Novità di Marzo Parte III – Piccola Appendice – Hot Tuna, Neil Diamond, James Maddock, Will Kimbrough, The Sultans Of Slide

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Non si riesce mai a stare tranquilli, credevo di essermi portato alla pari con le uscite e invece…meglio così, vuol dire che esce molto materiale interessante.

Quello degli Hot Tuna Steady As She Goes è il primo album in studio da oltre venti anni a questa parte (dal 1990 per essere precisi) per la band di Jorma Kaukonen e Jack Casady. E’ uscito molto materiale d’archivio in questi anni, recente e non, come il bellissimo Live del 1969 pubblicato lo scorso anno dalla Collectors’ Choice blast-from-the-past-sbucati-dal-passato-johnny-winter-and-po.html. Ma questo è un disco nuovo, molto bello dall’ascolto veloce effettuato, registrato in quel di Woodstock negli studi di Levon Helm e con la produzione dell’ottimo Larry Campbell che appare anche come musicista. Gli stessi studi dove Jorma Kaukonen aveva registrato l’eccellente album solista River Of Time. I nuovi musicisti sono Barry Mitterhoff al mandolino acustico ed elettrico oltre al batterista Skoota Warner. Armonie vocali a cura di Teresa Williams che è la moglie di Larry Campbell. Etichetta Red House, data di uscita teorica 5 aprile ma visto che è già disponibile in anticipo sul mercato italiano a cura dell’Ird ve lo segnalo con piacere. Da domani nei negozi. Una bella sorpresa.

Un altro gruppo che esce un po’ a sorpresa con un nuovo album sono questi The Sultans Of Slide che esordiscono con Lighting Strikes su etichetta Me And My Records. Se i bravi Delta Moon hanno due slide soliste questi sono addirittura tre chitarristi slide nella stessa formazione ( e vi assicuro che è una bella lotta, guardate qui sopra, sembrano gli ZZTop dei tempi d’oro), non famosissimi ma ci danno dentro con gusto, Frank “paris slim” Goldwasser, Monti Amundson e Henry Cooper non diranno molto ai più ma fanno del sano Blues.

La Sony/Bmg ha già pubblicato negli States (e più avanti in Europa ed Italia) questo The Bang Years 1966-1968 che raccoglie 23 brani registrati nel periodo Brill Building di Neil Diamond quando registrava per l’etichetta Bang di Bert Berns (quello che ha scritto Piece of my heart, Hang on sloopy, Here comes the night eTwist & Shout tanto per ricordare qualche “canzoncina” e ha lanciato Van Morrison con Brown eyed girl) e comprende una valanga di belle canzoni nella loro prima versione: Solitary Man (Se Perdo Anche Te), Cherry Cherry, You’ll Be A Woman Soon, Kentucky Woman, I’m A Believer (Sono Bugiarda), Red Red Wine, le ha scritte tutte lui insieme a altri 17 brani. Li trovate tutti in questo CD.

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Un paio di “Carneadi” di gran talento! James Maddock ha esordito lo scorso anno con Sunrise On Avenue C (ma non è vero perché ci aveva già provato una decina di anni prima con una band i Wood che aveva avuto grandi riscontri critici e anche di pubblico visto che i suoi brani erano stati usati in alcune serie televisive ma poi si erano perse le sue tracce). Questo musicista inglese di nascita ma americano di adozione musicale fa dell’ottima musica e ora pubblica questo Live a sorpresa registrato in quel di New York nel gennaio 2010, Live At The Rockwood Music Hall. Piano, chitarra e mandolino e una voce roca e vissuta potrebbero sorprendervi, entrambi i dischi meritano.

Will Kimbrough è un cantautore, chitarrista e produttore che ha lavorato con tanti buoni musicisti, Rodney Crowell, Kate Campbell, Todd Snider, Kim Richey, Matthew Ryan, Josh Rouse solo per citarne alcuni e ha pubblicato una bella serie di album tanto buoni quanto misconosciuti. Questo triplo album pubblicato dalla svedese Rootsy Music nella loro serie Rootsy Approved si intitola Introducing Americana Music Vol.1 e comprende tre album al prezzo di 1. L’ultimo Wings pubblicato in America nel 2010, un CD antologico con 18 brani tratti dai suoi 4 album precedenti e un concerto inedito registrato nel Febbraio del 2010. Conveniente e assolutamente da sentire.

Passo e chiudo anche per oggi.

Per la “svista” su Bonamassa mi sono scusato nei Commenti accanto.

Bruno Conti

Una Cantante “Indipendente”. Susan James – Highways, Ghosts, Hearts & Home

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Susan James – Highways, Ghosts, Hearts & Home – Self-released

Torniamo alle voci femminili “sconosciute” e in giro ce ne sono parecchie. La nostra amica Susan James viene dall’area della California e questo Highways, Ghosts, Hearts & Home è già il suo quarto album ed è proprio bello. Niente di straordinario per carità ma indicat(issimo) per chi ama le voci femminili di qualità. Qualcuno si chiederà perché questo e non un altro e non saprei sinceramente dirvelo, forse perché nella mia avida ricerca di nomi nuovi ed interessanti questo mi è capitato tra le mani!

Breve interludio.

