Dopo Joe Hill’s Ashes Il Nuovo Album Di Otis Gibbs – Harder Than Hammered Hell

otis gibbs harder than hammered hell.jpgotisgibbs_poster_thumb.jpgi-t6CM3X5-S.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Otis Gibbs – Harder Than Hammered Hell – Wanamaker Records 2012

“Quelli” come Otis Gibbs saranno sempre bene accetti in questo Blog: bravi ma conosciuti solo tra i “carbonari” della musica, coloro che oltre ad apprezzare quello che ci propone l’industria discografica ufficiale sono sempre alla ricerca dei cosiddetti “belli ma perdenti” (Oddio, bello…), personaggi minori ma di grande talento che popolano la scena indipendente americana. Credo di essere stato uno dei primi in Italia a parlare di Gibbs e qui potete leggere se volete le-ceneri-di-joe-hill-otis-gbbs.html il piacere per la scoperta di un nuovo talento.

In questi due anni è uscito anche un secondo album solista della sua “fidanzata storica” e collaboratrice musicale Amy Lashley Travels Of A Homebody, del quale Gibbs simpaticamente e onestamente dice (come anche per i propri CD) che i proventi delle vendite verranno utilizzati per “tenerci un tetto sopra la testa”. La coppia, quando non è in tour in giro per l’America e il mondo, vive in quel di Nashville ma nell’ala Est non quella del country tradizionale ma di quello alternativo e dei “talenti veri”. Perchè in fondo, se vogliamo, il nostro amico fa della musica country, sia pure con mille sfumature mai troppo smaccatamente inquadrato nei parametri ma lì siamo. Ci sono poi molte sfaccettature che contribuiscono al complesso della sua musica: la voce grave e “rasposa”, reduce da mille battaglie ma piena di un fascino e una capacità melodica rare anche tra i suoi colleghi migliori, una scrittura semplice ma raffinata che ingloba tra le sue influenze “nascoste” il boom chicka boom di Johnny Cash, lo swamp rock delle paludi dei Creedence, la musica “americana” della Band, le capacità melodiche di Bob Seger, le piccole storie dell’America che non ce la fa mi ci prova di Greg Brown come pure di Steve Earle. Almeno, questo è quello che ci vede e ci sente il sottoscritto, ognuno è libero di inserire le proprie impressioni ma il “cuore” della musica mi sembra definito da questi parametri musicali e poetici.  

Per questo nuovo capitolo della sua saga Otis Gibbs si è affidato come di consueto al suo ristretto circolo di collaboratori: Thomm Jutz, chitarre e tastiere, nonché produttore ed ingegnere del suono, Mark Fain al basso e Paul Griffith alla batteria, oltre alla già citata Amy Lashley, seconda voce e armonie vocali, pochi ma buoni, un manipolo di prodi per regalarci ancora una volta un album dai sapori sapidi e gustosi. Potremmo aggiungere il collega Adam Carroll che ha collaborato alla stesura di un brano come Big Whiskers che è una sorta di brano “apocrifo” di Johnny Cash, una canzone che potrebbe essere stata scrittta dopo la morte e inviata telepaticamente a Gibbs, tanto ricorda il meglio del repertorio dell’Uomo in Nero. Ma ci sono anche le belle melodie di una ballata dolce e malinconica come l’iniziale Never Enough o l’inno ai perdenti ma mai sconfitti di Made To Break, altra perla di alternative country della più bell’acqua e per la quale è stato girato anche un video.

Nei vari brani la chitarra di Jutz è capace di estrarre dal cappello (questa volta niente cilindro, semplice berretto) piccoli interventi solisti, coloriture e arrangiamenti mai scontati e sempre efficaci. Broke And Restless è un brano che non avrebbe sfigurato in qualsiasi album di Seger o Levon Helm o dello Steve Earle più ispirato mentre Don’t Worry Kid è una canzone sui ricordi di un’infanzia, magari non troppo felice, nell’essere “diversi”, non omologati a quanto ti succede intorno, con gusti differenti, nella vita e nella musica, e questo si percepisce anche nell’interplay tra le voci di Otis e Amy con le chitarre e la sezione ritmica molto felpati, in una sorta di quadretto delizioso di un’America che sta scomparendo (forse).

Christ Number Three è un brano dalla struttura musicale molto vicina alla Band dei primi anni, quella per intenderci di canzoni leggendarie come The Weight, lo spirito è quello e il risultato è eccellente. Detroit Steel e la successiva Dear Misery hanno un groove e un suono chitarristico che ricorda il drive da bayou dei brani più “paludosi” dei Creedence. Second Best è country puro alla Willie Nelson cantato però con un vocione glabro e vissuto più tipico di altri Highwaymen, deliziose e misurate come sempre le armonie di Amy Lashley. Finale uptempo con la breve e dylaniana Blues For Mackenzie tra country e canzone d’autore, un po’ come tutto l’album, in fondo. Per chi apprezza i cantautori di “culto”, ricco di talento e povero di mezzi. Vi avviso che si fatica non poco a trovare i suoi album, eventualmente provate sul sito http://otisgibbs.com/

Bruno Conti

Uno “Scherzo Da 1° Aprile” In Anticipo O La Verità? Neil Young & Crazy Horse – Americana

nych-americana-medium.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Neil Young & Crazy Horse – Americana

O è uno scherzo da 1° d’aprile molto ben congegnato oppure Neil Young ancora una volta sorprenderà i suoi fans e gli ammiratori della sua musica. Da oggi sul suo sito è disponibile la copertina di quello che il 5 giugno dovrebbe essere il suo nuovo album, registrato in compagnia della formazione completa dei Crazy Horse, ovvero Billy Talbot, Ralph Molina e Frank “Poncho” Sampedro, il primo dai tempi di Greendale (anzi Broken Arrow del 1996 con la formazione completa) registrato agli Audio Casa Blanca Studios con la produzione dello stesso Young, con John Hanlon e Mark Humphreys.

