Alle Radici Della Lousiana. Zachary Richard – Le Fou

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Zachary Richard – Le Fou – Avalanche Productions 2012

Anche quest’anno (come lo scorso), per chi scrive il Natale è arrivato in anticipo. Infatti di questi tempi avevo recensito su queste pagine virtuali, in formato DVD (Some Day), lo splendido concerto di Zachary Richard, registrato nell’ambito del Festival International del Jazz di Montreal, e oggi quando il postino ha suonato alla mia porta e mi ha recapitato questo ultimo lavoro (il 20° se non ho sbagliato il conto), sono tornato bambino, quando aprivo con ansia i pacchi regalo. Nello stesso tempo quando si ama incondizionatamente un “outsider” storico come Zachary, mi chiedo sempre se mi farebbe davvero piacere vederlo svettare nelle classifiche e diventare un fenomeno di massa, o rimanere un artista di “culto” per pochi eletti. La sua musica, inizialmente, era una perfetta fusione di cajun tradizionale, zydeco, rock e blues di New Orleans, e assieme ai Beausoleil e pochi altri, ha contribuito a divulgare le tradizione della sua terra in tutto il mondo. Una quindicina d’anni fa, Richard ha abbandonato il suono cajun rock, aperto e coinvolgente, che aveva caratterizzato buona parte della sua produzione, per una scrittura più interiore e cantautorale,  sempre in sintonia con la musica della sua amata Louisiana, abbracciando la lingua francese e andando a vivere con la famiglia in Canada nel Quebec.

Con questo Le Fou, (titolo ispirato dal nome francese di un uccello coinvolto nel disastro causato dalla esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico nel 2010) Zachary Richard si dimostra più che mai impegnato in tematiche sociali e ambientaliste, con canzoni che parlano dei temi della resistenza alla furia della natura (Laisse le Vent Souffler), della “separazione” (La Chanson Des Migrateurs) e di storie d’identità e di natura (Original Ou Caribou), oltre a quelle che certificano l’orgoglio e la voglia di lottare per la propria terra.

L’album è prodotto da Nicolas Petrowski e dallo stesso Zachary Richard, e si avvale di ottimi musicisti locali, tra i quali Eric Sauviat alle chitarre e dobro, Nicholas Fiszman al basso, Justin Allard alla batteria, Felix LeBlanc al violino, le brave coriste Yolanda Robinson e Erica Falls e l’amico di sempre Sonny Landreth come ospite, e particolare importante (come si nota dai titoli dei brani), è tutto cantato in francese, nella lingua della nonna materna e sua attuale.

Si apre con la bella e orgogliosa Laisse Le Vent Souffler in perfetto stile cajun e la chitarra di Sonny Landreth è subito protagonista, brano bissato da una Sweet Sweet dotata di un ritornello orecchiabile con il violino in evidenza. Al terzo brano siamo già al capolavoro del disco, con Le Fou  (la follia del genere umano nel distruggere l’ambiente naturale), splendida ballata dalla melodia intensa ed in crescendo, che ci riporta al miglior Richard, con la voce distesa e ben impostata. Da sola potrebbe già valere la spesa del disco. Clif’s Zydeco come dice il titolo, è uno zydeco della terra natia dedicato al re del genere, Clifton Chenier, con la fisarmonica di Zac e la chitarra di Sonny a dettare il ritmo, seguito da un arpeggiata La Chanson Des Migrateurs, una ballata acustica piena di suggestioni. Si cambia decisamente ritmo con Lolly Lo, brano dal ritornello accattivante, con un organo malandrino e il coro sugli scudi, mentre La Musique Des Anges  è una ballata elettrica di un certo respiro, con una melodia forte ed evocativa.

Il disco prosegue a questi livelli con La Ballade De Jean Saint Malo, giocata sulle percussioni di Elage Diouf, un giro di chitarre ritmiche ed un crescendo finale “liberatorio” delle coriste, seguito da Crevasse Crevasse un cajun-bluesche vede lo stesso Zac all’armonica, prima di scatenarsi in un brano Bee De La Manche, dove fisarmonica, violino e percussioni la fanno da padroni. C’est Si Bon (non la famosa canzone francese resa celebre anche da Armstrong, ma un brano suo). è introdotta da pochi arpeggi di chitarra e dalla voce dell’autore, poi si apre lentamente, lasciando spazio ad una dolce melodia, resa al meglio dal mandolino di Eric Sauviat e dal violino di Ray Légère, mentre la seguente Orignal Ou Caribou è un brano molto roots, in cui non mancano le influenze folk dell’artista. Il CD si chiude in bellezza con Les Ailes Des Hirondelles, una canzone struggente, con il dobro ad accompagnare la voce sofferta di Zac (una delle composizioni migliori di questo figlio legittimo della Louisiana che in altra forma già appariva su Migration).

Zachary Richard è ormai oltre i sessanta, nel 2010 è stato colpito da un ictus (che lo ha costretto a sospendere per un lungo periodo l’attività), ma questo signore ha alle spalle una carriera solida, anche se talvolta avara di soddisfazioni, non ha mai venduto molto, comunque i suoi dischi hanno segnato una parte della storia  della musica, con canzoni che hanno saputo dare sempre un’emozione, e, aggiungo, sono in piena sintonia con il mio “collega” di blog Marco Verdi, che di questi tempi  per sentire della buona musica si devono indirizzare le orecchie verso “stagionati” artisti. (Gallina vecchia fa buon brodo!)

Tino Montanari

NDT: Vi ho risparmiato alcuni cenni biografici e la discografia, che potete recuperare andando a rileggere la recensione dello scorso anno del DVD Some Day che trovate qui l-acadien-errante-zachary-richard-some-day-live-at-the-mont.html . Buona lettura.!

Un Prode Quintetto Per Una Giusta Causa. “Light Of Day” In Italy: Willie Nile, Jesse Malin, Joe D’Urso, James Maddock, Israel Nash Gripka

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La data, gli orari, i costi, le modalità e gli altri partecipanti li vedete “allargando” la locandina. La causa, nobile, è quella di raccogliere fondi per la ricerca di cure per il morbo di Parkinson, evento che si svolge tutti gli anni anche negli Stati Uniti e al quale spesso, non annunciato (ma è il segreto di Pulcinella), partecipa anche Bruce Springsteen, che è uno dei “soci fondatori” degli eventi, visto che il tutto prende il nome da una sua canzone.