Qualcuno si chiede, giustamente, perché di solito parlo solo in modo positivo dei dischi e degli artisti che tratto. Non sempre, soprattutto nelle anticipazioni delle novità qualche commentino pepato mi scappa. Ma dato che in rete ci si può imbattere nei cugini, zii, nipoti, fratelli, amiche del cuore (o semplicemente fans) dei vari Drake, Lady Gaga, Britney Spears e altre tavanate immani e non avendo nè il tempo nè il modo di rispondere a questi personaggi che subito si inalberano per eventuali commenti sui loro beniamini, preferisco ignorarli, non parlarne. Se secondo un giudizio assolutamente personale qualcosa non mi piace o non mi interessa non ne parlo proprio, poi sbaglierò i giudizi dei dischi di cui parlo in termini positivi ma è un parere personale e quindi opinabile. Voi lo leggete e se non vi piace cambiate Blog, tanto è gratis. Chiaro!

Torniamo a Susan James. Genere musicale? Uhm, direi country-rock losangeleno con ampie spruzzate di vagamente morbida psichedelia sixties ma anche singer-songwriter classica stile 70’s. Capito!

No. Pensate ai I See Hawks in LA (classica band californiana di country-rock che si rifà al sound classico di Flying Burrito Brothers, Eagles, Poco, Ozark Mountain riportato ai giorni nostri) e prendete tre elementi del gruppo. Fatto. Aggiungete Danny McGough della band Shivaree e il violinista Gabe Witcher dei Punch Brothers uno dei gruppi leader del filone del neo-bluegrass.Anche il batterista DJ Bonebrake (X, Kintters). Al risultato ottenuto aggiungete una cantante con una bella voce, un bel leggero contralto che può ricordare la giovane Joni Mitchell (ma giusto un po’) o la prima Carly Simon, quelle voci limpide e naturali, calde ed espressive, da donna matura ed indipendente che oltretutto si scrive tutte le canzoni da sola…

Potreste trovarvi ad avere tra le mani un album che assomiglia molto a questo: aperto dal country-rock allegro e leggemente psych dell’iniziale Airstream Girl, una boccata d’aria californiana, dove le chitarre profumano di Byrds, il basso è netto e marcato, la batteria leggera e agile e la voce scivola su un sottofondo estremamente piacevole ma di qualità superiore. Se rallentate le atmosfere, trasformate le chitarre in acustiche, inserite un banjo che dona un’aria vagamente alla Fairport Convention prima maniera quando l’amore per la musica della West-Coast divideva il gruppo di Sandy Denny e Iain Matthews dai concorrrenti folk-rock britannnici ed otterrete questa A Weed is not a weed, impreziosito da un mandolino e dalla voce cristallina della James che si conferma vocalist di gran pregio.

Quando il violino di Gabe Witcher fa il suo ingresso il suono del brano Thank You Tomorrow ci porta proprio al country-bluegrass di gruppi come Country Gazette o Dillards ma con una voce femminile. Mi rendo conto che per molti questi rimandi a nomi “antichi” può sembrare arcano ma fate una ricerca “moderna” su Wikipedia e risolvete il problema. On your side con una chitarra riverberata, il controcanto maschile dei musicisti e la voce molto ricca di tessiture sonore della James ed una certa aura misteriosa del brano ci rimanda al suono dei cantautori più classici e ricercati. In Cold Moon On The Highway fa la sua apparizione addirittura una baritone guitar e il tempo del brano ricorda quello delle cowboy songs alla Ghost Riders con i suoi ooh-aah dei coretti e altri geniali tocchi di gusto negli arrangiamenti sempre molto raffinati e semplici al contempo.

Old Jug Song con un banjo in primo piano nella struttura della canzone e poi altri strumenti acustici che entrano mano a mano è una perfetta fusione tra folk e country. D’altronde se musicisti come Bob Weir, Lindsey Buckingham, Richard Thompson, Ryan Adams e altri l’hanno citata come una delle voci più interessanti che circola nel nuovo panorama musicale americana e poi l’hanno voluta per aprire i loro concerti un motivo ci sarà.

Sentitevi un brano come Out In The Woods che evoca passeggiate nel mitico Topanga Canyon dove Susan James vive con la sua famiglia e godetevi la voce pura e ricca di ottave della stessa che crea un’atmosfera calda ed avvolgente. Che ci volete fare il sottoscritto ha un debole per le belle voci e questa della James è proprio bella. Quello che è sorprendente è il fatto che il trascorrere degli anni non ne ha intaccato la purezza perché la “ragazza” non è più una giovanissima, la prima parte della sua carriera si era svolta negli anni ’90, poi una lunga pausa per creare una famiglia (13 anni) e il ritorno alla musica arricchita da nuove esperienze e più brava di prima.

Calling Mr.Zimmerman dove si rivolge al grande Bob per ritrovare l’ispirazione perduta “Calling Mr.Zimmerman, Please Help Me Write This Song, I always get it wrong” e la successiva Falling Waltz 2 con un evocativo violino, rivaleggiano con la produzione, la vogliamo chiamare rock, di Mrs. Joni Mitchell con quella voce eterea e terrena al contempo ed una musica complessa e meravigliosa. Due brani da antologia del perfetto singer-songwriter.

