Una Misteriosa “Strana Coppia”! Fearing And White

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Fearing and White – Lowden Proud Records

 Se la geografia avesse una sua logica, Stephen Fearing e Andy White non avrebbero mai lontanamente pensato di riuscire a fare questo lavoro. Stephen, canadese di Vancouver, nato e cresciuto a Dublino attualmente residente ad Halifax  e Andy, cantautore e poeta nato a Belfast si è trasferito con moglie e figlio da qualche anno a Melbourne, e per chiudere il cerchio la loro casa discografica è di Alberta in Ontario. I due, entrambi acclamati musicisti nell’ambito di un genere che si può definire “folk – roots – blues”, si sono incontrati una decina di anni fa al Festival di Winnipeg, e da allora è sempre stata una loro aspirazione comporre brani insieme, e dopo vari incontri “semestrali” finalmente si sono trovati in uno studio di registrazione, dividendosi per benino i compiti suonando la chitarra Stephen , il basso Andy, e supportati alla batteria e percussioni dal bravo Ray Ferrugia ( componente dei Lee Harvey Osmond e “turnista” nei dischi della grande Mary Gauthier).

E’ possibile ascoltare un tocco dei fratelli Finn in queste composizioni che non è sorprendente, ma insieme Fearing & White hanno assemblato i loro rispettivi stili e influenze per creare un “sound” onesto rinfrescante e unico. La traccia di apertura del CD Say You Will , ha una atmosfera frivola stile TravelingWilburys che è immediatamente attraente, seguita da una canzone d’amore quale Let love be your direction eseguita alla grande dalla coppia. Si prosegue con il “groove” di Mothership, e da due ballate prettamente acustiche quali What we know now eYou can’t count on anybody any more.

 Con Under the Silver sky si cambia registro, quando il ritmo del brano si alza con la batteria che detta il tempo, per tornare alla ballata confidenziale Dream Maker una delle perle del CD, che si adatta perfettamente al tessuto sonoro del lavoro. Heaven for lonely man mette in risalto le armonie vocali del duo, mentre Faithful Heart cantata prevalentemente dalla voce sognante di Stephen rimanda ai ricordi più dolci dell’infanzia, e a quelli immancabili dell’amore.

October Lies disegna una perfetta giornata autunnale, Heart o’ the morning sembra uscita dai primi e migliori album di Andy White, e il disco si conclude con altre due ballate If I catch you crying e Rockwood dalle cadenze ammalianti. In conclusione un lavoro da centellinare, cercare (perché il CD è uscito solo In Canada e non si trova con facilità) e infine da gustare, ascolto dopo ascolto, scoprendo ognivolta nuove sensazioni, musica non noiosa, mai sopra le righe, in ogni caso significativa, in attesa del nuovo Blackie and The Rodeo Kings!

 Tino Montanari

 

Come Un Fulmine A Ciel Sereno. Niente Sara’ Piu’ Come Prima. Addio “Big Man” Clarence Clemons 11/01/1942- 18-06-2011

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Alla fine non ce l’ha fatta! Non è “riuscito” a regalare l’ultimo assolo al suo amico Bruce. Clarence Clemons è morto per le conseguenze dell’ictus che lo aveva colpito il 12 giugno scorso nonostante i segnali favorevoli che avevano fatto sperare in una ripresa.

Se è stato possibile sostituire Danny Federici e prima ancora Miami Steve Van Zandt, il “Big Man” era unico ed irripetibile nell’economia della E Street Band e quindi nulla sarà più come prima. Bruce Springsteen potrà continuare a regalarci della musica meravigliosa ma finisce un’era.

Dispiace che l’ultima apparizione di Clarence sia stata alla finale di American Idol con Lady Gaga nel cui disco aveva suonato in un paio di brani ma questa è la vita e non sempre le scelte del nostro quando non era guidato dall’amico Bruce sono state felici.

Comunque grazie per tutto: dal primo Greetings From Asbury Park N.J al concerto dell’11 aprile del 1981 a Zurigo alle ultime esibizioni dal vivo (memorabile il London Calling Hard Rock Festival di Londra del 2009 che aveva “quasi” fatto rivivere i fasti della vecchia band) Clarence Clemons mi ha accompagnato in quasi quaranta anni di grande musica! E quindi per l’ultima volta…

Riposa in pace!

Bruno Conti

Questo Uomo Suona! Jimmy Thackery and The Drivers – Feel The Heat

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Jimmy Thackery and The Drivers – Feel The Heat – White River Records  

Direi che già la copertina una “ideuzza” sul contenuto del disco ce la dà, comunque per chi non conosce, dopo il Live In Detroit, uno dei migliori dischi della sua pluridecennale carriera, Jimmy Thackery va sempre più underground e indipendente con questo Feel The Heat pubblicato da una piccola etichetta di scarsa reperibilità e il risultato finale non mi convince del tutto (ma averne comunque di dischi così, è solo che si diventa sempre più esigenti).  

Ho recensito parecchi album di Thackery negli ultimi anni e dai gloriosi giorni dei Nighthawks spesso ha saputo cavare dal cilindro delle prove di grande spessore, dall’accoppiata con Tab Benoit di Whiskey Store in studio e dal vivo passando per il fantastico tributo alla musica di Eddie Hinton con We Got It o un altro Live come Wild Night Out. Ma più o meno tutti i suoi dischi danno sempre grandi soddisfazioni agli appassionati della 6 corde, un po’ meno a chi ama anche le corde vocali ovvero le grandi voci.

Ma anche anche in questo CD, la quota chitarristica compensa abbondantemente per eventuali deficit vocali. Si tratti della lunga improvvisazione quasi ferale, alla Gov’t Mule, della poderosa Blind Man In the Night con la chitarra che viene rivoltata come un calzino da Thackery per estrarci sino all’ultima goccia di solismo o il tour de force quasi hendrixiano del fantastico surf-rockabilly-blues spaziale e strumentale di Hang Up and Drive dove chitarra e ritmi (s)corrono velocissimi. Ma anche nella cover morbida e un po’ blasé della Please Accept My Love di BB King che ultimamente va come il pane visto che l’ha ripresa anche Greg Allman nell’ultimo Low Country Blues, quello che si perde eventualmente nella parte vocale viene ripagato in un corposo e classico assolo della chitarra di Thackery.