Uso il condizionale perché pare che il nuovo album sia una raccolta di brani “tradizionali” della musica popolare riarrangiati dai Crazy Horse e con l’impiego di un coro di bambini (?!?), questa la tracking list:

“Oh Susannah”
“Clementine
”
“Tom Dooley”
“
Gallows Pole
”
“Get A Job
”
“Travel On
”
“High Flyin’ Bird
”
“She’ll Be Comin ’Round The Mountain”
“This Land Is Your Land
”
“Wayfarin’ Stranger
”
“God Save The Queen”

Quindi niente tour con i Buffalo Springfield, nessun secondo capitolo del cofanetto Archive e l’ultima apparizione pubblica è stata quella al MusicCares Person of The year del 10 febbraio scorso dove, in onore di Paul McCartney, ha eseguito dal vivo con i Crazy Horse I saw her standing there.

Vedremo se sarà vero o il seguito di “Sequoia”!

Bruno Conti

Novità Di Marzo Parte III. Band Of Heathens, Delta Spirit, Caetano Veloso & David Byrne, Shins, Danny Bryant, Wedding Present, Nimmo Brothers, Lee Ranaldo, Eccetera

band of heathens live 1.jpgband of heathens live 2.jpgshins.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Nuovo appuntamento con le uscite discografiche di marzo che, nei limiti del possibile, spesso utilizzo anche per realizzare delle mini recensioni, quando poi non riuscirò a dedicargli un Post ad hoc:

La data “ufficiale”  di uscita dei due doppi Live dei Band Of Heathens Double Down Live In Denver vol.1&2 è il 20 marzo negli Stati Uniti sulla loro etichetta Boh Records (acronimo del gruppo) e il 30 marzo in Europa per la tedesca Blue Rose. Questo il contenuto dei due album registrati dalla band di Austin in trasferta a Denver per due serate lo scorso 7 e 8 ottobre 2011:

1. You’re Gonna Miss Me
2. Golden Calf
3. Say
4. Somebody Tell The Truth
5. Let Your Heart Not Be Troubled
6. LA County Blues
7. Enough
8. What’s This World
9. Right Here with Me
10. Nothing to See Here
11. Should Have Known
12. Wilson & Otis (bonus track)
13. Hey Rider (bonus track)

1. Medicine Man
2. Talking Out Loud
3. Jackson Station
4. Judas ‘Scariot Blues
5. The Other Broadway
6. Nine Steps Down
7. Second Line
8. Polaroid
9. Gris Gris Satchel
10. Shine a Light
11. Free Again
12. Gravity
13. I Ain’t Running

Bonus material (DVD only):
Behind the Scenes Featurette Footage from the Double Down Weekend

Come vedete materiale molto interessante, tra originali e cover, senza duplicati tra le due serate ma… solo per chi effettua l’acquisto per corrispondenza esiste un “bundle”, che per i meno avvezzi al linguaggio tecnico non è un buono del tesoro tedesco più grande del previsto, ma un “pacchetto” che riunisce le due confezioni CD+DVD, quindi un quadruplo, con in più la possibilità di ottenere il codice di accesso per il downoload di due ulteriori EP digitali, Double Down Covers EP e Double Down Dead EP con ulteriori nove brani tratti dalle due serate per quasi un’ora di musica: (“Hurricane”, “Handbags And Gladrags”, “(Look At) Miss Ohio”, “I Got You (At The End Of The Century)”, and “Millionaire”) e  (“Mississippi Halfstep Uptown Toodleloo”, “Ramble On Rose”, “Mister Charlie” and “Brokedown Palace”).

Dopo cinque anni di assenza tornano gli Shins con Port Of Morrow, nuovo album per la band americana indie-alternative che però ormai incide per Columbia. Il leader e principale compositore è sempre James Mercer, e così, ad un primo veloce ascolto, il sound mi sembra un po’ più “leccato”  del solito anche se non malvagio, con l’abituale facilità nel comporre melodie molto accattivanti. Potrebbero migliorare il secondo posto nelle classifiche USA ottenuto con il precedente Wincing The Night Away che era stato l’album della Sub Pop a raggiungere il miglior piazzamento nelle charts americane.

delta spirit delta spirit.jpgcaetano veloso david byrne.jpgwedding present valentina.jpg

 

 

 

 

 

 

 

I prossimi due, ad onor del vero, erano già usciti il 13 marzo ma visto che li avevo saltati, recupero. Terzo album, omonimo, per i Delta Spirit sempre su Rounder/Universal. Rock morbido classico americano tendente al pop per il quintetto californiano, il precedente History From Below mi sembrava meglio, ma lo riascolterò.

Caetano Veloso e David Byrne hanno unito le forze per questo Live At Carnegie Hall edito dalla Nonesuch che ha avuto recensioni contrastanti, non vi saprei dire, non è il mio genere preferito ma al sottoscritto non sembra male.

I Wedding Present di David Gedge verso metà anni 2000 hanno ripreso a pubblicare album dopo una lunga pausa seguita al loro periodo dorato degli anni ’80 in cui erano stati uno dei gruppi migliori del pop-rock britannico di qualità. Questo nuovo Valentina che esce per la Scopitones (?!?) mi sembra addirittura uno dei loro migliori in assoluto, meglio anche dell’ottimo El Rey che nel 2008 aveva avuto critiche eccellenti. Dieci belle canzoni per la produzione di Andrew Scheps, dietro la consolle anche per Adele, Johnny Cash e Iggy Pop, un suono fresco e vibrante, se amate ovviamente il pop inglese.

primal scream screamadelica live.jpgnimmo brothers.jpgdanny bryant live in holland.jpg

 

 

 

 

 

 

 

A proposito di rock inglese, sempre domani 20 marzo, la Eagle Vision ripubblica questa confezione tripla (2CD + DVD), ma anche solo Blu-ray, intitolata Screamadelica Live che riporta la registrazione effettuata nel novembre del 2010 a Londra quando i Primal Scream eseguirono nella sua interezza il famoso album del 1991 per il tour del 20° anniversario. Ovviamente c’è anche altro materiale oltre a quello di quel disco.