Un tuffo ancora nel folk perfetto della dolcissima How To Fix A Broken Girl che ci permette di godere ancora le grandi nuances della voce di Susan James e siamo alla conclusiva Goin’ To California che ci riporta al country-rock di inizio album. Non sarà nuovo, non sarà originale, derivativo persino ma comunque gran bella voce e belle canzoni, può anche bastare. Segnatevi il nome. In questi giorni viene distribuito anche in Europa dall’etichetta Taxim e quindi non sarà più “indipendente”.

Bruno Conti

Novità Di Marzo Parte III. Van Der Graaf Generator, Unthanks, Soundgarden, Green Day, Strokes, Nick Lowe Eccetera

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Mi sono distratto un attimo, ho saltato una settimana e le novità si sono accumulate. Intanto partiamo con alcune conferme: per la serie “meglio tardi che mai” la Warner italiana si decide a pubblicare l’ottimo album della cantante inglese Rumer già uscito ovunque da novembre dello scorso anno perfect-pop-rumer-seasons-of-my-soul.html e la Emi pubblica l’eccellente disco di Amos Lee di cui vi ho parlato ai primi di febbraio. Entrambi in uscita il 22 marzo marzo. Lo stesso giorno è confermata l’uscita delle varie edizioni di Derek & The Dominos Layla e del doppio Live Forever il disco dal vivo postumo di Bob Marley novita-di-febbraio-parte-i-north-mississippi-allstars-bob-ma.html.

Per i fans disposti a sborsare esce una ennesima “nuova” versione del The Wall Live di Roger Waters che unisce in una unica confezione il doppio CD e il DVD.

Già questa settimana, il 15 marzo per la precisione, sono usciti tre interessanti album: il nuovo album dei Van Der Graaf Generator A Grounding In Numbers che prosegue nella loro seconda (o terza) giovinezza con la formazione a trio con Peter Hammill, Hugh Banton e Guy Evans e che potrebbe stupirvi per la sua freschezza e originalità. Nonostante l’etichetta Esoteric non si tratta di una ristampa e il produttore è il mitico Hugh Padgham quindi aspettatevi un sound prog e potente.

Le Unthanks sono attualmente il miglior gruppo del filone folk della scena britannica, ma non solo. In questo Last il suono si espande verso nuove sonorità e le cover di Starless dei King Crimson e No One Know I’m Gone di Tom Waits sono dei piccoli gioiellini. In Inghilterra per la title-track Last hanno addirittura citato i Pink Floyd più pastorali. Ma come al solito sono le voci delle sorelle Rachel & Becky Unthank il centro dell’attenzione! Etichetta Rabble Rouser (in Italia Self).

La Proper ripubblica in versione Expanded (ma solo una misera Bonus?) il bellissimo album di Nick Lowe Labour Of Love. In America, non senza motivo, il precedente Jesus of Cool si chiamava Pure Pop For Now People. Sentitevi Cruel To Be Kind in questo Labour Of Love e capirete il perché. Distribuzione Ird in Italia.

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Per la serie anche il “dovere” vuole la sua parte ovvero non ci piace ma ci tocca: per la Polydor/Universal esce il nuovo album dell’ex Boyzone Ronan Keating When Ronan Met Burt registrato in coppia con Burt Bacharach che produce e ri-arrangia i suoi classici. Mi dicono che sia meglio di quello che sembra?!? Mah!

Tornano i Duran Duran con un ennesimo album All You Need Is Now già disponibile per il download digitale da parecchi mesi e ora, ampliato, disponibile in due versioni normale e Deluxe per Edel.

Nuovo album anche per gli Strokes Angles, è il quarto per la band di Julian Casablancas, etichetta Sony/Bmg in Italia e Rough Trade in Inghilterra. Tutti e tre disponibili dal 22 marzo.

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CD+DVD Dal Vivo per i Green Day Awesome as F**k, etichetta Warner come di consueto. Registrato a Saitama in Giappone nel tour 2009/2010 è il quarto album dal vivo del gruppo.

Sempre dal vivo ma registrato nel lontano 1996 il nuovo CD dei Soundgarden Live on I-5 esce per la Universal e raccoglie materiale registrato lungo la famosa Interstate 5 che corre lungo la West Coast.

Ristampa Deluxe Collectors’ Edition per Teaser di Tommy Bolin (che dice tutto e niente, parrebbe extra tracks, una, alternate takes e nuovo mix 2011): comunque visto che ha circolato pochissimo in ogni caso interessante per i fans del chitarrista della James Gang, Deep Purple e, soprattutto nell’eccezionale Spectrum di Billy Cobham dove ha dato il meglio di sé. Eichetta Samson Records, quindi import.

E’ tutto! Alla prossima.

Dagli States Un Grande Chitarrista! Todd Wolfe Band – Live

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The Todd Wolfe Band – Live – Todd Wolfe.com Distr. American Home Entertainment

Se non ho fatto male i conti questo dovrebbe essere il settimo album di Todd Wolfe con la sua band e il terzo registrato dal vivo. Considerando che la sua carriera discografica ha avuto un notevole impulso dal 1999 quando ha pubblicato il suo primo disco autogestito( guarda caso, dal vivo) dopo una lunghissima gavetta che negli anni ’80 e ’90 l’ha portato a suonare in moltissimi luoghi e con molti musicisti diversi, il più famoso dei quali è sicuramente Sheryl Crow con la quale ha condiviso cinque anni di vita sui palchi di tutto il mondo e la registrazione del primo album Tuesday Night Music Club dove oltre a suonare la chitarra ha anche firmato un brano in società con la Crow stessa che lo ricorda come il miglior chitarrista che ha suonato con lei ( e qui concordo se sorvoliamo su Clapton e Keith Richards, ma sono malizioso perché sicuramente intendeva la sua Touring band).

