Dopo Danny Torna Anche Dusty. E Alla Grande! Steve Wynn & The Miracle Three – Northern Aggression

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Steve Wynn & The Miracle 3 – Northern Aggression – Blue Rose/Ird EU – Yep Rock USA

Qualche mese fa vi avevo parlato, in modo più che positivo, del disco degli slummers, ovvero il nuovo gruppo di Dan Stuart, il suo amico (e pard nel gruppo Danny & Dusty) Steve Wynn ritorna a sua volta con questo Northern Aggression.

Diciamo che è un “ritorno” metaforico, più che altro torna a fare un ottimo disco dopo qualche anno di appannamento. Anche se tutto è relativo e a livello personale, questo nuovo CD che esce fra poco (anzi, ai suoi concerti italiani di Cavriago e Trieste all’inizio di novembre mi hanno detto che lo vendevano già) mi sembra il suo migliore dai tempi dei Dream Syndicate. Comunque la data di pubblicazione ufficiale per l’Italia dovrebbe essere la settimana prossima.

Abrasivo, corrosivo, chitarristico, psichedelico, melodico quando occore, in una parola Steve Wynn.

Si capisce sin dall’iniziale Resolution che Steve ha ritrovato appieno la sua musa ispiratrice (che non lo aveva mai abbandonato del tutto ma questa volta è presente in modo consistente, in tutti i brani): su una base ritmica che gli inglesi potrebbero chiamare motorik e che al sottoscritto ha ricordato gli Hawkwind di Space Machine, i Miracle 3 e Wynn provvedono a creare un sound chitarristico, abrasivo, psichedelico, figlio di quel “paisley underground” che aveva reso grandi i Dream Syndicate. Dura e tirata la canzone si avvale di un eccellente tiro chitarristico e di tastiere avvolgenti e minacciose che evidenziano questa “aggressione nordista”. La voce filtrata e la grinta di Steve Wynn fanno il resto. We don’t talk about it prosegue a grande livelli, la voce è “snarly” (non mi viene un termine in italiano), avete presente quando Tom Petty arringa gli ascoltatori con cattiveria? E la musica è anche meglio: due chitarre tintinnanti e maligne, una sezione ritmica e urgente nella migliore tradizione dei grandi brani rock provvedono a creare una sarabanda rock sempre ai migliori livelli del canone Wynniano (ammesso che esista).

La moglie Linda Pitmon alla batteria, Jason Victor alle chitarre (che cerca di non far rimpiangere i suoi predecessori Karl Precoda e Paul B. Cutler e ci riesce) e Dave DeCastro al basso continuano a creare un notevole muro di suono anche nell’aggressiva No One Ever Drowns sempre psichedelica e potente nel suo svolgimento.

La sacra trinità di Wynn è sempre stata Neil Young, Bob Dylan e Lou Reed, non necessariamente nell’ordine (lo ricordo da un breve incontro ad inizio anni ’90 quando abbiamo chiacchierato qualche minuto, mi ha autografato con dedica i CD dei Dream Syndicate e gli ho regalato delle “cassette bootleg” del suddetto trio): Consider The Source evidenzia il suo amore per il grande Bob, un mid-tempo con organo e piano elettrico in evidenza su cui si innestano un paio di innesti acidissimi di chitarra alla Neil Young, veramente una bella canzone. Colored Lights è un altro ottimo brano, illuminato da continui interventi chitarristici e con una atmosfera che questa volta si rivolge all’opera di Lou Reed, ma il risultato è inequivocabilmente Steve Wynn con un violento finale acido e psichedelico dove ritornano i fantasmi del “sindacato del sogno”.

Dopo 5 canzoni di valore elevato arriva The Death Of Donny B, un brano che qualcuno potrebbe definire “attendista” (anche se non ho mai capito cosa si vuole intendere, attendi cosa? O è il brano che attende? Mah): nel senso che non succede molto, un brano quieto ed atmosferico, raffinato ma in definitiva poco soddisfacente, non brutto ma irrisolto, per il sottoscritto almeno ad altri piacerà sicuramente, verificate…

Le atmosfere si risollevano con il delizioso jingle-jangle dell’eccellente The Other Side, un brano che avrebbe potuto fare il miglior Tom Petty (e prima Roger McGuinn) ma anche i Buffalo Springfield del duo Stills-Young e aggiungerei lo Steve Wynn più ispirato, come in questo caso. Ok niente di nuovo ma come lo fanno bene, non è facile inventare qualcosa di nuovo (e ormai non ci riesce più nessuno) ma qui non siamo solo di fronte al compitino ben eseguito ma è musica di ottima qualità e tensione sonora.

Cloud Splitter cantata a due voci (non so chi è l’altro, ho solo il promo con i titoli dei brani e nessuna informazione): le armonie vocali presumo siano di Linda Pitmon. Le due chitarre si intrecciano dai canali dello stereo con grande varietà di tessiture sonore.

Una bella ballata lenta ci mancava e quindi ecco a voi l’ottima St.Millwood con la voce di Wynn che mi ricorda ancora quella di Petty (quando canta nelle sue tonalità più basse) e la musica che si avvolge attorno ad una evocativa pedal steel che ricorda tracciati country ma di quelli alternativi. Viceversa On The Mend è un altro notevole tour de force chitarristico con una lunga parte iniziale strumentale dove una slide minacciosa e la chitarra di Steve si alternano con un organo vintage per ricreare quel suono aggressivo e vibrante che tanto ci piace, poi entra la voce che porta a casa il risultato centrando una bella meta (siamo in America, in fondo!).

Prima di parlare dell’ultimo brano vorrei ricordare ancora l’ottimo lavoro delle tastiere che presumo siano affidate sempre a Steve Wynn considerato che non mi sembra di aver visto ospiti aggiunti sia pure nella penuria di informazioni, verificate da voi comunque…

L’ultimo brano Ribbons and Chains secondo alcuni è il potenziale singolo dell’album, sicuramente è uno di quelli che si ricordano con maggiore facilità, vogliamo dire più “orecchiabile”, più pop? Diciamolo, non è mica una bestemmia, anzi…la ricerca della perfetta canzone pop è una delle imprese più difficili per un musicista e qui Steve Wynn con l’aiuto di Linda Pitmon & Co mi sembra che ci riesca alla grande in una giusta miscela di grinta rock chitarristica e armonie vocali solari. Degna conclusione per uno dei lavori migliori e più consistenti del nostro amico, ormai anche lui splendido 50enne (è del febbraio 1960).

Bruno Conti

Novità Di Novembre Parte IV. Cassandra Wilson, Graham Parker, Rolling Stones,Sandy Denny, Michael Jackson, Black Sabbath Eccetera

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Continuiamo a farci del male. Altre uscite, soprattutto box a go-go. Il 22 novembre finalmente dovrebbe uscire il cofanetto dell’opera omnia di Sandy Denny per la Island in 19 CD ma solo per il mercato inglese, il contenuto lo potete vedere qui sotto:

Gli altri due Box sono quelli in vinile con tutti gli album originali degli Stones, prezzi micidiali:

The Rolling Stones 1964-1969 contiene 11 album + 2 EP, da Rolling Stones del 1964 a Let It Bleed del 1969

The Rolling Stones 1971-2005 contiene 14 album rimasterizzati (di cui 4 doppi) da Sticky Fingers del 1971 a A Bigger Bang del 2005.