Nonostante il nome The Nimmo Brothers i due fratelli vengono da Glasgow, Scozia e questo Brother To Brother è un sano disco di rock blues americano (però c’è anche una bella cover di Wishing Well dei Free), pubblicato dalla Armadillo Records e registrato in quel di Austin, Texas con Jamie Oldaker, il vecchio batterista di Clapton degli anni ’70, Michael Ramos alle tastiere che ha suonato con Mellencamp, BoDeans, Plant, Los Lonely Boys, il bassista di Robert Earl Keen, tale Billy Whittbeck in alternanza con quello di Joe Ely, Jimmy Pettit. Risultato più che buono, da scoprire.

Uno che ormai è una certezza è Danny Bryant uno dei migliori chitarristi inglesi delle ultime generazioni, blues e rock e cover dylaniane e di Hiatt in questo Night Life registrato dal vivo con la sua Redeye Band, disponibile anche in DVD e pubblicato dalla Jazzhaus. E questo suona, ragazzi, visto al Tributo a Hendrix, quella sera ha dato dei punti anche a Popa Chubby, che è uno che non scherza!

frank black live.jpgerja lytynen cd+dvd.jpglee ranaldo.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Sempre nell’ambito dischi dal vivo esce anche un Frank Black & The Catholics Live At Melkweg Amsterdam 24/3/2001 etichetta The Bureau, registrato nel tour olandese di quell’anno il leader dei Pixies ci regala quasi un’ora di duro rock alternativo americano di ottima qualità.

Erja Lyytinen è una brava chitarrista e cantante finlandese di blues di cui mi sono occupato in passato per il Buscadero. Questo Songs From The Road fa parte della serie CD+DVD dedicata dalla Ruf a molti artisti dell’etichetta e di cui ho recensito su questo Blog, se non ricordo male, quelli dedicati a Jeff Healey e Luther Allison. La ragazza è brava, una notevole tecnica chitarrristica e una discreta anche se non memorabile voce, per appassionati di rock-blues.

Una bella sorpresa il disco solista di Lee Ranaldo, il meno conosciuto dei due chitarristi dei Sonic Youth (rispetto a Thurston Moore) e di solito il più sperimentale ed avanguardista del gruppo. Invece questo Between The Times and The tides pubblicato dalla Matador Records sembra un bel disco dei R.e.m. anni ’80 con retrogusti alla Lou Reed/Velvet Underground/Doors con la chitarra di Nels Cline dei Wilco che impazza in ogni brano, la batteria di Steve Shelley e le tastiere di John Medeski. Ci sono anche belle canzoni con melodie ariose classiche tra R.e.m. e Byrds appunto e pezzi più rock che oltre il citato Lou Reed ricordano le cavalcate chitarristiche di Neil Young. Anche momenti acustici: in una parola, bello!

Bruno Conti

Solo Del Sano Buon Vecchio Rock! Howlin Rain – The Russian Wilds

howlin rain russian wilds.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Howlin Rain – The Russian Wilds – Birdman/American Recordings

Gli Howlin Rain sono la creatura di Ethan Miller, nati come coma una costola, uno spin-off, rispetto ai più psichedelici e sperimentali Comets On Fire ne hanno decretato in un certo senso la fine, visto che dopo Avatar del 2006 questi ultimi non hanno più pubblicato nulla (ma mai dire mai). In pratica non è cambiato moltissimo, chitarre, chitarre e ancora chitarre, ma anche un po’ di organo se è per quello (abbondante), le atmosfere si sono spostate decisamente verso il rock anni ’70, quello hard ma di qualità tralasciando i sixties, e godendo della fiducia (e dei mezzi) di Rick Rubin (guardate le barbe, sembrano gemelli separati alla nascita Miller e Rubin) che veste i panni del produttore esecutivo (che non si sa mai cosa vuol dire) hanno affinato il loro sound affidandosi in una co-produzione all’ingegnere del suono Tim Green che ha contribuito ad un sound più netto e definito, ricco di echi del passato ma che si avvale delle attuali tecniche di registrazione.

Ma non sembra, ossia il disco potrebbero averlo fatto i Led Zeppelin o i Black Sabbath o dei Little Feat meno raffinati ma anche gli Humble Pie di Steve Marriott e quindi il risultato finale di questo The Russian Wilds suona molto simile (ma diverso) rispetto ad altri retro-rockisti come i Black Crowes, sono i classici dieci brani (più un breve interludio) per un’ora abbondante di musica, con Ethan Miller e il suo socio alla chitarra solista Isaiah Mitchell, in prestito dagli Earthless, che danno sfogo al meglio di quello che hanno imparato dalle collezioni di dischi dei loro genitori, lasciando spazio anche alle tastiere, organo, mellotron e qualche synth d’annata e se serve alla terza chitarra di Joel Robinow. Viene dato spazio abbondante anche all’uso di intricate armonie vocali e Ethan Miller rispetto al precedente Magnificent Fiend è notevolmente migliorato come cantante, più misurato ma pronto all’urlo alla Gillan, Marriott e qualcuno aggiunge Byron degli Uriah Heep.

