Questo Uomo E’ Un Fenomeno! Joe Bonamassa – An Acoustic Evening At The Vienna Opera House

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Joe Bonamassa – An Acoustic Evening At The Vienna Opera House – 2CD 2 DVD 2 LP Blu-Ray Mascot/Provogue 25-03-2013

Eravate preoccupati? In effetti nel mese di febbraio non era uscito nulla, ma subito una bella uscita multipla primaverile. Non è normale però, dai, ma dorme ogni tanto? E a giudicare dal trailer pare anche bello.

Track list

 

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Arrival
Palm Trees, Helicopters and Guns
Jelly Roll
Dust Bowl
Around The Bend
Slow Train
Athens To Athens
From The Valley
The Ballad Of John Henry
Dislocated Boy
Driving Towards the Daylight
High Water Everywhere
Jockey Full Of Bourbon
Richmond
Stones In My Passway
Ball Peen Hammer
Black Lung Heartache
Mountain Time
Woke Up Dreaming
Sloe Gin
Seagull

Sono senza parole (ma appena lo sentirò, le ritrovo)!

Bruno Conti

Novità Di Febbraio Parte IIb. Clannad, Mark Kozelek, Slide Brothers, Charlie Daniels, Ronnie Lane, Heidi Talbot, Molly Hatchet, Atoms For Peace, Emmylou Harris & Rodney Crowell, Black Twig Pickers

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Seconda parte delle uscite di martedì 19 febbraio, con qualche recupero di uscite precedenti e due o tre anticipazioni di quelle del 26 febbraio.

Per esempio il disco dal vivo dei Clannad Live At Christ Church Cathedral è gia disponibile da qualche tempo sul loro sito, su etichetta Arc Music, ma avrà una distribuzione più regolare a partire dalla prossima settimana. Si tratta della reunion, che doveva essere una tantum, ma ora è partito un tour europeo (anche in Italia a Firenze, Rimini e Rezzato tra il 18 e il 20 febbraio), della formazione originale, concerto tenutosi il 29 gennaio del 2011 in quella cattedrale di Dublino. Per l’occasione erano presenti tutti i fratelli Brennan, Pol, Ciaran e Maire (ma non Enya, che ha fatto parte brevemente della formazione a inizio anni ’80, e si dice stia lavorando al nuovo album, che visti i suoi tempi, sarà pronto per il 2020), oltre ai due zii Noel e Padraig Duggan, alle chitarre. Per semplicità non ho usato le grafiche gaeliche dei componenti della band, ma sono i soliti, quelli insieme dal 1970. Il CD è il terzo dal vivo della loro discografia, ma se la memoria non mi inganna, è il primo ad uscire anche in DVD. Nella versione audio sono 19 brani per circa 75 minuti di musica, mentre il DVD ne dura circa 95 e ha 4 canzoni in più. Pare che stiano registrando, o abbiano già registrato, anche un nuovo disco di studio.

La “Sacred Steel Music”, da non confondere con i metallari tedeschi Sacred Steel, è quel genere che fonde pedal steel e slide guitars a go-go, funky, soul, blues, gospel e bella musica, per intenderci Lee Boys, di cui ho parlato nel Blog recentemente, Campbell Brothers e, soprattutto, Robert Randolph and The Family Band. Proprio Randolph “presenta” gli Slide Brothers, che esordiscono in questi giorni (ma ad Aprile in Europa) con il loro primo album omonimo.

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Seguire tutte le pubblicazioni discografiche di Mark Kozelek, l’ex dei Red House Painters, ora con i Sun Kil Moon, ma anche con una copiosa produzione da solista, è impresa ardua. Considerando che se li pubblica sulla sua etichetta, la Caldo Verde: questa settimana escono due album nuovi, Like Rats, un disco di studio, tutto di cover, registrate in solitaria versione acustica e Live At Phoenix Public House Melbourne, un disco dal vivo registrato l’11 giugno del 2012. Chi compra entrambi i titoli direttamente dal sito riceverà in omaggio un ulteriore compact dal vivo Live At Mao Livehouse Shanghai & Bejing, registrato in Cina, sempre nel tour dello scorso anno. Per usare un eufemismo, reperibilità difficoltosa.

Una idea geniale e soprattutto nuova, quella della Charlie Daniels Band, pubblicare per la Megaforce un bel CD intitolato Hits Of The South, dove reinterpretano vecchi successi sudisti (e non solo, non sapevo che Signed, Sealed, Delivered I’m Yours di Stevie Wonder veniva dal Sud). Comunque, contro le mie previsioni, il dischetto mi sembra bello, fresco e pimpante, con brani come The Night They Drove Old Dixie Down, Can’t You See, Statesboro Blues, Freebird, The Devil Went Down To Georgia, Sharp Dressed Man, Elizabeth Reed (in una versione più concisa, quindi si è perso In Memory Of per strada) suonati tutti con grinta e passione, a sorpresa uno dei migliori dischi di southern rock dell’ultimo periodo. Anche se, per essere onesti, una buona parte dei brani era già uscita nel 1999 come Tailgate Party, non sono sicuro se nelle stesse versioni, gagliardo comunque.

