Altri Inediti Di Jeff Healey. House On Fire Demos And Rarities & As The Years Go Passing By Live In Germany 89-95-00 3CD+2DVD

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Jeff Healey Band – House on Fire – Eagle Rock/Edel 26-02-2013

Quando nel marzo del 2008, in modo repentino, ma non inatteso (visti i problemi di salute che avevano da sempre caratterizzato la sua esistenza), Jeff Healey ci ha lasciato, per colpa di un cancro che lo tormentava da circa un anno, il musicista canadese stava comunque programmando un tour europeo che avrebbe dovuto fare promozione a Mess Of Blues, il disco che segnava il suo ritorno al rock-blues dopo una decina di anni passati a suonare il jazz, che era la sua altra grande passione e in cui si esibiva anche come trombettista. Quel disco, registrato in parte in studio e in parte dal vivo, venne pubblicato più o meno in contemporanea alla sua scomparsa e, con il patrocinio della sua famiglia, ha segnato l’apertura di una serie di pubblicazioni di materiale, soprattutto dal vivo, Songs From The Road, Last Call, Legacy Volume 1, Last At Grossman’s 1994, culminata con lo strepitoso box quadruplo Full Circle:The Live Anthology un-adeguato-testamento-sonoro-jeff-healey-band-full-circle.html (e un altro addirittura quintuplo è pubbkcato dalla Inakustik, in uscita più o meno contemporanea a questo album di cui vi sto parlando, As The Years Go Passing By – Live In Germany1989-1995-2000, 3 CD+2DVD, che si annuncia succulento oltre che di eccellente qualità audio e video).

jeff healey as the years.jpgmusica. bruno conti. discoclub,jeff healey,rock blues,hendrix,beatles,bob seger,bruce springsteen

Disc 1 & DVD 1: Ohne Filter Extra (May 10, 1989)

Jeff Healey – Guitar/Vocals
Joe Rockman – Bass/Vocals
Tom Stephen – Drums

1. I’m Torn Down
2. My Little Girl
3. Confidence Man
4. I Need To Be Loved
5. When The Night Comes Falling From The Sky
6. River Of No Return
7. Angel Eyes
8. Roadhouse Blues
9. See The Light

Disc 2 & DVD 2: Extraspät in Concert (April 2, 1995)

Jeff Healey – Guitar/Vocals
Pat Rush – Guitar
Joe Rockman – Bass/Vocals
Tom Stephen – Drums

1. Got A Line On You
2. Stop Breaking Down
3. As The Years Go Passing By
4. Confidence Man
5. Stuck In The Middle
6. Angel
7. Yer Blues
8. Me And My Crazy Self
9. Angel Eyes
10. Roadhouse Blues
11. See The Light
12. While My Guitar Gently Weeps

Disc 3 & DVD 1: Ohne Filter Extra (October 31, 2000)

Jeff Healey – Guitar/Vocals
Philip Sayce – Guitar
Joe Rockman – Bass/Vocals
Tom Stephen – Drums

1. My Little Girl
2. Which One
3. Love Is The Answer
4. How Blue Can You Get
5. Confidence Man
6. Put The Shoe On The Other Foot
7. Feel Better
8. Angel Eyes
9. Roadhouse Blues

Invece House On Fire è ancora più sorprendente, in quanto si tratta di materiale inedito di studio registrato dalla Jeff Healey Band nel 1992, durante le sessions per l’album Feel This (otto brani), due brani vengono dal 1994, per il disco Cover To Cover e una è stata registrata nell’ottobre del 1998, Tutto l’insieme mi sembra un giusto tributo, nel 5° anniversario dalla morte, ad un grande musicista e straordinario chitarrista, dalla tecnica unica, con la chitarra suonata appoggiata sul grembo a mo’ di lap steel, ma che poi si sublimava dal vivo soprattutto nel momento dell’assolo, quando Jeff trasfigurato dall’ispirazione si alzava brevemente in piedi per lasciare uscire dalla sua chitarra torrenti di note che lasciavano esterrefatti per la potenza e la carica, ma anche per la pulizia e la chiarezza del suono. Influenzato tanto dal blues e dal jazz, quanto da Hendrix, dai Beatles e dai grandi cantautori, la musica di Healey nei dischi in studio, forse non ha raggiunto i vertici dei suoi concerti dal vivo, ma ci ha lasciato dischi come l’esordio See The Light, Hell To Pay, Feel This e Cover To Cover che sono dischi più che rispettabili di ottimo rock chitarristico.

Il sottotitolo di questo disco è Demos And Rarities, ma si tratta di materiale registrato ottimamente, anche se il suono è quello di una sorta di live in studio, senza rifiniture successive, rende alla perfezione il cuore della musica di Jeff Healey, con la chitarra e la voce in primo piano, già dall’iniziale House On Fire, un brano rock classico e diretto, passando per la Claptoniana Who’s Been Sleeping In My Bed, dove il suono dell’organo si aggiunge al classico formato chitarra-basso-batteria. You Go Your Way, I’ll Go Mine, quasi simile nel titolo, non è il classico di Dylan, ma un sapido slow-blues intenso, alla Healey, con la chitarra che corre fluida e sicura, anche con un parco uso del wah-wah, come sempre nella discografia del musicista canadese. Anche All The Way non è ovviamente il classico di Sinatra, ma un altro poderoso e tirato rock-blues, mentre We’ve Got Tonight è proprio quella di Bob Seger, una delle due cover del disco, che subisce un trattamento alla While My Guitar Gently Weeps, parte come una ballata acustica, come nell’originale, con piano e organo in evidenza e poi nel classico crescendo del brano si tramuta in quella stupenda canzone che tutti conosciamo, con in più l’atout di un assolo lirico e lancinante da parte di Jeff Healey, molto bella, strano che non sia stata pubblicata ai tempi, cantata anche benissimo, tra l’altro, il che non guasta!

Bish Bang Boof è uno strumentale swingato in trio, che documenta la sua passione per il jazz e la sua grande tecnica allo strumento. Too Late Now è un’altra ballatona delle sue, vagamente country, struggente e melodica il giusto, Face Up, sempre con quel suono scarno da demo, è decisamente un episodio minore, poco rifinito. Diverso il discorso per l’altra cover: Adam Raised A Cain è uno dei rocker più intemerati della discografia di Springsteen, chitarristico fino al midollo e quindi perfetto per la sensibilità di Healey, che può dare fondo alle risorse della sua solista con una serie di interventi pungenti, anche con il suo classico e micidiale wah-wah. Daze Of The Night, il brano più recente, quello inciso nel 1998, è un rock duro e tosto, con un giro di basso quasi alla Deep Purple e la chitarra in overdrive. Conclude Joined At The Heart, una sorta di flamenco rock con la chitarra di Healey raddoppiata nei due canali dello stereo e un ritornello quasi radiofonico. Nudo e crudo nel suono, ma corposo nelle intenzioni, una gradita sorpresa. 