Quindi Figino Serenza (Como), 5 Dicembre 2012, (se siete vicino a Milano, come il sottoscritto)  per un nobile scopo e anche per un signor concerto, ma volendo anche in altre località, come riportato sul sito ufficiale:

LIGHT OF DAY COMO
December 5th, 2012 9:00 PM to 11:00 PM

Teatro Dell’Oratorio
Figino Serenza (CO), Italy

http://www.facebook.com/Light.of.day.Italia/info

FIGINO SERENZA (Co) – Wednesday December 5 2012
Venue: Teatro dell’Oratorio ,Viale delle Rimembranze
Featuring: Willie Nile,Joe D’Urso, James Maddock, Israel Nash Gripka, Jesse Malin
Opening act: Rob Dye, Daniele Tenca, Mama Bluex`grass Band
Info & tickets: pomodorimusic@gmail.com dinner pre-show with the artists – limited number of seats – reservation required

LIGHT OF DAY TRIESTE
December 6th, 2012 9:00 PM to 11:00 PM

Teatro Verdi Via S. Giovanni 4
Muggia (Trieste), Italy

Phone:040271155
http://www.facebook.com/Light.of.day.Italia/info

MUGGIA (Ts) – Thursday December 6, 2012
Venue: Teatro Verdi ,Via S.Giovanni 4 – tel. +39 040 271155 in partnership with the Muggia Municipality
Featuring: Willie Nile, Joe D’Urso, James Maddock, Israel Nash Gripka, Jesse Malin, Graziano Romani
Opening act: Rob Dye, Dorina, Miki Martina e Franco Ghietti info & tickets : www.triesteisrock.it

LIGHT OF DAY LUGO
December 7th, 2012 9:00 PM to 11:00 PM

Teatro Rossini, Piazzale Camillo Benso Conte di Cavour
Lugo RA, Italy

http://www.facebook.com/Light.of.day.Italia/info

LUGO (Ra) – Friday December 7, 2012
Venue: Teatro Rossini , Piazzale Cavour – (www.teatrorossini.it)
Featuring: Willie Nile, Joe D’Urso, James Maddock, Israel Nash Gripka, Jesse Malin
Opening act: Rob Dye, Lorenzo Semprini, Cesare Carugi
Info & tickets: tel. +39 338/8897725

LIGHT OF DAY LUBRIANO
December 8th, 2012 9:00 PM to 11:00 PM

Lubriano, Italy

http://www.facebook.com/Light.of.day.Italia/info

EXCLUSIVE HOUSE CONCERT
Featuring: Willie Nile,Joe D’Urso , James Maddock, Israel Nash Gripka, Jesse Malin
Opening act: Rob Dye, Antonio Zirilli, John Strada
Info & Ticket: lightofday_italia@fastwebnet.ittita@monaldeschi.it
Reservations required: tel. +39 3332866456 �dinner pre-show with the artists – limited number of seats -reservation required

 

Si tratta di cinque dei migliori cantautori rock attualmente sulla piazza, come potete verificare…

Questo per la cronaca e per chi, per caso, non li conosce!

Bruno Conti

Sinfonie “Zingare”. Devotchka – Live With The Colorado Symphony

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Devotchka – Live With The Colorado Symphony – Cicero Recordings – 2012

Questo Live With The Colorado Symphony è il primo album live ufficiale dei Devotchka, registrato il 18 Febbraio 2012 alla Boettcher Concert Hall,nella loro città d’origine. I Devotchka, sono una stravagante formazione di Denver, Colorado, ed un eccitante “crossover” di influenze e stili, che riesce ad associare le radici della musica americana alla passionalità di quella gitana, alle arie di festa delle atmosfere mariachi, agli intrecci strumentali del folk, sino alla dissacrante attitudine del punk. Usciti dall’anonimato grazie alla colonna sonora del film Little Miss Sunhine, che è valsa a loro una nomination al Grammy, la Band è composta da Nick Urata al canto, chitarre, piano, tromba e bouzouki, Tom Hagerman al violino, fisarmonica e piano, Shawn King alla batteria, percussioni e tromba e Jeanie Schroder al sax, contrabbasso e voce  per un eclettico e fantasioso quartetto di formidabili polistrumentisti.

Esordiscono con un album autoprodotto Supermelodrama (2000), poi hanno fondato la loro label, la Cicero Recordings e pubblicato Una Volta (2003), How It Ends (2004), Curse Your Little Heart (2006) un EP composto da cover con riletture di Siouxsie and The Banshees (Last Beat Of My Heart) e dei Velvet Underground (Venus In Furs), A Mad And Faithful Telling (2008) e 100 Lovers (2011) l’ultimo lavoro in studio, prima di questo ottimo Live, caratterizzato da un Orchestra Sinfonica di 60 elementi, dove la band rivisita in una forma arricchita, brani del loro repertorio. La qualità della registrazione è fantastica, e la si nota sin dal brano iniziale The Alley  che suona già alla grande, cui fa seguito una The Clockwise Witness dove i violini imperversano. Con Along The Way e You Love Me entrano in scena le trombe “mariachi” con tutti i benefici di un Orchestra alle spalle, mentre The Common Good è tambureggiante e si respirano note “arabeggianti”. Un piano introduce All The Sand In All The Sea (brano che ricorda i Calexico) con un crescendo maestoso di aperture armoniche a seguire un brano strumentale spettacolare Firetrucks On The Boardwalk, introdotto da una fisarmonica (molto francese), canzone che poi si sviluppa su un tessuto di percussioni e fiati.

Dopo i sentiti e meritati applausi, si riparte con Comrade Z brano molto cinematografico, in perfetto stile “bohèmienne”, mentre Undone e Queen Of The Surface Street sono canzoni malinconiche e intense, accompagnate dal dolente lamento del violino. Si riparte con le “messicaneggianti” We’re Leaving e Contrabanda,  frizzanti come un sorso di Tequila Sauza, cui fa seguito The Enemy Guns, una canzone perfetta per i titoli iniziali di un film di James Bond. Conclude un grande concerto la splendida How It Ends , tra i magici virtuosismi del violino, il borbottio sommesso della tuba, e i gioiosi assolo della tromba.

Ascoltare i Devotchka (per chi scrive) di per sé è già un piacere, perché sono esuberanti, creativi e affascinanti nel loro folk-rock zingaro, ma quando sono supportati (come in questo caso) da un Orchestra Sinfonica, la loro musica irradia un suono abbagliante e seducente, attraverso uno straordinario senso della melodia, una minuziosa cura degli arrangiamenti che caratterizzano la loro musica, dimostrandosi formazione solida e estremamente preparata, come certificato da questo fantastico live. Se vi fidate (preparate il portafoglio), i Devotchka sono una Band da cercare come il “Il Santo Graal”.

Tino Montanari

Per La Serie: Il Nuovo Che Avanza! Kris Kristofferson – Feeling Mortal

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Kris Kristofferson – Feeling Mortal – KK/Proper CD

Il titolo di questo post è volutamente ironico, avrei potuto usarlo anche per le fatiche recenti di Bob Dylan, Ian Hunter, Paul Simon o Neil Young, tanto per citare artisti di cui mi sono occupato ultimamente: si sa che ormai (purtroppo, nel senso che il futuro non è certo il loro) per sentire della buona musica bisogna (quasi) sempre rivolgersi a gente che ha già passato i sessanta, se non addirittura i settanta. A dire il vero, il titolo che avevo pensato all’inizio era “Ancora Un Bel Disco…Ma C’è Da Toccarsi!”, dove con toccarsi intendevo proprio fare gli scongiuri, visto il titolo dell’album, la copertina e confezione interna un po’ tetri, uniti al fatto che i brani di Kris Kristofferson non vengono usati di solito per rallegrare le feste.

Feeling Mortal è il diciassettesimo album di studio per il grande cantautore/attore texano (esclusi quelli con l’ex moglie Rita Coolidge), un disco che prosegue con la positiva tendenza di rinascita artistica già manifestata con gli ultimi This Old Road e Closer To The Bone. C’è da dire che Kristofferson appartiene a quella ristretta cerchia di cantanti (termine che mi è sempre sembrato un po’ riduttivo) che non ha mai veramente sbagliato un disco, anche in momenti nei quali la sua popolarità era ai minimi termini (cioè gli anni ottanta e parte dei novanta, nei quali si manteneva recitando in diversi film, non sempre di qualità eccelsa), conservando sempre una certa integrità artistica, con sporadiche concessioni al mainstream, come il duetto con Barbra Streisand in Watch Closely Now per la colonna sonora di A Star Is Born.

