L’Ultimo Bel Disco Del 2012 O Il Primo Del 2013? Willy Mason – Carry On

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Willy Mason – Carry On – Fiction/Universal

Questo disco è uscito nella prima decade di Dicembre sul mercato inglese e verrà pubblicato in Italia il 15 gennaio del nuovo anno, quindi incarna le caratteristiche del titolo del Post: “un bel disco”, non straordinario, anche se in Inghilterra ha raccolto 4 stellette su Mojo ed è stato designato disco del mese, un 8/10 da Uncut, e ottime recensioni su Q, NME, Indipendent On Sunday, Sunday Times e The Fly. Ovviamente non leggo tutte queste riviste (ma un paio, le prime due, sì) e quindi questa sorta di plebiscito mi ha incuriosito. Conoscevo Willy Mason per avere già ascoltato i suoi due primi dischi: Where The Humans Eat, uscito per la Team Love Records/Virgin (l’etichetta fondata da Conor Oberst) nel 2004, un disco quieto ed acustico dove Mason suonava quasi tutti gli strumenti con l’aiuto del fratello Sam alla batteria, e tra i brani spiccava Oxygen, una canzone ripresa anche dalla soprano preferita da Costello, Renée Fleming, in un suo disco del 2010. Gia per quel disco erano stati scomodati paragoni con nomi illustri ed era entrato a far parte, più o meno a ragione, dei “Nuovi Dylan”, termine che di solito ammazza più di un talento (ed erano stati citati anche Cash, Cohen e Dylan).

Nel 2007 esce il suo secondo album, If The Ocean Gets Rough, che conferma quelle sue sonorità roots unite ad un indubbio talento compositivo e ad una voce molto vissuta per appartenere ad un 22enne. Poi qualcosa si inceppa e il nostro amico decide di tornare a casa per vedere cosa fare della sua vita, si reinventa speaker di una radio locale in quel di Martha’s Vineyard, Massachussets, ma per parlare di pesca e notizie sulle fattorie della zona non di musica e altri lavori “comuni” che ricreano le sue radici con i luoghi della sua adolescenza. Senza comunque smettere del tutto di fare tours e partecipando in due brani dell’ottimo album Hawk di Isobel Campbell e Mark Lanegan.

Il filone musicale è quel “new folk” a cui appartengono Mumford And Sons, Edward Sharpe, Ben Kweller, Beth Orton, ma anche gruppi più pop come i Bat For Lashes, tutta gente con cui ha diviso i palchi di tutto il mondo. Proprio da questi ultimi ha preso il produttore, il londinese Dan Carey, noto anche per avere lavorato con Kylie, MIA, Hot Chip, nomi non particolarmente vicini all’apparenza con le sue idee musicali. Ma la collaborazione, anticipata da un duetto registrato per l’album della brava cantante Lianne Le Havas, stranamente funziona. Carey aggiunge una patina di elettronica “moderna” ma non fastidiosa (e sapete quanto poco ami queste sonorità il sottoscritto), la batteria programmata a fianco di quella “naturale” dell’immancabile fratello Sam Mason e il basso e le chitarre acustiche ed elettriche di Willy Mason che rendono molto piacevole e variegato l’ascolto di questo Carry On, disco che forse non è così straordinario come vuole farci credere la stampa inglese ma ha i suoi meriti. Come spesso mi accade, dopo aver letto la lunga recensione di Victoria Segal su Mojo devo dire di non avere capito bene di che razza di album si tratta, ma questa è un po’ la caratteristica del recensore “ritroso” e protagonista che vuole far vedere quanto è bravo ma in conclusione non capisci di che tipo di disco ci sta parlando (peraltro “merito” condiviso con molti altri praticanti dell’arte recensoria, mai fare capire con facilità al lettore di cosa si sta trattando, cioè musica, ma esaminare vita ed opere del soggetto attraverso testi e sensazioni).