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Due titoli nuovi della serie Live At Rockpalast della MIG (Made In Germany) Records. Ronnie Lane (il George Harrison dei Faces), dal vivo nel 1980 e una delle varie reunion dei Molly Hatchet, dal vivo nel 1996, entrambi disponibili anche in DVD.

Nuovo disco anche per il trio acustico old-time bluegrass dei Black Twig Pickers, si chiama Rough Carpenters, esce su Thrill Jockey, e per l’occasione il gruppo si amplia con l’aggiunta della violinista Sally Anne Morgan.

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Questi due, in teoria, escono la prossima settimana, anzi quello di Emmylou Harris & Rodney Crowell, Old Yellow Moon, etichetta Nonesuch, addirittura in Europa il 5 marzo, ma forse potrebbe giungere sul continente in anticipo. Si tratta del disco che vede riunita Emmylou con i vecchi componenti della Hot Band, Crowell in primis, oltre al produttore Brian Ahern, Vince Gill, Stuart Duncan e Bill Payne. E il repertorio torna ad essere, per l’occasione, quello dei dischi classici e bellissimi degli anni ’70.

Molto sapranno già chi sono gli Atoms For Peace. Ma per quelli che non sanno, si tratta del nuovo gruppo messo insieme da Thom Yorke con il produttore dei Radiohead. Nigel Godrich, il bassista dei Red Hot Chili Peppers Flea, il batterista di Beck, Joey Waronker e il percussionista braziliano Mauro Refosco. Tre giorni di jam sessions e vari mesi di materiale scambiato via internet e questo AMOK è il risultato che verrà pubblicato dalla XL Recordings la prossima settimana, 26 febbraio, anche in versione deluxe, quella che vedete effigiata qui sopra, senza bonus a livello musicale ma con quella confezione definita “debossed 12-panel concertina wallet”, per fortuna che c’è l’immagine.

Non mi pronuncio, voglio sentirlo bene.

Anche per oggi è tutto.

Bruno Conti

Novità Di Febbraio Parte II. Nick Cave & Bad Seeds, Son Of Rogues Gallery, Terry Allen, Jerry Garcia, Dawn McCarthy & Bonnie Prince Billy, Endless Boogie, Otis Taylor, Fabulous Thunderbirds

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Nonostante l’incremento nel numero di recensioni dei CD che non appaiono in questa rubrica, ultimamente anche due o tre Post al giorno (grazie anche ai collaboratori), il numero delle uscite interessanti è sempre soverchiante. Per cui oggi prima tranche delle uscite di martedì 19 febbraio (e qualche titolo già uscito), domani il resto con qualche anticipazione di quelle di martedì 26. Per cui partiamo con:

Nick Cave & The Bad Seeds tornano con un nuovo album, Push The Sky Away, il 15° con la band dopo una serie di colonne sonore e dischi con i Grinderman, oltre a Dig!!!Lazarus, Dig!!!, che era formalmente a nome Bad Seeds ma aveva delle sonorità decisamente più durette. Qui si torna al sound classico di Nocturama più che a quello di Abattoir Blues/The Lyre Of Orpheus. L’etichetta è Bad Seed Ltd, e il disco esce in due versioni, quella normale con 9 brani e una versione Deluxe con DVD, che contiene altre due tracce con immagini create appositamente per le due canzoni bonus, oltre ad un libretto di 32 pagine (l’immagine la vedete qui sopra). L’album è stato registrato in Francia con il produttore Nick Launay, ma senza Mick Harvey, per la prima volta, in uno studio, Le Fabrique, che ha le pareti foderate di vecchi vinili di musica classica e quindo, ovviamente, l’atmosfera sonora ne ha risentito. Da quello che ho sentito mi sembra molto bello, un ritorno al Nick Cave che amo di più. Il nostro amico appare anche in…

Son Of Rogues Gallery – Pirate Ballads, Sea Songs & Chanteys il secondo capitolo, sempre pubblicato dalla Anti, dei brani dedicati alle canzoni dei pirati. Produce sempre Hal Willner ed i partecipanti sono i seguenti:

Track Listing

Disc 1:

  1. Leaving of Liverpool (Shane MacGowan w/Johnny Depp & Gore Verbinski)
  2. Sam’s Gone Away (Robyn Hitchcock)
  3. River Come Down (Beth Orton)
  4. Row Bullies Row (Sean Lennon w/Jack Shit)
  5. Shenandoah (Tom Waits w/Keith Richards)
  6. Mr. Stormalong (Ivan Neville)
  7. Asshole Rules the Navy (Iggy Pop w/A Hawk and a Hacksaw)
  8. Off to Sea Once More (Macy Gray)
  9. The Ol’ OG (Ed Harcourt)
  10. Pirate Jenny (Shilpa Ray w/Nick Cave & Warren Ellis)
  11. The Mermaid (Patti Smith & Johnny Depp)
  12. Anthem for Old Souls (Chuck E. Weiss)
  13. Orange Claw Hammer (Ed Pastorini)
  14. Sweet and Low (The Americans)
  15. Ye Mariners All (Robin Holcomb & Jessica Kenny)
  16. Tom’s Gone to Hilo (Gavin Friday and Shannon McNally)
  17. Bear Away (Kenny Wollesen & The Himalayas Marching Band)