Qui e là affiorano anche altre influenze come nel finale “latin-rock” di Phantom In The Valley dove sembra di ascoltare i primi Santana, quelli con Gregg Rolie, con l’aggiunta di una sezione fiati e una tromba in bella evidenza, che non c’entra nulla con il resto del brano e del disco ma è un retaggio degli anni ’70 quando non eri irreggimentato in nessuno stile particolare, se ti girava di cambiare genere lo facevi e basta. O l’hard rock tra Deep Purple e Led Zeppelin dell’iniziale Self Made Man che dopo qualche omaggio dark anche ai Black Sabbath nella parte centrale approda ad un intervento di twin lead guitars in puro stile Allman Brothers per poi divenire puro blues-rock alla Humble Pie, il tutto nello spazio dello stesso brano. C’è anche la ballatona hard con retrogusti soul alla Frankie Miller o Paul Rodgers dell’ottima Can’t Satisfy Me Now che può ricordare i già citati Black Crowes.

Cherokee Werewolf con piano elettrico e voci femminili di supporto rimane più o meno in quei territori ma aggiunge negli intermezzi strumentali piccoli elementi psichedelici e californiani dell’epoca d’oro, mentre Strange Thunder nella prima parte è un brano acustico cantato quasi in falsetto da Miller poi le chitarre scaldano le corde, il basso e la batteria pulsano alla grande e il brano decolla in un crescendo emozionante degno del miglior Page, come costruzione sonora s’intende. Dark Side è quel “finto soul”, vero funky-rock, che piaceva ai Deep Purple di Coverdale e Hughes ma anche a molti gruppi americani dei primi anni ’70 con un assolo di organo come non si sentiva da secoli. Beneath Wild Wind è quasi blue-eyed-soul, una ballata mid-tempo molto radiofonica vagamente alla Queen (la FM di quei tempi non di oggi), Collage è una cover di un vecchio brano della James Gang di Joe Walsh, con quell’equilibrio tra elettrico ed acustico soprattutto, che avevano i brani della band nel periodo di Barnstorm.

Walking Through Stone con le chitarre tra fuzzy e wah-wah è del sano blues-rock d’annata mentre la conclusiva Still Walking è uno strano divertissement strumentale dove piano e chitarra solista si dividono il proscenio per una conclusione virtuosistica.

Come dice il titolo “Solo Del Sano Buon Vecchio Rock”, niente di più ma neanche di meno, non aspettatevi altro e rimarrete soddisfatti.

Bruno Conti

Ce La Dà Ancora La Luce! Bruce Springsteen Wrecking Ball Al 1° Posto Nelle Classifiche Di Tutto Il Mondo!

bruce springsteen wrecking ball.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Il 2 Marzo nel mio Post, ma-bruce-ci-dara-ancora-la-luce-bruce-springsteen-wrecking-b.html, dedicato alla recensione del nuovo album di Springsteen Wrecking Ball, un po’ retoricamente nel titolo chiedevo “Ma Bruce ci darà ancora la luce?”. A giudicare dai riscontri critici (e al netto degli “amanti traditi”, che non hanno apprezzato) il disco ha avuto riscontri positivi in tutto il mondo e ha rinverdito la popolarità del Boss ovunque. Quindi la risposta è Sì!

A riprova del fatto in questione, a oggi, il disco nuovo di Bruce è al 1° posto nelle classifiche di 11 paesi: Usa, Inghilterra, Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Germania, Austria, Italia, Svizzera e Irlanda (dove ha resistito anche all’ingresso in classifica dei redivivi Chieftains che con Voice Of Ages si sono dovuti accontentare del 2° posto). Tralasciando il fatto che in alcuni paesi come Australia, Nuova Zelanda, Brasile, Giappone, Spagna e altri è uscito in un secondo momento o le classifiche non sono aggiornate e in altri come Canada o Francia si è “dovuto accontentare” di un rispettabile terzo posto. Secondo in Belgio dove i “locali” Hooverphonics resistono e quarto in Portogallo e Repubblica Ceca. Gli unici paesi che hanno resistito all’attacco globale del CD sono stati la Polonia dove è salito solo al 10° posto e la Grecia, dove evidentemente hanno altri problemi, e il disco si è piazzato al 24° posto.

Come risultato il disco è primo nelle vendite mondiali globali avendo superato anche 21 di Adele (almeno per queste settimane) e mi fa esclamare “Ma allora c’è ancora speranza per la musica di qualità, vai Bruce!”. Senza dimenticare che si tratta del decimo album di Springsteen a raggiungere la posizione numero 1 nelle classifiche USA e ora davanti a lui come recordmen di vendita con il maggior numero di “Numeri UNO” rimangono solo Elvis Presley e i Beatles nella storia della musica rock.

Oggi mi è venuta così, dovete avere pazienza, ma “mi scappava”, da domani proseguiamo con la ricerca dei “Beautiful Losers” (o carbonari se preferite) e tocca o a Otis Gibbs o agli Howlin Rain, devo ancora decidere.

Come al solito, se volete divertirvi, le classifiche di tutto il mondo le trovate qui http://www.lanet.lv/misc/charts/.

Bruno Conti

Novità Di Marzo Parte II. Lucero, Shooter Jennings, New Riders Of The Purple Sage, Janiva Magness, Wallis Bird, Altan

lucero women and work.jpgshooter jennings family man.jpgnew riders.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Questa settimana, per la serie una recensione tira l’altra e anche perché molti titoli li avevo già anticipati di parecchio, arrivo in ritardo alla rubrica delle uscite settimanali, questa volta relative al 13 marzo, quindi già pubblicati comunque…

Nuovo album per i Lucero Women & Work, l’etichetta questa volta è l’ATO Records di Dave Matthews, prodotto dal solito Ted Hutt (Gaslight Anthem, Flogging Molly, Dropkick Murphys, di cui è uscito nuovamente l’album dello scorso anno Going Out In Style con un album dal vivo aggiunto nella nuova versione Deluxe, e basta!); i brani sono firmati come di consueto dal leader Ben Nichols nella abituale miscela di alternative country, punk, southern rock classico, d’altronde vengono da Memphis, Tennessee.