Tutti i dischi sono in vinile 180 grammi e all’interno della confezione hanno un codice per scaricare la versione digitale in MP3 dei singoli album.

Sono relativi al periodo ABKCO il primo e al periodo Rolling Stones Records il secondo e, naturalmente, in versione super limitata!

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Uno strano terzetto di cofanetti. Il primo, pubblicato dalla Sony/Bmg, sempre il 23 novembre, si chiama Michael Jackson’s Vision, è un cofanetto di 3 DVD con tutti i video, mini-film e quant’altro della carriera di Michael Jackson, 10 appaiono per la prima volta in DVD e nel terzo dischetto ci sono anche filmati con i Jacksons, Paul McCartney e un video inedito di One More Chance.

Il Cofanetto dei Black Sabbath Cross Box, visto il formato si supponeva che il titolo fosse quello, contiene 12 CD in Japanese miniature sleeves del periodo Ozzy Osbourne. Facendo quattro conti i dischi però sono 8! Niente paura aggiungiamo l’antologia We Sold Our Soul For Rock’n’Roll e 3 CD con documentari audio inediti che, come dicono quelli che parlano bene, tracciano la storia del gruppo e di questi storici album. Libro di 100 pagine The Illustrated Black Sabbath Vinyl Collector’s Guide & Selected Discography 1970-1978 più un set di plettri, entrambi in esclusiva per questo box. Anche qui prezzi folli sui 200 euro.

Il terzo Box devo dire che è una piacevole sorpresa! Si tratta di un cofanetto di 6 CD, Graham Parker Box Of Bootlegs Limited Edition, contiene 6 dischetti che erano usciti per la sua etichetta personale UP YOURS Label e che pochi avevano visto o anche immaginato. Questa edizione è della Evangeline e spero che la IRD la distribuisca anche da noi (chiederò). Il più interessante dei 6 è Live at Newlands with The Rumour 1975, quindi prima del 1° disco. Il tutto dovrebbe costare poco, ma veramente poco, pare non più di 40 euro, ma anche meno (poi sarò più preciso).

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Un trio di voci femminili non manca mai: Cassandra Wilson Silver Pony in effetti è gia uscito da qualche giorno ma visto che è molto bello e mi ero dimenticato di citarlo nelle uscite faccio ammenda, etichetta Blue Note/Emi, prezzo speciale

Quel disco di Tammi Terrell che vedete per la verità l’avevo già inserito in una precedente lista di novità ma solo nei Tags alla fine del post, rimedio subito, considerando che il disco esce comunque martedì 22 novembre, è un doppio e si chiama Come On And See Me: The Solo Collection. Etichetta Hip-O-Select/Universal. E’ interessante perchè contiene tutte le canzoni incise da questa bravissima cantante della Tamla Motown famosa per i suoi duetti con Marvin Gaye (che ovviamente non sono compresi in questo album ma si trovano nell’altrettanto bello The Complete Duets by Marvin Gaye & Tammi Terrell). Lei è morta molto giovane a 24 anni per un tumore al cervello. In questa collezione si trovano tutti i 50 brani da lei incisi, compresi molti inediti, live e pre-Motown. Da scoprire, molto brava.

Kate Rusby, per chi non la conosce, è una delle più belle voci del folk inglese (ma non solo). Questo Make The Light sempre per la sua etichetta Pure Records è il primo dopo la pausa per la maternità. Per la prima volta ha composto tutti i brani, 11, che lo compongono. Occhio che è molto brava. Se volete potete iniziare anche con quello che trovate in giro ( i suoi CD non sono di facile reperibilità).

La settimana prossima esce anche il nuovo di Steve Wynn & The Miracle 3, Northern Aggression, bellissimo, recensione domani.

Bruno Conti

Piacevole Texas Blues. Johnny Moeller – BlooGaLoo

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Johnny Moeller – BlooGaLoo! – Severn Records/Ird

Era da un po’ di tempo che ci giravo intorno, quando le copie da recensire sono diventate due mi è parso inevitabile parlarne!

Johnny Moeller non è sicuramente uno dei primi nomi che balza alla mente quando viene chiesto il nome di un chitarrista texano ma fa parte anche lui di quella lunga lista (è nato a Forth Worth una quarantina di anni fa). Ultimamente il suo nome ricorre perché, dal 2007, è il nuovo chitarrista dei Fabulous Thunderbirds ma in passato scorrendo le note di molti dischi di blues da Darrell Nulisch a Gary Primich passando per Lou Ann Barton vi può essere capitato di imbattervi nel suo nome.

A cavallo tra fine anni ’90 e l’inizio della prima decade del 2000 ha già fatto un paio di dischi per un’etichetta locale di Dallas, non a suo nome, ma erano produzioni super indipendenti quindi dobbiamo considerare questo Bloogaloo il suo esordio da solista.
Non sarà questo il disco che scuoterà il blues dalle sua fondamenta ma si tratta di un dischetto, inteso come CD, molto piacevole e vario. Con la partecipazione di alcuni “amici” e in un giusto equilibrio tra cover e brani originali, tra brani strumentali e pezzi cantati (che non sono il suo forte) il disco scorre via piacevolmente, undici brani, poco più di trentacinque minuti di musica.
Si parte con il divertente strumentale Bloogaloo, un Blues misto a Boogaloo, spumeggiante e ritmato con la chitarra di Moeller che intreccia le sue traiettorie con l’organo di Matt Farrell mentre i fiati aggiungono una nota di colore. Sembrano quelle canzoncine stile anni ’60 che si vedevano nei telefilm americani di quegli anni, tipo la sigla di Batman o quelle cose.

Shawn Pittman è un altro chitarrista e cantante texano, e in questa veste di cantante viene utilizzato nella grintosa e bluesata I’m Movin’ on Up, visto che canta decisamente meglio di Moeller.  Trick Bag è un vecchio brano di Earl King, il primo dei quattro cantati da Moeller; conferma che il nostro amico non verrà ricordato negli annali del blues alla voce “grandi cantanti”, temo di no, mentre la parte strumentale è più che adeguata. Got a feelin’ è il primo dei due brani dove appare Kim Wilson alla voce e all’armonica, visto che i T-Birds nella nuova formazione non hanno ancora inciso nulla ma suonato solo dal vivo è l’occasione per sentire il loro classico sound riproposto ancora una volta con mucho gusto. I’m Stuck on you è un duetto tra Moeller e Lou Ann Barton, la cui voce rivitalizza il brano. Theme from the one armed swordsman è un altro di quei brani strumentali da party che sembrano essere uno dei temi musicali preferiti dal nostro amico, piacevole ma nulla più.