Bruno Conti   

La Classe Non E’ Acqua! Boz Scaggs – Memphis

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Boz Scaggs – Memphis – 429 Records/Universal  05-03-2013

Questo signore non è un “pistola” qualunque (inteso come termine colloquiale milanese e non alla Los Lobos o Willy DeVille, per quanto qualche aggancio c’è, ma ci arriviamo fra un attimo)! Sulla scena da quasi 50 anni, il suo primo album, omonimo, uscito solo in Svezia è del 1965, la sua carriera ha attraversato vari fasi: rientrato negli States, nell’area di San Francisco, è stato il primo cantante della Steve Miller (Blues) Band, apparendo nei primi due album del ’68, poi ha firmato un contratto con la Atlantic, che ha pubblicato il suo primo album solista, prodotto dal giovanissimo Jann Wenner (il fondatore ed editore di Rolling Stone, la rivista), dove suonava uno stuolo incredibile di musicisti, tutti quelli dei Muscle Shoals Studios, luogo dove fu inciso il disco, Eddie Hinton, David Hood, Barry Beckett, Jimmy Johnson, Roger Hawkins e uno strepitoso Duane Allman, che tra l’altre, appare in una fantastica Loan Me A Dime, brano in cui, secondo me, rilascia quello che è il più prodigioso assolo di studio della sua breve carriera (e per questo gliene sarò sempre grato). Il disco, bellissimo, e tuttora nella lista dei 500 più belli di tutti i tempi, sempre secondo Rolling Stone (sia pure al 496° posto) è stato remixato nel 1977 da Tom Perry per mettere più in evidenza la chitarra di Allman, ma non a scapito di Boz Scaggs, che fa un figurone nel suo periodo blues. Nel 1971 firma per la Columbia, dove inaugura il suo periodo morbido ma ritmato, in una parola (facciamo tre) “blue-eyed soul”: con Moments, Boz Scaggs & Band, entrambi prodotti da Glyn Johns, In My Time, il ritorno a Muscle Shoals, prodotto da Roy Halee (quello di Simon & Garfunkel).

Insomma la Columbia ci credeva. E nel 1974 cominciamo ad arrivare i frutti: Slow Dancer, prodotto e con molti brani firmati da Johnny Bristol, ex grande soulman alla Motown, entra nei Top 100 delle classifiche USA e, fin dal titolo, rappresenta alla perfezione lo stile di Scaggs, un soul raffinato e leggermente danzereccio, ma di gran classe, che farà poi la fortuna due anni dopo, nel 1976, di Silk Degrees, funky vellutato rivestito di rock o viceversa, che venderà più di 5 milioni di copie, anche grazie a Lido Shuffle e soprattutto Lowdown, percorso da un riff di basso memorabile di David Hungate. Nel disco, tra i futuri Toto, oltre ad Hungate, suonano anche il tastierista David Paich e Jeff Porcaro, alla batteria, oltre a Les Dudek, Fred Tackett, Tom Scott, Chuck Findlay e altri veterani della scena californiana metà anni ’70, che poi sarebbe degenerata negli anni a venire, in un suono bieco e commerciale. Questo disco è commerciale, ma c’è ancora gran classe, che poi andrà scemando lentamente, insieme al successo, nei successivi Down Two Then Left e Middle Man, che nonostante la presenza di Santana, Lukather e molti altri musicisti, nelle note se ne contano una trentina, sommerge la voce sempre valida di Scaggs sotto una miriade di tastiere (soprattutto Synth), voci e fiati, con risultati inversamente proporzionali al numero dei presenti. Poi, dopo un best, la Columbia lo mette in naftalina fino al 1988, quando riappare con Other Roads, un disco con un sound orribile, tipico anni ’80, con drum machines e tastiere elettroniche a profusione, sempre nonostante i musicisti usati, ma era il periodo. Nel 1994 firma per la Virgin e riappare con Some Change, un bel disco, dove la sua bellissima voce e una manciata di buone canzoni, scritte per la maggior parte dallo stesso Boz, una a testa anche con Marcus Miller e Robben Ford, lo riportano a quel soul bianco di cui è sempre stato un maestro.

Nel 1996 fa un mezzo unplugged per il mercato giapponese, Fade Into Light, dove re-interpreta i suoi classici in versioni che pemettono di gustare vieppiù la sua voce e con Come On Home sempre su Virgin del 1997, a fianco del R&B e del Rock, reintroduce anche il blues primo amore. Dig è un altro buon disco del 2001, sempre in quel filone, mentre in But Beatiful del 2003, poi doppiato con Speak Low del 2008, si dà al jazz raffinato e agli standards, ben suonati e ben cantati, ma secondo chi scrive, un po’ pallosi, senza quella scintilla, quel quid che ogni tanto lo ha distinto negli anni. E che si trova invece, nell’ottimo doppio dal vivo, Greatest Hits Live, pubblicato nel 2004 per la Mailboat di Jimmy Buffett, dove con la classe innata che lo contraddistingue, tra blues, rock e classici, ci ricorda perché è considerato uno dei “tesori nascosti” della musica americana. Mi sono dilungato un attimo, ma ne valeva la pena: veniamo ora a questo Memphis, già dal titolo una promessa di prelibatezze. Registrato ai Royal Studios, Memphis, Tennessee, quelli di Al Green e Willie Mitchell, prodotto da uno Steve Jordan (John Mayer Trio, Ex-Pensive Winos di Keith Richards, Robert Cray, Buddy Guy, Clapton, quelli che meritano) in stato di grazia, sia dietro alla consolle che alla batteria, con Ray Parker Jr., Willie Weeks, Lester Snell, il sommo Spooner Oldham alle tastiere, una batteria di voci femminili di cui non so i nomi, perché non ho ancora in mano il disco e l’accoppiata formidabile Keb’ Mo’  alla slide e Charlie Musselwhite all’armonica in un blues “fumante” come ai vecchi tempi, Dry Spell, dove anche il lavoro di Jordan ai tamburi è da applausi.

In tutto il disco Boz Scaggs canta con una voce che è un terzo John Hiatt, un terzo Willy DeVille e un terzo lui reincarnato in qualche grande soulman del passato (per capire con chi abbiamo a che fare se non lo avete mai sentito). Gone Baby Gone è melliflua, raffinata e melismatica come John Hiatt che canta Al Green con il divino organo di Oldham a ricreare il sound dorato della Hi Records e tutti i musicisti misurati ed evidenziati dalla produzione di Jordan. Per evitare gli equivoci So Good To Be Here è proprio quella di Al Green, con l’arrangiamento di archi e fiati di Snell ad aggiungere quel tocco di classe in più ad un brano che è l’epitome del soul perfetto, con la chitarrina di Parker maliziosa. Willy DeVille, stranamente poco conosciuto ed amato in America, dopo quello di Peter Wolf, riceve ora l’omaggio di Scaggs in una rivisitazione deliziosa di Mixed Up, Shook Up Girl, che cita, nell’arrangiamento ondeggiante e complesso a livello ritmico anche quei Drifters che erano uno dei punti di riferimento del grande Willy, i coretti sullo sfondo sono da sballo e lui, Boz, canta alla grande. In Rainy Night In Georgia sfodera un vocione alla Tony Joe White che è perfetto per la canzone, qui in una versione raccolta e felpata, quasi acustica. Love On A Two Way Street è una ballata soul scritta da Sylvia Robinson quella che ha scritto Pillow Talk per Al Green, ma anche Rapper’s Delight, il brano fu un successo per i Moments nel 1970 ed è una piccola meraviglia, con quelle voci femminili che si intrecciano sotto la voce magica di Scaggs e il piano di Spooner Oldham.

Pearl Of The Quarter sarà mica degli Steely Dan? Certo che sì, nel festival della raffinatezza poteva mancare uno dei migliori rappresentanti? E poi Scaggs, con Michael McDonald canta anche nei Dukes Of September, il gruppo in cui, pure con Donald Fagen, gira il mondo per spargere il verbo del soul e della buona musica in generale, inutile dire, versione sontuosa nel magnifico lavoro ritmico di Jordan. Altro omaggio ai Mink De Ville, in questo caso, con una canzone Cadillac Walk, che risveglia i vecchi ricordi di uno che è stato anche il cantante della Steve Miller band e di rock e blues se ne intende, altro arrangiamento sospeso tra grinta e sofisticatezza, con la chitarra dello stesso Scaggs e le percussioni di Jordan in vena di magie.

