C’Era Una Volta Nel West. The White Buffalo

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The White Buffalo – Once Upon A Time In The West – Unison Music 2012

The White Buffalo – Prepare For Black & Blue – Ruff Shod Records EP 2010

Provengono dalla California, e il “leader” Jake Smith sembra uscito dai romanzi polverosi di Cormac McCarthy e sarebbe stato perfetto per i film western del compianto Sergio Leone. Gli altri componenti del gruppo sono Tommy Andrews al basso e Matt Lynott alla batteria, più una schiera di validi musicisti di “area” californiana tra i quali Bruce Witkin, Tim Walzer, Cooper McBean, Joey Malone, Benmont Tench, Kenny Lehman e Jordan Katz. Dopo l’esordio di Hogtide Revisited (2008) e alcuni EP, i White Buffalo sfornano questo nuovo lavoro che parla di storie di una vecchia America (che purtroppo non esiste più), con un “sound” country-rock che ripercorre il sentiero tracciato da vecchi e nuovi “fuorilegge” come Waylon Jennings, Steve Earle e Ryan Bingham, e su tutto la profonda voce da “rocker”, che affascina e seduce. di Jake Smith.

L’iniziale Ballad of a Dead Man, come da titolo, è una bellissima ballata crepuscolare cantata con voce calda e suadente, mentre How the West Was Won è un velocissimo country guidato dal banjo di McBean e dal dobro e la lap steel di Malone. Si prosegue con The Pilot già presente nell’EP Lost & Found e One Lone Night, struggente brano scritto in una notte solitaria. Con Sleepy Little Town siamo dalle parti della ninna nanna acustica, suonata con pochi arpeggi di chitarra, mentre BB Guns and Dirt Bikes è un brano rurale che ricorda tristi ricordi d’infanzia. Il ritmo si alza con The Bowery, in forma honky tonky, per poi tornare con Wish it Was True alla ballata sofferta e melodica, quasi recitativa. Con Hold The Line e Good Ol’ Day To Die si torna a picchiare duro, due brani “western” che più si avvicinano al Morricone sound. Shunt Driver è un blues urbano suonato in strade polverose, cui segue The Witch il brano più spiazzante del CD, una divertente filastrocca con tanto di fiati. Chiude alla grandissima I Am The Light, una splendida ballata suonata al meglio dal gruppo, e cantata come un grido di rivolta da Jake, una meraviglia. Per quanto riguarda Prepare For Black & Blue è un EP in forma “unplugged”, dove tutti i brani sono rigorosamente suonati in forma acustica e dove spicca ancora una volta la voce di questo “ragazzone”, elemento catalizzante della Band.

Once Upon A Time In The West è un viaggio attraverso una certa America, raccontata da Smith, uno “storytellers” d’altri tempi, un artista onesto e appassionato, la cui voce, unitamente alla qualità dei brani, ci riporta sulla giusta strada dei ricordi e dei sentimenti. Ottimo disco, da ascoltare magari vedendo un film western di Sergio Leone (senza audio), e sorseggiando del buon Bourbon.

Tino Montanari

1001, Forse. Solo Una Bella Canzone! Brandi Carlile & Mike McCready

Mi sono imbattuto casualmente in questo video, caricato evidentemente da un fan di Mike McCready dei Pearl Jam che non sa che Brandi Carli(s)le si scrive senza S e quindi il filmato è stato visto solo da 19 persone. Ed è un peccato perché si tratta di una ottima cover acustica di Wild Horses degli Stones, una delle migliori che mi è capitato di sentire della brava cantante americana e anche in questo caso non essendo riportato nella descrizione del video il titolo del brano uno ci potrebbe arrivare solo per caso.

Visto che nel conteggio dei Post questo potrebbe non essere il 1001 se non contiamo anche l’editoriale di apertura del 31 ottobre 2009 che era curato dagli editori del Blog di allora, ho pensato di aggiungere questo “In Breve” per arrivare a mille ed è anche l’occasione per ascoltare (e vedere) una bella canzone!

Bruno Conti

1000 E Non Più Mille! Vecchie Glorie 12. The Nighthawks – Damn Good Time!

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The Nighthawks – Damn Good Time! – Severn Records

Per molti è il nome di un quadro di Edward Hopper, per altri è il nome di un gruppo di jazz (senza il The) ma per gli appassionati di rock (e blues) The Nighthawks è il nome del gruppo che nel lontano 1972 venne fondato da Mark Wenner e Jimmy Thackery con l’aiuto di Jan Zukowski e Pete Ragusa. Con il ritiro un paio di anni fa di Ragusa, dopo il profetico Last Train To Bluesville, della formazione originale rimane solo il cantante e armonicista Wenner, ma è sufficiente?

Il chitarrista che, dopo una lunga serie di sostituti si è insediato (da qualche anno) al posto di Thackery è Paul Bell, il cui curriculum riporta che ha suonato in molte influenti band della zona di Washington, DC tra cui, per oltre dieci anni, quella del leggendario Tommy Lepson. Con tutto il rispetto, ma chi cacchio è? Sarà anche bravissimo, ma non aggiunge molto alla “storia” dei Nighthawks, a differenza, come ho detto in altre recensioni di dischi recenti del gruppo, del batterista Mark Stutso che ha suonato per un paio di decadi con i Drivers proprio di Jimmy Thackery. Questa volta mi sembra che il gruppo abbia recuperato parte della propria proverbiale grinta (sempre presente nei concerti dal vivo): sarà l’approdo in una delle etichette storiche indipendenti del blues americano come la Severn che ha messo a disposizione il suo produttore ed ingegnere storico, David Earl, per questo Damn Good Time, sarà la scelta del materiale con un giusto rapporto tra cover, anche inconsuete, e materiale originale, ma il disco mi sembra che funzioni in modo onesto. Tutti si alternano al canto e ad armonizzare e il repertorio scorre tra una cover blues-rock di un Presley minore, come Too Much, con il gruppo trainato dall’armonica di Wenner e sembrano i Blasters in una buona serata (una volta era viceversa) e poi il “treno” rock della tirata Who You’re Workin’ For, un brano che porta la firma dell’ottimo Billy Price, lui sì una piccola leggenda del blue-eyed soul e a lungo cantante nel gruppo di Roy Buchanan e nella propria band, tutt’ora in circolazione, bello l’assolo di Bell.