Stesso stile, più o meno, country rock “molto energico” anche per Shooter Jennings, che, scaricato dalla major Universal approda alla Black Country Rock per questo nuovo Family Man, prodotto dallo stesso figlio del grande Waylon vede tra gli ospiti Tom Morello e Eleanor Whitmore alla voce e violino.

Continua il “rinascimento” dei grandi New Riders Of the Purple Sage, rivitalizzati dalla ritrovata vena compositiva di David Nelson, con il paroliere storico degli “amici” Dead, Robert Hunter presente in sette brani, la band californiana rinnova i fasti del passato con questo 17 Pine Avenue pubblicato dall’indipendente Woodstock Records, un nome, un programma: country, psichedelia e roots music come ai vecchi tempi.

janiva magness stronger for it.jpgmusica. bruno conti. discoclub,lucero,shooter jennings,new riders of the purple sage,janiva magness,wallis bird,comets on fire,altanaltan poison glen.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Questo nuovo CD di Janiva Magness Stronger For It avrei potuto fare a meno di segnalarvelo visto che la recensione è pronta a momenti, nei prossimi giorni non mancherà, considerato che me l’hanno “scippato” dal Buscadero dove avevo recensito i precedenti album. Sempre etichetta Alligator e a ogni nuovo disco, se possibile, migliora. Che Voce, ragazzi!

Wallis Bird è una nuova cantautrice irlandese che approda al terzo album con questo CD omonimo, Wallis Bird per la Bird Records/distr.Rubyworks, bella voce potente, sonorità inconsuete ma vicine al rock classico anche se piuttosto originali, da sentire.

Non mi sembra che nessuno abbia ancora parlato del nuovo album degli Altan The Poison Glen (Gleann Nimhe), che peraltro è già uscito in questi giorni per la Compass Records. Il primo album di studio della band irlandese da sette anni a questa parte, dopo il celebrativo (e ottimo) 25th Anniversary Celebration che riproponeva differenti versioni dei loro classici con nuovi arrangiamenti orchestrali. Tutto materiale mai apparso prima con la voce (e il violino) della bravissima Mairead Ni Mhaonaigh (praticamente una scioglilingua) in grande evidenza. Quasi tutti conoscono Moya Brennan, Mary Black o Sinead O’Connor e qui siamo a quei livelli, per i fans non occorre aggiungere altro, per gli altri un nome e un gruppo da conoscere assolutamente se amate il folk celtico.

Bruno Conti

Piccoli Gioielli Canadesi. Madison Violet – The Good In Goodbye

madison violet.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Madison Violet – The Good In Goodbye – True North/Ird

Per essere sinceri, questo nuovo album delle canadesi Madison Violet nel continente nordamericano è già disponibile dal settembre dello scorso anno ed in Europa da inizio 2012, ma tra le centinaia di uscite di ogni mese me lo ero un po’ perso, poi quando gli amici della Ird me lo hanno proposto gli ho dato un ascolto più approfondito e mi sono detto: “perché no?”.

Già il marchio True North, “casa” di Bruce Cockburn, Murray McLauchlan (a proposito, in questi giorni stanno uscendo le ristampe in CD di alcuni suoi album tra cui il “mitico” Live Only The Silence Remains), Blackie and The Rodeo Kings, solo per citarni alcuni, è sinonimo di qualità, poi il sottoscritto ha una particolare predizione per le voci femminili e quindi ho gradito particolarmente questo The Good In Goodbye.

Le due canadesi, Brenley MacEachern e Lisa MacIsaac (se il cognome vi dice, ebbene sì, è proprio la sorella di Ashley, violinista e musicista di area celtico-canadese, e hanno una valanga di altri parenti che suonano anche loro il violino) giungono così al loro quarto album compreso uno ad inizio carriera tra il 2002 e il 2004 quando si facevano chiamare ancora Mad Violet e anche se si è soliti dire che l’ultimo è sempre il più bello (fino ad un certo punto della carriera, poi salvo rare eccezioni, si peggiora), il precedente No Fool For Trying era leggemente superiore, ma giusto un filo, se volete investigare ulteriormente.

Le nominations ai Juno Awards ci sono sempre, lo stile quello è, tra country, pop, folk, bluegrass e musica da cantautrici, i riferimenti anche: tra le Dixie Chicks (ma anche la derivazione Court Yard Hounds), le Indigo Girls (anche per inclinazioni sessuali e spesso hanno suonato in tour insieme) senza dimenticare gruppi “nuovi” come le svedesi First Aid Kit tanto per fare un po’ di nomi che aiutano a capire. Armate di chitarre, elettriche ed acustiche, banjo, armonica e violino (vista la famiglia poteva mancare?) con in primo piano le belle voci in grado di armonizzare molto piacevolmente o di alternarsi gradevolmente alla guida dei brani, un po’ come fanno le Indigo Girls di cui se non ascolto attentamente non ho mai capito quale è Amy Ray e quale Emily Saliers (non è vero ma per fare un po’ di scena). Si scelgono anche collaboratori validi ancorché non celeberrimi con un paio di eccezioni come Ron Sexsmith, che firma con loro Fallen By The Wayside non a caso uno dei brani più belli del disco, ricco di armonie vocali e vagamente malinconico com’è tipico del collega canadese, e sempre a proposito di belle voci anche Ruth Moody delle Wailin’ Jennys (australiana ma canadese di adozione, che se non conoscete vi segnalo) si aggiunge spesso specie nei brani più vicini al bluegrass come la deliziosa The Good In Goodbye con mandolino e banjo che si sostituiscono alla strumentazione più “pop” di brani come l’iniziale If I Could You dove fa capolino anche un Fender Rhodes che fa molto cantautrice anni ’70, ma sempre con ricchezza di gusto negli arrangiamenti sempre semplici ma di effetto. 