Che vengono reiterate in una versione super di Corrina, Corrina, folk blues acustico di matrice sopraffina, con un assolo di chitarra acustica che non so di chi sia, ma dalla classe potrebbe essere sempre Keb’ Mo’ e nel soul d’annata di Can I Change My Mind, un grande successo di Tyrone Davis che gli amanti del genere forse ricordano, ma che per tutti gli altri sarà una piacevole sorpresa, con quell’intermezzo parlato della voce femminile che è da antologia del genere, l’organo ssscivola che è un piacere. Oltre alla Dry Spell ricordata all’inizio c’è poi un altro blues da manuale come You Got Me Cryin’ e per concludere una ballata pianistica Sunny Gone, scritta dallo stesso Boz Scaggs e che porta a compimento l’album con un’aura di malinconica bellezza. Come si diceva nel titolo “la classe non è acqua”. Gran bel disco!

Bruno Conti

Un Collettivo “Acid-Folk” Dal Freddo Canada. Lee Harvey Osmond – The Folk Sinner

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Lee Harvey Osmond – The Folk Sinner – Latent Recordings 2012/2013

Il loro ottimo album d’esordio A Quiet Evil (2010), è nato con la collaborazione della famiglia dei Cowboy Junkies (Michael Timmins, la sorella Margo e Josh Finlayson degli Skydiggers), per un “sound” folk-acustico con elementi country, rock ,blues e psichedelici, che lo ha portato a ricevere l’ambito premio al Polar Music Prize dello stesso anno. Questi Lee Harvey Osmond sono un combo musicale canadese (un cantiere aperto arrivato fino a 17 elementi nel disco d’esordio), ma principalmente la creatura di Tom Wilson (leader nei lontani anni ’90 dei Junkhouse, e poi successivamente dei Blackie And The Rodeo Kings), che si avvale anche di Ray Farrugia (componente nei Junkhouse) alla batteria, Aaron Goldstein alle chitarre, Brent Titcomb alle percussioni e Paul Reddick alla pedal-steel. In questo nuovo lavoro, The Folk Sinner, validi ospiti partecipano al progetto, gli abituali Andy Mize e Josh Finlayson (Skydiggers), il grande Colin Linden al dobro, Hawksley Workman (eccellente e sottovalutato cantautore canadese) e come vocalist Astrid Young (sorellastra di Neil), Oh Susannah e Margo Timmins (Cowboy Junkies), il tutto prodotto dal fratello Michael e come il precedente distribuito per la Latent dei fratelli Timmins.

L’album prende il via con un avvincente Oh Linda (semisconosciuto brano di Gordon Lightfoot), quasi una versione a cappella, che dimostra subito le qualità canore di Wilson, cui fa seguito Devil’s Load , un brano dal groove sbarazzino, con un giro di armonica importante, mentre il lato più rootsy della band, può essere ascoltato in  Easy Living, basata su trame acute di violino, con un “sound” psichedelico morbido. La collaborazione di Hawksley Workman, in duetto con Tom in Break Your Body, rappresenta uno dei punti più alti del disco, una ballata notturna, intensa,fumosa, impreziosita da una tromba, perfetta per essere eseguita al The Clubhousedi Ottawa, mentre la seguente Big Chief  è una dolce canzone d’amore con in evidenza la pedal-steel di Reddick e le armonie vocali di Astrid Young e di Oh Susannah (Suzie Ungerleider per la mamma), e ancora, a seguire, Honey Runnin’ e Leave This House, brani dimostrativi di quel filone che viene etichettato come acid-folk. Con Freedom e Love Everyone, con ritmi e percussioni desertiche (Calexico, Giant Sand), il suono diventa più vibrante nelle chitarre con un accenno di psichedelia flessuosa. Chiude alla grandissima un disco splendido, la struggente Deep Water, una ballata notturna con al controcanto la dolcissima voce di Margo Timmins, (che mi regala sempre intense emozioni).

I Lee Harvey Osmond (soprattutto il “barbuto” Tom Wilson), in questo The Folk Sinner, dopo due anni di gestazione, portano allo scoperto un progetto affascinante, con ulteriore arricchimento del viaggio sonoro, più volte affrontato da questi musicisti, nelle loro separate carriere. Il risultato è tutto in queste dieci canzoni che musicalmente rientrano in quel movimento dell’acid-folk (folk, rock, country e una forma psichedelica), citato prima. Per quanto mi riguarda i LHO, sono una band davvero affascinante da descrivere, a tutti gli altri consiglio almeno un ascolto. Ci sono sempre belle conferme dal freddo Canada.!

Tino Montanari

Novità Di Febbraio Parte IIIb. Civil Wars + T-Bone Burnett, Blue Aeroplanes, Wayne Hancock, Dave Edmunds, A Concert For Kirsty MacColl

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Ultimi scampoli di dischi in uscita nei prossimi giorni.

Il primo, è uno “strano” CD in uscita (per il momento solo mercato americano) per la Sensibility Music e si tratta della colonna sonora di un documentario A Place At The Table, destinato a sensibilizzare l’opinione pubblica americana sui problemi economici delle famiglie USA e in particolare quelli sulla fame (temo che con l’aria che tira, se ne parlerà anche da noi): la particolarità è che la musica è eseguita dalla accoppiata T-Bone Burnett e The Civil Wars (il duo americano, che sull’orlo del grande successo, improvvisamente a novembe scorso è andato in pausa, sembra per problemi interni, dovuti anche alla recente maternità della cantante Joy Williams). Il disco è interessante perché presenta materiale registrato in varie combinazioni tra i musicisti, anche se è prevalentemente strumentale a parte due brani cantati; il CD esce domani, il film il 1° marzo e questa è la lista dei brani:

A Place At The Table track-listing:

1. Mississippi Delta – T Bone Burnett
2. Long Time Gone – The Civil Wars & T Bone Burnett
3. Uptown Brown’s – T Bone Burnett
4. Focus (Rosie’s Theme) – The Civil Wars
5. At the Table – T Bone Burnett
6. The Need – The Civil Wars & T Bone Burnett
7. Long Time Gone (Dustbowl Version) – The Civil Wars & T Bone Burnett
8. Food Deserts – T Bone Burnett
9. Jonestown Elementary (Tremonica) – T Bone Burnett
10. Getting Worse – The Civil Wars
11. Barbie at the Bodega – The Civil Wars
12. Witnesses to Hunger – T Bone Burnett
13. I Do Exist – T Bone Burnett
14. Finding North – The Civil Wars

I Blue Aeroplanes sono stati (sono, perché dovrebbero essere ancora in attività) molto amati dalla critica a cavallo tra gli anni ’80 e i 90′, e Beatsongs, uscito in origine nel 1991 è stato forse il loro miglior album. La band di Gerard Langley faceva dell’ottimo rock di qualità ed era uno dei gruppi britannici più amati dai R.e.m. Ora la Cherry Red ripubblica questo album in versione rimasterizzata doppia con un secondo CD che contiene B-sides ed inediti. Potrebbe essere l’occasione giusta per riscoprirli, un paio di brani come assaggio:

 

Disc One
1. HUH
2. YR OWN WORLD
3. ANGELWORDS
4. FUN
5. CARDBOARD BOX
6. MY HURRICANE
7. AEROPLANE BLUE
8. JACK LEAVES AND BACK SPRING
9. COLOUR ME
10. STREAMERS
11. THE BOY IN THE BUBBLE
12. SIXTH CONTINENT
Disc Two
1. PONY BOY B-Side Yr Own World
2. AEROPLANE BLUES LA MIX
3. STRANGER Gig Flexi
4. TROUBLE, TELL ME I’M ALIVE Gig Flexi
5. BUOY previously unreleased
6. MIS – FIRING B-Side Yr Own World
7. MEAN TIME previously unreleased
8. AUTUMN JOURNAL XV
9. TALKIN’ ON THE OTHERPHONE B-Side Boy in
the Bubble
10. DISNEY HEAD B-Side Boy in the Bubble

Wayne “The Train” Hancock è un cantante country di quelli “giusti”. Il nuovo disco si chiama Ride ed esce per i tipi della Bloodshot ed è un misto, come al solito, di country & western, rockabilly, R&R.