Una sensazione che mi sento di condividere è quella che la voce di Mason più che quella di una persona di 27 anni (all’epoca della registrazione del disco) sembra quella di uno di 72 anni, “giovanile” però, ancorché vissuto e ricercato. Il sound, nell’iniziale What Is This, convive tra le percussioni elettroniche e le tastiere di Oly Bayston, che si intrecciano senza problemi con le chitarre acustiche e la batteria, in un clima malinconico ed avvolgente che si accende in un finale chitarristico, dove l’elettrica di Willy Mason si inventa un solo breve ed acidissimo degno delle improvvise accelerazioni di Michael Timmins nei Cowboy Junkies. Un ritmo programmato più saltellante, sempre unito alle derive leggermente acide della chitarra, potrebbe ricordare in Pickup Truck, vagamente, un Donovan più futurista e con una voce più profonda, ma che lega il country-folk dell’autore ad un pop raffinato ma non banale con qualche tocco delle tastiere che si potrebbe far risalire addirittura ai Beach Boys ed un finale dove la voce si “rompe” in un falsetto vagamente alla Chris Martin. Falsetto che viene mantenuto per la successiva Talk Me Down dove le percussioni di fratello Sam si intrecciano con quelle sintetiche del produttore mentre l’acustica di Willy cerca di sbucare dal tappeto sonoro con risultati piacevoli non lontanissimi da quelli del signore citato poc’anzi (Coldplay, orrore!, se vendi non sei più nessuno per certa critica).

Le percussioni afro di Restless Fugitive su cui si innesta una chitarra elettrica carica di effetti vari potrebbero fare pensare addirittura al Peter Green sperimentale di The End Of The Game, poi lungo gli oltre sei minuti il brano, pur mantenendo una certa ipnotica varietà, diventa, forse, troppo ripetitivo. La malinconica Show Me The Way To Go Home, solo chitarra acustica e spruzzate di synth si barcamena tra Young e Cohen con qualche tocco alla Townes Van Zandt, un altro che a quella età era già “vecchio” da giovane. Mentre Into Tomorrow, per usare una felice metafora della Segal citata prima, sembra un brano dei R.E.M. di Fables Of Reconstruction cantato da Leonard Cohen (quando è valido si usa, sempre citando la fonte). I Got Gold ha un’aria stranamente “allegra”, una sorta di Timmy Thomas se avesse cantato del country, ma sempre con quella voce da cantautore che tante ne ha viste e ora ve le ricanta (quindi country got soul). Painted Glass ritorna a quella psichedelia gentile e mordbida mista al solito alt-country ed al folk prediletti dall’autore, mentre la voce sdoppiata di Mason aggiunge profondità ad un suono volutamente statico.

Anche Shadows In The Dark frequenta sempre queste coordinate sonore, ma ha una melodia più ricca ed ariosa, quasi maestosa, quello che sembra un ritornello che ritorna ciclicamente e la solita alternanza tra voce profonda e falsetto, sullo sfondo elettroacustico della musica. Gli arpeggi della chitarra acustica di Willy Mason, arricchiti da un sottofondo di mellotron (ma esiste ancora?) del produttore Carey rendono affascinante un brano come la title-track Carry On, altro ottimo esempio della “vecchia scuola” cantautorale classica, molto bella e raccolta, una di quelle storie senza tempo che erano tipiche del Van Zandt citato prima. Anche If It’s The End ha quel fascino old-time degli autori di belle canzoni, semplici ma che ti lasciano delle emozioni magari non eccitanti ma sottili e durature. Poco più di 37 minuti di buona musica, ripeto, magari non un capolavoro ma un disco che si può riascoltare più volte sempre scoprendo nuove sfumature (non solo di grigio)!

Bruno Conti

L’Ultimo Bel Disco Del 2012 O Il Primo Del 2013? Willy Mason – Carry Onultima modifica: 2012-12-29T19:23:00+01:00da bruno_conti
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