Anche Take My Blues parte lenta e quasi acustica poi il buon Jimmy comincia a strapazzare la sua chitarra con voluttà e riporta il sorriso sul volto dell’ascoltatore (quella faccia da pirla da air guitar che ti viene quando ascolti degli assoli di questo livello)! Anche il morbido brano strumentale Bluphoria che tanto ricorda il sound della Albatross dei Fleetwood Mac di Peter Green contribuisce alla varietà di stili e “colori” chitarristici che percorrono questo Feel The Heat.

I’ll Be Your Driver è un bel rock-blues corposo che ricorda il Clapton d’annata o i migliori Nighthawks con la solita chitarra esplosiva mentre Bomb The Moon sono meno di tre minuti strumentali tra La bamba e un surf scatenato e lui suona sempre alla grande.

Come confermano I’m Gone e Wannabe altri ottimi esempi di rock-blues da manuale del perfetto chitarrista. La conclusione è affidata a una bellissima ballata tra country, soul, Mark Knopfler e Ry Cooder cantata alla grande da Ernie Cate quello che l’ha anche scritta insieme a Jimmy Thackery, Fading heart e qui si sente che c’è anche un ottimo cantante, esatto quello dei Cate Bros che già cantava nel tributo a Eddie Hinton; le armonie vocali di Reba Russell contribuiscono al fascino di questo brano e sapete cosa vi dico? Ascoltandolo un’ultima volta mentre scrivo queste righe mi devo ricredere, mi sa che ha ragione Thackery e ancora una volta alla fine ci regala un ottimo disco con più luci (tante) che ombre (poche). Quando ci vuole, ci vuole, per cui giudizio più che positivo!

Bruno Conti  

Novità Di Giugno Parte II. Black Country Communion, Dave Alvin, Pat Metheny, Bon Iver, Richard Thompson, Neil Young

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Torniamo alle liste delle uscite settimanali. Ho saltato un appuntamento, recupero oggi. Quindi alcuni titoli già usciti il 14 giugno, altri sono in uscita il 21 giugno. Cominciamo con Neil Young A Treasure di cui vi avevo già parlato lo so, ma volevo aggiornarvi sul contenuto dell’edizione speciale CD+ Blu-Ray (sapete che il vecchio Neil è “strano”). Praticamente visto che non si trovavano informazioni chiare sul contenuto del Blu-Ray prima dell’uscita, uno doveva prenderlo sulla fiducia e poi solo sullo stickerino del dischetto finalmente trovare le bramate indicazioni: quindi contiene, alla lettera, “bootleg bonus footage of 4 songs”, commento video dei brani e una intervista del 1984 per un totale di 53 minuti. Alla faccia della super qualità sonora, quattro tracce pirata del periodo.

Il nuovo Pat Metheny si chiama What’s It All About è uscito il 14 giugno negli States e uscirà il 21 per la Nonesuch Warner in Europa. Si tratta di un album acustico, dove per la prima volta in 40 anni di carriera rivisita alcuni brani celebri della musica internazionale, da And I Love Her dei Beatles a The Sound of Silence passando per Alfie, Garota De Ipanema e altri 6 brani. Molto bello peraltro!

Come ho già detto varie volte nel passato, Joe Bonamassa uno ne pensa e cento ne fa. Non sono passati nemmeno tre mesi dall’uscita di Dust Bowl che già esce Black Country Communion 2, nuova prova del gruppo che condivide con Glenn Hughes, Jason Bonham e Dave Sherinian. Etichetta Mascot, uscita il 14 giugno. Ne esiste una prima tiratura limitata con stesso contenuto, 11 brani di sano hard-rock-blues di qualità, ma libretto deluxe e copertina gatefold apribile. D’altronde il tour europeo è con questo gruppo e il 28 giugno sarà a Vigevano in una serata anche con la band di John Mayall. Se siete  più ricchi l’8 luglio sarà alla Royal Albert Hall di Londra in una serata anche con Rick Wakeman e i Deep Purple.

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Nuovo album per Dave Alvin, Eleven Eleven, esce il 21 giugno per la Yep Rock. Dopo l’ottimo album con le Guilty Women del 2009, Alvin raduna un piccolo manipolo di prodi tra cui il fratello Phil Alvin con cui duetta per la prima volta su disco. Tra i brani di cui si parla molto bene: Run Conejo Run con un ritmo alla Bo Diddley, la ballata romantica No Worries Mija e Harlan County Line un brano che appare nella serie televisiva Justified dove Alvin appare in un cameo come sè stesso cantando il brano. Inutile dire che la settimana prossima si provvede alla recensione.

Il primo album di Bon Iver For Emma Forever Ago era stata una piccola sensazione nel mondo discografico con ottime recensioni e questa “leggenda” romantica (peraltro vera) di essere stato registrato in una piccola casetta nel nulla dopo una delusione amorosa. Il nuovo Bon Iver Bon Iver esce  il 21 giugno sempre per la 4AD ed elabora quei temi musicali allargando, un poco ma non troppo, le sonorità sobrie del primo album.

Sapete che Richard Thompson è uno dei miei musicisti preferiti in assoluto e quindi l’uscita di questo cofanetto quadruplo è particolarmente attesa, almeno a casa mia. Si tratta di un box 3 CD e 1 DVD con le le registrazioni d’archivio di oltre trent’anni di carriera. Live At the BBC esce il 21 giugno per la Island/Universal e contiene 80 brani tra audio e video anche tratti dal periodo con Linda Thompson.