Evidentemente Earl King è un musicista che piace a Johnny Moeller visto che è la seconda cover del suo repertorio che appare in questo CD: Everybody’s Got To Cry Sometime, più bluesata della precedente si avvale di una ottima e sentita interpretazione vocale di Lou Ann Barton (ottima cantante molto sottovalutata) e di un pungente lavoro di chitarra del titolare dell’album che illustra i suoi meriti come solista.
Raise your hands è un piacevole funkettone molto cadenzato con un eccellente lavoro nella parte strumentale ed una meno soddisfacente parte vocale a cura del solito Moeller. A questo punto meglio la tirata Well Goodbye Baby cantata ancora con molta partecipazione da Kim Wilson, solito T-Bird style ma grinta e ritmo a volontà. Shufflin’ Around, lo dice il titolo stesso, è uno shuffle strumentale con chitarra e sax a dividersi con il piano gli interventi solistici, non male con quel classico sound del vecchio blues dei tempi che furono.
Tease me baby è un vecchio boogie che John Lee Hooker faceva anche con i Canned Heat, questa versione solo voce (Moeller) e chitarra devo dire che mi ha fatto rimpiangere non poco il vocione del vecchio “Hook”.

Bruno Conti

Spendi Spandi Effendi 2010. The National & Mumford And Sons

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Questo titolo di post l’avevo già usato la scorso anno ma nel periodo quando il Natale si avvicina torna buono per l’uso, basta aggiungere l’anno e prepararsi a “prenderlo di nuovo”. Cosa? Ma è ovvio, il CD! In questo caso i CD, plurale.

Come astutamente aveva osservato Rino Gaetano (era il titolo di un suo brano del 1977 dall’album Aida, per chi vuole investigare ulteriormente) quando si avvicinano le festività siamo colti da questa sindrome di funzionari del sultano (effendi) e alle case discografiche (editrici, produttori di infromatica potete inserire un nome a piacimento vale per tutti!) non pare vero di potervi vendere qualsiasi cosa anche quello che vi hanno già venduto, ma è una nuova edizione, vuoi mettere!

E quindi…

The National – High Violet – Expanded Edition 2CD 4AD/Self 23-11-2010

Ristampa del disco uscito a maggio di quest’anno con un secondo CD che contiene: una versione alternativa di Terrible Love, due canzoni nuove Wake Up Your Saints e You Were A Kindness, le B-sides Walk Off e Sin Eaters più tre pezzi dal vivo. Il tutto, fortunatamente al prezzo di 1 CD. Se non lo avete già preso, non lasciatevelo sfuggire, è uno dei dischi più interessanti (e più belli) di questo 2010, in caso contrario Spendi spandi effendi!

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Mumford & Sons – Sigh No More – Limited Edition 3 Disc Box Set – 2CD+DVD Island/Universal 07-12-2010

Qui si sconfina addirittura nel “lussuoso”, ma il disco lo merita assolutamente! Uscito da oltre un anno continua, quietamente, a resistere nelle classifiche di vendita di tutto il mondo a conferma che in giro c’è spazio anche per la buona, anzi ottima, musica.

La nuova versione contiene: il CD originale con l’aggiunta di Hold On To What You Believe. Un secondo CD con il concerto registrato allo Sheperds Bush Empire, dodici brani in tutto. Un DVD Gentlemen Of The Road Film Part I, II & III. Il tutto al prezzo di un doppio, quindi c’è “Trippa per gatti” o “Trips For Cats” se preferite. Anche in questo caso (ancora di più!) affrettarsi all’acquisto chi non ce l’ha e rassegnarsi gli altri!

Per fortuna Natale viene solo una volta all’anno.

Bruno Conti

Un Onesto Epigono Hendrixiano. Chris Duarte Group – Infinite Energy

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Chris Duarte Group – Infinite Energy – Blues Bureau/Provogue/Edel

Devo dire che il precedente disco di Chris Duarte, 396 quello con il gruppo giapponese Bluestone mi era piaciuto ma non mi aveva entusiasmato. Meglio mi era sembrato Something Old, Something New, Something Borrowed quell’antologia con inediti pubblicata sempre lo scorso anno dove si potevano ascoltare alcuni brani veramente notevoli. Il suo album migliore, come spesso accade (quasi sempre) rimane il primo, quel Texas Sugar, Strat Magick che già dal titolo era una dichiarazione di intenti e lo indicava come uno dei tanti pretendenti alla successione di Stevie Ray Vaughan. A giudicare da quel disco l’avrebbe anche meritata poi nel prosieguo della carriera non sempre ha confermato le premesse ma i suoi dischi sono sempre rimasti più che soddisfacenti sia per gli amanti del rock-blues che per quelli della chitarra.

Questo Infinite Energy ce lo restituisce nei territori power trio che tanto gli erano cari e nello stesso tempo è un chiaro omaggio alla musica di Jimi Hendrix nel 40° Anniversario della sua scomparsa.
Sin dall’iniziale Ridin’ i riff hendrixiani e il multi-tracking delle chitarre imperano con risultati, derivativi quanto volete, ma più che soddisfacenti. SRV è l’altro suo modello e City Life Blues è un composito dello stile di Jimi e Stevie Ray Vaughan, con la voce strangolata e non fenomenale di Chris Duarte che ricorda vagamente quella del texano, mentre la chitarra viaggia fluida e veloce in una serie di assoli che ricordano l’heavy blues dei due soggetti citati ma dimostrano anche la tecnica sopraffina del nostro amico.

Cross my heart tra jazz, rock e elementi latineggianti è più agile e ricercata e ricorda vagamente qualcosa del primo Peter Green, anche vocalmente. Waiting on you è il brano più “radiofonico” del lotto e non mi sembra brillare per qualità, solito assolo pungente a parte.

Sundown Blues con quel riff di chitarra ascendente è tipicamente hendrixiana, Matt Stallard al basso e Chris Burroughs alla batteria fanno (molto bene) gli Experience della situazione e Duarte è libero di improvvisare una serie di assoli free-form che ricordano il Jimi più sperimentale. Cold Cold Day è uno dei brani strumentali di questo CD e muovendosi su una ritmica jazzata spazia tra il blues futuribile e psichedelico della parte iniziale e il finale più jazzato che ricorda certe sonorità alla John McLaughlin, non male.