 

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Una ristampa ed un disco “tributo”.

Il primo CD è la ristampa rimasterizzata e potenziata di uno dei dischi migliori di Dave Edmunds, Subtle As A Flying Mallet, uscito in origine nel 1975, viene ora ripubblicato dalla RPM con 8 bonus tracks aggiunte. Questa è l’essenza del vero pub rock britannico…

Esce solo in CD (ma si tratta di 12 brani in tutto) A Concert For Kirsty MacColl, la serata che si è tenuta allo Sheperd’s Bush Empire nel 2010 per commemorare la scomparsa della cantante inglese, avvenuta nel 2010 per un incidente in barca. Per molti era quella di Fairytale Of New York con i Pogues di Shane MacGowan, ma era anche la figlia di Ewan MacColl e tra i suoi successi ci sono stati anche They Don’t Know, nel 1979 in piena era punk ed una bellissima versione di A New England di Billy Bragg.  In contemporanea con questo disco dal vivo, esce anche un Best Of e la ristampa dei suoi dischi potenziati (questi già usciti da qualche mese). Il tutto su Salvo Records, a prezzo speciale. Lista dei brani e dei partecipanti, come vedete si mescolano “sacro” e “profano”:

  • 1. Soho Square (Ellie Goulding)
  • 2. Walking Down Madison (Alison Moyet)
  • 3. Tread Lightly (Amy MacDonald)
  • 4. They Don’t Know (Andrea Corr)
  • 5. In These Shoes (Catherine Tate)
  • 6. A New England (Billy Bragg)
  • 7. Dear John (Eddi Reader with Boo Hewerdine)
  • 8. Head (Alison Moyet)
  • 9. Angel (Floating Around My House) (Brian Kennedy)
  • 10. Days (Brooke Supple)
  • 11. Fairytale of New York (Dave Duffy & Amy MacDonald)
  • 12. There’s A Guy Works Down The Chip Shop Swears He’s Elvis (Phill Jupitus with Boz Boorer and Phil Rambow)

 

That’s alla folks, alla prossima.

Bruno Conti

Non Una Sorpresa, Ma Una Conferma! Eric Burdon – ‘Til Your River Runs Dry

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Eric Burdon – ‘Til Your River Runs Dry – ABKCO Universal

Non una sorpresa, ma erano tantissimi anni che Eric Burdon non faceva un disco bello come questo ‘Til Your River Runs Dry, però, a conferma che la classe non è acqua (e nell’album l’acqua è veramente una metafora di vita), il grande cantante di Walker-on-Tyne, Inghilterra, 72 anni a maggio, realizza il disco della sua maturità, della terza età se volete. E che disco! Registrato sull’abbrivio dell’imprimatur ottenuto lo scorso anno al South By Southwest di Austin, dal sua grande fan Bruce Springsteen, che lo ha giustamente celebrato come uno dei più grandi cantanti bianchi della storia del blues, soul e rock, e sul palco, insieme, hanno cantato uno degli inni generazionali degli Animals, quella straordinaria canzone scritta da Barry Mann e Cynthia Weil, ma resa immortale dall’interpretazione del grande Eric (che se ha come fan numero 1 il Boss, ne ha uno non meno indemoniato in David Johansen).

Ma veniamo a questo album che se magari non è un capolavoro è sicuramente un disco di quelli solidi e poderosi, con tutti i pregi della migliore produzione di Burdon e forse, ma a cercare il pelo nell’uovo, ha degli impercettibili segni del passare del tempo nella voce che ogni tanto, ma appena appena, mostra delle piccole debolezze, che ce lo rendono ancora più umano. Lui, che la sua vita l’ha vissuta da vero rocker, anche troppo, gettando spesso al vento il suo talento vocale, in molti dischi che non rappresentavano al meglio le sue capacità di entertainer, ma avevano comunque quasi sempre almeno uno o due zampate da vecchio leone del rock. E forse ha insistito troppo sul suo repertorio classico, cantato e ri-cantato troppe volte, qualche volta con parziale successo, come nel violentissimo Sun Secrets dove rileggeva il repertorio degli Animals rifatto in ampie folate chitarristiche à la Rock’n’Roll Animal e altre volte meno, ma dal vivo è sempre rimasto un grandissimo animale da palcoscenico come posso testimoniare avendolo visto di persona, qualche “annetto” fa. Per fortuna questo CD è composto tutti da materiale scritto per l’occasione e da un paio di cover, mai incise prima, scelte con oculatezza.

La produzione è affidata a quel Tony Braunagel, batterista e bluesman, che suona nell’album, insieme allo stesso Burdon, e ad alcuni dei suoi soci nella Phantom Blues Band, come l’organista e pianista Mike Finnigan (uno dei pochi in grado di non far rimpiangere il vecchio Alan Price), il chitarrista Johnny Lee Schell (in alternanza con l’ottimo Eric McFadden), la sezione fiati composta da Joe Sublett e Darrell Leonard, più il bassista Reggie McBride, in rappresentanza del New Orleans sound (dove è stato inciso parte del disco) Jon Cleary al piano, le armonie vocali di Teresa James, blueswoman di valore, le percussioni di Lenny Castro e anche le tastiere del fido pard di Robert Cray, Jim Pugh, ma ce ne sono molti altri che sarebbe troppo lungo elencare, vi comprate il CD e li leggete nelle note. Si parte alla grande con Water, canzone ecologica che parla dello spreco delle risorse del pianeta, ma è anche un poderoso brano rock degno del miglior Bruce, con chitarre e organo che blueseggiano alla grande e la voce che, forse, ogni tanto, fa il verso a sè stessa, ma chi può fare Eric Burdon meglio dell’originale? E questo è uno dei brani che segnala quei piccoli segni di cedimento nella voce di cui vi dicevo, per il resto del disco immacolata nella sua potenza, ma anche qui non scherza comunque.

Memorial Day dedicata a tutti i morti delle guerre americane, dal ritmo scandito e con l’organo sempre in primo piano a fianco della chitarra, è cantata in modo commosso e partecipe seguita da una Devil And Jesus, gospel blues incalzante sulla religione, la voce spazia in tutta la sua gamma, dal falsetto al pieno regime di emissione, con coretti “devoti” e organo “malandrino”. Wait è una tersa ballata elettrocustica, con le percussioni di Castro a fare da contraltare alla voce misurata di Burdon e Old Habits Die Hard si avventura nei territori della politica con un riffare carnale rock degno dei tempi d’oro e le chitarre che fischiano e strepitano come sempre dovrebbe essere, mentre Bo Diddley Special è uno dei due omaggi ad uno dei suoi grandi eroi musicali, il beat è quello spezzato ed inconfondibile inventato da Ellas McDaniels, uno immagina le maracas che viaggiano a tutta velocità, qui degnamente sostituite dal drumming preciso di Braunagel, mentre i riff (giocate ad indovinare quali) di organo e chitarra circondano la voce di Eric. In The Ground, uno slow blues, nuovamente sui temi dell’ecologia, alterna quei tipici parlati di Burdon che erano tra gli antenati del rap e improvvise accelerazioni vocali con le armonie degli ospiti a cercare di incatenare la potenza del nostro amico mentre la band costruisce una bella atmosfera avvolgente e trascinante.