Damn Good Time è un bel brano di impianto errebì, cantato dal batterista Stutso con i coretti del gruppo che conferiscono una aura soul, niente di straordinario ma molto piacevole. Johnny Castle, il bassista, ci regala una gradevole Bring Your Sister che ci porta nei territori power-pop del primo Nick Lowe. Send For Me era uno dei brani più “mossi” del repertorio di Nat King Cole, si fa per dire, la versione blues-swing cantata da Wenner non aggiunge molto all’originale. Minimum Wage è un altro dei brani originali presenti nel disco, scritta dalla coppia Nardini/Stutso e cantata da quest’ultimo, mi sembra senza mordente. Meglio il boogie di Georgia Slop dal repertorio di Jimmy McCracklin, brillante e vivace. Night Work  è un altro brano preso dal repertorio di Billy Price, con il quale i Nighthawks hanno lavorato, al di là del solido lavoro dell’armonica di Wenner l’originale era decisamente meglio. Anche Let’s Work Together di Wilbert Harrison, ma tutti la ricordano nella versione dei Canned Heat, ha un buon lavoro alla slide di Paul Bell oltre alla solita armonica, marchio di fabbrica del gruppo, però gli originali anche in questo caso erano migliori. Smack Dab In The Middle me la ricordavo in una grande versione di Ry Cooder, qui è fatta come uno swingettino innocuo. Meglio Down To My Last Million Tears ancora dell’accoppiata Nardini/Stutso, però siamo sempre lontani dal furore della vecchia band, il tempo passa per tutti. Uguale il discorso per Heartbreak Shake, sempre della stessa coppia, più orientata verso il R&B tinto di blues, onesta e ben suonata come il resto del CD, ma è sufficiente?

Bruno Conti  

P.S Il nome criptico del Post odierno vuole solo ricordare ai fedeli lettori (e anche a quelli non fedeli) che questo è il millesimo Post inserito nel Blog (in poco più di due anni, quindi una media di più di uno al giorno dal 2 novembre 2009, data di inizio). Nessuna velleità trionfalistica, un semplice dato statistico considerato che l’esatto numero lo ricavo solo io dai dati “privati” e il titolo è scaramantico, visto che ha portato bene per i due millenni che si sono susseguiti da allora!

Novità Di Giugno Parte IIb. Sophie B. Hawkins, Rush, Lenny Kravitz, Db’s, BoDeans, Kelly Hogan, Flying Burrito Brothers, Julie Covington

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Oggi doppio Post: seconda parte delle novità in uscita in questa parte del mese di giugno.

Sophie B. Hawkins periodicamente ci riprova. La cantante americana che all’esordio con Tongues And Tails nel lontano 1992 ottenne un buon successo sia di vendita che di pubblico, con un album che conteneva la sua canzone più famosa Damn I Wish Was Your Lover, successo poi ripetuto un paio di anni dopo con Whaler che conteneva As I Lay Me Down. Entrambi gli album e i loro singoli hanno venduto svariati milioni di copie in giro per il mondo con una musica che era un misto di canzoni pop orecchiabili e brani più ricercati e raffinati da cantautrice “colta” tanto da essere una delle cantanti invitate a partecipare al tributo a Dylan nel concerto al Madison Square Garden del 1992 per il 30° anniversario (faceva I Want You, se non ricordo male) . Dopo un ulteriore album per la Columbia, Timbre, uscito nel 1999, non accolto molto bene dalla casa discografica e ripubblicato un paio di anni dopo in versione doppia ed indipendente dalla Rykodisc. Un ulteriore album nel 2004 e ora questo The Crossing che rimane ancorato al suo stile, tra pop, rocl e brani quasi jazzati. Tra le bonus ci sono anche due nuove versioni acustiche dei suoi brani più famosi citati poco fa. Etichetta Rocket Science e, in Europa, distribuzione Proper. Lei è brava, pop ed orecchiabile all’occorrenza ma anche con ballate pianistiche e brani più complessi.

Clockwork Angels è il 20° album di studio dei Rush, pubblicato lo scorso 12 giugno dalla Roadrunner/Warner. Sul mercato inglese ne è uscita anche una versione con allegato un numero speciale della rivista Classic Rock (o viceversa) completamente dedicato al gruppo canadese e definito Fanpack, con interviste esclusive e una retrospettiva sul gruppo per un totale di 132 pagine.

La ristampa di Mama Said di Lenny Kravitz in uscita oggi per la EMI è quantomeno curiosa. Esce, in versione doppia, per il 21° Anniversario dell’uscita dell’album! A quando le ristampe per il 19°, 22°, magari 28° anniversario? Le case discografiche sono proprio alla frutta, almeno prima uscivano queste edizioni speciali magari non rispettando proprio l’anno esatto dell’uscita originale ma ora anche questo. Comunque Mama Said era il secondo, e forse migliore, disco di Kravitz e questa nuova versione aggiunge parecchio materiale interessante:

Disc: 1
1. Fields of Joy (2012 – Remaster)
2. Always On the Run (2012 – Remaster)
3. Stand By My Woman (2012 – Remaster)
4. It Ain’t Over ‘Til It’s Over (2012 – Remaster)
5. More Than Anything in This World (2012 – Remaster)
6. What Goes Around Comes Around (2012 – Remaster)
7. The Difference Is Why (2012 – Remaster)
8. Stop Draggin’ Around (2012 – Remaster)
9. Flowers for Zoë (2012 – Remaster)
10. Fields of Joy (Reprise) (2012 – Remaster)
11. All I Ever Wanted (2012 – Remaster)
12. When the Morning Turns to Night (2012 – Remaster)
13. What the …. Are We Saying? (2012 – Remaster)
14. Butterfly (2012 – Remaster)
15. Light Skin Girl from London (2012 – Remaster)
16. I’ll Be Around (2012 – Remaster)
17. Always On the Run (Instrumental) (2012 – Remaster)
18. It Ain’t Over ‘Til It’s Over (12″ Remix Instrumental)
19. It Ain’t Over ‘Til It’s Over (Extended/Dub Version)
Disc: 2
1. Riding On the Wings of My Lord (Rough Demo)
2. It Ain’t Over ‘Til It’s Over (Home Demo)
3. What the…Are We Saying? (Home Demo)
4. The Difference Is Why (Home Demo)
5. Riding On the Wings of My Lord (Funky Vocal)
6. Riding On the Wings of My Lord (Instrumental)
7. Framed, Lying, Crying (Instrumental Segue)
8. Stand By My Woman (Instrumental)
9. Stop Draggin’ Around (Live in Rotterdam)
10. Always On the Run (Live in Rotterdam)
11. Fields of Joy (Live in Rotterdam)
12. Stand By My Woman (Live in Rotterdam)
13. More Than Anything in This World (Live in Rotterdam)
14. Always On the Run (Live in Japan)
15. Stop Draggin’ Around (Live in Japan)

16. What the…Are We Saying? (Live in Japan)

Esce anche a prezzo speciale, al costo di 1 CD!