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Una lista accurata mi sembra il minimo, visto che chi qui c’è da godere ripetutamente, per gli amanti ovviamente:

Disc 1: Richard and Linda Thompson

  1. The Little Beggar Girl (John Peel Session – 1/1/1973)
  2. Dragging the River (John Peel Session – 1/1/1973)
  3. The Great Valerio (John Peel Session – 1/1/1973)
  4. The Neasden Hornpipe/The Avebury Particle Accelerator/The Flowing Tide (John Peel Session – 1/1/1973)
  5. I Want to See the Bright Lights Tonight (BBC Session – 1/24/1974)
  6. Hokey Pokey (John Peel Session – 2/11/1975)
  7. Georgie on a Spree (John Peel Session – 2/11/1975)
  8. I’ll Regret It All in the Morning (John Peel Session – 2/11/1975)
  9. A Heart Needs a Home (John Peel Session – 2/11/1975)
  10. Wishing (John Peel Session – 2/11/1975)
  11. I’m Turning Off a Memory (John Peel Session – 2/11/1975)
  12. A Man in Need (Live @ The Paris Theatre, London – 5/22/1982)
  13. Withered and Died (Live @ The Paris Theatre, London – 5/22/1982)
  14. New Fangled Flogging Reel/Kerry Reel (Live @ The Paris Theatre, London – 5/22/1982)
  15. Shoot Out the Lights (Live @ The Paris Theatre, London – 5/22/1982)
  16. It’s Just the Motion (Live @ The Paris Theatre, London – 5/22/1982)
  17. Back Street Slide (Live @ The Paris Theatre, London – 5/22/1982)
  18. Night Comes In (Live @ The Paris Theatre, London – 5/22/1982)
  19. Dimming of the Day (Folk on Two – 1982)
  20. Modern Woman (Folk on Two – 1982)

Disc 2

  1. She Twists the Knife Again (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  2. You Don’t Say (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  3. When The Spell is Broken (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  4. The Angels Took My Racehorse Away (Live @ Hammersmith Palais, London – 11/20/1986)
  5. Valerie (Live @ Hammersmith Palais, London – 11/20/1986)
  6. Jennie (Live At The Hammersmith Palais, 20/11/1986)
  7. You Don’t Say (Live @ Hammersmith Palais, London – 11/20/1986)
  8. Fire in the Engine Room (Live @ Hammersmith Palais, London – 11/20/1986)
  9. Wall of Death (Live @ Hammersmith Palais, London – 11/20/1986)
  10. Nearly in Love (Live @ Hammersmith Palais, London – 11/20/1986)
  11. Valerie (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1987)
  12. When the Spell is Broken (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  13. Two Left Feet (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  14. Turning of the Tide (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  15. Simple Again (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  16. Ghosts in the Wind (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  17. Shoot Out the Lights (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  18. She Twists the Knife Again (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  19. Withered and Died (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)
  20. The End of the Rainbow (Recorded for Andy Kershaw – 7/1/1985)

Disc 3

  1. Gethsemane (Recorded for Andy Kershaw – 9/28/2001)
  2. The Outside of the Inside (Recorded for Andy Kershaw – 9/28/2001)
  3. Wall of Death (Recorded for Andy Kershaw – 9/28/2001)
  4. Word Unspoken Sight Unseen (Recorded for Andy Kershaw – 4/25/2003)
  5. Kidzz (Recorded for Andy Kershaw – 4/25/2003)
  6. Did She Jump or Was She Pushed (Recorded for Andy Kershaw – 4/25/2003)
  7. The End of the Rainbow (Recorded for Andy Kershaw – 4/25/2003)
  8. One Door Opens (Recorded for Evening Sequence – 5/18/2004)
  9. The Outside of the Inside (Recorded for Evening Sequence – 5/18/2004)
  10. Let It Blow (Recorded for Tom Robinson On 6 Music  7/27/2005)
  11. Old Thames Side (Recorded for Tom Robinson On 6 Music  7/27/2005)
  12. Dad’s Gonna Kill Me (Recorded for Tom Robinson On 6 Music  7/27/2007)
  13. Down Where the Drunkards Roll (Recorded for Tom Robinson On 6 Music  7/27/2007)
  14. I Want to See the Bright Lights Tonight (Recorded for Tom Robinson On 6 Music  7/27/2007)
  15. Needle and Thread (Recorded for Tom Robinson On 6 Music  7/27/2007)
  16. So Ben Mi Ca Bon Tempo (Recorded for Bob Harris  12/27/2008)
  17. A Hunting the Wren (Recorded for Bob Harris  12/27/2008)
  18. See My Friends (Recorded for Bob Harris  12/27/2008)
  19. Time’s Gonna Break You (Recorded for Hub Sessions   1/9/2009)
  20. William Brown (Recorded for Hub Sessions   1/9/2009)
  21. Meet on the Ledge (Recorded for Hub Sessions   1/9/2009)

Disc 4: DVD

  1. Jet Plane in a Rocking Chair (The Old Grey Whistle Test  3/7/1975)
  2. A Heart Needs a Home (The Old Grey Whistle Test  3/7/1975)
  3. Night Comes In (A Little Night Music  8/19/1981)
  4. I’m a Dreamer (A Little Night Music  8/19/1981)
  5. I Want to See the Bright Lights Tonight (A Little Night Music  8/19/1981)
  6. Shoot Out the Lights (A Little Night Music  8/19/1981)
  7. You’re Going to Need Somebody (A Little Night Music  8/19/1981)
  8. Dargai (A Little Night Music  8/19/1981)
  9. Dimming of the Day (A Little Night Music  8/19/1981)
  10. Pavanne (Jake Thackery and Songs – 1/6/1981)
  11. Just the Motion (Jake Thackery and Songs – 1/6/1981)
  12. Fire in the Engine Room (Recorded Live for Late Night In Concert – 8/13/1985)
  13. She Twists the Knife Again (Recorded Live for Late Night In Concert – 8/13/1985)
  14. Wall of Death (Recorded Live for Late Night In Concert – 8/13/1985)
  15. When the Spell is Broken (Recorded Live for Late Night In Concert – 8/13/1985)
  16. Did She Jump or Was She Pushed (Recorded Live for Late Night In Concert – 8/13/1985)
  17. Wrong Heartbeat (Recorded Live for Late Night In Concert – 8/13/1985)
  18. Tear Stained Letter (Recorded Live for Late Night In Concert – 8/13/1985)
  19. She Twists the Knife Again (The Old Grey Whistle Test – 5/7/1985)
Disc 1, Tracks 9-11 previously released on CD reissue of Richard and Linda Thompson’s Hokey Pokey (Island IMCD 305 (U.K.), 2004)
All other tracks previously unreleased
Per oggi direi che può bastare, nei prossimi giorni il seguito dell’uscite.
Bruno Conti

Un Altro “Grande” Giovane Bluesman Da Manchester! Matt Schofield – Anything But Time

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 Matt Schofield –  Anything But Time – Nugene Records

Il disco precedente di Matt Schofield Heads Tail And Aces ha ben figurato in molte polls di fine anno, miglior disco Blues, miglior chitarrista, anche la rivista Mojo l’aveva segnalato tra i 5 migliori CD Blues dell’anno.