Tornando a Todd Wolfe ho già incrociato il mio “lavoro” di recensore con i suoi dischi in passato (non su questo Blog) e devo dire che mi erano particolarmente piaciuti ( eccellenti live esclusi), Borrowed Time e Why Thank You Very Much. Anche in questo disco è presente il suo bassista degli ultimi anni, Suavek Zianesienko che cito solo perché ha un cognome anche più impronunciabile del Kripztak impersonato da Manera a Zelig. Però è bravo e tiene un groove instancabile come nei grandi gruppi del rock-blues presenti e passati. La copertina del CD orgogliosamente riporta il giudizio della rivista Blues Revue “ Il loro suono ricorda gruppi come i Gov’t Mule e i Cream” e qui potrei sottoscrivere, impacchettare le mie carabattole e andarmene a casa ma cercherò di elaborare ulteriormente ma brevemente.

Il CD contiene 11 brani e dura quasi 80 minuti (ma ne esiste anche una versione in DVD che non ho visto che di brani ne ha 19) e curiosamente per un disco di rock-blues e di Todd Wolfe in particolare non c’è neanche una cover. Ma i più attenti, aguzzando le antenne, potranno captare accenni di brani dal repertorio dei Led Zeppelin, un riff di Sunshine of Your Love dei Cream qui, un pezzo di Hendrix là, il riff di Layla in un altro momento, quasi a testare la vostra preparazione con le loro citazioni (anch’io un paio non li ho riconosciuti, ammetto!).

Il disco mi piace parecchio ma non mi entusiasma (ma forse andrebbe sentito più volte) anche se tre o quattro brani contengono delle cavalcate chitarristiche micidiali, in particolare il lungo assolo nella parte finale di Cold Black Night è da antologia del rock-blues con la chitarra che raggiunge livelli di fluidità ed intensità incredibili, “niente male”  anche Beg Forgiveness con la sua intro tra Hendrix e il funky più travolgente e poi una notevole performance di Wolfe.

Anche il festival del wah-wah che risponde al nome di Black Hearted Woman è notevole. Mi sa che sono più di 3 o 4 i brani, anche il blues con uso di slide della minacciosa Silver Blue con i suoi accenti tra Mississippi Delta e New Orleans è da ricordare, come l’hard slow blues di Love Gone Bad con uno spettatore, presumo ad alto tasso alcolico, che continua a richiedere Rock and roll ad alta voce tra un brano e l’altro e mi ha ricordato un vecchio concerto milanese di Richie Havens dove c’era uno spettatore particolarmente petulante (e penso anche leggermente fatto e ubriaco) che per tutto il concerto ha richiesto a gran voce Freedom salvo addormentarsi sul più bello e risvegliarsi precipitosamente solo a brano quasi finito. Non c’entra nulla ma anche questo è rock and roll.

La conclusione è affidata ai 14 minuti di pura goduria sonica di Shame dove tutti i nodi vengono al pettine e Todd Wolfe ci regala una performance veramente di altissimo livello con la chitarra che rivisita da par suo tutti gli stereotipi (migliori) di questo tipo di musica, con un assolo veramente sontuoso di wah-wah nella parte centrale! E anche questo, soprattutto questo, è rock and roll. And I like it!

Bruno Conti

“Carneadi” Che Passione! Bill Johnson – Still Blue

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Bill Johnson – Still Blue – Bill Johnson Blues.Com autoprodotto

Questo Bill Johnson (da non confondere con l’omonimo pastore americano, guardate in Youtube) è uno degli ennesimi “carneadi” che popolano il sottobosco del blues e del rock Americano (Canadese per la precisione, in questo caso). Una lunga gavetta alle spalle “I am forty six years old, I believe  all you need is love,and I’m still blue”, così si presenta nelle note di questo CD che non è il suo primo ma quello che lo consacra in patria e lo farà conoscere (forse) in giro per il mondo.

Il suo è uno stile che prende da un blues molto laid-back ma caratterizzato da una chitarra dal suono limpido e nitido che ci regala assoli brevi e incisivi, tipo il JJ Cale più movimentato o il Clapton di metà anni ’70 con ampie spruzzate di bayou blues e più di una analogia stilistica, anche vocale, con il Chris Rea più vicino al blues quello che dimentica i torpori della sua musica più commerciale per risalire alle origini della musica del diavolo. E se volete, vi aggiungo che mi ha ricordato anche lo Steve Miller di certi dischi come Born 2b blue, per quella patina morbida che smussa gli angoli più taglienti del Blues.