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A 25 anni di distanza dall’ultimo album di studio si sono riformati anche i DB’s una delle migliori formazioni americane di power-pop, jangle-rock, come vogliamo chiamarlo? Grande gruppo comunque, quello dove suonavano Chris Stamey, Peter Holsapple, Will Rigby e Gene Holder. Tutti musicisti (a parte l’ultimo) che hanno avuto anche ottime carriere soliste. E sono tutti presenti in questa reunion. Il disco, Falling Off The Sky (bel titolo), edito dalla Bar None Records il 12 giugno scorso per il mercato americano, è una vera delizia di sonorità retrò anni ’60, armonie vocali fantastiche e brani pop della più bell’acqua. Gran classe e atmosfere che richiamano le tre grandi B, Beatles, Beach Boys e Byrds con Nick Lowe idealmente aggiunto alle formazioni.

American Made è il nuovo e 11° album di studio dei BoDeans, pubblicato dalla Megaforce sempre il 12 giugno negli States. Però non c’è più Sam Llanas e quindi non è proprio la stessa cosa. Ad affiancare Kurt Neumann c’è il nuovo chitarrista Jake Owen ma in pratica si tratta di un disco solo di Neumann, vedremo, non ho ancora sentito bene. Anche se a un primo ascolto non mi sembra malaccio, del duo Neumann era quello più melodico. C’è anche una bella cover di I’m On Fire di Springsteen.

Sul Buscadero Callieri ha provveduto a disintegrare questo nuovo album di Kelly Hogan, I Like To Keep Myself In Pain, pubblicato dalla Anti il 5 giugno scorso. Per la serie il mondo è bello perché è vario, non sono d’accordo. Se amate le belle voci femminili di stampo vagamente country, ma anche con elementi pop, soul e rock qui c’è della buona musica. Proprio per gli stessi motivi citati in quella recensione: Booker T. Jones, James Gadson, Gabriel Roth (il chitarrista di Sharon Jones) e il pianista Scott Ligon tra i musicisti utilizzati e brani scritti appositamente per l’album da, tra gli altri, M Ward, John Wesley Harding, Andrew Bird, Robyn Hitchock, Robbie Fulks, Stephin Merritt. Questo è il suo quarto album da solista (compreso uno con i Pine Valley Cosmonauts) ma ha fatto da corista anche per Mavis Staples, Jakob Dylan, Drive By Truckers e soprattutto per la sua amica Neko Case. Un’altra sulla quale spesso si scatenano gli strali della critica e che al sottoscritto invece piace parecchio, come nel caso della Hogan, per questa sua capacità di fondere pop melodrammatico ma non banale, country, canzone d’autore, un pizzico di soul, come fanno Shelby Lynne o la stessa Case. Quindi se vi piacciono quelle atmosfere tra Bacharach, Springfield e Jackie De Shannon, senza attendervi il capolavoro ma un disco più che onesto. Fine della mini recensione difensiva!

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Per la serie i dischi di strana provenienza, dalla Smokin’ Records (?!?) oggi esce anche questo Devils In Disguise dei Flying Burrito Brothers. Il CD contiene un Broadcast radiofonico del 22 luglio 1971, quindi dopo il 3° album quando in formazione non c’erà più Gram Parsons ma il nuovo cantante era il peraltro ottimo Rick Roberts (insieme a Chris Hillman). Registrato ai Sigma Studios di Philadelphia il repertorio è più o meno quello del Bootleg ufficiale del 1970 al Fillmore East pubblicato dalla Universal lo scorso anno, ma non proprio, ci sono parecchi brani in più:

1. Six Days on the Road
2. One Hundred Years from Now
3. My Uncle
4. Four Days of Rain
5. She Made Me Lose My Blues
6. Shenandoah Valley Breakdown
7. Why Are You Crying
8. Dixie Breakdown
9. Can t You Hear Me Calling
10. White Line Fever
11. Colorado
12. Steel Guitar Rag
13. Christine s Tune
14. Do Right Woman
15. Dark End of the Street
16. Tried So Hard
17. Hot Burrito #2
18. Wake Up Little Suzie

La qualità sonora è anche abbastanza buona.

Per finire, sempre parlando di belle voci, ma poco conosciute, la Cherry Tree ristampa il primo disco solista di Julie Covington. Ohibò, e chi è costei? Si tratta della cantante che appariva nella prima versione, quella originale, di Evita (e la sua Don’t Cry For Me Argentina, al n.1 in tutto il mondo non ha nulla a che spartire con le versioni fatte dopo, senza citare nomi per non creare inutili polemiche). Ma era anche la cantante nella versione originale di Godspell, la Janet Weiss nel primo Rocky Horror Picture Show e sempre parlando di musical era anche in War Of The Worlds a fianco di Phil Lynott. Ma questo disco, The Beautiful Changes, uscito in origine nel 1971, contiene brani scritti per lei da Pete Atkin e Clive James, una sorta di baroque pop come i dischi di quegli anni di Nick Drake, Sandy Denny o forse più sul versante Elkie Brooks.