Questo nuovo Anything But Time mi sembra anche meglio. Prodotto dal grande John Porter (uno che di dischi blues se ne intende) in quel di New Orleans ritorna al formato trio, chitarra, organo, batteria, senza bassista ma con Johnny Henderson che provvede alla bisogna con i pedali dell’organo.

Schofield, inglese di Manchester fa parte di quella NWOBB (New Wave Of British Blues) che sta rinvigorendo un settore che aveva stagnato per un certo periodo. Ian Siegal di cui è uscito di recente l’ottimo The Skinny, di cui Schofield aveva prodotto i tre album precedenti, Aynsley Lister, di cui vi ho parlato in varie occasioni, Oli Brown, Danny Bryant, Simon McBride tanto per ricordare i primi che mi sono venuti in mente ma ce ne sono altri. Che fanno da contraltare ai vari Kenny Wayne Sheperd, Bonamassa, Derek Trucks, John Mayer, Johnny Lang, la lista è lunga, che operano in America. Insomma la scena rock-blues è fresca e pimpante e questo album non fa altro che confermarlo. Si tratta del suo quarto disco di studio, più i due live iniziali che avevano fatto seguito ad un lungo apprendistato come chitarrista nella band di Dana Gillespie.

Insomma Schofield la sua gavetta l’ha fatta e se all’inizio veniva spesso inserito tra gli artisti jazz il suo genere è decisamente Blues. Raffinato, con molti punti in comune con Robben Ford, a cui spesso viene avvicinato ma anche allo stile di chitarristi come Ronnie Earl o Duke Robillard, insomma quelli molto tecnici e raffinati. Ed è anche veramente bravo, molto vario e in possesso di una tecnica che gli consente un continuo passaggio tra ritmica e solista per ovviare alla mancanza, peraltro voluta, del bassista. Il nuovo batterista è Kevin Hayes che ha suonato per 18 anni nel gruppo di Robert Cray e l’ospite di riguardo è Jon Cleary, un residente di New Orleans.

Come Ford, Bonamassa, Lister e altri, Schofield non è un fulmine di guerra come cantante ma è più che adeguato e disco dopo disco sta migliorando aumentando sempre più il numero dei brani cantati rispetto agli strumentali, questa volta “l’en plein”.

E’ anche un buon autore come dimostrano gli otto brani originali (firmati con la partner Dorothy Whittick) a fronte di due sole cover, inconsuete: la prima è un brano di Steve Winwood At Times We Do Forget, un brano recente tratto da Nine Lives che ce l’ha proprio stampato in fronte, Winwood Winwood Winwood, inconfondibile in quel blue-eyed soul piacevole del grande musicista inglese. L’altro brano, molto più consistente, è una cover di Where Do I Have To Stand di Albert King uno slow blues che permette lo strike (brani di Freddie e BB King già fatti nei dischi precedenti), la chitarra scorre fluida, torrenziale e melliflua in uno stile molto vicino a quello del già citato Robben Ford. In questo disco, in un brano, Dreaming Of You Schofield si avvicina per la prima volta anche alle sonorità ritmiche e soliste di Jimi Hendrix, una influenza musicale mai accostata in passato e in questo caso “omaggiata” con gusto e bravura tecnica (perché bravo il “ragazzo” è bravo)!

Il New Orleans Sound trova terreno fertile nella ritmata One Look (And I’m Hooked) con il Wurlitzer e il clavinet di Jon Cleary che “fiancheggiano” la chitarrina funky insinuante di Schofield e l’organo di Henderson. Oltre che nella già citata cover di Winwood il piano di Jon Cleary è presente anche nell’ottimo slow blues See Me Through con la chitarra di Schofield che mi ha ricordato molto il miglior Ronnie Earl (e anche il Santana meno latineggiante). L’iniziale Anything But Time è un omaggio al sound Stax di Booker T and The Mg’s con organo e chitarra a fare le parti che furono di Cropper e Jones.

Anche Where Do I have to stand vira verso il blues classico o organ power trio come lui stesso lo definisce mentre Shipwrecked è più ritmato e funky con il solito interplay micidiale tra l’organo e la chitarra fiammeggiante di Schofield.

Mancano la Claptoniana Wrapped Up In Love e la conclusiva Share Our Smile Again che si spinge in territori più leggeri, quasi pop, alla Lang o John Mayer e diminuisce l’impatto complessivo dell’album che rimane comunque ottimo e abbondante. Per chi ama la chitarra e il blues solido contemporaneo di gran classe e tecnica.        

Bruno Conti

Ma Allora E’ Un Vizio Quelle Dello Crociere! Tommy Castro Presents The Legendary Rhythm And Blues Revue Live

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 Tommy Castro Presents The Legendary Rhythm And Blues Revue Live! Alligator Records

Ormai la crociera è diventata un veicolo imprescindibile per il bluesman che si rispetti per portare in giro il proprio spettacolo, Joe Louis Walker e Elvin Bishop in tempi recenti l’hanno testimoniato discograficamente. Ma se girate per YouTube vi capiterà di imbattervi in decine di filmati di artisti non solo blues che approfittano di queste occasioni conviviali e rilassate per incontri ravvicinati con altri colleghi, jam improvvisate e quant’altro per la gioia degli spettatori.