Feeling Mortal è un album breve (poco più di mezz’ora), ma decisamente intenso: presenta dieci canzoni nel più tipico stile di Kris, con la sua grande voce in primo piano e pochi, dosati strumenti in sottofondo, il tutto nobilitato dalla produzione asciutta ed essenziale di Don Was (per la terza volta di fila) e dalla presenza di sessionman di lusso come Mark Goldenberg, Greg Leisz ed il grande pianista Matt Rollings, già nelle band di Lyle Lovett e Mark Knopfler ed ottimo produttore a sua volta (chiedere a Mary Chapin Carpenter).

Niente di nuovo, musica cantautorale/texana pura ed incontaminata, zero fronzoli e tanta intensità, chi ama il genere troverà di che allietarsi.

*(NDM: una curiosità: l’ordine dei brani riportato sul retro di copertina e sul foglietto interno non corrispondono, il giusto è quello esterno, ma controllare prima di pubblicare no?)

Il CD si apre con la title track, una ballata tipica, passo lento, voce profonda e melodia in primo piano: un ottimo inizio, un brano che ci rimanda direttamente alle migliori canzoni del nostro. Mama Stewart è ancora più lenta, Kris quasi sillaba le parole, ma il pathos che ci mette non è secondo a nessuno, e poi la voce, seppur invecchiata, è ancora vibrante. Bread For The Body è più tonica, una sorta di valzer elettrico venato di country, un brano nel quale si evidenziano le radici texane di Kris; You Don’t Tell Me What To Do, che vede Kris soffiare nell’armonica, è di nuovo lenta, con un passo quasi da marcia funebre (tanto per stare in allegria), anche se il mandolino e la voce vissuta dell’autore danno un po’ di luce.

La gradevole Stairway To The Bottom è un honky-tonk texano, un tipo di brani che se compri un disco di Kris ti danno di serie, mentre Just Suppose è una splendida country song cantata dal nostro con il cuore in mano, una bellissima melodia ed un arrangiamento scintillante, con Rollings superlativo al piano. Castaway è una canzone di stampo folk che racconta di un naufragio del protagonista (e ti pareva), un brano breve ma di grande intensità, My Heart Was The Last One To Know è una cowboy song lenta e meditata, la saltellante The One You Chose porta alla conclusiva Ramblin’ Jack, una delle migliori del disco, con un Kris più pimpante e la band al completo che non perde un colpo. Si sentirà anche mortale, ma Kris Kristofferson dimostra a 76 anni di essere più vivo che mai.

Marco Verdi

Un “Nuovo Amico” Parla di Un Vecchio Amico! Tom Waits – Amsterdam, Concertgebouw 4.11.1985

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Con questo Post inauguriamo la collaborazione di Jimmy Ragazzon dei Mandolin Brothers con questo Blog, visto che il contenuto viene dalla “notte dei tempi” mi calo nei panni del Numero Uno e anche il carattere del Post è diverso dal solito.

Bruno Conti

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TOM WAITS

Amsterdam, Concertgebouw, 4 novembre 1985

AN UNFORGETTABLE “TRIP”

Premessa:

Purtroppo mi ero perso il concerto di Tom Waits  a Londra per pochi giorni nel ’79, e quindi non potevo mancare anche questa nuova occasione data dal Raindogs Tour, soprattutto avendo un buon aggancio ad A’dam e quindi la possibilità di trovare il biglietto. Arrivato in Olanda però, vengo a sapere che no, non avevo il biglietto, dato che il mio amico Andy si era svegliato tardi…

Quindi, passata l’incazzatura, andiamo davanti al Conservatorio ore prima, per cercare di trovarne almeno uno. Sbraitando in inglese ed olandese alla fine un giovane punk mi cede l’agognato tagliando con un ragionevole sovrapprezzo e, dopo avergli offerto una birra, entro al concerto.Questo è il mio indelebile ricordo.

 

Una Amsterdam fredda e piovosa, già invernale, attendeva tranquilla l’arrivo di Tom Waits, senza alcuna pubblicità, se non sui giornali specializzati, ma con tutti i biglietti venduti in sole 6 ore di prevendita. Erano passati anni dall’ultimo tour europeo e l’attesa era davvero grande, soprattutto per il nuovo corso della musica di Waits, intrapreso negli albums “Swordfishtrombone” e “Raindogs”.
Ed è un pubblico eterogeneo, fatto di conoscitori ed assidui frequentatori dei piccoli mondi raccontati da Waits, quello che si raccoglie sui gradini del Concertgebouw, il conservatorio di Amsterdam, per una serata che si preannuncia indimenticabile.
Una volta all’interno della splendida sala, la strana disposizione ed il tipo di strumenti musicali sul palco, dà una idea della particolare atmosfera che si crea subito sulle note introduttive di “Underground” che ci presentano un Waits ammiccante, in camicia a righe e pantaloni neri, scarpe italiane a punta ed un piccolo Borsalino di feltro grigio che sposta in continuazione.
Il viaggio inizia subito, lungo le strade della sua mente popolate da meticci cubano-cinesi, marinai in procinto di salpare verso Singapore, piccoli boss italiani, cittadine astemie della campagna australiana, ragazze fuggite da casa in cerca di qualcosa che non conoscono. Ed anche tristi call girls, hobos ed angeli della desolazione sulle orme di Jack Kerouac e le ispirazioni musicali del blues e di Cole Porter.
Anche gli strumenti, tra cui alcuni inventati da lui, ricreano l’atmosfera del sogno, del continuo susseguirsi di razze e culture, occidente ed oriente, con piatti balinesi, marimbas, glass armonica, calliopes e pump organs, lungo sentieri artistici tracciati da Howlin Wolf, Harry Partch , Hoagy Carmichael.
Si snodano così due ore di spettacolo, costellate da occasionali dialoghi con il pubblico, battute, storielle e piccoli scherzi che fanno di Tom Waits un perfetto entertainer. Sembra parlare sporco e rozzo così come canta con sentimento o suona il piano con estrema delicatezza, spesso accogliendo le molte richieste di un pubblico attento e preparato.
Accompagnato da una grandissima band costituita da Marc Ribot alla chitarra e tromba, Greg Coen al basso, Ralph Carney al sax, Steve Hodges alla batteria ed il funambolico Michael Blair alle più varie percussioni, ha scelto dal suo repertorio brani recenti e classici come “Tom Traubert Blues” ,”29 dollars”,”Jersey Girl”, “Downtown Train”, “Clap Hands”, “Union Square” ed altri.
Alcune canzoni tristi e spezzacuore, altre allegre, ricche di pathos, di assurdità ed aneddoti autobiografici, ballate, jazz, blues, mambo, teatro, ma con tutta la sua anima immersa in ogni brano.
Richiamato a gran voce per tre bis consecutivi, ha concluso lo show con la dolcissima “Time” e tutto il pubblico in piedi a rendere omaggio ad un grande artista, poeta e cantore della strada.
Alla fine, camminando verso casa sotto una pioggia sottile, incontro il mio amico olandese all’uscita del Paradiso, dove ha appena ascoltato Nico, la ex voce dei Velvet Underground ed il suo nuovo gruppo. Vorrebbe raccontarmi qualcosa, ma guardandomi, capisce che stanotte avrò ben altro per sognare . . .

Jimmy Ragazzon

 

 

 Alla prossima!