L’altra copertina, che vedete qui sopra a fianco, è un reminder del disco del 1978 della Virgin, pubblicato nel 2009 in CD dalla Pucka Records come Julie Covington…Plus. E questo è veramente bello (non che l’altro sia brutto), prodotto da Joe Boyd, con gli arrangiamenti orchestrali di Robert Kirby, quello dei bellissimi dischi del Nick Drake citato poco fa e con brani scritti da Rchard & Linda Thompson (con cui ha cantato in First Light, oltre che nei dischi delle sorelle McGarrigle e nell’Albion Band di Ashley Hutchings), Sandy Denny, John Lennon, Kate Bush e molti altri, tutti belli, tra cui appare, come bonus, la cover di Only Women Bleed di Alice Cooper che fu il suo singolo di successo nel 1978. Nel disco, per non farsi mancare nulla, suonano Richard Thompson, John Cale, Steve Winwood, Trevor Lucas, Chris Spedding. Per la precisione, tornando a Beautiful Changes, il CD era già uscito negli anni ’90 per la defunta See For Miles.

Per oggi può bastare.

Bruno Conti

La Salute Non E’ Fantastica Ma Gli Archivi Stanno Benone! Johnny Winter – Live Bootleg Series Volume 8

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Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol. 8 –  Friday Music

Continua la pubblicazione del materiale dal vivo inedito d’archivio (o comunque uscito in precedenza solo su bootleg) di Johnny Winter: siamo arrivati all’ottavo capitolo e il materiale è sempre più criptico, assemblato dall’amico di Winter, tale Paul Nelson, anche lui chitarrista, i brani, sette, sono stati registrati da qualche parte, in qualche tempo (presumibilmente in un arco temporale che va da agli anni ’70 agli anni ’90), con un gruppo di musicisti ignoti e per un totale di circa 53 minuti. Questo, l’unico dato certo, si desume inserendo il dischetto nel lettore, anche i titoli si leggono sulla copertina: per fortuna la musica è buona!

Ero un po’ preoccupato (pregasi cogliere l’ironia), dopo un 2011 con tre pubblicazioni discografiche, tra cui l’eccellente album nuovo Roots, uno dei suoi migliori da sempre, tutto taceva, ma l’ineffabile Friday Music ci regala un nuovo capitolo della saga concertistica di Johnny Winter. L’inizio è folgorante, con una ottima Give It Back, che ci regala tutto il campionario dell’albino texano, voce stentorea, chitarra in grande spolvero, la sezione ritmica poderosa e qualità sonora molto buona. Per essere sinceri questo è il brano migliore del CD, a mio modesto parere e vale quasi da solo il prezzo di acquisto per l’equilibrio tra suono e contenuti, ma i due brani finali sono micidiali. L’ennesima versione di Tore Down è sempre buona, seppur non memorabile, ma la qualità audio scende di parecchio e quindi si gusta meno il lavoro di fino della solista. Stranger Blues è l’ennesimo tributo di Winter all’arte di Elmore James e il lavoro alla slide è come di consueto di grande consistenza, ottima anche la performance vocale e non male la qualità sonora che permette di apprezzare pure la sezione ritmica che ci dà dentro alla grande.

Done Somebody Wrong la facevano gli Allman Brothers ai tempi di Duane e la slide di Winter si ascolta sempre con piacere, ma la qualità sonora molto ondivaga ha un brusco calo. Dopo gli omaggi a due grandi come Freddie King e Elmore James si ritorna al materiale del primo (dopo Tore Down) con una versione monstre dello slow blues, Have You Ever Loved A Woman, uno dei cavalli di battaglia del repertorio di Clapton e qui Johnny Winter ci fa capire perché è sempre stato considerato uno dei più grandi interpreti bianchi del blues con un assolo fantastico, tra i migliori mai sentiti nella sua discografia, se fosse anche inciso bene meriterebbe una stelletta in più, tredici minuti di pura magia. E anche la versione di Roll Over Beethoven, oltre dieci minuti, è notevole, in puro stile Winter tra rock-blues e R’n’R, grinta e cattiveria da paura e una tecnica chitarristica e una voce da manuale.

Trattandosi di dischi che si autoproclamano “Bootleg” sappiamo già cosa aspettarci e quindi accontentiamoci, ma per usare un eufemismo, cazzo se suona. Considerando il grande numero di “pippe” che ci sono in circolazione, spacciate per grandi chitarristi, lunga vita a Johnny Winter!

Bruno Conti   

Novità Di Giugno Parte IIa. King Crimson, Neil Young, Amy MacDonald, Pat Metheny, Giant Giant Sand, Smashing Pumpkins, Sade, Fiona Apple, Grace Potter, Glen Hansard, Return To Forever

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Sospendo momentaneamente la raffica di recensioni Blues e gli spazi dedicati al Boss per dare spazio alle moltissime uscite che come al solito si affollano in questo mese di giugno, quindi vediamo le pubblicazioni in uscita il 19 giugno e quelle già uscite il 12 giugno, di cui già non si era parlato sul Blog, diviso in due parti, oggi parte IIa.

King Crimson sospendono pure loro le pubblicazioni per il 40° anniversario della band per dare spazio a questo doppio DVDA pubblicato dala Discipline/Panegiric in Italia Self, Live In Argentina contiene materiale registrato nell’ottobre del 1994, 8 ottobre Teatro Broadway, sia in versione audio 5.1 che video. Il mese è lo stesso del doppio B’Boom, uscito nel 1995, che casualmente era sempre dal vivo in Argentina, quindi occhio. Si tratta delle registrazioni del doppio trio, Fripp, Belew, Gunn, Levin, Bruford, Mastellotto.

Sempre della serie ripubblichiamo, ripubblichiamo, ripubblichiamo è uscito questo piccolo cofanetto di Neil Young intitolato Official Release Series Discs 1-4 che semplicemente contiene i primi 4 album, Neil Young, Everybody Knows This Is Nowhere, After The Gold Rush e Harvest nelle versioni rimasterizzate uscite nel 2009. Per chi non li aveva già presi sciolti ha un prezzo interessante perché dovrebbe costare una ventina di euro, forse meno.

Amy MacDonald è una brava cantautrice scozzese, quella di This Is The Life del 2007, che pubblica per la Mercury il suo terzo album di studio (ne ha fatti anche un paio dal vivo). Non manca la solita Deluxe Edition con nove braniin più, 5 acustici, 3 singalong instrumental versions (giuro) e una traccia nascosta. E’ uscito, come i due riportati sopra, il 12 giugno.

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Sempre il 12 giugno sono usciti anche questi tre.