Disc 2:

  1. Handsome Cabin Boy (Frank Zappa & the Mothers of Invention)
  2. Rio Grande (Michael Stipe & Courtney Love)
  3. Ship in Distress (Marc Almond)
  4. In Lure of the Tropics (Dr. John)
  5. Rolling Down to Old Maui (Todd Rundgren)
  6. Jack Tar on Shore (Dan Zanes w/Broken Social Scene)
  7. Sally Racket (Sissy Bounce (Katey Red & Big Freedia) with Akron/Family)
  8. Wild Goose (Broken Social Scene)
  9. Flandyke Shore (Marianne Faithfull w/Kate & Anna McGarrigle)
  10. The Chantey of Noah and his Ark (Old School Song) (Ricky Jay)
  11. Whiskey Johnny (Michael Gira)
  12. Sunshine Life for Me (Petra Haden w/Lenny Pickett)
  13. Row the Boat Child (Jenni Muldaur)
  14. General Taylor (Richard Thompson w/Jack Shit)
  15. Marianne (Tim Robbins w/Matthew Sweet & Susanna Hoffs)
  16. Barnacle Bill the Sailor (Kembra Phaler w/Antony/Joseph Arthur/Foetus)
  17. Missus McGraw (Angelica Huston w/The Weisberg Strings)
  18. The Dreadnought (Iggy Pop & Elegant Too)
  19. Then Said the Captain to Me (Two Poems of the Sea) (Mary Margaret O‘Hara)

Ovviamente il brano di Frank Zappa non è stato creato appositamente per l’occasione, a differenza di tutti gli altri brani. Anche questo molto buono.

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Altre tre uscite, un paio già disponibili e una in uscita martedì.

Ritorno anche per Terry Allen. L’ultimo disco ufficiale, Salivation, era del 1999, anche se aveva fatto una apparizione nel disco di Ryan Bingham del 2007, Mescalito e nel 2012 è uscito un CD dal vivo, autodistribuito, registrato nel 1971. Bottom Of The World è uscito il 22 gennaio per la propria etichetta e vede la partecipazione, oltre ad Allen, piano e tastiere, di Lloyd Maines, immancabile alle chitarre, Richard Bowden, viola e mandolino, Richard Standefer, al cello, oltre al figlio Bukka Allen, organo B3 e accordion, e moglie al seguito Sally, alle armonie vocali. Il nostro amico Terry, ne fa pochi ma quasi sempre buoni e questo è tra i migliori.

Annunciato da parecchi mesi esce in questi giorni il primo capitolo di una nuova serie di materiale d’archivio dal vivo della Jerry Garcia Band, si intitola Garcia Live Volume One March 1st 1980 Capitol Theater. Triplo CD pubblicato dalla ATO Records, questa la tracklisting:

Early Show

  1. Sugaree
  2. Catfish John
  3. How Sweet It Is
  4. Simple Twist of Fate
  5. Sitting in Limbo >
  6. That’s All Right
  7. Deal

Late Show:

  1. Mission in the Rain
  2. That’s What Love Will Make You Do
  3. Russian Lullaby
  4. Tiger Rose (w/ Robert Hunter)
  5. The Harder They Come
  6. Promontory Rider (w/ Robert Hunter)
  7. Midnight Moonlight
  8.  Dear Prudence

Nelle varie incarnazioni di Will Oldham, quella come Bonnie Prince Billy è una delle più ricorrenti. Questo volta in coppia con la cantante Dawn McCarthy ci propone uno dei capitoli più piacevoli e di gradevole ascolto, un CD tutto dedicato ai brani che erano nel repertorio degli Everly Brothers, When The Brothers Sang, pubblicato come di consueto dalla Domino Records, è cantato quasi sempre all’unisono dai due vocalists per ricreare le armonie classiche dei fratelli Everly, uno dei grandi e più influenti gruppi nella storia del rock, da Simon & Garfunkel in giù. Tra i brani è presente anche una cover di Somebody help me, uno dei brani più belli dello Spencer Davis Group di Steve Winwood che lo avevano cantato ed inciso un anno prima degli Everly Brothers.

 

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Un terzetto blues, con diversi stili e punti di vista sul genere.

Gli Endless Boogie sono un quartetto di blues-rock psichedelico che viene dall’area di Brooklyn, New York, non per niente il nuovo disco si chiama Long Island, esce su etichetta No Quarter e ci danno dentro alla grande. 8 brani per un totale di 79 minuti, ma nel precedente ce n’era uno di quasi 23 minuti, sentire please…tra Blue Cheer e stoner rock, ma anche Canned Heat, vai col boogie!