Novità Di Novembre (E Altro) Parte III. Allan Taylor, Radiators, Southside Johnny, Scott Walker, Judy Collins, Great Big Sea, Devotchka, Kirsty McGee, Shelby Lynne, Alicia Keys, Mumford and Sons, Elvis Costello, Rage Against The Machine, Eccetera

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Pensavo di avere esaurito la disamina di tutto il materiale in uscita nel mese di novembre (e qualcosa che come sempre era sfuggito) e invece mi sono accorto che c’era ancora moltissimo che bolliva in pentola a livello discografico, per cui passiamo alle uscite del 27 novembre (e altro).

Quel cofanettino che vedete effigiato qui sopra è l’ultima opera di Allan Taylor (che peraltro ha anche registrato per l’occasione un nuovo album che uscirà nel 2013). Il titolo del doppio CD è Down The Years I Travelled e prende il titolo dall’unico brano nuovo contenuto in questa antologia rimasterizzata, tratta dal materiale registrato negli anni ’80 e ’90 e che non ha mai avuto una grande distribuzione. La Stockfish Records provvede a renderlo di nuovo disponibile. Non è forse il meglio in assoluto della produzione del grande cantautore folk britannico che risiede nei suoi dischi usciti in origine per la United Artists e ristampati in CD dalla BGO, ma se volete scoprire una delle voci più interessanti e poco conosciute della scena inglese si può iniziare anche con questo album. Tra i musicisti coinvolti ci sono anche Chris Leslie e Martin Allcock dei Fairport Convention, Rick Kemp degli Steeleye Span e altri altrettanto validi anche se meno conosciuti. Oltre al meglio della produzione di quel ventennio ci sono anche un paio di cover di qualità come Don’t Think Twice di Dylan e Across The Borderline della coppia Hiatt-Cooder. Il disco sarebbe uscito da oltre un mesetto ma il problema sta proprio nella reperibilità e nel prezzo sostenuto, in virtù di una bella confezione con libretto di 60 pagine. Oltre una 30ina di euro per 21 canzoni in effetti non è poco. 

I Radiators (From New Orleans) sono da sempre una delle mie formazioni preferite del sottobosco (di classe) della musica americana: degni “confratelli”, con gli Amazing Rhythm Aces, del filone che ha dato vita a formazioni come i Little Feat e la Band, il gruppo è sempre stato tra i protagonisti principali dell’annuale New Orleans Jazz and Heritage Festival che si svolge nella città della Louisiana. Parrebbe che questo The Last Watusi sia il loro canto del cigno dopo 33 anni di onorata carriera: registrato al Tipitina nel corso di 3 serate il 9 10 e 11 giugno del 2011, questo triplo CD raccoglie il meglio della loro produzione e un paio di cover ben scelte, come You Aint Goin’ Nowhere di Bob Dylan e Brand New Tennesse Waltz di Jesse Winchester. Grande band e grande concerti, dopo la vendita sul loro sito sarà disponibile anche attraverso i soliti canali di vendita nei prossimi giorni su etichetta Radz Records.

Credo che l’ultimo disco non dico orecchiabile ma ascoltabile di Scott Walker sia stato The Climate Of Hunter del 1984, che si potrebbe paragonare (spannometricamente) a un disco “complicato” di David Sylvian, però suonato con Mark Knopfler, Mark Isham, Peter Van Hooke, il batterista di Van Morrison, ma anche il noto sassofonista e improvvisatore free jazz Evan Parker e Billy Ocean, quello del tema del film Il gioiello del Nilo. Quindi sacro e profano per uno che ha iniziato negli anni ’60 in un gruppo, i Walker Brothers, dove nessuno si chiamava Walker di cognome e non erano neppure fratelli, però facevano della musica pop eccellente come The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore. Poi una prima carriera solista più sofisticata e dedicata alla divulgazione diretta e indiretta in lingua inglese dell’opera di Jacques Brel, ma non solo ovviamente. Una reunion “laboriosa” dei Walker Brothers. Che dopo Climate Of Hunter ha portato, una decina di anni dopo ad un disco come Tilt con citazioni di Pasolini e la musica di alcuni brani (va bene, uno) che veniva paragonata al frinire delle zampette di un insetto (giuro). Quella categoria di musica che rimanda (per avere un’idea di cosa aspettarvi) al Peter Hammill più criptico con i Van Der Graaf o al Captain Beefheart di Trout Mask Replica, insomma dischi che non si ascoltano proprio tutti i giorni ( e neppure tutti gli anni). Questo nuovo Bish Bosh (titolo che nella interpretazione dello stesso Walker ha tre significati diversi, uno dei quali coinvolge il pittore fiammingo ma potrebbe essere anche “lavoro fatto) non scherza neppure lui con brani intitolati Epizootics, Corps de Blah e la epica (oltre 20 minuti) SDSS1416+138 (Zercon A Flagpole Sitter) che coinvolge le coordinate di piccole stelle lontane e il buffone di corte di Attila, per riassumere molto. Ma anche un brano come The Day “The Conducator” Died (An XMas Song) che racconta la storia della morte di Ceausescu avvenuta il giorno di Natale del 1989. A parte questo brano che ha qualcosa dell’epica natalizia di certe musiche hollywoodiane, il resto (per quello che ho potuto sentire velocemente) coinvolge le atmosfere musicali sopraccitate e molto altro, musica colta e complessa. Insomma non è musica facile che uno non sempre riesce a sentire, bisogna entrare nello stato d’animo giusto, quelle due volte l’anno (anche se la trovo affascinante, come pure il personaggio). Il tutto uscirà il 4 Dicembre per la 4AD in CD o vinile.

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Il primo titolo di questo trittico è uscito da qualche tempo, gli altri due sono in uscita in settimana.

Quel Southside Johnny & The Asbury Jukes Men Without Women Live 7-2-11 Asbury Park NJ, in teoria è uscito già da tempo (la scorsa estate, a giugno)), però è disponibile per la vendita solo sul loro sito oppure per il download digitale su Leroy Records. Si tratta. come vedete, della registrazione di un concerto tenuto lo scorso anno a casa loro, quando in una serata hanno eseguito interamente l’album di Little Steven Men Without Women più tre brani del loro repertorio a conclusione dello show. Strana scelta, ma questo è. Inutile dire che la reperibilità non è massima, ma era giusto segnalarlo per i fan.

Il Live At The Metropolitan Museum of Art di Judy Collins esce in questi giorni per la propria etichetta, la Wildflower Records, sia in CD che DVD. Una performance ripresa dalla TV americana per ricordare i 50 anni di carriera anche della grande “Judy Blue Eyes” con molti classici, tra cui Both Sides Now, Diamonds And Rust, Helplessy Hoping, Mr. Tambourine Man, Moon Is Harsh Mistress, Send In The Clowns, Pastures Of Plenty e la partecipazione di Shawn Colvin, Ani DiFranco, Kenny White e Jimmy Webb.