Dopo un paio di album in solitaria e le collaborazioni con Brad Mehldau, Pat Metheny ritorna a registrare con una band e per la prima volta da 80/81 con una band che comprende un sassofonista e clarinettista, Chris Potter, gli altri sono il “solito” batterista Antonio Sanchez e il bassista Ben Williams. Il disco si chiama Unity Band ed è uscito per la Nonesuch.

Nuovo album dal vivo per Sade, il titolo è Bring Me Home Live 2011, formato CD+DVD, ma c’è anche in DVD o Blu-Ray, etichetta RCA Sony/BMG,

Tucson è il nuovo album della band di Howe Gelb, ora Giant Giant Sand visto che si sono ampliati per fare spazio a nuovi musicisti, prima fra tutti la pedal steel dell’ottima Maggie Bjorklund, una sezione archi e tre vocalists aggiunti, Lonna Kelley, Brian Lopez e Gabriel Sullivan. Se notate dei punti di contatto con il sound dei Calexico, ricordate che Convertino e Joey Burns vengono dai Giant Sand. Etichetta Fire Records, bel disco! 

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Questi sono in uscita domani, martedì 19 giugno.

Dopo Zeitgeist nuovo album per gli Smashing Pumpkins, titolo Oceania, etichetta Virgin. Stranamente non ci sono Deluxe Editions, solo il doppio vinile.

Invece il quarto album di Fiona Apple una Deluxe Edition ce l’ha, insieme ad uno dei titoli più lunghi della storia recente The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver Of The Screw And Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do. Comunque non ce la fa per poco ( 23 a 25, una curiosità) a battere il titolo del primo brano del disco Second Contribution di Shawn Phillips (tra l’altro bellissimo) che si chiamava She Was Waiting For Her Mother At The Station In Torino And I Know I Love You Baby But It’s Getting To Heavy To Laugh, per gli amici (SWWFHMATSITAYKILYBBIGTH). Curiosità a parte, il nuovo album della Apple è molto bello, esce per la Sony Columbia e nella versione Deluxe oltre a quel libretto verde che ricorda i vecchi registri di classe contiene anche un DVD con 5 brani video registrati al South By Southwest di Austin di quest’anno, oltre a una bonus track, costa caruccio. Solo Fiona Apple, piano, tastiere e voce e tale Seedy, che dovrebbe essere Charlie Drayton, percussioni e strumenti vari.

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Glen Hansard, irlandese, è stato il leader dei Frames fino a metà anni 2000, poi con Marketa Irglova ha iniziato l’avventura Swell Season che lo ho portato nuovamente ad essere attore nel film Once di cui aveva anche composto la colonna sonora (perché è cosa poco nota che era anche uno degli attori-cantanti nel film The Commitments). Ora parte la fase tre della sua carriera con il primo album da solista, Rhythm And Repose, che esce questa settimana per la Anti Records. Inutile dire che c’è la Deluxe Edition, singola, con 3 brani in più.

Già nel 2009 erano usciti un doppio CD Returns e un DVD registrato al Festival di Montreux che documentavano il loro tour di rientro, quello con la formazione più famosa, con Al Di Meola alla chitarra solista. Ora Chick Corea, Stanley Clarke e Lenny White, con l’aggiunta di Jean-Luc Ponty al violino e Frank Gambale alla chitarra pubblicano come Return To Forever un nuovo cofanetto triplo, 2CD+DVD, The Mothership Returns, pubblicato dalla Eagle Rock e relativo al tour del 2011. Il DVD però non ha lo stesso contenuto del doppio CD, ma si tratta di un documentario “Inside The Music” che racconta la storia del tour, due brani registrati dal vivo a Austin e Montreux e il trailer di un film che si chiamerà The Return To Forever Story di prossima uscita.

Per finire questa prima parte vi ricordo che domani è in uscita anche il nuovo album di Grace Potter And The Nocturnals, l’ottima band rock americana. L’album precedente, omonimo, non mi aveva soddisfatto a pieno, a causa di una produzione troppo “commerciale”. Questa volta la band, che dal vivo fa sempre del rock onesto e gagliardo, con la Potter ottima vocalist, si è affidata alla produzione di Dan Auerbach dei Black Keys per un brano e Jim Scott che ha lavorato con Petty, Wilco e Tedeschi Trucks band per il resto dell’album. Il risultato, pubblicato dalla Hollywood Records, solo per il mercato americano, è ottimo. Ovviamente c’è la versione Deluxe con due tracce extra più due duetti, uno con Kenny Chesney e uno con Willie Nelson. Il CD si chiama The Lion, The Beast, The Beat.

A domani per il seguito.

Bruno Conti

Piccolo Ma Tosto! Lil’ Ed And The Blues Imperials – Jump Start

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Lil’ Ed and The Blues Imperials – Jump Start – Alligator

Lil’ Ed And The Blues Imperials sono una delle migliori formazioni “miste” (bianchi e neri) della scena blues attuale. E se è per questo lo sono da una trentina di anni: formata dai “fratellastri” Ed Williams e James “Pookie” Young, che sono uno la custodia dell’altro, come dimensioni, con Williams ovviamente il piccoletto, come ricorda il suo soprannome. Nativi di Chicago e con un imprinting nel DNA Blues, essendo i nipoti di J.B. Hutto, Lil’ Ed, con immancabili cappellini al seguito, e la sua band, sono uno dei punti di forza della Alligator, dal 1986, anno dell’esordio con il vorticoso Roughhousin’ .Da allora non hanno registrato moltissimo (ma neppure poco), questo è l’ottavo album, esclusi un paio di album solisti per Williams, nella seconda metà degli anni ’90, quando aveva sciolto momentaneamente il gruppo.

Lo stile però è rimasto sempre quello: ritmi tirati ma che variano tra jump, blues classico, qualche virata swing, un pizzico di soul, boogie e R&R, il tutto condito dalla slide di Ed Williams che è uno dei migliori virtuosi dello strumento attualmente in circolazione. Il secondo chitarrista, il bianco Michael Garrett, si occupa della ritmica e raramente sale al proscenio per l’occasionale parte solista, in questo Jump Start un paio di volte: nel boogie swingato Jump Right In dopo l’immancabile intervento della slide si ritaglia lo spazio per il secondo breve assolo e in Weatherman, un vorticoso brano che ricorda i ritmi di Hound Dog Taylor, Elmore James e J.B. Hutto, duetta con Williams in quello che è uno dei brani migliori del CD.