Otis Taylor ci sorprende ad ogni disco con qualche sorpresa. Questa volta è il caso di un disco dove il suo classico Blues (classico, ma molto personale) si incrocia con la musica dei Nativi Americani nella persona di Mato Nanji, il leader degli Indigenous, quindi anche sonorità più elettriche del solito, per questo My World Is Gone che esce, come di consueto per la Telarc.

Altro ritorno, quello dei Fabulous Thunderbirds, a otto anni dal precedente Painted On, questo On The Verge, il primo edito dalla Severn, presenta per la prima volta su disco, la band di Kim Wilson, con la nuova formazione che vede la presenza dei fratelli Moeller, Jay alla batteria e l’eccellente Johnny alla chitarra (forse il più adatto a raccogliere l’eredità di Jimmie Vaughan, come ha dimostrato il suo disco solista del 2010, Bloogaloo, anche se deve mangiarne ancora di pagnotte). Mike Keller alla seconda chitarra e Jason Bermudes al basso completano la formazione. Electric Texas Blues come di consueto. Il video non c’entrerebbe, però è bello e c’è Kim Wilson all’armonica.

Per oggi basta, alla prossima!

Bruno Conti

Più Un Grosso Petardo Che Una “Bomba”, Ma Il Botto Lo Fa! Dave Fields – Detonation

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Dave Fields – Detonation –Field Of Roses Records

Premessa. Secondo il sottoscritto non bisognerebbe mai assegnare due stellette in una recensione di un disco, equivale al vecchio 4 a scuola, piuttosto non lo recensisci, e vi assicuro che dischi in giro che meritano due stellette ma anche una ce ne sono a bizzeffe, meglio ignorarli. Ma se si decide di parlare di questi dischi il dilemma si pone. Questo Detonation è uno di quei dischi, secondo il parere del sottoscritto, che meriterebbe due stellette ma…Dave Fields è un signor chitarrista, di quelli della categoria “esagerati”, tecnica notevole, suono vigoroso e facilità nell’assolo disarmante, ma il genere, diciamo un rock-blues-hard-power trio, non lo aiuta, se poi aggiungiamo che il produttore è un tipo come David Z, uno che non ho mai amato anche se ha vinto 2 Grammy con dischi di Etta James, che ha la tendenza a caricare il suono con riverberi, filtri vocali, molte tastiere e tutte le diavolerie che ti regala la tecnologia, molto professionale ma anche “invadente”.

Quindi fate finta che la terza stelletta sia tutta da assegnare al lavoro della solista di Fields, tra Hendrix e Stevie Ray Vaughan per il tipo di sonorità, ma con una tendenza fastidiosa a caricare eccessivamente queste influenze sacrosante e spostarle verso lidi non dissimili a quelli di un Lenny Kravitz (altro patito di Jimi) o addirittura certo AOR americano, ballate hard power rock melodiche come Same Old Me o il reggae-rock plastificato di Bad Hair Day che mi sembra “E la luna bussò” con il wah-wah (magari, senza volere, gli sto facendo un complimento!), tutte comunque redente da poderosi soli che risollevano le sorti del brano. La riffatissima The Altar potrebbe rientrare nella categoria dei brani più commerciali di Johnny Lang (e infatti David Z gliene ha prodotti un paio) o Kenny Wayne Shepherd quando si allontanano dai sentieri del blues-rock per un hard rock più di maniera, in confronto i bistrattati, da alcuni, Black Country Communion di Bonamassa fanno del rock progressivo.

Ci sono anche note positive: il bel rock-blues cadenzato di Better Be Good al crocevia tra Bonamassa, Vaughan e Robben Ford, l’iniziale tirata Addicted To Your Fire, un incrocio tra le sparate di SRV e le trame hendrixiane del Jimi più commerciale con improvvise orge di wah-wah e passate di organo anni ’70, ma anche il blues lento e selvaggio di Doin’ Hard Time, in accoppiata con Joe Louis Walker con chitarre e voci che si incrociano, non è male. Anche Prophet in Disguise ha una atmosfera vagamente psichedelica e soluzioni strumentali interessanti e Pocket Full Of Blues è un altro rock-blues lento con chitarra e organo in evidenza, ma non mi piace quella voce filtrata che copre le magagne della voce di Dave Fields che strilla troppo. Dr.Ron è di nuovo Lenny Kravitz che fa Hendrix e Lydia invece è Fields che fa sempre Hendrix (meglio), con molto lavoro su toni e volumi in questo strumentale che permette di apprezzare nuovamente il suo virtuosismo indubbio e meritare quella stelletta in più. La hard ballad You Will Remember Me conclude senza particolare gloria questo disco che “detona” solo saltuariamente, ma potrebbe incontrare il favore dei patiti del genere!