Quindi tra un banjo, una sezione ritmica discreta ma quasi sempre presente, lap steel ed elettriche, perfino una sezione archi, come nella delicata Home, “pene d’amor perdute” si susseguono nei loro testi, non memorabili ma funzionali agli argomenti trattati. Tutti i brani si ascoltano con piacere come la leggermente mossa Goin’ Away dove le armonie vocali sono ancora più “perfette” del solito. Come As You Are con il suo andamento marcato potrebbe essere un brano del conterraneo Neil Young epoca Harvest se avesse avuto le tette e un bel volto come la moretta e la biondina Brenley e Lisa, molto carine entrambe, per la serie anche l’occhio vuole la sua parte e musicalmente l’armonica ci sta molto bene, è come il cacio sui maccheroni, con immagine poco poetica ma efficace, solite armonie vocali fantastiche. Colour in Grey è meno pop oriented che in altri momenti del disco mentre Emily country-folk delicato e il puro country di Cindy Cindy musicalmente sono più interessanti. Fino alla dolce e pregnante, conclusiva, Christy Ellen Francis dedicata alla bisnonna centenaria e madre di 16 figli.

Emozioni semplici, bella musica, belle voci, cosa desiderare di più? Amare il genere ovviamente, in caso contrario passate ad un altro Post, ce n’è per tutti i gusti.

Bruno Conti

“Americani” Di Lombardia! Chemako

chemako.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Chemako – “Chemako” – Ultrasound Records

Spesso…spesso? Di tanto in tanto mi capitano tra le mani album (ok, CD) i cui autori potrebbero provenire da qualche desolata e sperduta landa degli Stati Uniti d’America, in un ipotetico territorio che sta tra Memphis, Tennessee, la Lousiana di New Orleans o perfino il Texas, Austin o anche dai sobborghi di Chicago, poi leggi le note del libretto: Belgioioso, Pavia, Lombardia, Italy. Ohibò, ma allora è proprio vero che in quei dintorni, come testimoniano i “miei amici” Lowlands o Jimmy Regazzon e i suoi Mandolin Brothers (e tanti altri, qualcuno ha detto Chicken Mambo?), c’è qualcosa nell’aria che ti rimanda alla migliore musica americana.

Quando mi è stato recapitato questo dischetto da recensire, come al solito, ero pronto a valutarlo con il gusto dell’appassionato che da tanti anni si premura di cercare di ascoltare e poi “divulgare” tramite il Bog e sul Buscadero della buona musica (soprattutto da quando sono diventato più stanziale e giro meno per concerti), e non è propriamente un fan della musica italiana ma, sin dal primo ascolto, questi “giovani” Chemako mi hanno portato ad esclamare: “ma dove vi eravate nascosti!”. Intanto il nome, presumo sia ispirato dal nomignolo indiano di Ken Parker nella sua saga fumettistica, un po’ l’equivalente di Aquila della Notte per Tex Willer, Colui Che Non Ricorda, ma potrei sbagliarmi. E invece i tre Gianfranco “French” Scala, Roberto Re e Stefano Bertolotti, ricordano benissimo, direi che hanno imparato a menadito la lezione del Blues, ma non Solo quello (con la S maiuscola) e ora la riprongono con piglio professionale e grande passione in questo loro esordio discografico.

Come riportano le note del libretto, inserito in una tasca dello sciccosissimo digipack che racchiude questo CD, firmate da Jimmy Regazzon in quel di Cà del Bruno (un segno del destino? Il Bruno risponde) i Chemako sono un trio di musicisti che hanno una grande passione per il Blues e tutta la musica che gli gira intorno, per parafrasare uno dei pochi cantautori italiani che vale la pena ascoltare. Dal primo arpeggio di banjo nei primi secondi di Red Diamond Train ti accorgi di essere a bordo per un giro musicale che ti affascinerà, blues del delta incarnato anche da un dobro e dall’armonica dell’ospite Fabio Bommarito. Altra particolarità del disco è l’assenza di un vocalist fisso nella formazione (anche se…) e quindi, con saggezza, se non sai cantare fai fare il suo mestiere a chi è in grado di farlo al meglio: nell’album si alternano diversi cantanti, da Shan Kowert della traccia iniziale, voce vissuta e adatta allo spirito del brano, con il supporto di Annie Acton ai controcanti, si passa ad una deliziosa Angelica Depaoli in azione nella bellissima Maintenance Free, un brano country got soul got blues che non ha nulla da invidiare a quelle contaminazioni “rockiste” à la Susan Tedeschi con Derek Trucks al seguito dell’ultimo disco, che discendono a loro volta, in una lunga sequenza, da Delaney & Bonnie, Bonnie Raitt, la carovana di Mad Dogs & Englishmen, il Clapton americano e Gianfranco Scala con la sua elettrica e mandoguitar non fa rimpiangere i nomi citati. Sound professionale che nemmanco ai Fame Studios dei Muscle Shoals (ogni tanto esageriamo), con un pianino aggiunto affidato a Riccardo Maccabruni che riscalda i cuori dell’ascoltatore. 

Sempre piano ma elettrico per l’incipit della successiva Lost My Way, con il vocione di Marcello Milanese (una via di mezza tra Richie Havens e Roger Chapman) che sarà il cantante della formazione nel prossimo futuro: un ballatone midtempo atmosferico con una slide insinuante e una solista che si rincorrono dai canali del vostro stereo con sonorità quasi cinematografiche e cooderiane. Let It Burn Wild cantata con intensità da Debbi Walton è quasi un gospel profano, acustico, solo chitarra e ukulele e un basso solitario ad accompagnare la voce malinconica dell’ennesima ospite del disco. Altro ospite, altro regalo: arriva anche Jimmy Regazzon che non si accontenta di scrivere le note del CD ma appare anche come cantante ed armonicista nel Blues puro di Dry Your Tears che si avvale anche di un secondo armonicista Alexander Von Braunmuhl per allargare lo spettro sonoro del brano percorso anche dalla National Triolian di Paolo Canevari.