Per il resto Lil’ Ed si occupa di tutto, produzione (con Bruce Iglauer), composizione, 13 dei 14 brani, voce solista, sicura e potente e soprattutto una slide micidiale che lo pone come “ultimo” anello di quella catena di nomi citati poc’anzi come uno dei virtuosi imprescindibili dell’attrezzo: dopo i ritmi serrati tra R&R e boogie dell’iniziale If You Were Mine i tempi si fanno addirittura frenetici nella successiva Musical Mechanical Electrical Man con gli angoli sonori del sound che non sono mai smussati, ma ruvidi e aspri con la slide che impazza ovunque. Ma Lil’ Ed ed i suoi soci sono capaci anche di tuffarsi nel più classico Chicago Blues (non perché il resto non lo sia, ma più classico) come nella poderosa Kick Me To The Curb dove la voce assume toni quasi alla Joe Louis Walker o Buddy Guy ma la slide non si allontana mai troppo dall’orizzonte sonoro. Concetto ribadito nell’eccellente slow blues di You Burnt Me dove fa capolino anche l’organo di Marty Sammon e, per una volta, il piccolo Ed si cimenta alla solista senza bottleneck, peraltro sempre con ottimi risultati, e che voce!

Anche House of Cards e Born Loser confermano le qualità d’insieme di questo album che mi sembra sia uno dei loro migliori dai tempi di Get Wild (1999). Detto di Jump Right In, c’è un altro “lentone” tirato e intenso come Life Is A Journey dove la slide di Williams ha più spazio per le sue evoluzioni nella parte centrale. Molto buone anche World Of Love e l’unica cover presente, If You Change Your Mind, l’omaggio a J.B. Hutto, che dopo quello a Hound Dog Taylor nel precedente Full Tilt e in quello prima ancora a Elmore James, conferma qual è la Santa Trinità nel Pantheon Slide di Ed Williams. Per l’occasione Marty Sammon sfoggia anche un pianino insinuante quasi d’obbligo per questo tipo di brano. No Fast Food, l’ulteriore slow My Chains Are Gone e Moratorium On Hate completano l’album che conferma il filotto di uscite di qualità della Alligator.

Bruno Conti    

Una Sorta Di “Mini” Supergruppo (Con Ospiti), Questo Sì Che E’ Blues! Mannish Boys – Double Dynamite

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Mannish Boys – Double Dynamite – 2CD Delta Groove –

Questo potrebbe essere considerato una sorta di “mini” Supergruppo del Blues: con gente in formazione come Finis Tasby, Frank Goldwasser, Kirk Fletcher, il boss della Delta Groove Randy Chortkoff all’armonica, una solida sezione ritmica e sei album alle spalle, i Mannish Boys si sono costruiti una reputazione come una delle migliori formazioni in circolazione. Ma in questo nuovo doppio album Double Dynamite si sono decisamente superati! Secondo me, oltre che per la lunghissima lista di ospiti che si alternano nei 26 brani, è l’arrivo di Sugaray Rayford che ha contribuito in modo non equivoco al successo di questo album. Una “personcina” imponente fin dall’aspetto fisico, come si può rilevare dalla copertina del CD, questo signore canta nove brani in totale nell’album ma stampa la sua presenza come una voce di quelle che si sentono raramente, potente, gagliarda, espressiva, sia alle prese con il soul che con il Blues e anche col funky, con un carisma che risalta anche dall’ascolto del disco in studio, ma dal vivo deve essere ancor più evidente. Senza sminuire il lavoro di tutti i musicisti all’opera in questo album che si candida per essere uno dei migliori dell’anno nell’album nell’ambito Blues-Soul-R&B.

Diviso in due dischi intitolati rispettivamente Atomic Blues e Rhythm & Blues Explosion il doppio parte subito alla grande con una versione di Death Letter di Son House, cantata appunto da Rayford (era presente anche nel suo unico disco solista del 2010 Blind Alley, dove suonano fior di musicisti, tra gli altri Tim Bogert, Gary Mallaber e Phil Parlapiano, se lo trovate non lasciatevelo scappare): Frank Goldwasser con una minacciosa slide si divide il proscenio con l’omone. E da lì è un tripudio (esageriamo!), Finis Tasby, anche se nella suddetta copertina sembra il nonno degli altri, ma ha “solo” 72 anni, è ancora un signor cantante e lo dimostra in una Mean Old World  illuminata anche dai primi ospiti, Rod Piazza all’armonica e Elvin Bishop pure lui alla slide. E il Blues pulsa anche nell’eccellente Bricks In My Pillow con Sugaray ancora ottimo vocalist, il pianino di Rob Rio e la solista di Goldwasser facilitano. Da Jackie Payne, altro vocalist di grande talento della scuderia Delta Groove mi aspettavo uno sfracello nella versione di She’s 19 Years Old/Streamline Woman, e quasi ce la fa ad avvicinarsi al grande Muddy Waters, il titolare dei brani, ma quasi, ancora Goldwasser e Piazza sugli scudi.

Torna Tasby per una saltellante Never Leave Me At Home con l’armonica di Chortkoff al proscenio per la prima volta. Mud Morganfield è il figlio maggiore di McKinley (detto anche Muddy) e proprio recentemente ha pubblicato il suo debutto per la Severn (non c’è paragone con Big Bill, l’altro figlio): non sempre “i figli di” si rivelano all’altezza dei genitori ma spesso il problema sta nel manico, la voce c’è e se i musicisti sono all’altezza, tutto funziona alla grande come in questa versione umorale di Elevate Me Mama con Bob Corritore e Rob Rio ad attizzare il vocalist ed i Mannish Boys. Non ve la faccio lunga perché i brani sono tanti ma la Bad Detective cantata da James Harman, ottimo anche all’armonica, è notevole, come pure lo spazio dedicato sempre al “soffio” di Jason Ricci in Everybody Needs Somebody che non è quella di Solomon Burke ma il brano di Litte Walter. Tasby, Chortkoff e soprattutto il bravo Rayford (sentire come canta The Hard Way, uno slow blues di Otis Spann), si dividono gli altri spazi vocali prima di lasciare la scena nuovamente a Morganfield  per il finale di Mannish Boy che avrebbe fatto felice l’augusto babbo!

