Mike Scott e quelle di uno Steve Wynn addolcito dalla maturità, solito grande lavoro di Diana alle chitarre e altro brano nettamente sopra la media.

L’aria paesana e folky di Between Shades And Light si divide equamente tra Pogues e Waterboys, con quella fisarmonica avvolgente e il ritmo saltellante della batteria e il violino zingaresco della Giacobbe che aggiunge un tocco mitteleuropeo al brano.

I nomi che generosamente vi elargisco sono solo dei segnali delle sensazioni che i vari brani evocano ma la musica è poi tutta farina del sacco dei Lowlands.

Il piano e l’armonica di Life’s Beautiful Lies ci introducono di nuovo alle grandi pianure del suono americano che vengono poi sorvolate con grande lirismo dalla chitarra di Roberto Diana (grande musicista) e dal violino con un crescendo strumentale che ti lascia quasi senza fiato per la sua bellezza. Veramente grande musica.

Cheap Little Paintings mi ha ricordato (vagamente) atmosfere vicine a De André o agli chansonniers francesi con quella sua andatura maestosa sottolineata da piano e armonica e nobilitata da mandolino (o è un bouzouki?) e slide oltre che da un contrabbasso profondo, affascinante e inconsueta, anche se in un’intervista ho letto che Edward Abbiati ha detto di avere imparato inglese e francese prima dell’italiano, quindi potrebbe…

Without A Sigh ci riporta a quelle atmosfere polverose del rock americano più genuino (chissà se anche il passato australiano di Abbiati c’entra qualcosa? Anche lì in fatto di grandi spazi non scherzano!), con il violino, la chitarra e le tastiere a sostenere con vigore la voce evocativa del leader che ci guida attraverso un altro brano di grande spessore sonoro (il solo di chitarra è breve ma ti dà quel giusto brividino lungo la schiena!).

He Left è un breve monologo acustico, solo la voce di Abbiati e una chitarra acustica, per le serate invernali o per i concerti unplugged, per ampliare il repertorio o per un (lontano) futuro da cantautore.

Altro grande brano, There’s A World, Con una lap steel in grande evidenza (o è una pedal steel? strumento giustamente e nuovamente sdoganato, nei dischi recenti di Dylan Leblanc e Caitlin Rose come vi dicevo recentemente ma anche nel nuovo Lloyd Cole come vi riferirò prossimamente, fine della digressione): ma non è solo la chitarra, anche le tastiere di Huffman nuovamente in grande spolvero e la voce appassionata che evidenzia le belle armonie e un ritornello ricorrente, potremmo dire per parafrasare il sound del disco “Arrangiamento ricco mi ci ficco”.

Gotta Be ospita il lavoro di armonica di un altro ospite “fisso” del gruppo, l’ottimo James Hunter, bluesata e tirata, con un minaccioso wah-wah in sottofondo ( o è una slide distorta?) potrebbe essere l’ideale conclusione di un concerto se il disco fosse da vivo visto l’energia che trasmette.

Invece la conclusione è affidata alla dolce e malinconica Blow, Blue Wind Blow una ballata acustica a pastello, con la seconda voce e il Violino (è lei o non è lei?) di Amanda Shires in prestito dal compagno di avventure musicali Rod Picott.

Come vi dicevo peccato finisca così presto (ma dura i suoi bei 42 minuti!), non vi rimane che rischiacciare il tasto play e ripartire per l’avventura. Come ho già detto in relazione all’ultimo Tom Petty (quindi ottima compagnia) con una efficace allocuzione lombarda “Insci Aveghen!) – Averne Così per gli abitanti sotto la linea gotica.

Bruno Conti

Ulteriori Dispacci Dalle BasseTerre. Lowlands – Gypsy Childultima modifica: 2010-09-12T11:26:00+02:00da bruno_conti
Reposta per primo quest’articolo