Bruno Conti

Tra Moglie E Marito…Il Disco E’ Servito! Kelly Willis & Bruce Robison – Cheater’s Game

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Kelly Willis & Bruce Robison – Cheater’s Game – Preminum Records

Come infatti tutti saprete (beh, forse non proprio tutti) Bruce Robison e Kelly Willis, oltre ad essere due ottimi musicisti e songwriters, sono anche felicemente sposati da anni. Entrambi inattivi a livello discografico da diversi anni (Bruce dal 2008, Kelly dal 2007), si sono presi cura dei loro quattro figli durante questo periodo, ed oggi si ripresentano a noi con un disco nuovo di zecca, intitolato Cheater’s Game che, escluso un album a carattere natalizio inciso nel 2006, è il primo vero lavoro in coppia dei due. I due vengono presentati come la prima coppia uomo-donna della musica texana, anche se a memoria mi viene in mente anche quella formata da Waylon Jennings e Jessi Colter (anche se non avevano mai inciso un intero album insieme, solo qualche canzone sparsa, e poi Jessi  è dell’Arizona…ma neppure Kelly è texana, e quindi?), ma tutto ciò è per le statistiche: quello che veramente interessa è il livello del disco, che è decisamente buono.

Che i due fossero bravi lo sapevamo (anche se a Bruce ho sempre preferito di un’attaccatura il fratello Charlie, parere personale), ma che tornassero dopo cinque-sei anni con un lavoro di questo livello non me l’aspettavo (e ve lo dice uno che non ha mai amato i dischi di duetti, specie maschio-femmina, anche se ad onor del vero c’è da dire che di duetti veri e propri ce ne sono pochi, per la maggior parte del disco i due si dividono i brani da cantare, armonizzando di volta in volta sulla voce solista dell’altro). Ben prodotto da Brad Jones e registrato a Nashville con pochi ma fidati sessionmen, Cheater’s Game è un concentrato di pura Americana made in Texas, una miscela vincente di country, honky-tonk, bluegrass, roots e qualche puntatina nel rock, con circa metà dei brani scritti da Robison da solo o in compagnia (la Willis non partecipa al songwriting in questo disco), ed una scelta di covers decisamente azzeccata.

Si parte con la title track, una country song molto classica, dal passo lento, con fiddle e violini d’ordinanza e Kelly subito in parte (Bruce qui si limita a qualche backing vocals). Border Radio è proprio il classico dei Blasters, ma il brano non è né rock come l’originale dei fratelli Alvin, né lento come la versione solista di Dave, bensì ha un accompagnamento elettroacustico più rootsy, anche se un po’ sottotono: una versione discreta ma si poteva fare meglio; We’re All The Way, di Don Williams, è arrangiata in modo asciutto ed essenziale, ma la melodia gradevole ed un certo retrogusto mexican la rendono degna di nota. Long Way Home (Hayes Carll) è un brano dalla scrittura superiore: Carll è uno dei talenti più fulgidi venuti fuori negli ultimi anni in territorio Americana, e quindi i coniugi Robison non devono fare altro che cucire addosso al brano una strumentazione misurata ed il gioco è fatto; 9.999.999 Tears è un successo anni settanta di Razzy Bailey, un artista oggi dimenticato, un brano proposto con uno squisito gusto retro, tra country e pop d’altri tempi. La polverosa Leavin’ ha il sapore del Texas nelle note, But I Do è invece una sorta di bluegrass, tra antico e moderno, con tanto di tuba a farsi largo tra violini e banjo.

No Kinda Dancer è un noto brano di Robert Earl Keen, una versione forse meno incisiva di quella del suo autore, ma che fa comunque emergere la bellezza della melodia; Lifeline, mischia bluegrass e rock, un cocktail riuscito, Ordinary Fool è la tipica ballata texana, intensa e profonda. L’album si chiude con il country’n’roll di Born To Roll, la tenue e bucolica Waterfall e con la vibrante Dreamin’, melodica, diretta e vivace, una delle migliori del disco.In definitiva, si può dire che se la coppia Kelly Willis/Bruce Robison funziona alla grande a livello famigliare (quattro figli sono lì a dimostrarlo), non delude neppure discograficamente parlando. Il tempo dirà se Cheater’s Game è solo una collaborazione estemporanea o l’inizio di una vera e propria carriera parallela per i due.

Marco Verdi

Replay! Una Anteprima A Lunga Gittata: 19 Febbraio 2013 Il Nuovo Album Di Robben Ford – Bringing It Back Home

Come promesso ripubblico la recensione, visto che era stata postata quasi due mesi fa, il disco esce martedì prossimo, ed eccola di nuovo, con video, come promesso nel Post scriptum.

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Robben Ford – Bringing It Back Home – Provogue/Mascot  19-02-2013

Un “ritorno alle origini” di Robben Ford? Il titolo lo potrebbe fare supporre, ma in effetti direi che se di ritorno si tratta è quello alle radici del suo suono, dopo gli “esperimenti” più rock nei due CD dei Renegade Creation. Quindi una forte componente di Blues, primo amore, il jazz raffinato immancabile, un pizzico (abbondante) di funky e rock. Quando Robben iniziava la sua carriera nella Charles Ford Blues Band uno dei primi punti di riferimento fu sicuramente il sound della Butterfield Blues Band e il chitarrista di quel gruppo (va bene, uno dei due, l’altro era Elvin Bishop) era un certo Mike Bloomfield, che trasformò un modesto futuro sassofonista in uno dei più grandi stilisti della chitarra elettrica del 20° secolo (non per nulla la compianta rivista Musician lo inserì tra i 100 più grandi del secolo). Robben Ford è passato con assoluta nonchalance dal blues puro che suonava con Musselwhite e Witherspoon alla fusion degli L.A. Express, poi raffinata nell’eccelsa arte di Joni Mitchell, per approdare infine al jazz “elettrico” di Miles Davis.