Poi, improvvisamente, quando meno te lo aspetti parte un brano come My Heart don’t Want To Let you go, una ballata che sembra un pezzo dei Bad English e sinceramente non si capisce cosa c’entri con il resto del disco. Mah, mistero! Però ci sarà qualcuno a cui piace.
Poi Chris Duarte si redime subito con un brano Killing Time che ricorda vagamente certe cose di heavy-blues-rock alla Gov’T Mule con una chitarra dirompente alla Led Zeppelin. Purple Gloaming è un discreto blues-rock midtempo claptoniano con un cantato che ricorda alla lontana Jack Bruce (ma la voce purtroppo è un’altra), quindi Cream in definitiva, i grandi rivali di Hendrix. Me All Me, molto riffata è fin troppo scontata e di maniera e abbassa il livello dell’album mentre la conclusiva Hamra St. uno strumentale dalle atmosfere orientaleggianti conclude su una nota più che positiva questo disco dalla qualità altalenante ma in definitiva soddisfacente. Per amanti della chitarra in tutte le sue forme.

Bruno Conti

Blues, Blues E Ancora Blues! Duke Robillard – Passport To The Blues

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DUKE ROBILLARD – Passport To The Blues – Dixiefrog/Stony Plain/Ird

Il buon vecchio “Duca” ha questa passionaccia per lo swing e il jazz e gli ultimi due dischi, quello con Sunny & Her Joyboys e Stomp The Blues Tonight, con le loro atmosfere anni ’40 e ’50 ci avevano presentato un Robillard più morbido, più compiaciuto di sé stesso, capace di ottime zampate ma privo di quella grinta che ce lo aveva tanto fatto amare. Dopo il triplo Box antologico, bellissimo, che aveva suggellato una lunga carriera, sembrava che il nostro amico dovesse crogiolarsi sui propri allori.

Invece questo Passport To The Blues ci riporta il Duke Robillard più ruspante e genuino quello che estrae dalla sua chitarra una inarrestabile serie di assoli sempre diversi ed inventivi mentre il suo gruppo pompa del blues e del R&R con gusto sopraffino.

Si capisce sin dall’iniziale Workin’ Hard For My Uncle (una metafora per l’Uncle Sam, lo stato americano che succhia soldi dai contribuenti, per la serie tutto il mondo è paese) che il Duke è tornato grintoso e combattivo, voce pimpante e chitarra tagliente su un groove che ricorda i migliori Fabulous Thunderbirds con il sax di Doug James e le tastiere di Bruce Bears a fargli da giusto contraltare, Robillard esplora le corde della sua chitarra per estrarne un paio di assoli notevoli. Hong Kong Suit con i suoi ritmi altalenanti e la chitarra limpida, Blues Train, con un piano elettrico intrigante scorre fluida e sicura sulle improvvisazioni della 6 corde del nostro amico. Girl Let Me Tell Ya, ritorna allo swing tanto amato che non si può togliere dalla musica di questo musicista, è parte integrante del suo DNA sonoro.

Rhode Island Red Rooster è una variazione sul tema del famoso brano di Howlin’ Wolf, le atmosfere sono quelle, lente e fumose, minacciose quasi, le classiche battute del blues rivisitate con la giusta deferenza (l’armonica di Doug James) e la grinta della chitarra di Robillard.
Fatal Heart Attack, con organo e chitarra a duettare, con l’aggiunta del sax, ci riporta a quelle atmosfere jazzate anni ’60 prima che dalle casse del vostro stereo esploda una versione ribalda di Make It Rain di Tom Waits. Un brano che si eleva sopra la media dei contenuti di questo disco: Duke Robillard ha suonato dal vivo con la band di Waits nel tour del 2006 (non sapevo) e entra perfettamente nello spirito del brano, voce vissuta e roca ad hoc, una chitarra che sembra una forza della natura, vitriolica e feroce mentre il gruppo crea un groove fantastico per le improvvisazioni inarrestabili di Robillard che estrae dal cilindro una serie di assoli tra i più efficaci ed inventivi della sua carriera. Live in Finland ( e in bianco e nero), potete verificare qui sotto se mento!

Difficile seguire un brano così e quindi si preferisce optare per un brano tranquillo da After hours, da ascoltare mentre sorseggiate il vostro cocktail e vi riprendete dalla tempesta del brano precedente, When You’re Old You’re Cold è perfetto per la bisogna.
Text Me torna verso quel boogie-blues texano à la Thunderbirds (con cui ha suonato nel passato) mentre Duke’s Evening Blues, nuovamente jazzata ma con retrogusti slow-blues non mi convince pienamente. The High Cost of Lovin’ ci riporta al Robillard più incisivo e “cattivo” mentre Grey Sky Blues è l’immancabile lungo slow blues, un omaggio all’arte del grande Buddy Guy con le corde della chitarra tirate fino alla spasimo per estrarre quel classico suono lancinante tipico del grande bluesman di Chicago.

C’è anche una bonus finale, Bradford Boogie, solo chitarra e batteria, che ripercorre i territori che furono cari a Hound Dog Taylor senza raggiungerne le vette sonore, comunque divertente.
Bentornato!

IL Primo Disco Da Solista Di Jerry Garcia Con Howard Wales – Hooteroll + 2

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Jerry Garcia Howard Wales – Hooteroll? + 2 – Douglas Records

Per iniziare, una curiosità! Se vi pare di notare delle somiglianze nelle copertine qui sopra è perché ovviamente ci sono. La copertina di Garcia e di Jam & Spoon è lo stesso dipinto di un artista che si chiama Abdul Mati Klarwein, si chiama St. John. Lo stesso pittore ha curato anche la copertina di Bitches Brew e, sì, se vi si è accesa qualche lampadina anche quella, sempre bellissima, di Abraxas dei Santana e di mille altre artisti. Se volete dare un’occhiata qui #, il suo sito si chiama The Life And Art of Mati Klarwein, “il più famoso artista sconosciuto”.

Quando, nel 1971, uscì (sempre per la Douglas Records) la prima versione di questo disco, Hooteroll?, Jerry Garcia con i Grateful Dead aveva appena terminato quel percorso più vicino alla forma canzone che era culminato in Workingman’s Dead e American Beauty e si apprestava a pubblicare il famoso doppio dal vivo omonimo dei “teschi e delle rose” a cui avrebbe fatto seguito il triplo Europe ’72. Questo per inquadrare il periodo storico in cui ci troviamo.

Ma Garcia era un “bulimico” della musica, doveva sempre provare e suonare, non riusciva a stare fermo, se un vero bulimico lo trovi in piena notte davanti a un frigorifero con in mano un barattolo di Nutella, Jerry in quegli anni, almeno tutti i lunedì, girava per club (già del 1968-69) con Howard Wales e altri amici improvvisando esibizioni e jam per la gioia di chi poteva assistere. Questo disco, che devo dire ricordo vagamente ai tempi, nasce in piena era jazz-rock (o fusion se preferite, quando non era ancora un termine ambiguo) ed è antecedente al primo disco solista di Jerry Garcia (The Wheel). Quelli erano gli anni di Bitches Brew e della Mahavishnu Orchestra ma anche dei Nucleus e Soft Machine in Inghilterra, in America c’erano anche i primi Chicago (quelli bravi), i Blood, Sweat & Tears, i Dreams di Billy Cobham. Tutti gruppi che fondevano jazz e rock spesso con lunghe improvvisazioni strumentali dove il gusto per la jam era molto presente.