XX dei Great Big Sea ovviamente non è un film hardcore ma ricorda i 20 anni della loro carriera in una doppia antologia tratta dal meglio dei loro 10 dischi e 2 DVD. Pubblicato dalla loro etichetta e dalla Warner Music Canada da qualche settimana, ha questo contenuto:

Disc 1 – Pop

Track listing

  1. “Born to Believe”  – 3:45 (Previously Unreleased)
  2. “What Are You At”  – 3:10 (From Great Big Sea)
  3. Run Runaway”  – 2:50 (From Up)
  4. “Goin’ Up”  – 3:11 (From Up)
  5. When I’m Up (I Can’t Get Down)”  – 3:23 (From Play)
  6. Ordinary Day”  – 3:09 (From Play)
  7. “How Did We Get From Saying”  – 3:47 (From Play)
  8. Consequence Free”  – 3:14 (From Turn)
  9. “Feel It Turn”  – 3:47 (From Turn)
  10. “Boston and St. John’s”  – 3:47 (From Turn)
  11. “Sea of No Cares”  – 3:41 (From Sea of No Cares)
  12. “Clearest Indication”  – 4:12 (From Sea of No Cares)
  13. “When I Am King”  – 2:31 (From Something Beautiful*)
  14. “Something Beautiful”  – 3:47 (From Something Beautiful*)
  15. “Love Me Tonight”  – 4:12 (From Fortune’s Favour)
  16. “Walk On The Moon”  – 3:35 (From Fortune’s Favour)
  17. “Live This Life”  – 4:39 (Previously Unreleased)
  18. “Nothing But A Song”  – 3:02 (From Safe Upon The Shore)
  19. “Long Life (Where Did You Go)”  – 3:11 (From Safe Upon The Shore)
  20. “Let My Love Open The Door”  – 4:16 (Previously Unreleased)

Disc 2 – Folk

Track listing

  1. “Heart of Hearts”  – 4:09 (Previously Unreleased)
  2. “Great Big Sea / Gone By The Board”  – 3:36 (From Great Big Sea)
  3. “Donkey Riding”  – 2:22 (From Play)
  4. “A Boat Like Gideon Brown”  – 2:54 (From Sea of No Cares)
  5. “Dancing With Mrs. White”  – 2:06 (From Up)
  6. “General Taylor”  – 2:55 (From Play)
  7. “Come And I Will Sing You”  – 3:43 (From The Hard and the Easy)
  8. “Ferryland Sealer”  – 3:17 (From Turn)
  9. Lukey”  – 3:23 (With The Chieftains. From Fire in the Kitchen)
  10. “Captain Wedderburn”  – 3:37 (From Turn)
  11. “Captain Kidd”  – 2:50 (From The Hard and the Easy)
  12. “Le Bon Vin”  – 3:08 (Previously Unreleased)
  13. “England (Live)”  – 4:45 (From Courage & Patience & Grit)
  14. “Old Black Rum”  – 2:29 (From Up)
  15. “The Night Pat Murphy Died”  – 3:00 (From Play)
  16. “River Driver”  – 3:03 (From The Hard and the Easy)
  17. “Mary Mac”  – 2:33 (From Up)
  18. “Excursion Around The Bay”  – 2:28 (From Great Big Sea)
  19. “Josephine The Baker”  – 4:35 (Previously Unreleased)
  20. “Good People”  – 2:34 (From Safe Upon The Shore

 

Volendo, ne esisteva anche una versione in cofanetto quadrupla prenotabile sul loro sito, che è andata esaurita, che conteneva anche un terzo CD con altri 20 brani e un DVD con documentario sulla loro carriera, più libro e memorabilia vari.

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Altro terzetto di materiale non di facilissima reperibilità.

Il Live With The Colorado Symphony dei Devotchka è stato registrato il 18 febbraio del 2012 alla Boettcher Concert Hall di Denver con la partecipazione della Colorado Synphony Orchestra ed è “uscito” per la Cicero Recordings il 13 novembre scorso. Questi i brani contenuti:

Tracks
1. The Alley
2. The Clockwise Witness
3. Along the Way
4. The Common Good
5. You Love Me
6. All the Sand in All the Sea
7. Firetrucks on the Broadwalk
8. Comrade Z
9. Undone
10. Queen of the Surface Streets
11. We’re Leaving
12. Contrabanda
13. The Enemy Guns
14. How it Ends  

Kirsty McGee è una cantautrice inglese sconosciuta ai più, ma molto brava, che ha già pubblicato, per varie etichette, 6 album, tra cui un Live, e vari singoli ed EP, dal 2000 ad oggi. Questo nuovo Contraband esce per la Hobopop Recordings dopo un periodo difficile durante il quale, a causa di una depressione, aveva pensato di abbandonare la musica. Folk gentile e musica raffinata, una bella voce e tante belle canzoni per una cantrautrice che si colloca in quella nicchia dove opera anche gente come Boo Hewerdine, Eddi Reader, Karine Polwart e altri nomi “minori” del panorama elettroacustico inglese. Una di quelle brave “beautiful losers” che tanto piacciono a chi scrive su questo Blog.

Altra “grande” voce (di quelle che ti mandano i brividi lungo la schiena), questa volta americana, è quella di Shelby Lynne: con la sorella minore, Allison Moorer spesso citata e recensita su quest pagine virtuali, la Lynne, da qualche tempo, i dischi se li pubblica in proprio sulla etichetta Everso Records (e spesso se li suona anche da sola). Revelation Road, dello scorso anno era un piccolo gioiellino dominato dalla sua bellissima voce, come il precedente Tears, Lies And Alibis e anche il disco natalizio, Merry Christmas, non era male (per non parlare del tributo alle canzoni di Dusty Springfield, Just A Little Lovin’, del 2008, che mi era piaciuto moltissimo). Ora esce questo CD+DVD che riporta due diverse registrazioni dal vivo effettuale nel 2012, in solitaria. Shelby Lynne Live contiene nel CD il Live At McCabe’s, registrato a maggio di quest’anno e già disponibile per il download e il DVD del Live At The Union Chapel del 25 febbraio scorso. Proprio per i maniaci ci sarebbe anche una versione Deluxe di Desolation Road, che vedete qui sotto…

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che oltre ai due dischetti contiene anche una versione ampliata del disco dello scorso anno con 5 bonus tracks e un secondo DVD con un documentario con il Making of dell’album. Dovrebbe costare una cinquantina di euro e non essere molto facile da trovare. Mentre la versione doppia esce anche in questi giorni in Europa distribuita dalla benemerita Proper Records (che annuncia in questi giorni, la prossima uscita, a metà febbraio, credo il 13, del nuovo album di Richard Thompson Electric, attesissimo da chi vi scrive)! Non c’entra niente ma volevo segnalarvelo.

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Tre “piaceri proibiti”.

Alicia Keys in teoria non c’entra nulla con i contenuti di questo Blog, ma visto che il vostro solerte recensore spera sempre che la diva del “nu soul” prima o poi si redima (come è successo per il recente bellissimo disco di Joss Stone, un’altra con una gran voce) vi segnalo l’uscita del nuovo disco per la Sony Bmg, si chiama Girl On Fire e non si è redenta come testimoniano i duetti con Nicky Minaj e Jamie degli XX. Però c’è anche un duetto con Maxwell e alcune belle ballate pianistiche non troppo tamarre che ne segnalano il talento (mi ricordo sempre una sua esibizione live, credo al live Earth del 2007, dove cantava una fantastica versione di Gimme Shelter degli Stones “disintegrando” Mister Nicole Kidman, Keith Urban)! Comunque il suo primo disco e l’MTV Unplugged non sono dei brutti dischi. Essendosi sposata tale Swiss Beatz i nostri gusti musicali direi che non coincidono.