Tutti gli elementi che hanno da sempre contrassegnato la sua carriera e che ora ritornano in questo Bringing It Back Home, quindi non solo Blues come si può leggere in rete dai “soliti informati” che non hanno ancora sentito il disco e quindi riciclano più o meno le notizie rilasciate dalla casa discografica o qualche dichiarazione parziale dello stesso Ford. Chi vi scrive l’album lo sta ascoltando in questo momento, e posso assicurarvi che non è proprio così, anche se per verificare dovrete aspettare fino al 19 febbraio del 2013 quando uscirà il disco. Siamo un po’ in anticipo. La prima novità saliente è che i musicisti del CD suonano per la prima volta con Robben Ford, anzi quando il disco è stato inciso in una session di tre giorni ai Village Studios di Los Angeles, sotto la supervisione di Ed Cherney (Stones, Bonnie Raitt, Ry Cooder) era addirittura la prima volta che si trovavano tutti insieme; anche se mi sembra, a memoria, che almeno con il batterista Harvey Mason (quello dei mitici Headhunters di Herbie Hancock e poi anche nei Fourplay) abbia già suonato in passato e con la sua presenza aumenta la quota “funky” del disco. Ottimi anche gli altri: Larry Goldings alle tastiere ( da James Taylor a Jim Hall), David Piltch al basso (tra gli altri con Kd Lang e Solomon Burke), oltre a una new entry come strumento nei dischi di Ford, il trombone, affidato a Steve Baxter (che ha suonato con Macy Gray ma anche con Johnny Guitar Watson, tra i tanti). Non proprio una formazione di bluesmen, anche se almeno idealmente, si potrebbe dire, come spesso nei suoi dischi, che è il Blues “according to Robben Ford”!

Quello che è certo è che gli amanti della chitarra avranno di che deliziare i padiglioni auricolari, con quel suo stile unico, che riunisce le influenze di Bloomfield, Jim Hall, Miles Davis, tanto Blues e ancor di più Robben Ford, che questa volta si cimenta in tutto il disco con una sola chitarra,  Epiphone Riviera del 1963 che permette di cogliere il suo suono cristallino e scandito, raramente sopra le righe, forse troppo turgido per quelli che non lo amano, ma è sempre un bel sentire.

Dall’iniziale Everything I Do Gonna Be Funky (il titolo dice tutto) dal repertorio di Allen Toussaint, passando per Bird’s Nest Bound, un brano di Charley Patton conosciuto da Ford nella versione di Bukka White, dove il country blues dell’originale usufruisce della “fordizzazione” del chitarrista, con la solista a duettare con l’organo insinuante di Goldings. Fair Child è un oscuro brano di tale Willie West, un cantante soul/R&B che pure io che sono un cultore del genere, non ricordavo assolutamente, anche questa molto funky con batteria e trombone in evidenza. Oh Virginia è una bellissima soul ballad suonata (che bell’assolo) e cantata in modo incantevole. Anche Slick Capers Blues, se è quella (ho poche informazioni al momento), è un oscuro brano di tale Little Buddy Doyle, un bel blues dal suono old fashioned con trombone e organo di supporto, non dissimile dal suono dell’ultimo Clapton omonimo del 2010.

On That Morning è l’unico brano strumentale del disco, ispirato da Kind Of Blue di Davis, nelle parole di Ford vorrebbe essere un omaggio a quel suono dagli spazi aperti, ma ricorda anche i duetti organo-chitarra di Smith & Montgomery. Traveler’s Waltz non so che origini abbia ma sembra una di quelle ballate raffinate alla James Taylor, godibilissima. Most Likely You Go Your Way(And I’ll Go Mine) invece la conosciamo tutti, è proprio il brano di Bob Dylan, che potrebbe uscire dalla vecchia Supersession di Bloomfield e Kooper (senza Stills) e Trick Bag sarà mica quella dei Meters (che però era di Earl King)? Mi sa di sì, con il contrabbasso di Piltch e la batteria di Mason a scandire il ritmo e la solista di Ford a ricamare assoli come lui sa fare. Per finire Fool’s Paradise che è un vecchio classico che faceva anche Sam Cooke, un bel Blues sapido che conclude in gloria uno dei migliori dischi della discografia del grande musicista californiano, poco pirotecnico ma molto solido per l’occasione.

Bruno Conti

P.s Ogni tanto mi “scappano” queste anteprime, ma eventualmente in avvicinamento all’uscita dell’album pubblicherò di nuovo questo Post, magari con qualche video aggiunto, visto che per ora del nuovo CD non c’è ancora nulla.