Piccolo interludio: i primi 5 brani sono firmati tutti da Gianfranco “French” Scala e Gianni Rava.

Ripendiamo, come fosse un vecchio LP. Save The Moon è una delicata e dolcissima ballata che ci trasporta nei territori della vecchia West Coast quando il country si mescolava al rock nei dischi di Jackson Browne, Linda Ronstadt o di Gram & Emmylou, canta ancora una volta Angelica Depaoli mentre il buon Scala aggiunge anche una Resophonic al suo armamentario di chitarre, oggi comunque Rosanne Cash o Patty Griffin o Lucinda Williams fanno ancora questa musica e questo brano non sfigurerebbe nel loro repertorio. Di colpo siamo sbalzati su un battello che percorre il Mississippi e la voce di Milanese e le chitarre di Scala e la slide del “Gnola” ci accompagnano verso sonorità più gagliarde quasi in odore di rock-blues, ideali per una bella jam dal vivo. Altra ospite, altra voce femminile, Gayla Drake Paul che si scrive e si canta The Ocean Song dai suoni elettroacustici con il flugelhorn di Max Paganini che gli dà quel tocco vagamente jazzy e blue eyed soul. Tears for breakfast, cantata con passione da Annie Acton, ha quel ritmo incalzante che avevano i primi brani dei Dire Straits, quelli più “americani” del primo album, con l’elettrica di Scala che punteggia con i suoi continui interventi il tessuto sonoro del brano e la sezione ritmica che ci dà dentro.

Una delle più belle canzoni scritte da George Harrison All Things Must Pass è l’unica cover del CD, altro brano tratto da un disco che mescolava meravigliosamente mille stili e generi in una serie di canzoni memorabili, questa versione più acustica e raccolta con “la solita” slide è cantata ancora una volta da Angelica Depaoli, bella musica. Per concludere un blues dai ritmi “militari” con una slide minacciosa, Momma’s Words e il sax di Gianni Rava a fare le le veci del basso in una sorta di omaggio alle marching bands di New Orleans: canta Martell Walton (ma non era Debbi?). Traccia nascosta strumentale conclusiva con acustica e fisarmonica che guidano brevemente le danze. Non so dirvi il significato recondito delle tre galline nella penultima pagina del libretto ma pare sia importante.

Mi sono dilungato troppo? Come mi piace dire: ecchisenefrega, il Blog è mio, spero lo leggano gli appassionati della buona musica e qui ce n’è parecchia e quindi ve lo consiglio vivamente, se non lo trovate in giro provate http://www.chemako.com/index.php/it/ o guardate qui.

Bruno Conti

Un Ritorno Alle Sue Radici. Mary Cutrufello – Fireflies Till They’re Gone

mary cutrufello.jpg

 

 

 

 

 

 

Mary Cutrufello – Fireflies Till They’re Gone – Self Produced 2012

L’occasione per ritornare a parlare di Mary Cutrufello viene data da un concerto a cui ho assistito recentemente in un meritevole locale di Pavia (Bar Trapani). Mary, una sorta di Armatrading roots, è nata nel 1970 a Fairfield (Connecticut), in seguito ha conseguito un diploma a Yale, prima di essere convertita dai dischi di Dwight Yoakam al country. Emigrata ad Austin, dove subisce l’influenza di Dale Watson, la “signorina” forma il gruppodegli Havoline Supremes e si invaghisce di honky tonk e alternative country, maturando però uno stile chitarristico duro, muscoloso e bluesato e cantato con voce mascolina, un po’ alla Melissa Etheridge degli esordi.

Una sua canzone, Tonight I Know, viene inclusa nella compilation Austin Country Nights e attira l’attenzione della crema musicale di Austin, e le ottime apparizioni dal vivo muovono l’interesse di diverse case discografiche, la spunta la Mercury che nel ’96 pubblica Who To Love, album ancora piuttosto acerbo ma che mette in evidenza la grinta e la bravura chitarristica dell’artista. Il seguente When The Night Is Through (‘98), amplifica le buone impressioni suscitate dall’esordio, poi segue nel 2001 Songs from the 6, e dopo un silenzio che poteva diventare permanente (a causa una grave affezione alle corde vocali), incide nel 2008 il suo capolavoro personale 35, un album autoprodotto caratterizzato da una voce roca, una chitarra scorticata da “blue collar” che attinge a piene mani da   Mellencamp, Seger e ovviamente dal Boss, primo amore musicale (con una bruciante Take Em ‘As They Come), con i migliori “turnisti” su piazza da Greg Leisz a Kenny Aronoff , Cody Braun dei Reckless Kelly, e Rami Jaffee dei Wallflowers.

Questo EP Fireflies Till They’re Gone venduto solamente ai concerti e sul sito, (disponibile per il download) fireflies.htm è stato registrato a Idaho, e Minneapolis, fra il Novembre 2011 e il Gennaio 2012 (prodotto dal batterista Greg Shutte), ed è una breve raccolta di canzoni country che riporta Mary alle sue radici.