Un campo ovviamente fertile per Garcia, sempre grande amante e “curioso” verso tutti i tipi di musica. Quando il produttore Alan Douglas (quello dei “pasticci” postumi di Hendrix ma anche lo scopritore dei Last Poets) pubblicò la prima versione di questo disco per la sua etichetta, la circolazione del disco fu alquanto clandestina e anche la ristampa in CD per la Rykodisc del 1987 con una bonus ma un brano tolto non ha scosso il mondo come probabilmente non succederà per questa versione “definitiva” che ripristina i nove brani originali più due canzoni incise dal vivo nel 1972, ma farà la gioia degli amanti dell’opera omnia del buon Jerry.

Si tratta di nove brani strumentali di lunghezza variabile e dove confluiscono mille stili: c’è il jazz-rock quasi puro, e inconsueto per Garcia alle prese con una chitarra con wah-wah (che poi ritorna varie volte nel corso del disco) di Morning In Marin, dove sul tappeto sonoro della batteria di Bill Vitt e il basso di John Kahn (che sarebbero diventati compagni inseparabili nella Jerry Garcia Band), il sax di Martin Fierro, un veterano della Bay Area, le tastiere elettriche di Howard Wales e la chitarra di Garcia si intrecciano in sonorità frenetiche che qualcosa devono ai nomi citati all’inizio in ambito jazz-rock. Da Bird Song, con piano, flauto e una chitarra acustica devia verso sonorità quasi pastorali su cui si innesta anche la pedal steel di Garcia, gentile e sognante. South Side Strut più funkeggiante ricorda anche le tematiche che poi il nostro barbuto amico avrebbe esplorato nella band con Merl Saunders, qui la chitarra comincia a viaggiare più spedita e sicura. Up From The Desert nuovamente sognante e lisergica ci riporta a temi più cari ai Grateful con le tastiere liquide di Wales che sottolineano la chitarra di Jerry.

A Trip to What Next a cavallo tra temi quasi latineggianti e derive fiatistiche alla B.S.&T. poi si assesta su sonorità jazzate un po’ irrisolte, tradotto per il volgo un po’ una mezza palla, un brano che abbassa la qualità dell’album, ma in un disco di jam sessions improvvisate ci sta. DC-502 ci riporta al Garcia che conosciamo e amiamo con la sua chitarra e l’organo di Wales che improvvisano giocosamente su una ritmica pimpante mentre One A.M Approach già dal titolo ha un suono più “notturno”, solo chitarra e tastiere quasi vicino al sound dei gruppi tedeschi di quegli anni, che peraltro tanto dovevano alle improvvisazioni dei Grateful Dead. Uncle Martin’s è di nuovo brillante e ritmata con il wah-wah di Garcia che si intreccia nuovamente con l’organo di Wales. Conclude(rebbe) le operazioni Evening in Marin che è una ripresa rallentata di alcuni temi già esplorati in altri brani con la chitarra che si libra creativa sul tappeto sonoro creato dagli altri musicisti.

In effetti poi ci sono le due bonus che sono abbastanza differenti dal resto del disco: per cominciare sono dal vivo, la formazione a parte Wales è completamente diversa e i brani sono cantati. She Once Lived Here è un vecchio pezzo country, bellissimo, dal repertorio di George Jones, cantato con gusto e trasporto da Jerry che ci regala anche un assolo molto misurato mentre Sweet Cocaine è un lungo slow blues, più di dodici minuti, cantato con grande impegno dal bassista Roger “Jelly Roll” Torres, e ricorda molto i pezzi dei Grateful Dead quando Pigpen prendeva il sopravvento. Molto bello e con la chitarra di Jerry Garcia in grande spolvero. Un tassello mancante di buona qualità che viene (re) inserito nell’opera omnia del californiano.

Bruno Conti

Ma 6 Stellette Si Possono Dare? La Ristampa Del Secolo! The Promise: The Darkness on the Edge of Town Story

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Bruce Springsteen – The Promise: The Darkness On The Edge Of Town Story – Limited Edition Deluxe Collection Columbia 3CD+3DVD

E’ pur vero che mancano novanta anni alla fine del secolo ma dubito che si possa fare meglio, forse qualcuno potrà avvicinarsi o pareggiare (la ristampa di The River?) ma difficilmente verrà superata come ristampa di un singolo album.

Come direbbe Nicola Savino alias Bisteccone Galeazzi “Mitico!”.

Sono 8 ore e 33 minuti di musica da ascoltare e da vedere, alla fine per credere.

Per gustarlo appieno, dal 16 novembre, quando sarà in tutti i negozi, vi consiglio di prendervi un giorno di ferie, vi rintanate in casa e godete smodatamente.

A partire dal famoso quaderno degli appunti di Bruce, quelli vecchi con la spirale, a cui gli autori del packaging più che ispirarsi si sono pari pari rifatti. Quella fonte di mille meraviglie, un po’ come il quadernetto del Numero Uno da cui, di volta in volta, esce di tutto: appunti, testi, liste di brani, altri appunti, altri testi, altri brani, altre liste e così all’infinito. Noto con piacere che Bruce, che usa un “corsivo stampatello” per scrivere, non ha quella che si usa definire una bella calligrafia (che è un po’ un mio cruccio) e quindi nel leggere bisogna andare anche per interpretazioni soprattutto dove ci sono correzioni e ripensamenti ma alla fine si viene ampiamente ripagati.

Naturalmente non manca il classico saggio che accompagna di solito questi cofanetti, anzi ce ne sono due che gettano luce sui motivi che stanno dietro all’operazione (questi rigorosamente battuti a macchina o stampati da un computer se preferite): l’autore è uno dei personaggi che più conosce la materia e meglio riesce a spiegarla ed articolarla. Si tratta di tale Bruce Springsteen, che prima ripropone una vecchia introduzione già utilizzata per il libro “Songs” (quello dei testi) pubblicata nel 1998, ovviamente la parte dedicata a Darkness on the Edge of Town e poi ne inserisce una nuova scritta il 26 luglio di quest’anno.

In quei due scritti c’è tutto quello che dovete sapere su questo cofanetto, difficilmente qualche più o meno dotta recensione potrà fare meglio e io infatti rinuncio e mi limito alla descrizione dei contenuti e qualche piccola curiosità carpita qua e là.

C’è anche un altro piccolo libretto (poche pagine ma sempre formato grande) con i testi delle canzoni e tutti i credits. Una volta tanto pur avendo creato una confezione d’ingegno i CD e i DVD sono raggiungibili con facilità, non occorre essere dei geni per reinserirli nei loro appositi spazi tra le pagine del quadernone e i dischetti sono protetti dalle immancabili bustine (cura anche nei particolari).

Vediamo i contenuti.