27 Forever (magari!) è un’altra ballata, di stampo soul, con i fiati a sottolineare una interpretazione vocale molto misurata e il tema della mortalità già affrontata ai tempi di When Was I Young, questa volta vista dall’altro di una maturità raggiunta, anche se non del tutto rassegnata. River Is Rising è il brano dedicato al dramma di New Orleans, e al dramma nel dramma di Fats Domino per alcuni giorni considerato disperso durante l’uragano Katrina e poi miracolosamente riapparso, la musica profuma di Lousiana e Burdon rispolvera quel parlar cantando che gli appartiene in modo totale, il tutto suonato divinamente dai musicisti del disco. Una delle due cover del disco è la bellissima Medicine Man che si trovava sul secondo disco di Marc Cohn, Rainy Season, che subisce il trattamento alla Burdon e diventa una intensissima e bellissima ballata blues, con la doppia tastiera e la chitarra in grande evidenza nella parte strumentale. Invitation To The White House è uno slow blues pianistico e cadenzato degno (anche a livello vocale) delle migliori interpretazioni di Eric, che richiede gli straordinari alla sua voce, poi reiterati in una tiratissima cover di Before You Accuse Me, brano di Bo Diddley che molti ricorderanno in una scintillante versione dei Creedence Clearwater Revival, ma anche questa di Eric Burdon ha un suo perché Blues e conclude degnamente un album che segnala il ritorno di una delle voci più belle della storia del rock ( e del blues, e del soul, già detto ma meglio ripetere)!

Bruno Conti 

Novità Di Febbraio Parte IIIa. Johnny Marr, Steven Wilson, James Hunter Six, Caitlin Rose, Greg Lake, Ed Harcourt, Justin Hayward, Incredible String Band, Van Halen

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Solito appuntamento settimanale con le uscite discografiche del martedì successivo, questa volta il 26 febbraio, diviso in due parti, come consuetudine ultimamente. Dei due Jeff Healey “nuovi”, degli Atoms For Peace e di Emmylou Harris & Rodney Crowell si era già detto in Post precedenti, comunque confermo l’uscita.

Sulla copertina dell’ultimo numero della rivista Mojo, il debutto da solista di Johnny Marr The Messenger (il disco con gli Healers non lo vogliamo contare?), esce per la Warner Bros e le sue passate collaborazioni con Electronic e Modest Mouse indicano che la sua musica è sempre stata in bilico tra il rock “classico” chitarristico degli Smiths (preponderante) e derive disco ed elettroniche (che non mancano neppure in questa occasione) che gli avrebbero procurato gli strali del suo ex amico e pard Morrissey. Insomma, non mi fa impazzire, anche se tocchi di classe, soprattutto alla chitarra, non mancano…

Steven Wilson ormai si divide tra diverse carriere: produttore e remixer ricercatissimo per Jethro Tull e King Crimson, leader dei Porcupine Tree e infine solista in proprio. In questa veste pubblica il nuovo album The Raven That Refused To Sing (And Other Stories), etichetta Kscope, sono solo sei brani, ma con tre che superano abbondantemente la soglia dei dieci minuti: ingegnere del suono è il mitico Alan Parsons, che per l’occasione torna al vecchio mestiere e il disco esce anche in versione Blu-ray, con il mix 5.1 Dolby surround dell’album (e non poteva mancare), una bonus track, una galleria fotografica e un documentario girato in studio. Questo è il “progressive rock” del futuro (ma anche del passato)!

Proprio dal passato viene la musica dei James Hunter Six, ovvero la musica del bravo cantante inglese soul & blues “scoperto” da Van Morrison una ventina di anni fa e utilizzato come backing vocalist nello strepitoso live A Night In San Francisco e in Days Like This (e viceversa Van The Man appariva come ospite nel suo disco d’esordio del 1996 Believe What I Say). Ma Hunter, già a metà anni ’80 era in un gruppo che si chiamava Howlin’ Wilf & the Vee-Jays e tra i loro dischi c’era un EP che si chiamava 6 By Six, ora alla guida dei James Hunter Six pubblica (ma solo in America per il momento, in Europa uscirà a fine marzo) su Concord Universal questo Minute By Minute, che è una vera delizia per le orecchie degli appassionati di soul e blues. Grande voce, come vi dicevo recentemente parlando del disco del suo amico Jesse Dee, che trovate sfogliando a ritroso le pagine del Blog,

 

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Caitlin Rose è una giovane cantante country americana, nativa di Nashville, ma molto amata in Inghilterra, soprattutto dalle riviste specializzate Uncut e Mojo, che avevano trattato assai bene il suo precedente disco del 2010 Own Side Now (ma anche il sottoscritto sul Blog giovani-talenti-crescono-2-caitlin-rose-own-side-now.html ). Niente da stracciarsi le vesti, ma una voce molto piacevole e fresca, come conferma questo The Stand-In, che esce sempre il 26 febbraio su etichetta The Names Records, della serie, non solo country.

Ed Harcourt è il talento che sembra sempre lì lì per esplodere. Dal 2001, quando venne nominato per il Mercury Prize con il disco d’esordio Here Be Monsters, il nostro amico Ed periodicamente pubblica un nuovo album, e Back Into Woods, etichetta CCCLX Music, è l’ottavo della serie ed è stato registrato agli Abbey Road Studios in una sessione di sei ore (evidentemente di più non poteva permettersi). Contiene come al solito almeno un paio di brani notevoli, in questo caso Wandering Eye e Brothers and Sisters, e altri buoni ma non così validi. Pero merita sempre un ascolto approfondito anche per questo album che, in programma ormai da alcuni mesi, esce martedì prossimo.

Parlando di rock progressivo, uno dei grandi del genere è sempre stato Greg Lake (e ultimamente, a proposito di “grande”, esatto per fare della facile ironia, anche le dimensioni fisiche sono cresciute in modo esponenziale, insomma è diventato bello cicciotello), ora esce questo Songs Of A Lifetime (Esoteric/Antenna), che come dice il titolo è una sorta di riassunto del meglio della sua carriera e delle sue preferenze musicali, registrato dal vivo nel corso dell’ultimo tour che aveva lo stesso nome. Non sempre questi celebri brani (non tutti suoi) risaltano in tutto il loro splendore nella versione solitaria, voce e chitarra (e nastri pre-registrati, uhm!), che era la caratteristica di questi spettacoli, ma i fans apprezzeranno, penso…forse.

 

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Altro terzetto dal “passato”

Prima di tutto Justin Hayward, il chitarrista ed uno dei vocalists dei leggendari Moody Blues, dopo una quindicina di anni di silenzio, ritorna con un nuovo album da solista Spirits Of The Western Sky, etichetta Eagle Rock/Edel. Anche se, volendo essere sinceri, dei non molti dischi solisti incisi dal nostro amico, non ne ricordo uno che fosse valido come quelli iniziali del suo gruppo (a parte, forse, Blue Jays con John Lodge, ma era del 1975 e i Moody Blues erano ancora in attività, in teoria pure ora). E anche questo, insomma, forse verrà comprato in ricordo dei bei tempi andati.

Quello dell’Incredible String Band, per fortuna, ma dal titolo si capisce, Live At The Fillmore 1968, è un CD che riporta un concerto inedito registrato nei tempi che furono, 5 giugno 1968, dalla prima formazione della grandissima band folk inglese, quando erano ancora un duo, quindi solo Mike Heron e Robin Williamson, in ordine alfabetico. Ottima qualità sonora per questa proposta della Hux, specializzata in salvataggi di materiale “oscuro ed ignoto”. In bootleg esisteva ma questo è un 24 bit remaster approvato dal gruppo.