Si parte con una My Wife’s the Only One Who Knows dall’incedere country e una pedal steel in evidenza. La seconda traccia It’s Not Supposed to Be That Way, viene ripescata dal repertorio di Willie Nelson, è una roadsong che parte acustica e poi si trasforma in una ballata “rollingstoniana” con tanto di piano, cantata con voce rauca e androgina. Eight Second Lives è malinconica e molto campagnola, mentre la seguente I Just Can’t Fall Out of Love with You sembra uscita da un disco di Waylon, molto western. Un violino accompagna On a Sunday in March, 55082 (il titolo si riferisce al codice di avviamento postale di Stillwater), ballata delicata con una melodia dolorosa. Chiude un piccolo ma grande disco Dreaming My Dreams, una canzone triste e penetrante uscita dalla penna di Allen Reynolds, giocata sul violoncello delle Jelloslave (Jacqueline e Michelle).

Mary Cutrufello avrà anche un cognome improponibile per una “rockstar” (e chissà, forse anche per questo la sua avventura non è mai decollata), ma è una chitarrista dal tocco felino e un’ottima cantante, e le sue canzoni esalano il sudore di chi è cresciuto a contatto col pubblico e la vita dura on the road, e per una che ha ripreso prima di tutto i fili della sua vita, merita grande attenzione.

Tino Montanari

*NDB I video scarseggiano, per cui mi sono arrangiato con quello che c’era! Lei è brava, qualcosa da acquistare in rete si trova, fateci un pensierino.

“Incontri” Blues! Bob Margolin With Mike Sponza Band – Blues Around The World

bob margolin.jpg

 

 

 

 

 

 

Bob Margolin with Mike Sponza Band – Blues Around The World – Vizztone

Questo disco nasce dall’incontro tra un trio italiano, la Mike Sponza Band e un cantante e chitarrista americano come Bob Margolin, che lo pubblica per la sua etichetta. A scanso di equivoci per rendere subito chiare le cose, vi dico subito che si tratta di un buon album: per amore della verità, non aspettatevi un capolavoro che salverà le sorti del Blues mondiale, ma un album onesto, vibrante, in certi momenti perfino gagliardo, forse uno dei migliori in assoluto del “collega” Margolin (scrive su varie riviste che trattano di blues) che non ha una discografia immane, questo Blues Around The World è il nono in quasi 40 anni di carriera, ma come dice lui stesso nelle note del CD, per questo disco ha scritto otto nuove canzoni tra le migliori della sua carriera di autore.

Ispirati a vicenda dall’incontro avvenuto la scorsa estate con il bluesman italiano Mike Sponza e la sua band (che viceversa ha una discografia abbastanza consistente costruita in 15 anni di carriera e che avevo incontrato solo sporadicamente nei miei ascolti musicali, soprattutto in qualche disco ad inizio carriera con Guido Toffoletti, fine anni ’90), Margolin & Co. si sono rinchiusi per un paio di giorni nel luglio del 2011 in uno studio di registrazione in Slovenia ed il risultato è questo album che potreste tenere tra le vostre mani se leggerete queste righe.

Per i più distratti, Bob Margolin è stato il chitarrista della band di Muddy Waters negli ultimi anni della sua carriera, quelli che vanno dal 1973 al 1980 culminati nella rinascita artistica dei quattro album pubblicati dalla Blue Sky di Johnny Winter e prima ancora dalla fulminante partecipazione al Last Waltz della Band e di Scorsese con una memorabile Mannish Boy. La carriera di Bob è poi proseguita con una lunga serie di collaborazioni e produzioni per vari artisti, portabandiera come lui del Chicago Blues, e poi dal 1989 con alcuni album da solista: i primi due per la Powerhouse sono fuori produzione da tempo, mentre il terzetto per la Alligator e quello per la Blind Pig sono tuttora in catalogo. Nel 2003 ha registrato un dischetto per la Telarc con una All-Star Blues Jam Band di reduci come lui dalla band di Waters e nel 2007 per la etichetta Steady Rollin’ (dal suo nomignolo) un In North Carolina proveniente da varie fonti di registrazione. Secondo un parere personale, che preferisco sempre dare piuttosto che appiattirmi su fonti esterne o peggio comunicati stampa, Bob Margolin non ha mai, discograficamente parlando, pubblicato dischi all’altezza della sua fama, forse con l’eccezione di quello della Telarc: nei suoi CD si respira sempre aria buona di blues classico ma spesso manca quel quid inesplicabile che lo eleva sopra la media della produzione in circolazione.

Questo Blues Around The World invece ha un suo vigore, una convinzione nei propri mezzi esplicata immediatamente dall’apertura potente dell’iniziale Lost Again, una slide minacciosa e la voce espressiva di Margolin coadiuvate dalla grinta di Sponza e della sua band sono un buon viatico per il disco. Che si avvale di una notevole varietà di stili e di atmosfere: c’è l’approccio acustico e rilassato della raffinata Blues Lover con acustica ed elettrica che si scambiano note dai canali dello stereo. C’è la potenza trattenuta della voce di Margolin nelle classiche 12 battute à la Waters di Down in The Alley con il suono della Chess che viene fatto rivivere dai quattro protagonisti. Rather Than Being Free è uno dei due contributi di Mike Sponza come autore e cantante, sempre in bilico tra acustico ed elettrico come nella precedente Blues Lover. Non manca l’old style blues di una vivace While You’re Down There e il funky malizioso di Ice On Fire L’acustica Crazy About You e soprattutto Rollin’ And Tumblin’ sono gli omaggi al passato glorioso mentre la ritmata It’s Hard To Be On The Road, l’altro contributo di Sponza, vira quasi verso il R&R. Ancora slide in evidenza per l’eccellente Hard Feelings e strano finale con il rockabilly alla Elvis prima maniera di The Door was open. Come ripensamento e ciliegina sulla torta, il buon Bob Margolin, ritornato a casa, ha pensato bene di aggiungere una Love In Vain registrata in solitaria nel suo studio personale con il solo supporto dell’armonicista Richard Rosenblatt, gran bella versione.

Se amate il blues di qualità qui troverete di che soddisfarvi.

Bruno Conti