Il primo CD è la ristampa dell’album originale Darkness on the Edge of Town con il suono già fantastico all’epoca creato da un team che vedeva a fianco di Bruce, Miami e Jon Landau, Jimmy Iovine, Chuck Plotkin e Thom Panunzio. Qui si è fatto un ulteriore passo avanti, tramite l’opera di un altro dei geni della tecnica di regsitrazione, quel Bob Ludwig che ha masterizzato (e rimasterizzato) tutta la musica che conta, tanto per citarne due o tre, Jimi Hendrix, Led Zeppelin e Rolling Stones. La musica vi viene proprio addosso con una chiarezza e una fierezza straordinarie. Chi non la conosce? Ma è sempre un piacere riascoltare i 10 brani originali.

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Il secondo CD è un doppio, si chiama The Promise, e se fosse uscito ai tempi sarebbe stato un altro formidabile tassello nella carriera di Bruce, quello che mancava tra Darkness e The River. Sono 21 canzoni, o meglio, e questa è la prima curiosità sono 22 brani (e lo potete scoprire solo ascoltandolo ovviamente): infatti alla fine dell’ultimo brano del secondo CD City Of Night dopo una breve pausa parte la traccia nascosta ovvero The Way, un altro dei brani inediti più belli registrati per quella occasione.

Un passo indietro. Il primo dischetto parte con una versione straordinaria di Racing In The Street (’78) che è (quasi) più bella di quella che appare nell’album originale o comunque è una bella lotta. Ad abbellirla c’è un violino (che già appariva dal vivo nei concerti tra la fine ’74 e i primi mesi del 1975 affidato alle mani della violinista Suki Lahav e in anni recenti è tornato con Soozie Tyrell, che è nata a Pisa in Italia, non c’entra niente ma mi andava di dirlo): e non è un musicista da poco a suonarlo, si tratta del fido pard di Jackson Browne tale David Lindley che ci regala un bellissimo assolo e poi replica la sua presenza anche in Come On (Let’s Go Tonight) che è Factory sotto mentite spoglie, bellissima in ogni caso.

Cosa altro abbiamo? Per esempio Talk To Me una delle più belle canzoni scritte da Springsteen per Southside Johnny, del quale la sezione fiati degli Asbury Jukes capitanata da Richie “La Bamba” Rosenberg appare nella versione registrata per The Promise. It’s a Shame come brano in sé non è fantastico ma è interessante perché introduce un promettente batterista rudimentale ma efficace, tale Jon Landau.

Scorrendo le note saltano all’occhio anche le coriste presenti in due brani Someday (We’ll Be Together) e Breakaway Tiffany Andrews, Corinda Carford, Michelle Moore, Antoinette Savage, Soozie Tyrell e Patty Scialfa!! Ohibò, ma allora si frequentavano già nel 1978. Per inciso Breakaway è una piccola meraviglia di canzone, una delle tante.

Naturalmente non manca la versione di Bruce di Because The Night (il suo unico hit single come ricorda orgogliosamente Patti Smith nel documentario) ma anche quella di Fire che sarebbe stata ripresa da Robert Gordon (che ha fatto due stupendi dischi con Link Wray che se già non li avete vi consiglio caldamente di ricercare) e poi dalle Pointer Sisters.

The Promise che anche Bruce rimpiange di non avere inserito nell’album originale avrebbe potuto essere (anche a livello di testo) la seconda Thunder Road. The Brokenhearted potrebbe essere una “traccia perduta” della discografia di Roy Orbison. Rendez-vous era uno dei momenti caldi dei concerti di quegli anni. Se Fire era un tributo a Elvis Presley, The Brokenhearted a Roy Orbison, sicuramente Outside Looking In potrebbe esserlo a Buddy Holly (curiosamente in una delle varie liste che appaiono nel quaderno il cognome è scritto Holley) con in più un tocco di attitudine punk che, scopriamo dal documentario e dalle sue note, Springsteen seguiva con attenzione e attitudine da fan comprando molti dei 45 giri che uscivano all’epoca, probabilmente spronato anche dall’amico Steve.

Il resto ve lo sentite da soli.

Poi abbiamo il primo DVD. Il Film che è andato anche al Festival di Toronto e a quello di Roma con Bruce al seguito, creato da Thom Zinny ha lo stesso titolo di tutto il cofanetto ed è bellissimo pure questo (ma cosa non lo è in questo cofanetto? Domanda retorica!). Guardandolo (ed è anche sottotitolato in italiano) potrete scoprire tutto quello che volevate sapere sul dietro le quinte di questo disco e anche di più. L’incipit, recitato da Bruce, è lo stesso di uno dei due saggi che accompagnano il cofanetto.

Il secondo DVD ha un doppio contenuto. Prima la registrazione completa effettuata in studio (ma dal vivo) o è dal vivo ma in teatro? No direi che è la seconda! Paramount Theater, Asbury Park, 13 Dicembre 2009 Bruce Springsteen & The E Street Band eseguono (senza pubblico) l’esatta sequenza che comprendeva l’album originale e che versioni, ragazzi! Non c’è Nils Lofgren (perchè non era ancora entrato nel gruppo) e, purtroppo, non c’è più Danny Federici sostituito degnamente da Charlie Giordano.

La seconda parte del secondo DVD, quella intitolata Thrill Hill Vault 1976-1978 è una chicca straordinaria: i primi due brani, Save My Love e Candy’s Boy sono registrati a Holmdel, NJ nel 1976 a casa di Bruce, che appare a torso nudo, affiancato da Miami Steve, senza cappello, che sfoggia una folta capigliatura riccia (sia pure declinante), una rarità. Poi c’è Something in The Night Red Bank, NJ 1976 e una serie di brani, in rigoroso bianco e nero, gli stessi che appaiono nel documentario ma completi, registrati in studio a New York nel 1978. Il finale, e mi ripeto,è mitico,si tratta del filmato completo che si è visto varie volte anche in televisione (ma mai nella giusta sequenza) del famoso concerto di Phoenix del ’78, per intenderci quello che si conclude con Rosalita, quando una serie di fans, sfuggite da più parti alla security si impadroniscono di Bruce e fanno benevolmente scempio di lui, con sua grande gioia e divertimento. Una delle scene più gioiose della storia della musica rock.

Il pezzo forte è il terzo DVD: Thrill Hill Vault Houston ’78 Bootleg House Cut. 176 minuti, due ore e cinquantasei minuti, 10560 secondi di pura magia. Bruce Springsteen & The E Street Band dal vivo all’ennesima potenza, in versione sesquipedale (citando ancora il Giuanin Brera), devastante. Tutti i classici, qualche anticipazione di quello che verrà (Indipendence Day) e una serie di cover che allora erano la norma: da Santa Claus Is Coming To Town (il Natale era vicino) a Fever, dal Detroit Medley a You Can’t Sit Down per finire con la leggendaria Quarter To Three di Gary US Bonds.

