L’Arte Della Slide Guitar! Ron Hacker – Live In San Francisco

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Ron Hacker – Live In San Francisco – Ronhacker.com

Quando, circa un anno e mezzo, parlavo del precedente disco di Ron Hacker, (bravi-ma-sconosciuti-ron-hacker-and-the-hacksaws-filthy-anim.html), in termini più che lusinghieri, tra le cose dette, una, scontata, ma non per questo meno vera, era che sarebbe stato bello se il nostro amico avesse registrato un bel album dal vivo (si dice sempre, sarà scontato, ma per certi tipi di performers, è la pura verità), magari al Saloon, che era il locale dove Hacker era solito esibirsi, Non è passato neppure un anno, e tac, registrato il 30 novembre del 2011, ma pubblicato oggi, esce questo Live In San Francisco, non al Saloon ma al Biscuits And Blues, che a giudicare dal rumore di ambiente e da quello del pubblico, che si percepisce dal CD, a occhio (e a orecchio), deve essere una venue dove possono entrare poche decine di persone, ma non è il numero che fa la qualità.

Non posso che confermare quanto di buono detto su Ron Hacker, che è sicuramente uno dei migliori nell’arte della slide e che dal suo strumento estrae ogni stilla possibile di blues, potente e ad alta densità, degno dei migliori Johnny Winter, John Campbell, o Ry Cooder annate con Taj Mahal , già citati in passato e qui ribaditi, con il più lo spirito dei grandi bluesmen, da John Lee Hooker e Elmore James passando per Willie Dixon, Sleepy John Estes (pard del suo “maestro” Yank Rachell), Son House e in generale di tutti i grandi che vengono rivisitati nel vorticoso stile di Hacker.

Quello che si ascolta in questo album è del Blues di grande energia, nulla di nuovo ma eseguito con una forza, una grinta e una maestria che dividono il grande disco dal compitino eseguito con poca voglia. Siamo quindi di fronte ad un album di blues elettrico, molto “carico”, ma sempre all’interno dei parametri delle classiche 12 battute e che sfiora il rock-blues senza mai varcarne completamente i confini labili. E comunque è un bel sentire. Dai primi secondi di Ax Sweet Mama, un brano appunto di Estes, che apre il concerto con un bottleneck solitario e la voce di Ron Hacker, capisci subito di trovarti di fronte a qualcuno che conosce a fondo la materia, la vive fin nelle pieghe più recondite e la riversa sul pubblico in un torrente di note (il brano, se la memoria non mi difetta è conosciuto anche come Sloppy Drunk). Il basso pulsante di Steve Ehrmann e la batteria di Ronnie Smith innestano i ritmi classici che stimolano la creatività di Hacker, che prende subito di petto una versione cattiva di Meet Me In The Bottom, un brano di Willie Dixon per Howlin’ Wolf, che però come in molte storie del blues, potrebbe essere anche Down In The Bottom, che facevano anche gli Stones, che a sua volta era una bastardizzazione di Lawdy Mama, con testo e musica riveduti e corretti, ma nel blues funziona così e nessuno si offende (per la verità il buon Willie un poco si era incazzato con Page e Plant, ai tempi), per non sbagliare Ron ci dà dentro alla grande. Poi si accelera a tempo di boogie, per uno sfolgorante medley tra Baby Please Don’t Go e Statesboro Blues, suonati come Dio comanda e che si innestano uno dentro all’altro come un coltello nel burro. Welfare Store è un vecchio classico di Sonny Boy Williamson, lento e cadenzato con chitarra e voce che scandiscono le note come se ne andasse della vita dell’interprete, che aggiorna il testo del brano al presidente Obama (che è perfetto perché fa rima con mama) e ai giorni nostri.

My Bad Boy è un brano originale scritto dallo stesso Hacker e dedicato al figlio quando questi aveva 18 anni (ora ne ha 40 e Ron ne compirà 68 quest’anno), e il risultato non sfigura con i classici fin qui sfornati, ma Death Letter di Son House è sempre un gran brano e questa versione è veramente gagliarda, con la slide che viaggia rapida e tagliente. Uno dei maestri dello stile, forse l’inventore, è stato il grandissimo Elmore James, di cui viene riproposta It Hurts Me Too, una delle più belle canzoni mai scritte (e suonate) nell’ambito Blues. Two Timin’ Woman, strepitosa, a livello di boogie, potrebbe dare dei punti a Winter, Thorogood e forse anche a Hound Dog Taylor e anche il match con Johnny Winter nella “sua” Leavin’ Blues, potrebbe finire in un bel pareggio. Per concludere la serata (e il disco) in bellezza, un bel brano di John Lee Hooker come House Rent Blues ci sta proprio a pennello. Tra l’altro Hacker racconta che in una serata con Roy Rogers gli capitò di suonare il brano proprio di fronte al suo autore, ottenendo da quel vocione inconfondibile un responso positivo, che è come avere la laurea honoris causa e anche noi gliene conferiamo con piacere una, in Blues, che non rimanga un segreto!

Bruno Conti

L’Arte Della Slide Guitar! Ron Hacker – Live In San Franciscoultima modifica: 2013-01-12T20:44:00+01:00da bruno_conti
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