Ed è solo il primo CD, il secondo se possibile è anche meglio: tra soul e R&B, come da titolo, e con una sezione di fiati a potenziare la già impressionante batteria di musicisti. Anche in questo caso partenza sparata con una tiratissima Born Under A Bad Sign, canta Finis Tasby, la solista pungente è quella di Bishop nuovamente, i fiati sono sincopati come si conviene e l’organo Hammond di Mike Finnigan si fa sentire. L’istrionico Rayford canta la trascinante That Dood It con Kirk Fletcher alla solista, poi parte la festa del soul con una You’ve Got The Power che illustra il lato romantico di James Brown, cantata in coppia da Sugaray e Cynthia Manley, non conoscevo, bella voce. Il bassista Bobby Tsukamoto alza il fattore funky in Drowning On Dry Land con Nathan James alla solista, Fred Kaplan al piano, di nuovo Mike Finnigan all’organo e Rayford in overdrive . Finnigan ci regala una rara perfomance vocale e pianistica nella cover di puro R&B (non soul) di Mr. Charles Blues (ovviamente il Charles in questione è Ray). Ricorderei anche una versione strumentale di Cold Sweat con Tsukamoto ancora in gran spolvero e apparizioni varie di Jackie Payne, nuovamente, Kid Ramos, Junior Watson, Jason Ricci e gli altri Mannish Boys. Questo sì che è Blues!

Bruno Conti     

Per “Bluesologi”! RJ Mischo – Make It Good

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RJ Mischo – Make It Good – Delta Groove Music

RJ Mischo è un armonicista e cantante di Blues, diciamo non di primo pelo, i capelli si sono fatti grigi ma la grinta è ancora quella degli inizi carriera con alcuni “alunni” di Muddy Waters in quel di Minneapolis una trentina di anni fa, poi come i pittori ha avuto il suo periodo californiano ed ora incide questo nuovo Make It Good in quel di Austin, Texas: ha girato molto anche l’Europa incidendo parecchi CD (tra cui un paio di Live) per la Crosscut Records e poi ha girato in alcune etichette indipendenti. Ora approda anche lui alla Delta Groove, che ultimamente è sinonimo di musica di buona qualità, sia a livello tecnico, per la notevole “presenza” e limpidezza delle registrazioni, sia per la qualità intrinseca della musica curata dal boss della etichetta Randy Chortkoff.

Il disco, che dovrebbe essere il numero undici della discografia, consiste di tredici brani firmati dallo stesso Mischo che cura anche la produzione dell’album, aiutato da una schiera di buoni musicisti, diciamo di seconda fascia, come anche lo stesso RJ, nel parere di chi scrive pure lui un buon musicista ma non un fuoriclasse. Comunque nel disco suonano Johnny Moeller e Nick Curran alle chitarre (un altro che definirei retro futuribile come Mischo, legato alla tradizione ma con una attitudine quasi punk’n’roll al mestiere del Bluesman), Ronnie James Webber al basso e contrabbasso, Wes Starr alla batteria e l’ottimo Nick Connolly a piano e organo. Tutti veterani e bravi musicisti, come dicevo prima, i due chitarristi anche autori a loro volta di album solisti: in definitiva, direi che se siete appassionati e praticanti del Blues qui c’è della buona musica, ma se seguite saltuariamente e spaziate anche in altri generi (come il sottoscritto) ci sono stati nel passato e ci sono anche oggi molti dischi più “importanti” di questo Make It Good, sia nell’ambito del blues tradizionale che in quello del rock-blues.

Se invece il genere vi appassiona in questo album troverete di che godere, in una giusta alternanza di brani strumentali e cantati, ottimi soprattutto i primi che permettono di gustare la tecnica di armonicista di RJ Mischo che ha imparato i trucchi del mestiere da Lynwood Slim: The Frozen Pickle in particolare permette a tutto il gruppo di mettersi in evidenza, prima l’armonica di Mischo, poi l’organo di Connolly e un assolo di chitarra di Johnny Moeller che ricalca le orme del grande Jimmie Vaughan e un po’ tutto il brano ha quel sound alla Fabulous Thunderbirds come la successiva Make It Good dove anche la voce riecheggia quella di Kim Wilson (non possiamo dimenticare che molti dei musicisti che appaiono nel CD suonano attualmente o hanno fatto parte della grande band texana). Altra traccia strumentale sparatissima a tempo di boogie è la divertente Elevator Boogie con qualche elemento western nei temi musicali e molto particolari le due parti di Arumbula con l’organo che trova un suono “misterioso” sul groove movimentato della sezione ritmica. Non mancano il classico shuffle in puro Chicago style di Minnesota Woman e l’immancabile slow blues nella gagliarda Not Your Good Man. I Got You Covered avrebbe fatto nuovamente la sua bella figura in un disco dei già citati Fabulous Thunderbirds ma anche dei Blasters, con le chitarre dei due solisti a dividersi i compiti con un suono più “cattivo”. All Over Again un bel brano corale che conclude le operazioni con stile, permette di gustare ancora una volta tutti i vari solisti guidati dall’ottima voce di RJ Mischo che in questo brano rilascia una delle sue migliori perfomance. Se amate il genere, parafrasando un famoso titolo, potremmo dire, “It’s Only Blues But I Like It”!

Bruno Conti

Un Altro Bruce Ovvero Una Serata Indimenticabile (Ma Come Fa?) – Springsteen A San Siro – 7 Giugno 2012

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Ho gli “ospiti-collaboratori” del Blog con l’ormone impazzito e allora vai con un altro resoconto del Wrecking Ball Tour italiano di Bruce Springsteen con la E Street Band, questa volta tocca a Milano e a Marco Verdi. One, two, three…!

Bruno Conti

 

Un giorno, quando mio figlio sarà grande ed avrà a sua volta dei figli (o dei nipotini), potrà raccontare loro che il giorno del suo undicesimo compleanno ha assistito al concerto della più grande rock’n’roll band al mondo di quel periodo.

