Uno Dei Più Bei Tributi Di Sempre – This One’s For Him A Tribute To Guy Clark

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This One’s For Him – A Tribute To Guy Clark” – Icehouse Music 2CD

Di solito non includo i tributi nelle mie classifiche di fine anno, in quanto molto spesso, per quanto riuscito sia il disco in questione, c’è sempre qualche versione palesemente inferiore al brano originale, o qualche artista che c’entra come i cavoli a merenda con il cantante o gruppo oggetto del tributo.

Negli anni ne sono usciti tantissimi, anche più di uno dedicato allo stesso artista, alcuni poco riusciti, altri molto belli, altri imperdibili (cito a memoria Deadicated, in omaggio ai Grateful Dead, Not Fade Away dedicato a Buddy Holly – altro che i due usciti quest’anno! – Beat The Retreat con le canzoni di Richard Thompson, oltre al live tratto dal famoso concerto per Bob Dylan svoltosi a New York nel 1992), e non c’è dubbio che questo This One’s For Him, che ha per oggetto le canzoni del grande Guy Clark rientri nella categoria imperdibili.

Se leggete questo Blog saprete certo chi è Clark: texano, uno dei maggiori songwriters d’America (in Texas è considerato al pari di Townes Van Zandt, ed un gradino più su anche di una leggenda vivente come Willie Nelson), è uno che non ha mai sbagliato un colpo. Schivo, riservato, quasi ombroso, è una vera fonte di ispirazione continua per i nostri cantautori preferiti, e non solo texani; in quasi quarant’anni di carriera ha pubblicato solo una quindicina di album, ma tutti di assoluto livello (Old No. 1, il suo esordio del 1975, è uno dei massimi capolavori del cantautorato mondiale, ma tra i suo dischi più validi citerei anche The South Coast Of Texas, Better Days, Boats To Build, Dublin Blues, Workbench Songs e lo stupendo live di pochi mesi fa, Songs & Stories,ma consiglio caldamente anche tutti gli altri che non ho nominato).

Oggi, direi finalmente, viene pubblicato questo sontuoso tributo, curato dal bravo Shawn Camp, in collaborazione con Verlon Thompson (chitarrista, è il leader della touring band di Guy, oltre che suo abituale collaboratore): due CD, trenta canzoni, con una serie incredibile, e credo irripetibile, di musicisti coinvolti, la crema del Texas (e non solo). Joe Ely, Steve Earle, Willie Nelson, Lyle Lovett, Terry Allen, Kris Kristofferson, Rodney Crowell, John Prine e molti altri (li scoprirete man mano che parlerò del disco), il tutto con una house band alle spalle (che rende il lavoro ancora più unitario) guidata da Camp e Thompson, con calibri come Lloyd Maines, Glenn Fukunaga e Glenn Worf in session, gente che suosuonerebbe bene anche con una coperta sulla testa. Non manca nessuno, forse solo Michelle Shocked (per dire una che ha sempre dichiarato il suo amore per Clark), ma non è che negli ultimi anni Michelle abbia fatto molto per far sì che qualcuno si ricordasse di lei… In breve, una goduria: purtroppo il disco non è di reperibilità facilissima (e la versione con la prima copertina credo sia già esaurita, ora circola la seconda versione con sulla cover una foto anni settanta di Guy e della moglie Susannah), ma con un po’ di tenacia lo trovate, e ne vale la pena. 

Apre Rodney Crowell con That Old Time Feeling, che inizia per voce e chitarra, poi entra di soppiatto il resto della band: un’ottima resa di una canzone molto bella, ma Crowell (quotatissimo songwriter a sua volta) non lo scopriamo certo oggi. Lyle Lovett si cimenta con Anyhow, I Love You, una slow country song con il pianoforte in evidenza (l’ottimo Matt Rollings, Lyle è l’unico ad usare membri della sua band, ed il risultato gli dà ragione): Lovett canta con la sua solita voce quasi indolente e riesce a farla sua con la consueta classe. Ho sempre reputato Shawn Colvin una brava artista che raramente è riuscita ad esprimere il suo potenziale, ma con All He Want Is You posso dire che riesce a centrare il bersaglio: atmosfera leggermente western, interpretazione intensa e sentita. Shawn Camp (ma allora Shawn è un nome da donna o da uomo?) si prende i riflettori per una splendida Homeless, una delle canzoni più toccanti di Clark, resa in maniera magistrale: una delle gemme più preziose del doppio dischetto. Reputo Ron Sexsmith abbastanza lontano dal mondo di Guy Clark, ma qui non sfigura affatto con la sua versione di Broken Hearted People (se l’è scelta bella il buon Ron…ma ha mai scritto canzoni brutte Clark?). Rosanne Cash è brava e lo sappiamo, e Better Days è perfetta per le sue corde vocali; Desperados Waiting For A Train non ha bisogno di presentazioni, è a mio parere la canzone più bella mai scritta da Clark, ed una delle più belle in assoluto degli anni settanta: vi dico solo che la fa Willie Nelson e non aggiungo altro. Pelle d’oca, e d’altronde il buon WIllie saprebbe rivitalizzare anche il songbook di Britney Spears.