Il sottoscritto ha avuto la fortuna di assistere al concerto di Springsteen all’Hallen Stadion di Zurigo l’11 aprile del 1981 nel corso del tour di The River (ero il chaperon, con Daniele Biacchessi, di uno dei pullman partiti da Milano per assistere all’evento, viaggio organizzato da Radio Regione, l’emittente da cui trasmettevo Bootleg ai tempi, era il titolo della trasmissione ma li trasmettevo pure). Poi ho visto anche San Siro 1985 e tanti altri in seguito ma vi posso assicurare che in quegli anni il Boss dal vivo era inarrivabile e, devo ammettere, nel 1978 ancora più che nell’81 (come testimoniato da innumerevoli bootleg). Qui siamo di fronte ad un bootleg (ma ufficializzato) e la qualità audio e video è più che buona ma è il contenuto che è fantasmagorico, una esperienza da non perdere.

Questo vi dovevo e spero di avervi convinto, se mi sono dilungato chissenefrega (tanto ormai il Blog è solo mio come i più attenti avranno notato). Buon ascolto e buon divertimento (e buone ferie se seguite il mio suggerimento di ascolto). Se non riuscite a comprarlo fatevelo regalare, inseritelo nella letterina a Babbo Natale, fate qualsiasi cosa ma non potete non averlo.

Bruno Conti

Perfect Pop? Rumer – Seasons Of My Soul

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Rumer – Seasons Of My Soul – Atlantic

Al sottoscritto questo disco piace moltissimo, non so se gli darei le 5 stellette assegnate dalla rivista Mojo ma alle 4 di Uncut potrei arrivarci. Ma mi rendo conto che si tratta di un disco di musica pop, perfetta o quasi, ma sempre di pop parliamo, sia pure di qualità sublime ma, come possiamo dire, di facile ascolto. Che per alcuni è come parlare di qualcuno di facili costumi, quando ho perorato la causa di questo disco mi sono sentito rispondere: ma ascolti anche questa musica? Certo, la buona musica mi piace tutta, posso entusiasmarmi per il nuovo Box di Springsteen, come per Richard Thompson, per Jimi Hendrix ma anche per Robbie Basho se parliamo di chitarristi o per i Bellowhead se parliamo di British Folk. Ho sparato un po’ di nomi a caso per capirci, l’ultimo è un disco su cui sto girando attorno da qualche tempo, così magari mi decido a parlarne.

Comunque tornando a bomba e al disco di Rumer era da alcuni giorni in heavy rotation sul mio lettore, anche perché oltre alla buona musica che si ascolta c’è una storia intrigante da raccontare. Oltre a tutto oggi sono andato a dare un’occhiata per curiosità e ho visto che il CD ha esordito direttamente al terzo posto delle classifiche inglesi, superata solo dalla tipa di X-Factor Cheryl Cole e dalla raccolta di Bon Jovi.

Non male per una che fino a pochi mesi fa faceva tutti i mestieri per mantenere il suo sogno di fare della musica senza passare dalle forche caudine dei reality; perché in effetti amici e parenti le avevano consigliato di iscriversi a X-Factor, “con la voce che ti ritrovi, avresti vinto di sicuro”, ma lei ha sempre preferito percorrere la strada della musica dal vivo, magari in piccoli locali, in attesa che qualche casa discografica si accorgesse della sua musica e, come in tutte le favole che si rispettino, ha trovato un pigmalione, nella persona di Steve Brown, un musicista e produttore inglese che l’ha vista casualmente mentre cantava dal vivo in uno di questi piccoli clubs e l’ha coccolata (musicalmente parlando) per permetterle di registrare questo disco.

Ma prima ha fatto di tutto, ha lavorato come cameriera in albergo, lavato piatti, fatto l’insegnante, l’impiegata, riparato Ipod nel negozio Apple di Londra, la parrucchiera, venduto popcorn negli atrii dei cinema, qualsiasi cosa per tenere vivo il suo sogno di diventare una cantante professionista. Agli inizi degli anni 2000 è stata la cantante di un gruppo indie-folk La Honda. Anche la vita privata è stata notevole.

Nata Sarah Joyce 31 anni fa in Pakistan da due genitori inglesi che erano in Asia per lavoro (l’ultima di sette figli), a undici anni ha scoperto che era la figlia di una relazione illegittima che la madre aveva avuto con il loro cuoco pakistano (molto più vecchio di lei), ma il vero padre (non quello biologico) non per questo si è allontanato da lei anche se i genitori, per questo motivo, si sono divisi e lei è rimasta a vivere con la mamma fino a quando la stessa non ha scoperto di avere un tumore e Sarah ha passato gli ultimi anni della vita di suo madre ad accudirla, fino alla morte avvenuta nel 2003. Tutte esperienze che evidentemente hanno arricchito il suo background culturale ed emotivo e, secondo me, nelle canzoni questo traspare.

Parliamo della voce che è un fattore decisivo nel “fascino” della sua musica, una voce calda, dalle tonalità perfette, con una emissione sonora calibratissima che è stata paragonata a quella di Karen Carpenter, una delle voci più belle della storia della musica pop, ma anche echi di Laura Nyro, Dusty Springfield, Carole King, Carly Simon tutti nomi che erano già ricorsi all’apparire di Diane Birch, ma mi sembra che Rumer abbia anche quel quid inespresso che divide il talento vocale puro dalla semplice bravura, una sorta di preternaturale capacità di cantare nella tonalità perfetta per istinto. Se ne è accorto anche Burt Bacharach che alla pubblicazione del suo primo singolo, la deliziosa Slow ha voluto conoscerla personalmente e l’ha invitata nella sua casa di Malibu per sentirla cantare di persona. E poi dite che le favole non si avverano!

Il disco, provato e poi inciso nell’arco di tre anni, negli studi di Steve Brown ha un suono volutamente semplice ma complesso e intricato allo stesso tempo, in puro stile Bacharach, con piano e organo, chitarre acustiche e armonica che si intrecciano con archi, fiati, tromba e flicorno, un tocco di glockenspiel qui, un vibrafono là, qualche percussione, delle voci armonizzanti di supporto, la voce spesso in multitracking, con l’uso dell’eco, tutte le diavolerie di studio e gli arrangiamenti più ricercati che vi possano venire in mente. Pensate alla musica di Sade ma con una voce nettamente superiore o alle grandi cantautrici degli anni ’70, alcune già citate ma anche Joni Mitchell si può scomodare per la bellissima Thankful, dove la voce di Rumer quasi galleggia sospesa su una base di piano acustico e contrabbasso di una bellezza disarmante. Quindi non è solo musica pop c’è anche sostanza, anche il testo che in ogni verso racconta di una diversa stagione è molto poetico. Anche Healer rimane in questi rarefatti territori sonori, con la voce raddoppiata, il piano e un violino che ricreano una magia unica.