Brani come Experience con un ottimo lavoro di slide o la ritmica Worked to death con le sue linee soliste pulite appoggiate da un organo mai troppo invadente sono assai piacevoli all’ascolto. Ma anche l’attacco quasi bayou alla Creedence dell’iniziale Fishing with your boots on denota una padronanza della materia molto pertinente. Habitual survivor con i suoi ritmi e le sue sonorità quasi alla Dire Straits primo periodo (e quindi di rimbalzo da un altro ammiratore dell’opera di JJ Cale come Clapton e Rea) conferma questo stile molto godevole che scivola senza grandi scossoni ma con gran classe.

C’è spazio anche per un bel slow blues come l’ottima Half the man e per lo shuffle di Old Les Pau Guitar ma senza sbattersi troppo, mi raccomando! Qualche cover di classe per chiudere il cerchio: la classica 300 Pounds of Heavenly Joy di Willie Dixon e l’ancor più celebrata King Bee alzano la temperatura Blues del disco di Bill Johnson mentre T-Bone Blues di T-Bone Walker ne evidenzia la perizia tecnica e lo stile molto misurato, dai toni jazzati in questo caso. C’è anche un finale tra barrelhouse e jazz con la deliziosamente demodè Remote Control Man che chiude l’album su una nota di assoluta leggerezza.

Insomma, non accenderà il fuoco sotto i vostri sederi, per usare una analogia un po’ colorita, ma tre quarti d’ora di buona musica sono garantiti.

Bruno Conti

Per Me Uno Dei N°1! Joe Bonamassa – Dust Bowl

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Joe Bonamassa – Dust Bowl – Provogue/Edel  22-03-2011 Prima Tiratura digibook 60 pages limited edition

Ovviamente il titolo è una parafrasi di un motto del “buon” Dan Peterson (“Amici sportivi e non sportivi” non c’entrava molto, che dite?) che mi sembra adatto per il nostro amico che attualmente è sicuramente uno dei numeri uno tra i chitarristi rock.

Ho scoperto che la musica “greve” mi piace, anche tagliata con l’ascia (che è lo strumento usato per tagliare gli alberi e il legno è un materiale “nobile”) e quindi questo Dust Bowl del buon Joe Bonamassa mi piace (il commento potrebbe sembrare criptico ma chi legge il Buscadero, che è il giornale su cui scrivo, capirà). Come spesso accade ultimamente avete l’anteprima gratuita qui sul Blog della recensione che uscirà sul numero di Aprile, ma anche per chi non legge o non ama la rivista ma apprezza questo Blog!

Tornando all’argomento, secondo Bonamassa himself questo è il suo album migliore in assoluto. Non so se sia vero ma secondo il mio parere personale mi sembra un album decisamente buono. Il genere di Bonamassa lo conosciamo tutti, è quel rock-blues chitarristico dai notevoli contenuti tecnici perché tutto si potrà dire ma non che non sia capace di suonare la chitarra. Anzi, è sicuramente uno dei 3 o 4 migliori chitarristi attualmente in circolazione, erede di quei guitar heroes che rispondono ai nomi di Clapton, Page, Beck, Hendrix, Kossoff (oppure inserite il vostro preferito); oltre a tutto il buon Joe oltre che musicista è anche un appassionato di musica e quindi conosce molto bene l’argomento che tratta, addirittura divulgando il blues nelle scuole per i più giovani. Per gli appassionati del genere è un appuntamento sempre gradito: lo scorso anno ha unito le forze con altri musicisti per l’escursione più hard dei Black Country Communion che aveva incontrato pareri difformi (come sempre d’altronde, in questo rapporto di odio e amore verso la sua musica).

Il disco precedente in studio ( a parte il fantastico Live alla Royal Albert Hall), The Ballad of John Henry non mi aveva particolarmente entusiasmato ma questo nuovo disco mi sembra decisamente migliore. Prodotto dal solito Kevin Shirley(Aerosmith, Black Crowes, il DVD Live dei Led Zeppelin, ma anche alcune tamarrate) e registrato in giro per il mondo mi sembra molto vario e con spunti sonori interessanti.

Si parte con il blues sporco di Slow Train introdotto dal ritmo di un treno che si avvicina e con un lavoro inconsueto alla slide di Bonamassa che dice di essersi ispirato sia a Blackmore che a Ry Cooder per il suono di questo brano registrato in quel di Santorini, Grecia, sempre gran lavoro di chitarra è! Dust Bowl ha un suono molto panoramico con la chitarra di Bonamassa (un vecchio modello di Barney Kessel) che ricorda certe atmosfere alla Morricone ma anche qualche tocco di folklore fornito dal suono del baglamas (uno strumento greco simile al mandolino).

Il terzo brano è la prima sorpresa: registrato in quel di Nashville, Tennessee nel vecchio studio di Chet Atkins è una bellissima cover di Tennessee Plates di John Hiatt con l’autore che la canta con Bonamassa (molto migliorato dal punto vocale ma lui stesso, umilmente, ammette di non poter competere con simili vocalists), ottimo il supporto alla seconda chitarra solista di Vince Gill che intreccia i suoi assoli con quelli di Joe, grande brano. The Meaning Of The Blues è un vecchio standard del genere scritto da Bobby Troup che anche Miles Davis aveva nel suo repertorio e qui rifatto un po’ alla Jeff Beck. Black Lung Heartache ancora con il suono del baglamas molto prominente è un brano dall’impianto prettamente acustico che ci riporta a certe sonorità folk alla Led Zeppelin III (con tutto il rispetto) per poi esplodere in un bel assolo nella seconda parte decisamente più elettrica.

