Perfect Pop? Rumer – Seasons Of My Soul

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Rumer – Seasons Of My Soul – Atlantic

Al sottoscritto questo disco piace moltissimo, non so se gli darei le 5 stellette assegnate dalla rivista Mojo ma alle 4 di Uncut potrei arrivarci. Ma mi rendo conto che si tratta di un disco di musica pop, perfetta o quasi, ma sempre di pop parliamo, sia pure di qualità sublime ma, come possiamo dire, di facile ascolto. Che per alcuni è come parlare di qualcuno di facili costumi, quando ho perorato la causa di questo disco mi sono sentito rispondere: ma ascolti anche questa musica? Certo, la buona musica mi piace tutta, posso entusiasmarmi per il nuovo Box di Springsteen, come per Richard Thompson, per Jimi Hendrix ma anche per Robbie Basho se parliamo di chitarristi o per i Bellowhead se parliamo di British Folk. Ho sparato un po’ di nomi a caso per capirci, l’ultimo è un disco su cui sto girando attorno da qualche tempo, così magari mi decido a parlarne.

Comunque tornando a bomba e al disco di Rumer era da alcuni giorni in heavy rotation sul mio lettore, anche perché oltre alla buona musica che si ascolta c’è una storia intrigante da raccontare. Oltre a tutto oggi sono andato a dare un’occhiata per curiosità e ho visto che il CD ha esordito direttamente al terzo posto delle classifiche inglesi, superata solo dalla tipa di X-Factor Cheryl Cole e dalla raccolta di Bon Jovi.

Non male per una che fino a pochi mesi fa faceva tutti i mestieri per mantenere il suo sogno di fare della musica senza passare dalle forche caudine dei reality; perché in effetti amici e parenti le avevano consigliato di iscriversi a X-Factor, “con la voce che ti ritrovi, avresti vinto di sicuro”, ma lei ha sempre preferito percorrere la strada della musica dal vivo, magari in piccoli locali, in attesa che qualche casa discografica si accorgesse della sua musica e, come in tutte le favole che si rispettino, ha trovato un pigmalione, nella persona di Steve Brown, un musicista e produttore inglese che l’ha vista casualmente mentre cantava dal vivo in uno di questi piccoli clubs e l’ha coccolata (musicalmente parlando) per permetterle di registrare questo disco.

Ma prima ha fatto di tutto, ha lavorato come cameriera in albergo, lavato piatti, fatto l’insegnante, l’impiegata, riparato Ipod nel negozio Apple di Londra, la parrucchiera, venduto popcorn negli atrii dei cinema, qualsiasi cosa per tenere vivo il suo sogno di diventare una cantante professionista. Agli inizi degli anni 2000 è stata la cantante di un gruppo indie-folk La Honda. Anche la vita privata è stata notevole.

Nata Sarah Joyce 31 anni fa in Pakistan da due genitori inglesi che erano in Asia per lavoro (l’ultima di sette figli), a undici anni ha scoperto che era la figlia di una relazione illegittima che la madre aveva avuto con il loro cuoco pakistano (molto più vecchio di lei), ma il vero padre (non quello biologico) non per questo si è allontanato da lei anche se i genitori, per questo motivo, si sono divisi e lei è rimasta a vivere con la mamma fino a quando la stessa non ha scoperto di avere un tumore e Sarah ha passato gli ultimi anni della vita di suo madre ad accudirla, fino alla morte avvenuta nel 2003. Tutte esperienze che evidentemente hanno arricchito il suo background culturale ed emotivo e, secondo me, nelle canzoni questo traspare.

Parliamo della voce che è un fattore decisivo nel “fascino” della sua musica, una voce calda, dalle tonalità perfette, con una emissione sonora calibratissima che è stata paragonata a quella di Karen Carpenter, una delle voci più belle della storia della musica pop, ma anche echi di Laura Nyro, Dusty Springfield, Carole King, Carly Simon tutti nomi che erano già ricorsi all’apparire di Diane Birch, ma mi sembra che Rumer abbia anche quel quid inespresso che divide il talento vocale puro dalla semplice bravura, una sorta di preternaturale capacità di cantare nella tonalità perfetta per istinto. Se ne è accorto anche Burt Bacharach che alla pubblicazione del suo primo singolo, la deliziosa Slow ha voluto conoscerla personalmente e l’ha invitata nella sua casa di Malibu per sentirla cantare di persona. E poi dite che le favole non si avverano!

Il disco, provato e poi inciso nell’arco di tre anni, negli studi di Steve Brown ha un suono volutamente semplice ma complesso e intricato allo stesso tempo, in puro stile Bacharach, con piano e organo, chitarre acustiche e armonica che si intrecciano con archi, fiati, tromba e flicorno, un tocco di glockenspiel qui, un vibrafono là, qualche percussione, delle voci armonizzanti di supporto, la voce spesso in multitracking, con l’uso dell’eco, tutte le diavolerie di studio e gli arrangiamenti più ricercati che vi possano venire in mente. Pensate alla musica di Sade ma con una voce nettamente superiore o alle grandi cantautrici degli anni ’70, alcune già citate ma anche Joni Mitchell si può scomodare per la bellissima Thankful, dove la voce di Rumer quasi galleggia sospesa su una base di piano acustico e contrabbasso di una bellezza disarmante. Quindi non è solo musica pop c’è anche sostanza, anche il testo che in ogni verso racconta di una diversa stagione è molto poetico. Anche Healer rimane in questi rarefatti territori sonori, con la voce raddoppiata, il piano e un violino che ricreano una magia unica.

I ritmi sono quasi sempre tranquilli, riflessivi ma anche accattivanti come nella bellissima Aretha, che racconta di una ragazza dal cuore spezzato che trova conforto nella sua musica, ascoltata in cuffia e soprattutto in quella di Aretha vero nume tutelare che veglia su di lei, “Non trovo nessuno con cui confidarmi, Aretha, nessuno , solo tu”. Il tutto accompagnato da una musica che Burt Bacharach potrebbe avere scritto per Dionne Warwick o Dusty Springfield, calda ed avvolgente, con qualche eco della Laura Nyro più espansiva dell’era Labelle e il Van Morrison swingante del periodo americano. Ci sono mille influenze ma nessuna è definita, potete pensare questo assomiglia a…già a cosa? A mille e nessuno, tutti quelli citati sono sicuramente presenti ma confluiscono in un calderone sonoro che è sicuramente derivativo ma attraente e di gran classe.

L’iniziale Am I Forgiven? potrebbe essere il lato B perduto di un vecchio singolo scritto da Bacharach e poi dimenticato in un angolo, magari Close To You per ricordare ancora i Carpenters? Sicuramente sì, poi quella trombettina ricorrente e le armonie vocali sono irresistibili. C’è anche una cover di Goodbye Girl dei Bread, qualcuno li ricorda?

Posso solo ribadire che a me piace moltissimo, a voi la scelta se investigare ulteriormente io mi limito a segnalarvela, si chiama Rumer (ed è bravissima anche dal vivo come potete constatare dai video inseriti nell’articolo).

Bruno Conti

Perfect Pop? Rumer – Seasons Of My Soulultima modifica: 2010-11-13T19:24:00+01:00da bruno_conti
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3 pensieri su “Perfect Pop? Rumer – Seasons Of My Soul

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