Nel Blues questa consuetudine allo “scambio” risale molto indietro nel tempo, penso alle serate di John Hammond Sr. con i suoi artisti alla Carnegie Hall ma anche agli spettacoli di Johnny Otis o alla revue di Ike & Tina Turner tanto per citarne qualcuna. Questo CD in effetti mescola le due cose: ci sono brani registrati nella Sea Cruise ma anche altri di questo spettacolo itinerante registrati sulla terraferma. Il tratto che li unisce è Tommy Castro o meglio la sua band che fa da collante per tutto lo show: perché a ben vedere non si tratta di un nuovo disco dello stesso Castro, che appare in tre brani come chitarrista e tre se li canta e se li suona, oh come li suona! Su un totale di undici. Il disco è comunque un superbo esempio di blues contemporaneo come collocazione temporale ma senza tempo per i contenuti.

Un paio di anni fa avevo segnalato con entusiasmo sul Busca l’ultimo CD di Castro Hard believer (il primo per la Alligator) come un perfetto esempio di blues(rock) con fiati ovvero pieno di soul e R&B. Il nostro amico ci ha preso gusto e anche in questo caso la sua band spesso, ma non sempre, si avvale di una piccola sezione fiati (in effetti due, il sax di Keith Crossan e la tromba di Tom Poole). Nei primi due brani succede: Wake Up Call è una apertura fulminante, con la band che pompa i ritmi alla grande e la voce e la chitarra del leader che si destreggiano in modo impressionante tra le pieghe del blues più sanguigno. La versione dal vivo di Gotta Serve Somebody di Bob Dylan che già appariva nell’ultimo disco di studio qui viene elevata all’ennesima potenza, quasi a diventare una risposta alla All Along The Watchtower di Hendrix. Quello che era un gospel emozionante nella versione di Dylan diventa una esplosione di pura potenza chitarristica con la solista di Tommy Castro che estrae stilettate lancinanti dalle sue corde e il ritmo del brano si fa quasi parossistico in questa rilettura che potrebbe divenire di riferimento per gli anni a venire, anche se “i tempi sono cambiati”, in tutti i sensi.

A questo punto sale sul palco Michael Burks che è un “omone” con la voce di Muddy Waters e la chitarra di Albert King e ci delizia con una lunga ed intensissima versione di Voodoo Spell. A seguire un altro dei migliori rappresentanti del Blues “moderno”, quel Joe Louis Walker che ultimamente non sbaglia un disco e la sua versione di It’s a shame presente in questo live lo testimonia, grande chitarra e grande voce. Monica Parker o meglio Sista Monica Parker è una ottima vocalist nera e la sua Never Say Never con la chitarra di Castro in evidenza è gagliarda ma ha qualcosa in meno di chi l’ha preceduta finora. Rick Estrin, voce e armonica con il suo chitarrista Chris “Kid” Andersen, anche loro ottimi musicisti, bella versione di My Next Ex-Wife ma anche qui manca quel quid inesplicabile.

Che è presente nel DNA della famiglia Schnebelen, ovvero i Trampled Under Foot la band di fratelli di Kansas City di cui recentemente vi ho magnificato le gesta, la bellissima voce di Danielle e la chitarra scintillante di Nick lo testimoniano in una notevole versione di Fog. Painkiller è uno dei cavalli di battaglia del repertorio di Tommy Castro e questa ripresa live con fiati è micidiale. Castro, nelle migliori tradizioni delle revue, rimane sul palco anche per la successiva Think che ci introduce alle grandi doti vocali di una delle migliori cantanti bianche di blues attualmente in circolazione Janiva Magness.

Theodis Ealey è un cantante e chitarrista non famosissimo, ma molto bravo, di stampo soul e la sua This Time I Know è raffinata e calda come si conviene. Anche Debbie Davies è una nostra “vecchia” conoscenza e nel suo spazio con All I found dà libero sfogo a tutta la sua tecnica chitarristica per un assolo che è una piccola meraviglia. La conclusione è affidata a un classico di Percy Mayfield (che molti però attribuiscono a John Lee Hooker che l’ha resa imperitura), Serves Me Right To Suffer che è ancora una occasione per gustare la maturità vocale e chitarristica raggiunta da Tommy Castro nei suoi concerti, intenso e misurato al tempo stesso.

Grande disco di Blues dal vivo, per sintetizzare!                  

Bruno Conti

Un Bel Doppio Live – Bruce Hornsby and The Noisemakers – Bride Of The Noisemakers

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Bruce Hornsby And The Noisemakers – Bride Of the Noisemakers – 2CD – 429 Records

Per iniziare lasciatemi dire che una copertina così brutta l’ho vista raramente, forse è l’unica cosa negativa di questo doppio CD dal vivo. Bruce Hornsby nel suo sito dice che J.T. Thomas, il suo tastierista e J.V Collier, il bassista “non li avete mai visti così”, ma ne potevamo fare anche a meno.

Invece la musica è ottima e abbondante: oltre due ore e mezza di pura Noisemakers Music. Quella curiosa e riuscita miscela di rock, country, classica, folk, bluegrass, jazz, soul, blues (ho dimenticato qualcosa?) e tanta improvvisazione in stile jam band. D’altronde se questo signore ha condiviso l’ultima parte della carriera di Jerry Garcia nei Grateful Dead un motivo ci sarà stato. Pianista sopraffino, ottimo cantante, autore prolifico e di qualità (anche se il suo unico hit l’ha “pescato” con la sua prima canzone The Way It Is, ma nessuno è perfetto), questo doppio dal vivo esce a 11 anni dal precedente Here Come The Noisemakers che aveva inaugurato la terza fase della sua carriera, dopo gli anni con i Range, la carriera in solitaria, quel disco dal vivo presentava questo formidabile gruppo di musicisti che Hornsby aveva scovato in giro per gli States.

Nello scorso decennio il buon Bruce ha dato libero spazio alla sua creatività, in un trio jazz, in coppia con Ricky Skaggs, escursioni “classiche”, ha pubblicato un bel box retrospettivo ma il cuore delle operazioni sono stati i tre dischi in studio con il gruppo, l’ultimo dei quali Levitate uscito nel 2009, che vedeva tra gli ospiti Clapton, il paroliere dei Dead Robert Hunter, i due figli e il nipote, ma non era un disco riuscitissimo, troppo poco lo spazio riservato agli assoli del piano di Hornsby che sono sempre stati un tratto caratteristico della sua musica.