I ritmi sono quasi sempre tranquilli, riflessivi ma anche accattivanti come nella bellissima Aretha, che racconta di una ragazza dal cuore spezzato che trova conforto nella sua musica, ascoltata in cuffia e soprattutto in quella di Aretha vero nume tutelare che veglia su di lei, “Non trovo nessuno con cui confidarmi, Aretha, nessuno , solo tu”. Il tutto accompagnato da una musica che Burt Bacharach potrebbe avere scritto per Dionne Warwick o Dusty Springfield, calda ed avvolgente, con qualche eco della Laura Nyro più espansiva dell’era Labelle e il Van Morrison swingante del periodo americano. Ci sono mille influenze ma nessuna è definita, potete pensare questo assomiglia a…già a cosa? A mille e nessuno, tutti quelli citati sono sicuramente presenti ma confluiscono in un calderone sonoro che è sicuramente derivativo ma attraente e di gran classe.

L’iniziale Am I Forgiven? potrebbe essere il lato B perduto di un vecchio singolo scritto da Bacharach e poi dimenticato in un angolo, magari Close To You per ricordare ancora i Carpenters? Sicuramente sì, poi quella trombettina ricorrente e le armonie vocali sono irresistibili. C’è anche una cover di Goodbye Girl dei Bread, qualcuno li ricorda?

Posso solo ribadire che a me piace moltissimo, a voi la scelta se investigare ulteriormente io mi limito a segnalarvela, si chiama Rumer (ed è bravissima anche dal vivo come potete constatare dai video inseriti nell’articolo).

Bruno Conti

Novità Di Novembre Parte III. Doors, Who, Hendrix, Springsteen, Annie Lennox, Bee Gees, Jeff Beck Eccetera

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Tempo fa parlando delle uscite del 16 novembre, parafrasando il testo della famosa American Pie di Don McLean, avevo parlato di “The Day The Music Lived”, così sarà ricordato dai posteri per la copiosa messe di uscite discografiche! In effetti il 16 novembre usciranno: il cofanetto di Bruce Springsteen con edizioni collegate al seguito (Vinili, Blu-Ray+CD, doppi ecc.ecc.), la Deluxe di Damn The Torpedoes di Tom Petty, Solomon Burke Hold On Tight, il live di Bryan Adams Bare Bones, il cofanetto di Jimi Hendrix West Coast Seattle Boy (4CD+DVD, ma questo sembra che in Italia slitti di qualche giorno, ormai è una tradizione della Sony/Bmg, ma escono le versioni “inutili”, quella singola e CD+DVD, più le altre tre “ristampe” di cui vi parlo tra poco). Oltre a questi usciranno anche…

Un ennesimo doppio CD dal Vivo dei Doors Live In Vancouver 1970 per la Rhino/Warner con la partecipazione del grande Albert King in quattro brani (a proposito per la serie “meglio tardi che mai) il 23 esce anche il più volte annunciato Albert King/Stevie Ray Vaughan, In Session in DVD o CD+DVD.

Altro cofanetto annunciato dal novembre 2009 e finalmente in uscita è quello quadruplo dedicato ai Bee Gees Mythology sempre Rhino/Warner. Ma ne sono già usciti duemila tra cofanetti e best obietterà qualcuno? E’ vero ma quello diviso per fratelli mancava! Nel senso che un CD è dedicato a Barry Gibb, uno a Robin, uno a Maurice e l’ultimo a Andy Gibb. Poi dite che i discografici non sono astuti!

La riprova! Il Cofanetto degli Who Live At Leeds che dovrebbe essere alla sua ottava versione diversa (tra vinile e CD), questa volta abbiamo un cofanetto di quattro CD con vinile e 45 giri allegati. C’è il concerto completo di Leeds (con Tommy ) più la data di Hull del giorno successivo che ci dicono sia ancora più bella di quella del giorno prima, ci credo, probabilmente anzi sicuramente sarà vero ma potrebbero dirci il contrario?

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Queste sono le nuove versioni di Blues, BBC Sessions e Live At Woodstock pubblicate dalla Sony/Bmg che sostituiscono quelle pubblicate dalla Universal non molto tempo or sono. Sono diverse? Mah. Woodstock no perché avendo già pubblicato il concerto completo cosa dovevano aggiungere “Jimi Hendrix al bagno prima di salire sul palco”?. Le altre due hanno ciascuna un DVD aggiunto con mini-documentario.

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Un terzetto di gentili donzelle. Quello di Loreena McKennitt The Wind That Shakes The Barley è proprio tutto nuovo, niente raccolte, live o album natalizi, un ritorno alle sue radici celtiche. Esce il 16 novembre ma attenzione, non in Italia!, giustamente la Verve/Universal che ha tra le mani un disco nuovo aspetta a gennaio per pubblicarlo da noi. Dovrete cercarlo con chi tratta materiale import o ordinarlo in rete oppure aspettare.

Annie Lennox pubblica un album natalizio, A Christmas Cornucopia, 11 brani di carattere “festivo” per una giusta causa, la ricerca contro l’AIDS e per un sostegno ai bambini e alle donne africane.

Regina Spektor, russa ma naturalizzata americana è una delle voci femminili più interessanti in circolazione, questo Live in London è un CD+DVD Sire/Warner con il meglio della sua produzione. Costa come un singolo e contiene 22 brani nel CD e 26 nel DVD.

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Sempre tra le voci femminili esce anche l’annunciato da tempo disco di duetti di Norah JonesFeaturing che raccoglie tutte le collaborazioni che la cantante americana ha “seminato” su dischi di altri. Dai Foo Fighters (che è il singolo che si sente alla radio, Virginia Moon, molto carina) ai “suoi” Little Willies, Willie Nelson, Ray Charles, Belle And Sebastian uscita proprio in questi giorni sul nuovo album, Gillian Welch & David Rawlings, Ryan Adams, Dolly Parton, Herbie Hancock, M Ward, c’è n’è per tutti i gusti per un totale di 18 brani.

Quel CD che vedete di Jeff Beck Live And Exclusive From The Grammy Museum come dice il titolo è un disco dal vivo registrato al Grammy Museum nell’aprile di quest’anno per promuovere il disco Emotion & Commotion. Purtroppo, a parte il download, è una esclusiva CD Amazon che ve lo masterizza a richiesta su un CD-R. Non ho nulla contro Amazon ma la reperibilità, come potete immaginare, non sarà delle più agevoli. Tra l’altro quel diavolo di un Beck ha già “mollato” la prodigiosa bassista Tal Wilkenfeld e ne ha una nuova, Rhonda Smith. Il CD comprende 8 brani per un totale di 32 minuti.

Per finire, anche se di solito non parlo delle novità italiane (con delle eccezioni ogni tanto) visto che ne parlano già tutti vi segnalo il “nuovo” Dalla De Gregori Work In progress. Esce come doppio CD, limited 2CD+DVD e ultralimited quadruplo vinile. Ovviamente è dal vivo!

Proseguo con l’ascolto del Box di Springsteen (lo so che esce martedì), fantastico è dire poco, al più presto riferisco e devo sempre parlarvi del disco di Rumer!

Quindi o “Paga Pantalone!” o preparare “richieste regali di Natale”! Alla prossima!

Bruno Conti