Era Ora! Finalmente In CD. Tom Jans – Loving Arms The Best Of 1971-1982

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Tom Jans – Loving Arms: Best Of 1971-1982 –Raven Records ****

Tom Jans, in un certo senso, è il prototipo perfetto del “Beautiful Loser”: bello ,e magari non dannato, ma sicuramente perdente. La sua storia è lì a testimoniarlo, addirittura nella biografia su Wikipedia non è certa neppure la data di nascita (e non è che sia nato nella notte dei tempi), 9 febbraio 1948-barra 1949 riporta l’enciclopedia della rete, ma le altre biografie e il suo sito, tuttora attivo e molto interessante http://www.tomjans.com/, dicono ‘48 mentre, purtroppo, è certa la data della morte, 25 marzo 1984. Ma in mezzo sono successe molte cose, il problema è che non le conosce quasi nessuno; nativo di Yakima, nello stato di Washington, figlio di un agricoltore amante di Hank Williams e con una mamma spagnola appassionata di flamenco, la musica ha sempre girato nella sua casa, soprattutto dopo il trasferimento a San Jose in California. Saltando un po’ di passaggi, arriviamo al 1970, quando tramite gli auspici di Jeffrey Shurtley, collaboratore di Joan Baez, viene presentato alla sorella della Baez, Mimi Farina (altra cantante di talento ma sfortunatissima, vedova del grande Richard Farina, con cui registrò dei dischi epocali di folk per la Vanguard): i due appaiono lo stesso anno al Big Sur Folk Festival (non l’annata del film) e, l’anno successivo, dopo avere girato in tour come supporto di James Taylor e Cat Stevens, vengono messi sotto contratto dalla A&M, che pubblica il loro primo (e unico) album, Take Heart.

Se leggete i giudizi dei fans, a seconda dei punti di vista, quello scarso nel duo era Tom Jans o Mimi Farina, ma tutti concordano nel dire che, insieme, erano una valida coppia, sia per le armonie vocali che per la tecnica alle chitarre acustiche, che, con qualche spruzzata di pedal steel (Sneaky Pete) e l’apporto discreto di Leland Sklar, Russ Kunkel e Craig Doerge, costituivano il cuore del sound di questo disco, dove la presenza di Jans come autore è limitata a tre brani, firmati insieme alla Farina. Nell’antologia della Raven che stiamo trattando Loving Arms:Best Of 1971-1982, da quel disco provengono due dei brani migliori, Carolina, un bell’esempio di West Coast acustica alla James Taylor e Letter To Jesus, un country-folk con pedal steel, cantato all’unisono. Successo zero, e  i due si dividono, ma nel frattempo interviene quella che i più fini definirebbero “un colpo di fortuna”, ma più volgarmente fu una “botta di culo”, uno dei nuovi brani scritti da Jans, Loving Arms, diventa un successo per Dobie Gray, e secondo quello che diceva lo stesso Tom, tramite un incontro fortuito in treno con Elvis Presley, ma probabilmente è una delle tante leggende apocrife della musica rock, diventa una degli ultimi grandi successi di Elvis (la versione video che trovate nel Post è quella di Presley, perché la versione originale non è stata caricata, c’è di chiunque ma non quella di Jans, che è bellissima) e, negli anni, l’unica canzone conosciuta di Tom Jans, brano che verrà cantato, tra gli altri, da Kris Kristofferson, Dixie Chicks e Irma Thomas nelle versioni da ricordare. L’album omonimo del 1974, registrato a Nashville con la crema dei turnisti dell’epoca (Troy Seals, Reggie Young, David Briggs, Mike Leech, Weldon Myrick, Kenny Malone più Lonnie Mack) contiene questa meravigliosa ballata, un brano malinconico che rivaleggia con le canzoni più belle di Tom Waits, Jackson Browne e Eagles di quegli anni, stupenda ancora oggi.

Sempre da Tom Jans del 1974, sull’antologia Raven appaiono anche Old Time Feeling, Margarita e Free And easy, altre piccole meraviglie di country all’altezza del meglio di Townes Van Zandt, Guy Clark, Jerry Jeff Walker e Guthrie Thomas (altro grandissimo servito male dall’industria discografica). A titolo informativo, la Real Gone Music annuncia per aprile la ristampa dei primi due dischi. Dopo l’insuccesso anche di questo disco, se ne torna in California dove conosce un altro musicista tormentato dal talento immenso, Lowell George, che sarà il produttore esecutivo dell’album, The Eyes Of An Only Child, etichetta Columbia (ho verificato sul vinile, uno dei pochi che ancora posseggo, come tutti quelli di Jans), anno 1975, disco stupendo, con George che si porta dietro alcuni Little Feat, oltre a Fred Tackett, David Lindley, Jesse Ed Davis, Jerry McGee (e ricordiamo solo i chitarristi), anche i batteristi? Jeff Porcaro, Jim Keltner, Harvey Mason, oltre alle armonie vocali di Valerie Carter ed Herb Pedersen. Il disco, naturalmente, è una meraviglia, percorso dalla slide di Lowell George e con una serie di canzoni, più rock, ma che possono ricordare anche il miglior Jackson Browne: Gotta Move, Once Before I Die, Struggle In Darkness, Out Of Hand e The Eyes Of An Only Child sono quelle presenti nell’antologia Raven, da sentire per credere.