Questo doppio CD (tra l’altro registrato nel 2007, 2008 e 2009, quindi prima o in contemporanea con l’album di studio) ripaga abbondantemente fedelissimi ed avventizi che si avvicinano: si tratta di una sequenza di 25 brani, lunghi, corti, lunghissimi, in forma di medley o solo brevi accenni dove l’arte dell’improvvisazione regna sovrana ma tra un assolo e l’altro, e ce ne sono una infinità, le canzoni non mancano, e la melodia spesso regna sovrana, con quella firma inconfondibile che miscela il suono vagamente country e weastcostiano degli hits (che non ci sono), con il Billy Joel più ispirato e la “ricerca” sonora più sfrenata (anche Weber, Elliot Carter, Ives e Samuel Barber ricevono il trattamento Hornsby). Non mancano gli amori giovanili come nel bel medley tra la “sua” Fortunate Son e Comfortably Numb del duo Gilmour-Waters che perversamente si conclude con l’assolo di chitarra del brano originale e non quello dei Pink Floyd. 

Ogni tanto si va un po’ troppo sul cervellotico e sull’improvvisazione fine a sé stessa, non tutti i brani sono memorabili ma quando il gruppo “acchiappa” un groove, i solisti, l’ottimo Doug Derryberry alle chitarre e mandolino, Bobby Read ai fiati, il tastierista JT Thomas e lo stesso Hornsby, sono in grado di improvvisare assoli e tessiture sonore di grande varietà, la sezione ritmica con il bassista JV Collier che si prende i suoi “solo” e il batterista Sonny Emory ancòra il suono con grande precisione. In definitiva un gran bel disco nella tradizione dei grandi doppi dal vivo. La conclusiva Standing On The Moon/Halcyon Days suggella il tutto con una versione sontuosa che presenta l’ultima apparizione alla chitarra del nipote R.S. Hornsby che sarebbe poi scomparso in un incidente automobilistico nel gennaio del 2009.

Non sto a ricordarvi i titoli di tutti i brani ma se amate la musica di Hornsby vi assicuro che qui ce n’è tanta e di buona qualità e se non lo conoscete potrebbe essere l’occasione buona. Oltre a tutto, anche se import e quindi non facilmente reperibile il disco è a prezzo speciale e costa come un singolo.

Bruno Conti

A Volte Ritornano (Come Ai Vecchi Tempi)! Silos – Florizona

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Silos – Florizona – Blue Rose 20-06-2011

Ci sono quei gruppi (e solisti) a cui ti affezioni e continui a seguire, magari anche distrattamente, per sentito dire “Hai visto è uscito il nuovo disco dei Silos!” e tu annuisci, lo compri pure, per abitudine e poi lo ascolti una volta e lo accantoni, perché comunque i vecchi amici, quelli che ti hanno regalato qualche emozione in passato non li puoi mai abbandonare del tutto. Ti appassioni anche alle loro storie, come quella di Walter Salas-Humara, figlio di emigrati cubani, che studia e poi cresce in Florida, da adolescente si innamora del rock dei Mudcrutch (che vengono da quella zona, la prima band di Tom Petty) e poi si trasferisce a metà anni ’80 in quel di New York dove si avvicina alla musica dei Velvet Underground e al punk (americano) ma anche a Jonathan Richman. La prima musica che produce, quella che culmina con il secondo album Cuba (ancora in compagnia del primo pard Walter Rupe) ha molti elementi roots ma anche analogie con il movimento Paisley di Green On Red, Dream Syndicate ed altri. La voce si sparge e la band viene messa sotto contratto da una major, la RCA che pubblica il loro album omonimo (quello con l’uccello, inteso come volatile, in copertina) e prontamente li molla. Un copione già visto mille volte, ma Walter Salas-Humara si divide da Rupe e mantiene il nome della band e tra molti cambi di formazione e dischi solisti, oltre alla parentesi dei Vulgar Boatmen si arriva quasi ai giorni nostri. Perché uno “dice dice” ma poi segue sempre, è quasi una dipendenza.

La molla che fa scattare l’orgoglio è la scomparsa di Drew Glackin, musicista con cui aveva condiviso tutti gli anni ’00 fino al 2008. Dopo questo fatto luttuoso si chiude in studio con il fedele batterista Konrad Meissner, assembla un nuovo gruppo con forze fresche, a partire dal bassista e multistrumentista Rod Hohl che cura anche la produzione, un nuovo chitarrista Jason Victor e un tastierista Bruce Martin. Con questa formazione allargata a molti amici, la cosiddetta Silos Family, viene realizzato questo Florizona che lo riporta ai fasti del passato. Si dice spesso, ma credeteci, vi garantisco che è vero: dal jingle-jangle psichedelico e rootsy dell’iniziale Coming From The Grave con la seconda voce dell’ospite femminile Amy Allison che si amalgama alla perfezione con quella di Salas e ricrea un sound che mi ha ricordato i primi BoDeans (i primi, perchè sono sempre quelli migliori) con le chitarre di Walter e Jason Victor a disegnare florilegi sonori su un discreto tappeto di tastiere e con una sezione ritmica molto presente e variegata (anche se il suono della batteria creato dal produttore Hohl non mi fa impazzire). L’effetto ricorda anche molto Dylan o meglio Roger McGuinn, con quel tocco di raucedine aggiunta nella voce, che fa figo, come viene ribadito nella successiva On Your Way Home, un intenso brano cantato con grande trasporto e con una melodia che ti si insinua nel cuore e le chitarre che accompagnano maestosamente l’andatura della canzone, una grande rock ballad.

Quando i ritmi accelerano e le chitarre si fanno più taglienti come nell’eccellente White Vinyl sembra quasi di ascoltare i Dream Syndicate o l’ultimo Steve Wynn solista, quello di Northern Aggression. Poi ti si accende una lucina nel cervello, Jason Victor, questo nome non mi è nuovo, ma certo è il chitarrista dei Miracle 3, ed è proprio bravo e aggiunge grinta e una tavolozza di coloriture chitarristiche che rendono questo disco così vario e piacevole. Gravity l’avrebbe potuta scrivere e cantare Ian Hunter, una voce vissuta e partecipe che galleggia su un ritmo lento e preciso ma con una chitarra acida sullo sfondo che rende il tutto più incisivo.