Rosie Flores ci regala un’interpretazione bluesata e discretamente elettrica di Baby Took A  Limo To Memphis, piena di grinta e texana nel profondo; Kevin Welch è uno dei miei texani preferiti, lo seguo fin dal suo esordio omonimo ancora country-oriented di una ventina di anni fa e non mi ha mai tradito (ed il mio Fattore C mi ha anche portato una volta ad averlo come vicino di posto su di un volo Milano-Atlanta, e ho scoperto una persona semplice, gentile e squisita – impagabile la sua espressione facciale quando ho mostrato di conoscerlo a menadito!): Magdalene è eseguita con il suo solito feeling, e con la sua tipica voce espressiva, che migliora con l’età. Non male Suzy Bogguss con Instant Coffee Blues, grande Ray Wylie Hubbard con la divertente Homegrown Tomatoes, brano che rivela anche una vena umoristica in Clark (come se da noi DeGregori cantasse i pregi del basilico fresco coltivato sul balcone di casa).; Bravino John Townes Van Zandt II (rifà Let Him Roll), ma non è facile essere il figlio di Townes, bravissimo il grande Ramblin’ Jack Elliott, uno che emette carisma solo quando apre bocca, con il western tune The Guitar: classe pura. James McMurtry non cambia stile neanche se gli spari, e quindi anche Cold Dog Soup è trattata alla maniera di un Lou Reed made in Texas, mentre Hayes Carll si dimostra uno dei giovani più interessanti in circolazione,con un’ottima versione di Worry B Gone.

E questo è solo il primo CD: tirate il fiato che comincio con il secondo. Joe Ely è un altro che comprerei anche se facesse un disco intitolato Joe Ely sings the yellow pages shaving himself under the shower: Dublin Blues sembra una canzone sua, passo lento ed epico, solita grande voce e feeling a grappoli. Magnolia Wind è un duetto tra John Prine ed Emmylou Harris (per la serie: due grandi al prezzo di uno), un brano toccante ed intenso, reso ancora più bello dalla voce espressiva (e un po’ invecchiata) di John e da quella sempre cristallina di Emmylou. Il tris d’assi con cui si apre il secondo CD si completa con Steve Earle, che ci regala un’ottima The Last Gunfighter Ballad, scarna e spoglia ma ricca di pathos, con una melodia di fondo quasi dylaniana (se è vero che His Bobness ha influenzato tutti i cantautori venuti dopo di lui, allora vale anche un po’ per Clark). Verlon Thompson sceglie All Through Throwin’ Good Love After Bad (titoli facili mai), e così come Shawn Camp sul primo CD, piazza una delle zampate migliori (giocano in casa…): un delizioso brano country & western, che Verlon rilascia in perfetta linea con lo stile del suo autore.

Pensavo che The Dark fosse più adatta ad un’interpretazione maschile, ma Terri Hendrix mi smentisce e piazza una performance da brividi, del tutto inattesa; la splendida L.A. Freeway è una delle più note di Guy, ed a Radney Foster basta riprenderla con assoluta fedeltà per fare un figurone. Brava Patty Griffin con The Cape, bravissimo come sempre il grande Kris Kristofferson con l’intensa Hemingway’s Whiskey, un’altra song che sembra uscita più dalla penna di Kris che da quella di Clark. Gary Nicholson, Darrell Scott e Tim O’Brien ci regalano una mossa e swingata Texas Cookin’, mentre Jack Ingram si prende una delle più belle, cioè Stuff That Works, e fornisce una prova da manuale, con un’interpretazione decisamente dylaniana (sentire per credere). Randall Knife è una delle canzoni più personali e toccanti di Clark (è dedicata a suo padre), e Vince Gill non sfarfalleggia come gli capita di fare ogni tanto, ma mostra grande rispetto per la versione originale: ottima prova. Ho sempre pensato che il bravo Robert Earl Keen fosse una sorta di “figlio illegittimo” di Guy Clark, e Texas 1947 ne è la riprova: fluida, discorsiva e coinvolgente, si trasforma nella seconda parte in un bluegrass texano, polveroso ed arso dal sole. Perfino Terry Allen esce dal suo prolungato ritiro per farci sentire ancora la sua voce, e dimostra di non aver perso lo smalto: Old Friends è un’autentica perla, con la voce stagionata di Terry che dispensa emozioni a piene mani. A quando un disco nuovo, Terry?; Il doppio album si chiude con The Trishas (una discreta She Ain’t Goin’ Nowhere) e con l’ultima sorpresa, cioè il grande Jerry Jeff Walker che walkereggia con My Favorite Picture Of You, facendola sua al 100%.

So di essermi dilungato un pochino, ma penso che uno come Guy Clark si meriti qualche parola in più: se vi ho convinto…buona ricerca! Personalmente, parlandone mi è venuta voglia di riascoltarlo…

Marco Verdi

Uno Dei Più Bei Tributi Di Sempre – This One’s For Him A Tribute To Guy Clarkultima modifica: 2011-12-16T15:56:00+01:00da bruno_conti
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