Per la serie i dischi inutili esce una compilation per la Universal, curata dallo stesso Elvis Costello, che si intitola In Motion Pictures e contiene brani, tutti editi, tratti da colonne sonore varie. Mah! Questo è piacere proibito, perché bisogna essere proprio masochisti per comprarlo (però molte delle canzoni sono bellissime, poche balle!).

Infine, per chi ama i dischi di canzoni natalizie, ne viene pubblicato uno Christmas Rules, già uscito come Holidays Rules per il mercato americano da qualche settimana, ed ora disponibile anche da noi per la Hear Music/Universal (in origine su Starbucks), che, detto fra noi, non è per niente male, sia per i brani, 17, tutti nuovi, che per molti dei musicisti impegnati:

01 fun.: “Sleigh Ride”
02 The Shins: “Wonderful Christmastime”
03 Rufus Wainwright with Sharon Van Etten: “Baby, It’s Cold Outside”
04 Paul McCartney: “The Christmas Song (Chestnuts Roasting on an Open Fire)”
05 Black Prairie: “(Everybody’s Waitin’ for) The Man With the Bag” [ft. Sallie Ford]
06 The Civil Wars: “I Heard the Bells on Christmas Day”
07 Calexico: “Green Grows the Holly”
08 AgesandAges: “We Need a Little Christmas”
09 Holly Golightly: “That’s What I Want For Christmas”
10 Irma Thomas with the Preservation Hall Jazz Band: “May Everyday Be Christmas”
11 Heartless Bastards: “Blue Christmas”
12 Eleanor Friedberger: “Santa Bring My Baby Back to Me”
13 Fruit Bats: “It’s Beginning to Look a Lot Like Christmas”
14 Y La Bamba: “Señor Santa”
15 The Punch Brothers: “O Come, O Come, Emmanuel”
16 The Head & the Heart: “What Are You Doing New Year’s Eve”
17 Andrew Bird: “Auld Lang Syne

Sulla carta non è male, e anche a sentirlo non fa schifo, tirate fuori le renne!

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Della serie come comprarsi sempre la stesse cose, ma in diverse versioni, e inc…rsi come l’automobilista di Gioele Dix, escono questi due manufatti. Il primo, in DVD o Blu-Ray, sempre dei Mumford and Sons (quindi non è per la qualità dei contenuti musicali, anzi) si chiama The Road To Red Rocks (Live In Concert), Universal Music, e testimonia il concerto dal vivo tenuto nel famoso anfiteatro del Colorado e gli annessi e i connessi della serata, 81 minuti in tutto, esce il 27 novembre, cioè domani. Ma il 4 dicembre esce Babel (Gentlemen Of The Road Edition) che oltre all’ultimo disco della band inglese, nella versione DEluxe con 15 brani, contiene anche il DVD The Road To Red Rocks e pure la versione audio in CD, quindi un bel triplo per i vostri regali natalizi. Nel senso che lo regalate o ve lo fate regalare.

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Sempre a proposito di cofanetti, domani ne escono altri tre interessanti.

Il primo è lo stesso disco, ma in due versioni differenti, sempre per il ventennale dall’uscita originale: si tratta del disco d’esordio omonimo dei Rage Against The Machine che ora si chiama XX (sempre inteso come numero e non come genere). La versione “normale” è tripla e contiene nel primo CD il disco originale rimasterizzato con tre tracce dal vivo bonus, il secondo contiene i demos, incisi nel 1991, che fruttarono alla band il contratto con la Epic, dodici canzoni in tutto, mentre il terzo dischetto, un DVD, riporta il concerto tenuto il 6 giugno del 2010 al Finsbury Park di Londra, più tutti i video del gruppo più altri brani registrati dal vivo. La versione Deluxe che supererà o si aggirerà intorno al classico ed immancabile centone (forse un po’ meno questa volta) di queste edizioni, oltre ai dischi menzionati conterrà anche un secondo DVD dal vivo con il primo concerto in assoluto del gruppo e altre live clips di brani registrati tra il 1991 e il 1994, oltre al vinile rimasterizzato, libretto e poster gigante.

Invece per la serie un cofanetto non si nega a nessuno (per fortuna) la Freud Records, ?!?, distribuisce la “definitive edition” di un disco cult dell’epoca “punk e precursori”, ovvero L.A.M.F. (Like a Motherfucker) degli Heartbreakers o meglio Johnny Thunders and The Heartbreakers (da non confondere con quelli di Tom Petty). Ben 4 CD, libretto di 44 pagine e tutto questo “Bendidio” per una band il cui motto era “Born To Lose”:

Disc 1: ‘L.A.M.F. – the lost ’77 mixes’ Recompiled in 1994, as Johnny Thunders and the Heartbreakers.
Born To Lose, Baby Talk, All By Myself, I Wanna Be Loved, It’s Not Enough, Chinese Rocks, Get Off The Phone, Pirate Love, One Track Mind, I Love You, Goin’ Steady, Let Go, Can’t Keep My Eyes On You, Do You Love Me.

Disc 2: ‘L.A.M.F.’ The original Track Records LP restored.
Restored at last! The ‘muddy’ version without the mud – how they wanted it to sound! Replica sleeve wallet.
Born To Lose, Baby Talk, All By Myself, I Wanna Be Loved, It’s Not Enough, Chinese Rocks, Get Off The Phone, Pirate Love, One Track Mind, I Love You, Goin’ Steady, Let Go.

Disc 3: ‘L.A.M.F. – the demo sessions’ Three sessions in ‘76 and ‘77, including tracks with Richard Hell.
I Wanna Be Loved (mix 2), Pirate Love, Goin’ Steady, Flight, Born To Lose, Can’t Keep My Eyes On You, It’s Not Enough, I Love You, Take A Chance, Do You Love Me, Let Go, Chinese Rocks, Born To Lose.

Disc 4: ‘L.A.M.F. – the alternative mixes’ 21 mixes from the epic sessions at five top London studios
Born To Lose, Born To Lose, Baby Talk, Baby Talk, All By Myself, All By Myself, It’s Not Enough, It’s Not Enough, Chinese Rocks, Get Off The Phone, Pirate Love, Pirate Love, One Track Mind, One Track Mind, I Love You, Goin’ Steady, Goin’ Steady, Let Go, Let Go, Can’t Keep My Eyes On You, Do You Love Me.

Anche per oggi, piatto ricco, o se preferite la faccio corta, perché poi mi scappano delle mini-recensioni in virtù del fatto che non sono sicuro di riuscire a ritornarci (spesso non è detto) ma abbiamo concluso.

Bruno Conti

File Under: “Bella Musica”! Minnesota – Are You There

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Minnesota – Are You There – Hymn & Holler Records 2012

Ci sono dischi (come diceva una nota pubblicità) che allungano la vita, sicuramente Are You There dei Minnesota, frutto della collaborazione tra Peter Himmelman (una delle penne più vitali e creative  della scena americana) e il regista David Hollander (The Guardian) è uno di questi. Himmelman, originario di Minneapolis (l’uomo che ha reso nonno Bob Dylan, sarebbe il genero), ha esordito all’inizio degli anni ’80 come leader dei Sussman Lawrence, poi dal 1986 è diventato solista, con una carriera altalenante,con dischi di ottima fattura From Strengh To Strengh (91), Flow This Acid World (92), alternati ad altri meno riusciti, Gematria (87), Skin (94 (che però Allmusic indica come uno dei suoi migliori), e oneste produzioni come Love Thinketh No Evil (99) e Imperfect World (2005). Non male anche Mystery And The Hum, l’ultimo del 2010 e da segnalare anche alcuni dischi di canzoni per bambini (il migliore forse My trampoline).