Il vecchio rock californiano del revival Paisley degli anni ’80 rivive nella grinta di Teenage Prayer che ricorda anche certe cose di Alejandro Escovedo o Dan Stuart, tutta musica buona comunque e le chitarre urlano e strepitano come dovrebbe essere nella migliore musica rock ma sono anche “educate” ed acustiche in altri momenti del brano, in un giusto equilibrio.

Mandolino e dobro si aggiungono ai ritmi saltellanti di Hold You In My Arms, anche la voce della Allison si aggiunge, come tappeti di chitarre, organo, tanti strumenti per un suono pieno e ricercato che maschera una melodia meno incisiva di altre che l’hanno preceduta. Getting Trashed è un brano rock quasi antemico, alla Gaslight Anthem, con un ritornello che invita al pugnetto alzato e alla partecipazione ai cori mentre le chitarre impazzano alla grande come di consueto, proprio un bel sound (anche se la batteria…). Election Day è un’altra di quelle ballatone semiacustiche, notturne, di grande effetto, con un maestoso mellotron suonato da Sam Bisbee, coautore con Walter Salas-Humara di questo e altri brani nell’album. Never Lost The Sunshine sembrerebbe (e lo è) una canzoncina leggera leggera tra country, bar band music e R&R ma quando le chitarre nella parte finale partono per la tangente non puoi fare a meno di godere come un riccio, come Jason & The Scorchers ai tempi d’oro.

Se si dice, ci sarà un motivo, “Last but not least”, The Ring Of Trees è “semplicemente” un’altra bella canzone con un crescendo irresistibile che ci riporta ai tempi andati quando i Silos erano una delle migliori band in circolazione e inaspettatamente sono tornati ad esserlo, almeno per questo Florizona. E io a un disco così quasi quasi 3 stellette e mezzo gliele darei, anche se il suono della batteria…va beh!

Bruno Conti

Jam Bands Che Passione! Tea Leaf Green – Radio Tragedy!

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Tea Leaf Green – Radio Tragedy! – Greenhouse/Surfdog Records

“Le Jam band sono gruppi musicali le cui esibizioni dal vivo ricalcano una cultura di musica “improvvisata” avuta origine negli anni 60 con il gruppo dei Grateful Dead e che continua ancora oggi con gruppi come Phish, String Cheese Incident, Leftover Salmon ed altri. Le “performance” di questi gruppi offrono un’estesa improvvisazione musicale, estensioni ritmiche e sequenze di accordi sempre variabili che spesso varcano diversi generi musicali.”

Così, testuale, riporta Wikipedia alla voce Jam Band. A parte l’italiano stentato si può sottoscrivere tutto. E aggiungere che i Tea Leaf Green, da San Francisco, California, sono tra i più rappresentativi del genere oltre che tra i più prolifici, con sette album in studio, compreso questo Radio Tragedy, e più o meno altrettanti dal vivo, oltre a un paio di DVD. Niente a vedere come mole di produzione con i Phish, ma si difendono. Come genere invece qualche affinità la vedo.

Soprattutto da un paio di album a questa parte, da quando hanno iniziato a curare molto di più anche la parte canzone nei loro dischi in studio. Questo nuovo album contiene undici brani che durano “solo” 47 minuti. Facciamo un passo indietro, al termine jam band: secondo me la bravura dei gruppi che fanno parte di questo movimento non è tanto nella parte improvvisativa (che ha la sua importanza, ci mancherebbe!), quanto in quello che ci sta intorno. Mi spiego meglio. Chi va ad assistere ad un concerto di questi gruppi o ascolta un loro disco non vuole essere “distratto” dalle canzoni che spesso sono solo un pretesto per le lunghe improvvisazioni al loro interno e quindi quelli più bravi cercano di comporre brani che non diano fastidio a questo aspetto della musica, estremizzando leggermente perché poi uno vuole anche memorizzare i brani. Questa è una mio teoria ma secondo il sottoscritto spesso questi brani sono interscambiabili, il “cuore” della vicenda si svolge nella sequenza degli assoli, nel virtuosismo, nel lasciarsi perdere nel flusso musicale. Certo non sempre è vero ma soprattutto nei concerti dove spesso le covers imperano è molto importante.

Detto questo, occorre anche farli questi benedetti dischi in studio (e i Grateful Dead, e in misura minore i Phish, questo l’avevano capito). Ma visto che dischi se ne vendono pochi mentre i concerti sono sempre affollati non sempre si riescono a mediare le due cose. Come si diceva prima, i Tea Leaf Green negli ultimi tempi sembrano interessati a curare anche l’aspetto compositivo. E per questo hanno aggiunto un secondo batterista nella loro formazione! No, forse questo non c’entra. 

Sinceramente ammetto che se dopo il primo ascolto del CD mi avreste chiesto di ricordare un brano del disco, che mi era assai piaciuto nel suo insieme, sarei stato in seria difficoltà. Ma onestamente questo accade anche per dischi di altri generi. E visto che qui i generi sono tutti “rollati” insieme la cosa è ancora più difficoltosa. Ma considerando che uno gli album non li ascolta solo una volta (anche per mestiere e piacere) le canzoni cominciano a dipanarsi con maggiore chiarezza: l’iniziale All Washed Up ha un inizio da “rock classico” poi diventa più “classica” (nel senso di musica classica per l’uso prominente delle tastiere) con un finale chitarristico frenetico senza dimenticare l’input percussionistico dei due batteristi. It’s easy to be your lover con il suo cantato in falsetto e ritmi quasi reggae per certi versi ricorda i My Morning Jacket, ma l’uso per le armonie vocali di una voce femminile e le improvvise aperture strumentali la rende più complessa. Non dimenticate mai che poi dal vivo questi brani si espandono e l’assolo di chitarra, molto bello, che qui dura un minuto potrebbe durarne fino a dieci. I primi due brani sono firmati dal tastierista Trevor Garrod.