Avendo infatti deciso di non potermi perdere l’ennesimo concerto del Boss allo stadio Meazza di Milano, quest’anno ho chiesto a mio figlio se voleva accompagnarmi (con me è già venuto a vedere Willie Nile, Paul Simon, Mark Knopfler e Bob Dylan, piaciuti tutti tranne Dylan, ma far capire il Bob attuale ad un bimbo è un’impresa ardua…), e la sua risposta è stata subito affermativa, in gran parte, da grande appassionato di calcio, attratto dalla possibilità di vedere San Siro dall’interno.

Per quanto mi riguarda, questa per me è la settima volta, la seconda al Meazza, la quinta con la E Street Band (le altre due con la Seeger Sessions Band), e sinceramente pensavo di non poter vedere nulla di meglio rispetto al concerto di tre anni fa a Torino (a mio parere superiore anche al fantastico DVD registrato a Londra durante lo stesso tour), una serata incredibile con una scaletta pazzesca (ne cito solo tre: Loose Ends in apertura, Travelin’ Band dei Creedence ed una rarissima Drive All Night).

Ebbene, questa sera avrò la dimostrazione che con Bruce non si può mai dire, in quanto il Boss riserverà al pubblico milanese una serata che definire storica non è esagerato: tre ore e quaranta di concerto, il secondo per durata non di questo tour…ma della carriera!!!

(Per i curiosi, il più lungo è stato al Nassau Coliseum di Long Island la notte di Capodanno del 1980).

Il titolo del post (ma come fa?) si riferisce ovviamente alla tenuta fisica e vocale di Bruce: a quasi 63 anni è impensabile che un essere umano possa fare quello che ho visto stasera, cioè cantare , correre, saltare, ballare, per quasi quattro ore, senza quasi intervalli tra un brano e l’altro, e senza avere un solo calo di voce.

Sapendo che il nostro si è sempre tenuto alla larga da droghe, anfetamine o eccitanti vari (non è mai stato visto nemmeno con una sigaretta!) rende ancora più sovrumana la sua prestazione: ed il tempo sembra essersi fermato solo per lui, in quanto sia Nils Lofgren che soprattutto il suo compagno di scorribande sul palco Little Steven (o Steve Van Zandt se preferite) questa sera li ho visti più statici del solito.

Non ho intenzione di descrivere la serata per filo e per segno, sarebbe una ripetizione dell’ottimo resoconto del concerto di Trieste fatto dal “collega” Graziano Ongetta, ma mi limiterò comunque a citare gli episodi salienti, che non sono stati certo pochi (33 canzoni in tutto, di cui 10 bis!).

La serata è abbastanza calda, non pioverà come a Firenze dopo quattro giorni, e Bruce ed i suoi salgono sul palco alle 20.40 circa, attaccando subito con We Take Care Of Our Own, che rende subito palese la differenza tra ascoltare un disco di Springsteen e vederlo dal vivo: se la versione in studio del brano mi aveva fatto storcere la bocca, questa sera sembra un’altra canzone, ed il pubblico è subito caldo e partecipe come se si trovasse davanti ad un classico al pari di Thunder Road.

La scaletta della serata è piuttosto standard, ma sono l’intensità ed il feeling a fare la differenza, oltre all’ormai bravura on stage da consumato performer di Bruce, che passa quasi metà del concerto in mezzo al pubblico, fa cantare bambini, ballare giovani fans femminili, oltre ad un intermezzo assolutamente esilarante in cui “ruba” ad un fan un pupazzo a molla con la sua faccia e lo mette tra lui ed il microfono, facendo sembrare che sia il pupazzo a cantare.

Bello l’uno-due vintage di Spirit In The Night e The E Street Shuffle, dove il suo gruppo si traveste da perfetta soul band, commovente Jack Of All Trades (il brano migliore dell’ultimo album, a mio parere), uno dei momenti più toccanti della serata insieme al lungo applauso tributato dai 60.000 di San Siro allo scomparso Clarence Clemons durante Tenth Avenue Freeze-Out, oltre ad una splendida The Promise eseguita su richiesta da Bruce solitario al pianoforte.

E che dire del poker di brani rock’n’roll di circa metà set: Johnny 99, Out In The Street, No Surrender (con l’attacco sbagliato due volte, e Bruce che la seconda urla divertito: “We fucked up again!”) e Working On The Highway, una sequenza in grado di stendere una mandria di tori.

Perfino mio figlio, che non conosceva affatto Springsteen, urla, batte le mani, canta ritornelli che non conosce nel suo inglese da quinta elementare (solo nei bis, pur apprezzando la musica, si siederà stravolto, chiedendomi più volte: “Ma quando finisce?”).

I bis, appunto: per una rockstar normale di solito sono tre, massimo quattro se il pubblico non ti vuole fare andare via.

Questa sera Bruce arriva a dieci, praticamente un mini concerto: inizia con Rocky Ground, un brano del nuovo disco che non mi fa impazzire, ma stasera gli perdono tutto, e poi via con Born In The U.S.A., che non è mai stata tra le migliori del Boss, ma è comunque un inno e stasera l’adrenalina la fa sembrare bellissima, per poi proseguire con l’immancabile Born To Run, una Cadillac Ranch a richiesta (e qui viene giù lo stadio), un’intensa e stringata Bobby Jean, Dancing In The Dark, durante la quale Bruce invita ben due ragazze a ballare sul palco (una chiede di ballare con Jake Clemons, sassofonista nipote di Clarence, molto bravo, e viene prontamente accontentata), per poi finire con la già citata Tenth Avenue Freeze-Out.

E qui si sono chiusi finora tutti i concerti di questo tour, ma stasera no, stasera è una di “quelle” sere, ed ecco che Bruce dopo i saluti riprende la chitarra e ci regala una tonante Glory Days ed una festosa e gioiosa Twist And Shout: non c’è una sola persona allo stadio che non balli, servizio d’ordine compreso.

Ora è veramente finita, è mezzanotte e venti, e se l’altra volta il vicinato ha fatto problemi per un quarto d’ora in più dopo le undici questa sera rischiamo di trovare Claudio Trotta impiccato sul pennone più alto di San Siro.

Ma credo sia solo per questo che Bruce si è fermato, si vede che ne ha ancora voglia.

E noi pure.

Alla prossima Bruce, tanto per te il tempo si è fermato.

 Marco Verdi