Per finire, un altro box di quelli che fanno male al portafoglio (ma relativamente, visto il prezzo molto basso), la Rhino pubblica Van Halen Studio Albums 1978-1984, cofanetto che raccoglie i primi sei dischi del gruppo ‘Van Halen’, ‘Van Halen II’, ‘Women & Children First’, ‘Fair Warning’, ‘Diver Down’ e‘1984’. Prezzo modico, penso una trentina di euro, poco più, poco meno.

A domani, per la seconda parte.

Bruno Conti

“Semplicemente” Richard Thompson – Electric

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Richard Thompson – Electric – Proper 2 CD Deluxe Edition

E’ difficile che Richard Thompson “sbagli” un disco, ma anche che ne faccia uno semplicemente poco riuscito, forse posso pensare a un paio di colonne sonore o agli anni più bui della collaborazione con la ex moglie Linda Thompson, ma erano meno validi solo rispetto ai suoi standard qualitativi, sempre molto elevati, non alla produzione media.  E in questo ammetto che c’è della partigianeria da parte chi scrive, perché il sottoscritto considera Thompson uno dei dieci musicisti più importanti della musica folk-pop-rock (inserite genere a piacimento) dell’ultimo mezzo secolo, un autore e chitarrista, e anche cantante, unico. In teoria non ci sarebbe un genere dove inserirlo: che musica fa Richard Thompson? Non saprei proprio definirla: ci sono quegli elementi di genere che ho citato, ma poi il risultato finale, filtrato da un humor britannico, sardonico e pungente nei testi, da un amore per le filosofie e le musiche orientali, e da mille altri particolari, è unico e geniale. Prendiamo il suo stile di chitarrista, si tratta di un modo di suonare inconfondibile, quando parte un assolo di Richard Thompson lo riconosci subito, è solo suo, non lo puoi confondere con altri, come capita solo per i grandi virtuosi della chitarra elettrica (e acustica), si tratta forse di quella totale mancanza delle radici blues (e R&R) nel suo stile, in partenza c’è il folk britannico, c’è una certa presenza della musica modale, ma poi ha sviluppato una tecnica unica, che ha piccolissime parti di psichedelia californiana fine anni ’60, un tocco di Hendrix (ma proprio un accenno, per l’imprevedibilità delle sue traiettorie) e la genialità dell’improvvisatore puro mutuata dai solisti jazz. Il risultato finale è assai apprezzato, anche se non da tutti, perché molti non lo capiscono, abituati a chitarristi che si ispirano nella quasi totalità al blues e al rock.

Direi che si è capito che mi piace, quindi per non fare diventare un saggio questa recensione, veniamo al disco in questione: un titolo secco e semplice, almeno in superficie,  Electric, il progetto iniziale prevedeva un disco registrato in trio, con la sua sezione ritmica abituale, Taras Prodaniuk al basso e Michael Jerome alla batteria, due musicisti dallo stile laconico ma molto efficace: nel concerto a cui ho assistito nel maggio del 2008 al Manzoni di Milano (era uno dei pochi grandi che non avevo mai visto dal vivo) si sono rivelati perfetti per un Richard Thompson in serata di grazia, e molto mascelle dei presenti alla serata sono ancora sul pavimento del teatro, cadute per lo stupore creato dalle incredibili evoluzioni della solista di Thompson. Il nostro amico negli ultimi anni ha ripreso un vigore chitarristico che mancava in parte dalla sua produzione più recente (a parte Sweet Warrior) e gli ultimi due dischi, entrambi registrati dal vivo, uno di materiale totalmente nuovo e l’altro (peraltro solo in DVD) sono lì a testimoniarlo, come potete andare a rileggervi, se ne avete voglia, sul Blog: un-bel-dvd-dal-vivo-in-scozia-ci-mancava-richard-thompson-li.html e meglio-di-cosi-e-difficile-richard-thompson-deam-attic.html.

Si diceva del progetto iniziale di questo album, che si è poi materializzato in quel di Nashville, Tennessee nello studio di registrazione personale di Buddy Miller e da semplice prova in trio, con l’aiuto dello stesso Miller alla chitarra, di Stuart Duncan al violino e di un paio di vocalist d’eccezione come Alison Krauss e Sioban Maher Kennedy, ha leggermente ampliato il proprio progetto sonoro, soprattutto nella versione Deluxe doppia, che è quella da avere assolutamente. Perché se il disco è come al solito sopra la media di gran parte della produzione discografica attuale, il secondo CD della versione speciale ha un paio di brani imperdibili (anche vista la minima differenza di prezzo e l’inutilità di fare le solite due versioni differenti, una invenzione tra le più becere di un’industria discografica sempre più a corto di idee e alla caccia dei cosiddetti collezionisti).

A riprova del suo humor britannico e della sua ironia, Thompson ha parlato per questo album, scherzando (ma qualcuno che lo prende sul serio, sfogliando le cartelle stampa della sua etichetta, lo trova sempre), di folk-funk, ovvero Judy Collins incontra Bootsy Collins, giocando sull’omonimia dei due cognomi, ma anche di power trio celtico, ovvero Jimi Hendrix Experience incontra Peter, Paul & Mary: probabilmente si sarà rotto le balle anche lui, quando gli chiedono di definire la sua musica e allora inventa dei termini che superano anche le più fantasiose elaborazioni dei critici. La produzione di Buddy Miller, a dispetto di quelli che pensavano potesse “insegnare” qualcosa a Richard Thompson, si limita ad evidenziare un suono ruvido, dettagliato, molto dettagliato, quasi garage, “elettrico” in una parola, con il buon Buddy che ci riferisce, giustamente, di essersi limitato “a prendere lezioni di chitarra per un paio di settimane con Richard”. In ogni caso il risultato è eccellente: dalla poderosa Stony Ground iniziale, l’unica che potrebbe avvicinarsi a quel folk-funk ipotetico, con la chitarra di Thompson che viaggia sulle solite linee impossibili e regala interventi solisti tiratissimi, mentre la ritmica lavora a pieno regime. Salford Sunday è uno di quei deliziosi episodi folk-rock tipico del canone thompsoniano, con la musica che danza intorno alle parole argute di Richard che si fa sostenere dalla delicata voce di Siobhan Maher Kennedy, la bravissima ex cantante dei River City People.

Sally B è uno dei tipici brani al vetriolo di Thompson, dedicato ad un politico, in cui qualcuno ha creduto di riconoscere Sarah Palin, ma probabilmente è un composito di più personaggi, in questo caso la musica sostenuta dal basso martellante di Prodaniuk e dalla batteria ricercata di Jerome (uno dei migliori batteristi della storia dei suoi dischi) si avvicina a quell’ipotetico power trio celtico evocato in precedenza, con la chitarra che ha aperture quasi hendrixiane, perché un fondo di verità nelle parole del nostro c’è sempre. Stuck On The Treadmill rimane sempre ancorato a queste sonorità cupe e arcigne, con la chitarra angolare che disegna le solite traiettorie uniche del rock, secondo Richard Thompson. My Enemy è una di quelle stupende ballate malinconiche e cariche di sentimento che costellano la sua discografia, con la seconda voce della Maher Kennedy a sottolineare il cantato maschio e baritonale della voce di Thompson, mentre mandolino, il violino di Stuart Duncan, la seconda chitarra di Miller e quella di Thompson colorano il suono con la consueta precisione e maestria.