Il duo aveva già lavorato insieme per la serie TV Heartland, ma questa collaborazione è più sulla musica che sulle immagini, focalizzando di più le storie che stanno dietro alle melodie. Per questo lavoro Peter è affiancato da uno stuolo di musicisti di talento come Jake Hanson alla chitarra, Noah Levy (BoDeans, Brian Setter) alla batteria, Jimmy Anton (Johnny Lang) al basso, Jeff Victor (Honeydogs) alle tastiere, Joe Savage alla lap steel e l’apporto delle splendide voci di Kristin Mooney e Claire Holley,  per un “sound” che spazia tra Rock, Folk, Blues e Americana.

Il disco si apre con Deep Freeze , brano che potrebbe ricordare  i Woven Hand più ispirati, ma ha la sua originalità nell’aggiunta non trascurabile delle voci di Kristin Mooney e Claire Holley (entrambe cantanti ed autrici con una discografia ricca e variegata), mentre la successiva Hitchhiker è uno “scuro” folk-rock giocato ancora sull’interscambio tra la voce di Himmelman e quelle delle sue compagne di viaggio, con una complessa ritmica a scandire il tempo e una chitarra elettrica inquietante a disegnare arabeschi sonori che aprono improvvisamente le prospettive della canzone, per poi dare spazio all’acustica Moths, una delle tracce migliori del disco, con i segni evidenti di una melancolia che vira verso il sublime e può ricordare la classe cristallina dell’Eric Andersen più ispirato, quando anche l’utilizzo di una voce femminile era un’arte, come non citare lo stupendo Blue River. Si riparte con Arabesque, un valzerone vagamente circense che potrebbe riportarci, sempre per l’utilizzo del controcanto femminile, al lavoro di un altro maestro nell’utilizzo di questo escamotage sonoro, il grande Leonard Cohen, mentre la seguente Death By Snakebite è un brano più elettrico ed elettrizzante, con una slide sullo sfondo e la voce di Himmelman che vira verso toni vocali vagamente alla Costello,  molto bello il crescendo finale valorizzato ancora una volta dalle voci femminili.

Midnight In The Morning è una composizione intimista, tenue e rarefatta, in cui la voce di Peter, quasi tremula, si avvale dello splendido controcanto delle due co-protagoniste che sarebbe riduttivo definire coriste; seguono Call From The Road con il battito cadenzato delle mani, poi reiterato, ad introdurre un’altra notevole costruzione sonora che si avvicina anche, per certi versi, all’universo sonoro di un gruppo come i Cowboy Junkies, mai banali nelle geniali intuizioni dei fratelli Timmins e il lamento acustico cadenzato di Behind Me, screziato da noise e melodia come nelle migliori intuizioni del compianto Vic Chesnutt. Si cambia ancora ritmo con Can’t Outrun The Things e Ash & Chickenwire, dove batteria, percussioni e le  chitarre spiegate nonché l’immancabile sostegno delle voci delle “ladies”, soprattutto nel secondo brano, potrebbero ricordare vagamente un Meat Loaf meno caciarone e più intellettuale e ci regalano due brani, ricchi, elettrici e trainanti. Con Help Me Build a Ladder e 1000 Blackbird,s con piacere si riscopre l’Himmelman cantautorale ed intimista del passato, mentre la conclusiva Send It Up (vagamente radiofonica) è un brano rock con le chitarre sugli scudi, sulle orme del Tom Petty meno convenzionale.

Are You There, frutto di questo “progetto” Minnesota, si presenta come un lavoro complesso, ricco di mille suggestioni sonore, piccole perle musicali, con arrangiamenti fuori dagli schemi abituali, dove trovano spazio diversi generi, che rispondono ai modelli di gente come Costello, il miglior Parker, qualche piccola traccia del “nativo” (del Minnesota) Dylan e il Boss, senza però essere figli di nessuno. Per chi scrive uno dei lavori migliori di questo 2012, e la possibilità di scoprire (o riscoprire) il talento di Peter Himmelman, un musicista che ha ancora molto da dire.

Purtroppo il disco non è di facile reperibilità, disponibile solo per il dowload, anche transitando per il loro sito http://www.minnesotaband.com/ e qui li potete ascoltare dal vivo minnesota-with-peter-himmelman-on-mountain-stage

Tino Montanari

Il 27 Novembre Avrebbe Compiuto 70 Anni! James Marshall Hendrix – Seattle 27-11-1942 Londra 18-09-1970

Jimi Hendrix avrebbe compiuto 70 anni il prossimo 27 novembre (lo ammetto, sono in leggero anticipo) e mi pare doveroso ricordarlo con quella che secondo me era la sua canzone più bella, la sintesi della sua arte e, parere personale, uno dei cinque brani più belli della storia della musica rock, Little Wing. Forse (anche senza il forse) questa  è la versione più bella di quelle registrate dal vivo e si trovava sul vecchio Hendrix in the West, comunque tratta dal concerto alla Royal Albert Hall di Londra. Il suo epigono e fedele discepolo Stevie Ray Vaughan ne ha registrato delle belle versioni, tipo questa al Rockpalast…

…ma Jimi Hendrix rimane il più grande genio intergalattico della storia della chitarra elettrica e tra i grandissimi della musica rock!

Questo volevo dirvi, alla prossima!

Bruno Conti

Un’Occasione Persa. Solo Per Maniaci “Stonimentali”! Rolling Stones – GRRR!

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The Rolling Stones – Grrr!

Polydor 2CD – 3CD – 3CD Deluxe – 5CD + EP Super Deluxe – 5LP

Se uno si dovesse limitare a dare un giudizio sul contenuto di Grrr!, box celebrativo dei 50 anni di carriera dei Rolling Stones, cioè della più grande rock’n’roll band di sempre, dovrebbe chiedere una deroga alle classiche cinque stelle e dargliene almeno sei o sette (per la cronaca, sto prendendo in esame esclusivamente la versione Super Deluxe, cioè quella con 80 canzoni più bonus).

Invece, guardando la cosa dal lato negativo, ci sarebbe da incazzarsi alquanto, dato che ci troviamo per le mani l’ennesima antologia delle Pietre Rotolanti, presentata certo in maniera sontuosa, con un megabox elegante (ma di difficile sistemazione logistica), con un lussuoso ed interessante librone all’interno (nel quale mancano però i riferimenti agli album dai quali sono tratti i brani), ma con la miseria di due inediti, cioè le già note, per chi smanetta su internet, Doom And Gloom e One More Shot.

(NDM: comunque nel boxettone super, peraltro costosuccio, c’è anche un mini CD con 5 demo inediti degli anni sessanta ed un EP in vinile con quattro BBC Sessions dello stesso periodo, sempre inedite, una specie di magro contentino per i fans, pur se estremamente interessanti dal punto di vista musicale).

Quindi ne parlo bene o male? Diciamo che, come ho scritto nel titolo del post, ci troviamo di fronte all’occasione persa del secolo: sarebbe bastato prendere gli stessi ottanta brani (o altri, non importa) e pubblicarli esclusivamente in versione inedita, sia alternata di studio che dal vivo (gli archivi ne sono sicuramente pieni), invece dalla solita minestra riscaldata, tra l’altro a poco tempo di distanza dalla ripubblicazione di tutto il catalogo dagli anni settanta in poi.