You Better Watch Yourself è un vecchio brano di Walter Jacobs reso celebre da Buddy Guy a cui si ispira questa versione, tosta e tirata, rispettosa dell’originale ma con un bel wah-wah che la rivitalizza. The Last Matador of Bayonne è uno strano slow blues melodico non dissimile da certe cose tipiche del compianto Gary Moore, con un interessante lavoro della tromba di Tony Cedras che aggiunge pathos all’atmosfera del brano. Heartbreaker non è quella dei Led Zeppelin, ma è il classico brano rock dei Free di Paul Rodgers e Paul Kossoff che qui viene omaggiato con un assolo dal suono “grasso” che riprende le tonalità del grande chitarrista inglese, Glenn Hughes dà una mano come secondo vocalist. Un brano scritto da Michael Kamen e Tim Curry (quello del Rocky Horror Picture Show) non è sicuramente una scelta comune, ma questo slow blues tirato si avvale dei notevoli talenti vocali dell’ottima Beth Hart che si aggiungono a quelli del buon Joe per questo brano dall’impianto più commerciale anche se gli assoli sono gagliardi come di consueto. Dimenticavo il titolo, No love on the street.

The Whale That Swallowed Jonas ispirata dall’episodio biblico e questa volta con un vero mandolino viene dalle sessions di Nashville anche se il sound è leggermente più duretto rispetto al brano con Hiatt. Sweet Rowena è un brano di Vince Gill che se lo suona e se lo canta con Bonamassa che fa la seconda chitarra e voce ma potrebbe benissimo essere una canzone “perduta” di B.B.King. Conclusione affidata a Prisoner che ad un primo ascolto sembra uno slow blues (e lo è, anche) ma in effetti è una cover di un brano di Barbra Streisand, non l’avrei mai detto, non male comunque come tutto l’album peraltro, confermo, poi fate voi!

Bruno Conti

For Collectors Only! Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.7

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Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol. 7 – Friday Music

La sufficienza viene concessa di stima per questo nuovo volume della serie dedicata al materiale di archivio del grande chitarrista albino texano. Johnny Winter non gode di buona salute come avrete visto dalle sue partecipazioni al Crossroads Festival di Clapton e quindi le probabilità di un nuovo disco mi paiono scarse ma qui siamo lontani dalle punte di eccellenza di quello straordinario CD pubblicato dalla Collectors’ Choice Live At Fillmore East 10/03/70 di cui vi ho parlato alcuni mesi or sono ( blast-from-the-past-sbucati-dal-passato-johnny-winter-and-po.html e che rimane uno dei documenti migliori della sua discografia. In questo volume 7 le note sono più scarne del solito e possiamo presumere che le registrazioni provengano dal periodo fine ’80 inizio ’90 visti i musicisti utilizzati Tom Compton alla batteria e Jon Paris e Jeff Ganz che si alternano al basso. Sono Bootleg e lo dice il nome stesso, quindi la qualità sonora non sempre è straordinaria ma ogni tanto si scende sotto il livello di guardia.

Le note del libretto del CD sono compilate da un fan “inaspettato”, Warren Haynes che confessa che i tre suoi chitarristi preferiti nella sua formazione musicale, i suoi guitar heroes, sono stati Clapton, Hendrix e Johnny Winter. Mentre per i primi due la cosa è abbastanza risaputa, per il terzo mi sarei giocato la camicia su Page o Duane Allman ma evidentemente mi sbagliavo. Haynes ne tesse giustamente le lodi ricordandone la straordinaria importanza in quel territorio che sta tra rock e blues, un ponte tra i due generi e uno straordinario chitarrista nonché un ottimo cantante.

Questo album contiene solo sette brani compresa una breve introduzione di 22 secondi: la cover di Don’t Take Advantage Of Me un brano di Lonnie Brooks da sola quasi vale il prezzo di ammissione, una torrenziale sequela di note in uno stile funky-rock-blues quasi hendrixiano che ci riconduce al Johnny Winter più valido e anche con una qualità sonora eccellente. Mean Mistreater lo slow blues dal repertorio di Muddy Waters è uno dei suoi classici assoluti e questa versione sarebbe molto buona se il suono non fosse molto “paludoso” forse in onore al suo autore, tipo buon bootleg ma nulla più. La lunga Blues Jam che immagino provenga dalla stessa fonte vi costringe ancora ad aguzzare le orecchie ma dopo anni di “bootleg veri” si può anche fare un sacrificio, visto che il brano è proprio quello, una lunga jam chitarristica nel corso della quale Winter esplora in su e in giù il manico della sua chitarra alla ricerca di recondite squisitezze tecniche e con spazio anche per i suoi soci di avventura. Shame, shame, shame è una onesta ripresa del classico di Jimmy Reed col tipico train sonoro di Winter mentre Kiss Tomorrow Goodbye è uno strano brano acustico di provenienza dubbia, affascinante ma assolutamente “oscuro” e dalla voce potrebbe provenire anche dal lontano passato.  Leland Mississippi Blues sarebbe anche molto bella ma qui il suono è veramente pessimo. Una curiosità mi assale, ma dove cacchio l’ha ascoltata Got To Find My Baby il buon Warren Haynes, visto che la cita nelle sue note? Forse c’era solo nella sua copia perché io nel CD non ne ho trovato traccia!