Good Things Happen To Bad People, un titolo che ben inquadra la filosofia ironica di vita dell’autore, è “semplicemente” un bel pezzo rock d’autore, tipico del suo repertorio mentre Where’s Home per i suoi canoni sembra quasi una bella country-pop song con mandolino e violino nuovamente in luce per un suono più americano e le belle armonie vocali femminili a sottolineare le voce di Thompson. Another Small Thing In Her Favour è di nuovo una intensa ballata elettrocustica marchiata in modo inconfondibile dal suo stile unico ed inimitabile e segnata da un magnifico assolo. Straight And Narrow è un brano inconsueto nel suo songbook, un simil beat anni ’60 con tanto di organo Farfisa e la chitarra che quasi surfeggia, indiavolata come sempre. Ma i brani migliori del primo CD sono gli ultimi due: una magnifica folk song acustica come The Snow Goose che sembra venire dal suo migliore repertorio anni ’70, impreziosita dalla seconda voce di Alison Krauss che fa la Linda Thompson della situazione, da un accordion o una tastiera suonato dallo stesso Richard e poco altro, ma il risultato è superbo. Saving the Good Stuff For You ha un incipit degno delle migliore canzoni del Dylan del periodo d’oro, poi entrano il violino di Duncan, la seconda voce della Kennedy, i florilegi dell’acustica dello stesso Thompson e questo valzer prezioso ci porta nei terreni del miglior country-folk.

Il secondo CD, quello bonus, ci spiega perchè il disco è stato registrato in quel di Nashville, Will You Dance Country Boy è una briosa country-song con il violino in grande spolvero a duettare con le chitarre di Thompson e Miller in modo divertito e divertente, I Found A Stray è un’altra di quelle meraviglie che escono dalla penna del musicista inglese, una ballata acustica straziante con il violino di Duncan a riprendere il ruolo che fu di Swarbrick ai tempi dei Fairport Convention mentre il contrabbasso di Dennis Crouch sottolinea il tempo. In questo disco bonus niente demos o alternate takes come spesso d’uso per inutili dischetti aggiuntivi, ma altre nuove canzoni di notevole spessore, come The Rival dalle splendide arie irlandesi miste a sonorità che avvicinerei al Mark Knopfler degli ultimi dischi, con la Maher Kennedy impegnata nella sua ultima apparizione e una Tic Tac Man altra perla del repertorio classico di Thompson, sempre impeccabile nella parte strumentale questa volta affidata al suo mandolino.

Il disco a questo punto finirebbe ma ci vengono regalati altri due/tre brani diciamo rari: Auldie Riggs e Auldie Riggs Dance sono due movimenti tratti da Cabaret Of Souls, una sorta di mini opera o oratorio concepita tra il 2009 e il 2010 per essere eseguita dal vivo con il suo quasi omonimo Danny Thompson e poi incisa nel 2012 senza il grande contrabbassista, ma con la presenza di Judith Owen, e venduta solo sul suo sito e ai concerti da fine 2012: si tratta di una piece ambientata negli Inferi, con tanto di parti recitate e intermezzi orchestrali, dove Thompson immagina che le anime delle persone scomparse di recente partecipino ad una sorta di talent dove eseguono una canzone che dovrebbe rappresentare quello che sono stati in vita, il “Guardiano delle anime” risponde a sua volta con una canzone o un brano parlato. Su che canale lo faranno questo talent show? In ogni caso geniale, peccato che non si trovi con facilità. L’ultima chicca è la sua versione di So Ben Mi C’Ha Bon Tempo, un brano cantato in italiano del ‘500 tratto dal repertorio tardo rinascimentale di Orazio Vecchi e che si trovava in origine su 1000 years Of Popular Music, un CD+DVD che riproponeva il suo spettacolo live dallo stesso nome dove Richard Thompson suonava e cantava di tutto, dal canto gregoriano di Sumer Is Sicumen In a Oops I Dit It Again di Britney Spears, passando per i Beatles, gli Abba, Prince e gli Who.

Un vero fenomeno.

Bruno Conti

“Esagerati” Ma Bravi! Un Mini Supergruppo. Pinnick Gales Pridgen

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Pinnick Gales Pridgen – Pinnick Gales Pridgen – Magna Carta

Cosa succede se mettiamo insieme dUg (scritto così, sono strani i musicisti!) Pinnick, ex(?) bassista e cantante dei King’s X, gruppo di progressive metal (così è descritto nel sito della Magna Carta, mi adeguo), Eric Gales, chitarrista proveniente da una famiglia di hendrixiani, che recentemente ha pubblicato un ottimo CD+DVD Live, recensito da chi scrive (tra-mancini-ci-si-intende-eric-gales-live.html), per la Blues Bureau/Shrapnel di Mike Varney (che produce anche questo disco) e Thomas Pridgen, ex (lui sì) batterista dei Mars Volta? Il tutto pubblicato da una etichetta specializzata in rock progressivo.  Ovviamente un disco di power-blues-rock-prog-metal-trio. Se non amate le “esagerazioni” potete leggere altro, qui siamo nell’ambito delle sessions che sfociano in supergruppo (sui generis, perché nessuno è famosissimo) alla Chickenfoot o alla Black Country Communion, visto che coinvolgono anche degli ex metallari, per quanto di alto livello tecnico, più o meno pentiti e trascinati nel giro del power trio hard da uno che a merenda mangia Nutella e Jimi Hendrix, non necessariamente nell’ordine.

Una delle altre particolarità è che si tratta di un terzetto dove convivono due neri e uno diciamo “abbronzato” (come direbbe qualcuno di nostra conoscenza), una formazione a cavallo tra Band Of Gypsys e Living Colour e dove nel repertorio, oltre ai loro brani, troviamo Sunshine Of Your Love dei Cream e un brano, For Jasmine, adattato da un tema di Beethoven (sostituite Jasmine con un altro nome femminile e il trucco è svelato). Chitarra, basso e chitarra quasi sempre in overdrive, su una base di blues, diciamo molto energico, prendete ad esempio il tour de force del disco, la lunga, oltre dieci minuti, Been So High (The Only Place To Go Is Down) e sarete sommersi da un torrente di note, che parte con improvvise e ripetute scale alla Page, mentre Pinnick pompa sul suo basso manco fosse Jack Bruce reincarnato e Pridgen, strano caso di batterista ambidestro, pesta di gusto sul suo kit, inutile dire che quando il trio trova un giusto groove lento e minaccioso, ci si trova immersi nel classico hard-rock-blues dei gruppi storici degli anni ’70, i nomi, oltre a quelli fatti, li potete inserire a piacere voi, tenete conto che questi tre a livello tecnico non hanno nulla di invidiare ai loro predecessori, detto con una parola sola: “suonano”!

Eric Gales, come ricordato altre volte, deve avere il pedale del wah-wah inserito direttamente nel tacco della scarpa, ma se il genere piace, è comunque un bel sentire: addirittura nella funky The Greatest Love, scritta da Varney con Gales, il produttore riesce a sovra incidere tre diverse soliste tutte suonate da Eric, anche se il risultato non mi entusiasma, ricorda un Lenny Kravitz iper vitaminizzato. A questo punto se chitarra ha da essere, meglio l’orgia wah-wah di Lascivious anche se, chissà perché, Sunshine Of Your Love, anche in questo stile super heavy ha qualcosa in più degli altri brani. Hang On Big Brother ha qualche deriva psych-prog unita al solito stile decisamente picchiato mentre Black Jeans, ha dei tocchi tra dark e doom, tipo quel gruppo di Birmingham, ce l’ho sulla punta della lingua, Black…black, qualcosa e pure Frightening viene da quelle parti. Se amate il genere, bravi sono bravi, forse anche troppo, alla lunga mi “stancano”.