Per carità, i due inediti, registrati quest’estate a Parigi, sono bellissimi, due rock’n’roll tipici dei loro, con Keith Richards a riffare da par suo e Mick Jagger solito marpione dietro al microfono: due brani di grande qualità (soprattutto Doom And Gloom, nel filone di classici del passato quali Brown Sugar, Street Fighting Man e Start Me Up).

Uno pignolo (ed io lo sono, soprattutto se devo spendere circa cento euro) avrebbe poi qualcosa da dire anche sulla tracklist: va bene la scelta di omaggiare tutti gli album di studio (compresi dischi live o antologici, vedi Flashpoint e Forty Licks, che però avevano al loro interno anche dei brani nuovi incisi per l’occasione, nella fattispecie Highwire e Don’t Stop), va bene che se prendiamo mille fans avremo mille tracklist differenti, ma come si fa ad escludere brani seminali come Sister Morphine, Sweet Virginia, Dead Flowers (forse il mio brano preferito degli Stones) e Memory Motel?

E meno male che hanno messo Salt Of The Earth e Beast Of Burden se no andavo ad aspettarli sotto casa…

In definitiva, non me la sento di consigliarvi l’acquisto di questo manufatto, a meno che non dobbiate farvi fare un regalo costoso per Natale: se invece conoscete qualche giovane leva che vi chiede che cosa sia il rock’n’roll e vi avanzano quei cento euro in tasca (ma per questo vanno bene anche le edizioni “economiche”), regalate Grrr! e farete senz’altro un’opera di bene,

Marco Verdi

*NDB: prima una breve legenda. NDB, sta per Nota del Bruno o del Blogger, che coincide. NDT, starebbe per Nota del Traduttore, mentre nel Blog vale per Nota del Tino. Ora c’è anche la new entry, NDM, questo è facile, Nota del Marco. Chiarito il tutto, la mia breve nota.

Giustamente Marco si chiede perché in questa antologia Super Deluxe (ma anche in quella di Charlie Is My Darling) gli inediti, in studio e dal vivo, sono ridotti al lumicino? Perché, secondo me, i Rolling Stones aderiscono alla famosa teoria mouriniana del “non sono mica pirla” e quindi i concerti inediti (Official Bootlegs) se li vendono per il download sul loro sito http://www.stonesarchivestore.com/ L’ultimo è Leeds 1982 ma è già in arrivo Toronto 2005 http://www.stonesarchive.com/bootleg_years/2005/

Intanto, according to Mr. Ron Wood, gli Stones stanno per entrare in studio per incidere un nuovo album per il vero anniversario del 50° che sarà il 2013 e questi due brani inediti non verranno forse (ri)utilizzati, mah?

E’ tutto. Come vedete nel Blog (a proposito di Mourinho) vige un gioco di squadra, per cui immagini, video e integrazioni sono sempre a cura del vostro blogger preferito (spero). Sempre a lavorare, anche quando non sembra!

Se Fosse Anche Prolifica Sarebbe Perfetta! – Iris DeMent – Sing The Delta

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Iris DeMent – Sing The Delta – Flariella CD

Uno dei “mini-eventi” discografici di questo 2012 che volge al termine è sicuramente il ritorno discografico di Iris DeMent (che come forse ricordate è anche la moglie di Greg Brown). Erano infatti ben sedici anni, cioè da The Way I Should (che all’epoca era il suo terzo album), che la brava Iris non pubblicava un disco di brani originali: in mezzo (nel 2004) era uscito il bellissimo Lifeline, che però era una raccolta di brani tradizionali (tranne uno) a sfondo gospel, oltre a qualche sparuta apparizione in colonne sonore, tributi ed ospitate per duetti in dischi altrui. Mi ero quindi quasi dimenticato della sua esistenza, in sedici anni è cambiato il mondo (non solo musicale), ma ci ha pensato la sua nuova fatica Sing The Delta a farmi di nuovo apprezzare un’artista di primissimo livello.

Sing The Delta (il titolo potrebbe far pensare ad un album di cover di blues del Mississippi, ma in realtà sono tutte canzoni nuove di zecca) è infatti un grande disco, ispirato, lirico, suonato in maniera fluida e cantato al solito molto bene dalla voce squillante e giovanile di Iris (in contrasto con la sua immagine trasandata presente sulla copertina e nel booklet del CD, stile massaia stressata), un disco musicale nel vero senso della parola con Iris davvero in forma smagliante, accompagnata da uno stuolo di musicisti di primo piano, tra cui i produttori Bo Ramsey (fedele collaboratore suo ed anche di suo marito) e Richard Bennett, il maestro della steel guitar Al Perkins e l’ex Double Trouble Reese Wynans: lei stessa si dimostra una pianista formidabile, sentire per credere (e questo particolare non lo ricordavo). Senza esagerare, penso di trovarmi di fronte ad uno dei 10-15 migliori dischi dell’anno, di sicuro il migliore in ambito femminile (più di Mary Gauthier, che è dal vivo e quindi non con brani nuovi, di Ashes And Roses di Mary Chapin Carpenter, bello ma alla lunga un po’ statico, e di Banga di Patti Smith, che mi è piaciuto solo in parte).

Dodici brani, uno meglio dell’altro, con uno stile che parte dal country, punto di partenza naturale della musica di Iris, per sfociare nel folk e nel gospel con estrema naturalezza, eccellente feeling interpretativo e grande compattezza di fondo, il tutto condito con una finezza non comune. Anche i testi riflettono questa semplicità: si parla di famiglia, lavoro, affetti, fede, ricordi di gioventù, un mix estremamente spontaneo nel quale realtà (inteso come rimembranze autobiografiche di Iris) e finzione si fondono in maniera mirabile, lasciando il dubbio su dove finisce una cosa e dove comincia l’altra. L’inizio è strepitoso: Go On Ahead And Go Home è una grandissima canzone, con un riff di piano irresistibile, una melodia coinvolgente cantata in maniera superlativa (sto già finendo gli aggettivi a disposizione…). Una delle migliori opening tracks da me ascoltate negli ultimi mesi. E poi, ribadisco, Iris al pianoforte è una goduria per le orecchie, suona quasi come Randy Newman.

Before The Colors Fade, più lenta, è buona ma non eccezionale, l’unico episodio leggermente sottotono, ma con The Kingdom Has Already Come, un country-gospel che rimanda addirittura al miglior Elton John (quello di dischi come Tumbleweed Connection e Madman Across The Water), il disco si rimette sui binari giusti e non si ferma più. La pimpante The Night I Learned How Not To Pray, dall’arrangiamento bucolico e solare, è il tipo di brani country che Emmylou Harris non fa più da una vita, mentre Sing The Delta è unosplendido slow dal sapore quasi soul, dovuto anche all’uso discreto dei fiati. If That Ain’t Love è honky-tonk deluxe, con un tocco folk (ma che pianoforte), Livin’ On The Inside è calda, fluida e ricca di sfumature country, errebi e gospel, mentre Makin’ My Way Back Home è la più country del disco, con la steel di Franklin che ricama da par suo. Le ultime quattro canzoni, la profonda Mornin’ Glory, There’s A Whole Lotta Heaven (strepitosa questa, ricorda Newman anche nello stile), le deliziose Mama Was Always Tellin’ Her Truth e Out Of The Fire, non fanno che completare nella maniera giusta un disco pressoché perfetto.

Album così in America vengono definiti instant classic: speriamo solo di non dover attendere il seguito per altri sedici anni.

Marco Verdi