Misteri della vita! Per fan sfegatati del blues e di Winter ma speriamo meglio per eventuali nuovi capitoli.

Bruno Conti

Se Vi Capita Di Passare Da Quelle Parti! John McGale Blues Force – Live

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John McGale Blues Force Live Jcm records

Devo dire sinceramente che ignoravo l’esistenza di John McGale, un musicista canadese per molti anni leader e chitarrista di un gruppo del Quebec, tali Offenbach e poi fondatore di questo trio dei Blues Force fautore di uno stile che sta a cavallo tra il power trio e la bar band con moltissime cover nel proprio repertorio e quindi anche in questo Live registrato in quel di Longueil Oc al locale Au Diable?!?

Per curiosità sono andato a controllare in Internet. E’ un bar con biliardo di Longueil nella regione del Quebec, quindi vedete che sulla bar band non mi sono sbagliato. Questo nulla toglie alla perizia tecnica del nostro amico che suona chitarre Godin (anche queste non conoscevo) con notevole bravura e parte con disinvoltura con un’iniziale Poke Salad Annie (ma non era Polk?), in ogni caso è proprio il brano di Tony Joe White e subito il nostro amico innesta il wah-wah e delizia l’esiguo pubblico con una versione che non ha nulla da invidiare all’originale anche con qualche strana deriva di sapore quasi prog. Si prosegue con Spooky il vecchio brano (1968) dei Classics IV di Buddy Blue che erano gli antesignani della Atlanta Rhythm Section, a sorpresa John McGale si rivela anche ottimo flautista (saranno i ricordi prog) e il brano assume tonalità quasi alla Jethro Tull prima del finale chitarristico quasi southern, ottimo il bassista (molto fonky) Robby Bolduc e il preciso drummer Mike Landry, evidentemente veterani di mille battaglie.

L’aria paesana, quasi country di Six Days On The Road si stempera nelle classiche dodici battute di Rock Me Baby con la chitarra di McGale che ha proprio quel bel suono pieno dei chitarristi vissuti. L’ottima e sorprendente cover dell’evergreen Hendrixiano Red House potrebbe sorprendere più di un ascoltatore e conferma le ottime virtù vocali già palesate nei brani precedenti.

Deux Autres Bieres suona molto più esotico del nostro “Altre due birre, grazie!” ma il senso è quello e deve essere un “classico” del repertorio di McGale, purtroppo non conoscevo ma il pubblico gradisce. Ci rituffiamo in uno dei riff più classici della storia del rock per una vissuta versione della Born To Be Wild dei vecchi Steppenwolf, altra gloria della musica canadese trapiantata negli States e ci danno dentro alla grande. Per la serie la varietà non ci manca con assoluta nonchalance passiamo a una versione di Moondance del grande Van eseguita in punta di chitarra acustica con l’aggiunta di un assolo di flauto del solito McGale che nel confronto vocale con Morrison diciamo che non ne esce proprio vincitore, comunque la versione è piacevole e originale.

Ancora un paio di brani originali dal repertorio del nostro amico, una She’s A Real Cowboy con il sax di Eric Khayat che si aggiunge alle operazioni e Hard On sempre con il sax tenore in evidenza, entrambi i brani fanno precipitare vorticosamente la qualità del disco. La conclusiva Use Me dal repertorio di Bill Withers risolleva le sorti della serata e dell’album con una solida versione piena di ritmo e il solito assolo di chitarra molto valido con citazione di Smoke On The Water incorporata. Tutto molto piacevole e gradevole, se vi capita di passare per Longueil qualche sera non dimenticate di passare dal, come si chiama, “Au Diable”!

Bruno Conti

It’s Blues Time! Bernard Allison – The Otherside

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Bernard Allison – The Otherside – CC Entertainment/Jazzhaus Records

Sono parecchi anni che Bernard Allison ha idealmente raccolto il testimone del Blues dal padre Luther ma la lunga ombra del genitore continua a distendersi attraverso pubblicazioni postume (tipo il CD+DVD Live Songs From The Road di cui vi parlavo non tanti mesi orsono). Ma già prima del 1997, anno della scomparsa di Luther,  le loro carriere si erano intrecciate in vari modi e non sempre in modo favorevole a Bernard. Ultimo di nove figli aveva incominciato ad accompagnare il padre per concerti e festival blues già negli anni ’70 ereditando questa insana passione per la musica blues. Poi negli anni ’80 ha iniziato la gavetta facendo il chitarrista nella band di Koko Taylor e poi come direttore musicale nella Touring band del babbo. Il suo esordio risale al 1990 con il profetico The Next Generation e da allora ha pubblicato, tra dischi di studio e live, qualcosa come 15 dischi.

Entrambi sono molto influenzati dal sound e dallo stile di Albert Collins quindi bisogna dire che certi tratti comuni nella loro musica discendono dallo stesso ceppo. Non sempre gli album di Bernard mi hanno entusiasmato ma Keepin’ The Blues Alive del 1997 e il disco (con DVD) dal vivo Energized-Live In Europe sono esempi più che rispettabili di blues elettrico nella sua migliore accezione. Spesso influenzato anche da soul, funky e R&B questo ultimo capitolo della saga, The Otherside devo dire che non rientra tra i suoi dischi più memorabili. Forse anche la produzione di David Z. c’entra qualcosa.