Bruno Conti

Nuovi Incroci Di Famiglie Blues. Allison Burnside – Express

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Allison Burnside – Express – Jazzhaus Records

Per la serie “Figli di…”, nelle varie combinazioni possibili, l’accoppiata nera tra Bernard Allison e Cedric Burnside ci mancava, ma ora arriva questa Express a colmare la lacuna. Bernard, neanche a dirlo, è il figlio del grande Luther, e con l’ultimo Live At the Jazzhaus, recensito dal sottoscritto, aveva dato segnali di risveglio, dopo un paio di dischi non memorabili di-padre-in-figlio-sempre-blues-ma-bernard-allison-live-at-t.html, Cedric, batteria, chitarra e voce, è il figlio del figlio (ovvero il nipote, ma serviva per il giochino dell’introduzione) di R.L. Burnside,  e oltre al proprio Cedric Burnside Project, ha collaborato con Lightnin’ Malcolm, con i vari fratelli Dickinson, con lo zio Garry e con componenti della famiglia Kimbrough, un casino di intrecci, e nel 2012 ha vinto anche il  premio come miglior batterista Blues ai premi che si tengono in quel di Memphis, Tennessee, ma nel disco ha voluto suonare anche la chitarra. Nelle note del CD, oltre a Dio e parenti vari, i due ringraziano Trenton Ayers, chitarra, Erick Ballard, batteria e Vic Jackson, basso, che hanno condiviso con loro le sessions di registrazione che si sono tenute lo scorso anno in quel di Minneapolis.

Accanto ad una serie di brani originali firmati dalla coppia, spicca un terzetto di cover di sicura presa: Nutbush City Limits, il classico di Ike & Tina Turner, viene riletto come un grintoso blues-rock, molto chitarristico (come gran parte del disco, peraltro), con le due voci che si alternano e si miscelano con successo, Hidden Charms, un brano di Willie Dixon di fine anni ’50, nel repertorio di Howlin’ Wolf, ma che fu anche il titolo del suo ultimo grande album, vincitore di un Grammy nel 1989 e che seguiva di poco le sue vittorie legali con i Led Zeppelin per le accuse di plagio ai suoi brani, ma questa è un’altra storia. Tornando a Hidden Charms, il brano, viene qui rivisitato in uno scoppiettante stile cajun rock, con tanto di fisarmonica, completamente differente dal sound del resto dell’album ma non per questo meno valido e molto trascinante e divertente. L’ultima cover è quella di Going Down, il celebre brano di Don Nix, che, per i misteri del Blues, anche gli Stones, che l’hanno eseguita nei recenti concerti a Newark e Londra con Jeff Beck e John Mayer & Gary Clark Jr.,  hanno presentato come un brano di Freddie King, che per l’amor di Dio l’ha incisa, ma lasciando, per l’ennesima volta, nel dimenticatoio Nix, che l’ha scritta, creando quel riff inconfondibile, che se dovessi scegliere, quasi tutti ricordano nella versione tiratissima di Beck, per la precisione. Bella la versione, in ogni caso, di Allison e Burnside, con doppia chitarra solista e tanta grinta.

Il resto è del sano blues elettrico, non particolarmente innovativo, ma neppure troppo routinario, in una fascia qualitativa medio alta, per bluesofili incalliti, ma che amano anche delle contaminazioni con il rock, senza per questo scadere in caciare esagerate. Dalla classica Backtrack, che si avvicina più allo stile di Allison senior, Chicago blues ad alta densità chitarristica quindi, che allo stile juke-joint sudista della famiglia Burnside. Il riff reiterato, ipnotico, con inserti di chitarra acustica di Do You Know What I Think, è più vicino all’altra scuola mentre Why Did I Do It, con un suono ispirato da Stones, ZZ Top e altri praticanti di uno stile più vicino al rock ma farcito di blues, soddisferà i palati di chi ama North Mississippi Allstars e Black Crowes, ma anche l’Hendrix dei Band of Gyspsys, sempre con quella bella alternanza delle due voci soliste che caratterizza tutto l’album. Anche Southshore Drive ha la giusta grinta rockistica, mentre Fire It Up, è molto più funky e con degli accenti vagamente rappati non particolarmente memorabili. Di Mississippi Blues basterebbe il titolo per capire che è una pausa acustica nel mood prevalentemente tirato di questo Express. Stanky Issues è un breve strumentale che ci permette di apprezzare la tecnica solista dei protagonisti di questo CD mentre That Thang è uno dei quei brani superfunky, francamente inutili, che ogni tanto scappano all’Allison junior, Bernard.

Bruno Conti

Anguille “Eclettiche”! Eels – Wonderful Glorious

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Eels – Wonderful Glorious – E Works Records/Vagrant – Deluxe Edition – 2 CD

Ormai da tempo gli Eels, sono una delle più interessanti, eccitanti e consolidate realtà indie-rock del panorama americano. Sono passati ben sedici anni dal magnifico esordio di Beautiful Freak (1996), un album curioso fin dalla copertina, raffigurante una innocente fanciullina, i cui occhi erano stati sapientemente manipolati dal computer, e quell’immagine costituiva lo specchio della musica del CD (tanto bella quanto spiazzante), accostando in maniera creativa canzoni dalle ritmiche urbane ad improvvise aperture melodiche, rock alternativo, country e folk. In seguito usciranno Electro-Shock Blues (98), Daises Of The Galaxy (2000), Oh What A Beautiful Morning (2001), Souljacker (2001),  lo splendido live Electro-Shock Blues Show (2002), Shootenanny (2003), Blinking Lights and Other Revelations (2005), e per ricapitolare la prima decade di carriera,  pubblicano simultaneamente  due antologie Meet the Eels (una raccolta di successi con inediti) e Useless Trinkets (un doppio CD  che raccoglie rarità b-sides e brani dal vivo), Eels Live At Town hall (2006) anche in versione DVD e   una trilogia iniziata con Hombre Lobo  (2009), End Times (forse l’album più cantautorale ) e chiusa con Tomorrow Morning (2010).

Una delle qualità salienti della musica delle “anguille” è probabilmente il carattere personale del loro leader, il geniale Mark Oliver Everett (vero “deus-ex-machina del gruppo californiano), che caratterizza i momenti più ispirati del suo ormai consistente songbook., accompagnato dai fidati The Chet e P-Boo alle chitarre, Kool G.Murder al basso e Gets Knuckles alla batteria (la prima formazione stabile degli Eels in oltre quindici anni di carriera).

Wonderful Glorious (il decimo album di Everett e soci) parte con Bombs Away un blues puntellato di elettronica, prosegue con il funky di Kinda Fuzzy,  rock-blues chitarristici come Peach Blossom, Open My Present e Stick Together, il folk-country acustico di On TheRopes, le ballate esistenziali The Turnaround e True Original. Con New Alphabet un altro rock blues contagioso, si viaggia dalle parti dei Fleetwood Mac delle origini, fino ad arrivare al vertice del disco con la notturna You’re My Friend (spendida roots-ballad), seguita dalla solenne I Am Building A Shrine e concludere con la title-trackWonderful Glorious una pop-song che i fratelli Wilson (Beach Boys) avrebbero scritto negli anni ’60. Notevole, infine l’edizione Deluxe con un disco di bonus, comprendente 4 nuove canzoni in studio, Hold On To Your Hat, Your Mama Warned You, I’m Your Brave Little Soldier, There’s Something Strange, più 8 registrazioni live (quattro elettriche dal tour 2011 e quattro acustiche estratte dal Live At Kexp).

Questo nuovo capitolo della band del cinquantenne Mr.E (uno degli artisti più sottovalutati degli ultimi 20 anni) fa ancora centro, sfornando ancora una volta un’ottima selezione di ballads e graffianti pezzi rock. Wonderful Glorious non è il miglior disco degli Eels, ma senza dubbio un buon disco degli Eels: attenzione, per chi volesse approfondire la loro discografia (hanno fatto grandissimi album, Electro-Shock Blues su tutti), se si ascoltano in un periodo già buio,il tutto, nelle leggende metropolitane, può portare al suicidio!

Tino Montanari