Il terzo brano You’re my star è del chitarrista Josh Clark, un brano quasi psichedelico, dall’andatura incalzante con il wah-wah dell’autore che si contende gli spazi del brano con le armonie vocali tra Beatles e Acid Rock. Non mancano le atmosfere acustiche quasi pastorali di una brano come My Oklahoma Home (scritta dal bassista Reed Mathis) con i suoi impasti vocali quasi Weastcoastiani (d’altronde da lì vengono) che ricordano qualcosa dei Grateful Dead più gentili. Anche Fallen Angel è una bella canzone con una melodia facilmente memorabilizzabile, frizzante, quasi country-rock ma sempre vivace nella parte strumentale. Sleep Paralysis è un altro brano dall’impianto principalmente acustico non dissimile dalle sonorità di Fleet Foxes e Decemberists che avanzano nella scena musicale americana. Le tastiere di Germinating Seed si sommano alla chitarra tagliente di Clark e al solito tessuto percussionistico per una piccola gemma psych. Honey Bee non è quasi country, lo è pienamente, aiutata anche da una lap steel che si aggiunge all’armamentario sonoro del gruppo, brano piacevole che nulla aggiunge e nulla toglie.

The Cottonwood Tree rimane su atmosfere sonore simili ma è molto più convincente e complesso nell’esecuzione.

Arise è un altro brano che mescola sixties e belle melodie come ora sembra usare nella musica made in Usa anche per merito dei gruppi citati prima. Nothing Changes il brano che conclude l’album è l’unico che supera i sei minuti e qui il piacere dell’improvvisazione nel gruppo del batterista Scott Rager si fa più urgente e irrefrenabile, più simile a come sono i loro concerti dal vivo.

Bel disco e bravi loro nella ricerca di nuove (vecchie) atmosfere musicali. File under jam band/classic rock.

Bruno Conti

Non Solo Jazz! Un Disco Country Per Diane Schuur – The Gathering

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Diane Schuur – The Gathering – Vanguard

A proposito di belle voci, non tutti sanno che Diane Schuur, quando era ancora una teenager, ha iniziato la sua carriera come cantante country con un singolo Dear Mommy and Daddy” che dal titolo non promette grandi emozioni ma pare raggiunse il terzo posto delle classifiche country. Poi la Schuur ha iniziato una carriera che l’ha portata ad essere una delle migliori cantanti jazz dei nostri tempi e a collaborazioni con le orchestre di Count Basie e Duke Ellington, dischi con BB King, due Grammy vinti e molte nominations ma la passione per il country è rimasta.

D’altronde “se Ray Charles ha fatto un disco country perché non posso farlo io?” si chiede la nostra amica e io che sono educato non le rispondo per non essere irriverente (anche se hanno lo stesso problema e gli stessi occhiali scuri).

Comunque l’idea è buona, le condizioni si sono create con un nuovo contratto con la Vanguard e la possibilità di recarsi a Nashville per registrare questo The Gathering. Detto fatto, la brava Diane (che, scherzi a parte, ha una delle più belle voci in circolazione, in qualsiasi genere la vogliate inserire) il 6 dicembre del 2010 si è chiusa in uno studio di registrazione in compagnia di un manipolo di artisti fantastici e la sera il disco era pronto. Certo se i musicisti si chiamano Steve Gibson alla chitarra, Mike Rojas al piano elettrico Wurlitzer, Michael Rhodes al basso ed Eddie Bayers alla batteria. Steve Buckingham è l’altro chitarrista e cura la produzione, la Schuur si occupa del piano acustico. Qualche ospite nobilita ulteriormente il lavoro: Alison Krauss e Vince Gill alle armonie vocali, Mark Knopfler e Larry Carlton aggiungono le loro chitarre, Kirk Whalum si occupa del sax. Lei canta divinamente questi dieci brani scelti tra alcuni grandi della storia della musica country et voilà “i giochi sono fatti”.

Dalla struggente ballata iniziale di Hank Cochran Why Can’t Be You la Schuur dimostra a Norah Jones (e a tantissime altre, perché la Jones mi piace moltissimo) come si fa un disco di country con classe, passione e una voce da brividi. Healing Hands Of Time è un brano di Willie Nelson e lo capisci subito perché è inconfondibile, ma la versione è fantastica, scivola che è un piacere con le armonie vocali di Carmella Ramsey e le chitarre di Gibson e Buckingham a cesellare note con l’aiuto di Mark Knopfler alla terza solista e il sax di Whalum e il piano di Rojas che gli danno quel flavor anni ’70 alla Muscle Shoals Studios e lei che si diverte un mondo a raggiungere note impossibili. Beneath Still Waters è un’altra ballatona strappalacrime con Diane Schuur che si ispira per il suo stile pianistico a Floyd Cramer uno dei grandi del country di Nashville che ha suonato con tutti da Elvis a Roy Orbison a Patsy Cline e anche a livello vocale non ha nulla da invidiare ai nomi citati.

Til I Can make It on my own è uno dei due brani dal repertorio di Tammy Wynette mentre Don’t Touch Me è l’altro brano scritto da Hank Cochran e la seconda voce è quella di Alison Krauss e sinceramente non saprei dirvi chi canta meglio ma sicuramente l’ascoltatore gode. Today I Started Loving You Again è un altro brano delizioso scritto da Merle Haggard e dalla moglie Bonnie Owens con le armonie vocali curate da Vince Gill e con la chitarra di Larry Carlton che si ispira al George Benson di On Broadway fino a stimolare la Schuur che improvvisa all’impronta uno scat vocale e poi si lascia andare vocalmente alla grande con la chitarra che la spinge verso vette notevoli. Till I get it right è l’altro brano di Tammy Wynette sempre raffinato e di gran classe, un poco old school e demodè come certe cose dell’ultimo Willie Nelson, ma signori miei è veramente brava. Am I That Easy to Forget è uno standard fine anni ’50 ma non me la ricordo particolarmente, non memorabile. When Two Worlds Collide scritta da Roger Miller è un altro di quegli standard country malinconici forse un po’ troppo di maniera. Nobody Wins è un brano di Kris Kristofferson, un altro lentone da pista da ballo con la solita dicotomia piano elettrico-chitarra elettrica, sempre cantato con grande maestria da Diane Schuur ma gli manca quel guizzo di classe.

Un bel disco per gli amanti del genere e delle belle voci.

Bruno Conti