Il tocco chitarristico e la voce sono sempre più che buoni: dall’iniziale strumentale Send It In, veloce e concisa ma ricca di spunti della solista di Bernard ci si aspetta di essere di fronte a un disco notevole. Ma poi già da I Wouldn’t Treat A Dog (The Way You Treated Me), si insinua quel funky-soul-blues un po’ di maniera alla Robert Cray più svogliato con il sax piuttosto risaputo di Jose Ned James che sostituisce (spesso) la chitarra pungente di Allison a favore di un sound “smooth and mellow” che non rende piena giustizia al brano di Bobby Bland! Anche la vagamente jazzata Tired Of Tryin’ non è particolarmente eccitante. E pure Simple As That si muove su traiettorie limitrofe al blues, più soul ma nella sua immediatezza e con la bella voce di Bernard in evidenza non è malaccio nonostante quel sassofono invadente e zero chitarre in vista.

The Otherside è decisamente più pimpante, con la solista in primo piano e un suono incisivo funky-blues ereditato da Collins e Luther. Slide Master, un titolo, un programma prosegue in questa serie positiva come la successiva Allison Way che illustra il sound di “famiglia”, mentre Still Rainin’ scritta e cantata dal tastierista Bruce McCabe ricade nei soliti difetti con sax e piano e iosa ma poca sostanza.

Leavin’ The Bayou, viceversa, è insinuante e vagamente voodoo nelle sue sonorità dalla Louisiana, sicuramente aiutano la voce e la chitarra dell’ospite Lonnie Brooks che attizzano il gruppo di Bernard Allison che piazza anche un assolo dei suoi in risposta a Brooks. Life Goes On è un pimpante Chicago Blues con piano e fiati che finalmente non rompono le balle (nel senso che ci sono ma usati con migliori risultati).  Fire è proprio quella di Jimi Hendrix e finalmente ci ricorda perché Bernard Allison è considerato uno dei più eccitanti performer dal vivo. Clear Vision ha il cuore nel groove blues giusto ma è un po’ moscetta mentre lo slow blues Let’s Try It Again finalmente ci regala la giusta intensità vocale e strumentale anche se un colpo di pistola al sassofonista mi sarebbe scappato ma poi Bernard Allison si fa abbondamente perdonare con l’assolo finale, intenso e scoppiettante.

Nel frattempo, sta uscendo/è uscito (dipende da quando leggerete questa recensione) un nuovo doppio CD (o DVD) dal vivo, Live At The Jazzhaus che mi sembra superiore a questo The Otherside che pure, tutto sommato, non è un disco disprezzabile per gli amanti del Blues.

Bruno Conti

Una Storia Senza Fine! Zombies – Odessey & Oracle

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Zombies – Odessey & Oracle (The Cbs Years 1967-1969) – 2CD Repertoire Records

Ma allora ditelo! Va bene che è considerato uno dei dischi più importanti della psichedelia anglo-americana di fine anni ’60, alla pari con Pet Sounds e Sgt. Pepper’s. Va bene che contiene uno dei brani di maggior successo (postumo) della storia della musica pop Time Of The Season, campionato ancora di recente dalla cantante canadese Melanie Fiona per la sua Give It To Me Right (vi sembrava familiare?).

Però sinceramente stanno cominciando a rompere le balle! Prima ristampa della Repertoire nel 2001 con 28 brani rispetto ai 12 dell’album originale. Nel 2008 in occasione del 40° anniversario ne esce una versione doppia con 30 brani ( e sopra vedete la sequenza delle copertine).

Ci sarebbe anche un DVD per il quarantennale!

In questi giorni è uscita questa ulteriore versione doppia con 37 brani: 13 brani versione originale mono + 13 brani versione originale stereo (quindi 4 in meno rispetto al CD del 2008, vi sto perdendo?) ma, attenzione, viene aggiunto un album completo inedito R.I.P. The Unreleased Album con ulteriori 11 brani e quella bellissima confezione che vedete sempre qui sopra!

E fin qui tutto bene, per quello che riguarda la discografia Repertoire. Ma siccome non mi “ciulano” più, in Inghilterra nel 1997 la Big Beat aveva pubblicato un cofanetto quadruplo degli Zombies intitolato Zombie Heaven (ce l’ho!) che comprendeva: nel CD 1 il primo album e i primi singoli, nel cd 2 Odessey & Oracle + R.I.P. (ahi ahi) e alcune alternate takes, nel CD 3 Rarities, Demos and unreleased recordings, nel CD 4 tutte le BBC recordings dal vivo.

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Quindi occhio alle fregature visto che il cofanetto, con un po’ di pazienza e ricerche si trova ancora!

Questo è quanto. Poi la confezione della Repertoire è bella, la musica pure (Colin Blunstone è stato uno dei migliori cantanti inglesi di sempre e Rod Argent uno dei migliori tastieristi) e quindi se volete potete anche farvi del male dal punto finanziario, perché ne vale le pena!

Bruno Conti

P.s Odyssey in effetti si scriverebbe con la y, fu un refuso grafico dell’epoca che è rimasto nella storia della musica!