La Columbia gli concede ancora una chance, un disco “scuro” e pessimista sin dal titolo, Dark Blonde, che molti considerano il suo capolavoro (chi scrive ha una leggera preferenza per il precedente, ma averne di dischi così), Lowell George non c’è più, ma nel disco ci sono ancora Bill Payne, Fred Tackett, Jerry Swallow e una serie di ottimi musicisti californiani, difficile fare meglio di brani come di Distant Cannon Fire o Back On My Feet Again, ma anche Inside Of You e Why Don’t You Love Me, sempre presenti nel CD, non sono da meno. I due album sono apparsi brevemente in CD, solo sul mercato giapponese, e proprio in Giappone, dopo 5 anni di silenzio, viene pubblicato l’ultimo album, quasi sconosciuto (più degli altri) di Tom Jans. Siamo nel 1982, il disco si chiama Champion, è prodotto da Don Grusin, ancora una volta con un parterre de roi di musicisti, oltre ai soliti Payne, Tackett, Porcaro, Carter, Sklar ci sono anche Lee Ritenour, Steve Lukather, Bob Glaub, Paul Barrere, Ernie Watts: il sound è un po’ più leccato, commerciale, figlio di quegli anni, tra Toto e sound 80’s, ma ci sono delle eccezioni come l’eccellente ballata pianistica Mother’s Eyes e Working Hot che ha qualcosa degli Steely Dan più riflessivi o l’acustica e malinconica Lost In Your Eyes che si ricollega agli album precedenti.

Solo When The Rebel Comes Home, presente nel CD ha quel sound più modaiolo e commerciale che peraltro non gli ha fatto vendere di più, visto che di questo album, per molti anni, si è addirittura ignorata l’esistenza. Verso la fine del 1983 Jans è coinvolto in un serio incidente motociclistico e, in via di guarigione, il 25 marzo del 1984, a seguito di una overdose lo sfortunato Tom ci lascia. Direi che la sua parabola è stata esattamente inversa al suo talento, che era grandissimo, ma le strade del rock sono lastricate di queste storie. Almeno questo CD, che peraltro esce solo nella lontana Australia, colma una lacuna imbarazzante: non so se molti se ne sono accorti o ci hanno fatto caso, ma su Bone Machine, Tom Waits, gli ha dedicato una canzone Whistle Down The Wind (For Tom Jans), un tributo alla sua grandezza. Un piccolo capolavoro e un CD da avere, consigliato a tutti gli amanti della buona musica, veramente imperdibile!

Bruno Conti

Il Miglior “Discepolo” Di Dylan? Dan Bern – Drifter

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Dan Bern With Common Rotation – Drifter – Continental Song City 2012/2013

Fra i tanti potenziali “cloni” di Bob Dylan, Dan Bern sin dall’esordio con l’introvabile EP Dog Boy Van (96) e il successivo omonimo Dan Bern (97) distribuito dalla Sony, mi è sempre sembrato il più autorevole. Infatti il buon Dan, quando prende per la prima volta la strada di uno studio di registrazione, dopo tanti anni a suonare la chitarra nei Club, ha Dylan nell’anima e il numero di telefono di uno dei produttori di Springsteen in tasca (Chuck Plotkin), e se la matematica non è un opinione, il folgorante esordio sopra citato viene missato in casa del Boss nel New Jersey,e vede come collaboratori Toby Scott (ingegnere del suono in Born In The USA), Gary Mallaber (batteria in Lucky Town) e Jennifer Condos (basso in The Ghost Of Tom Joad).

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Nell’altalenante carriera di questo folksinger dello Iowa, sempre indeciso tra il cono d’ombra di Dylan e la voglia di rock’n’roll (su tutti lo splendido New American Language (2001), un musicista che regala nostalgie del tempo passato e allo stesso tempo ci sta benissimo negli anni attuali. Dopo sei lunghi anni da Breathe (2006) torna con questo Drifter sostenuto alla grande dalla sua backingband, i Common Rotation, composta da Adam Bush alla batteria, sax e armonica, Jordan Katz al banjo e tromba, Eric Kufs alle chitarre e dobro, oltre ad un pregevole ventaglio di ospiti tra i quali  spicca Emmylou Harris, per un suono “classico” che spazia tra folk, rock, roots e country.

Drifter  già dal primo impatto, mostra di avere le carte giuste, si parte bene con Luke The Drifter voce acidula (alla Tom Petty) molto dylaniana, lunga ed insinuante, mentre The Golden Voice Of Vin Scully  chitarre, dobro e tromba, mi ricorda vagamente un brano dei Bodeans. Un’armonica lancinante introduce Party By Myself,  ballata cupa e intensa, cui fanno seguito il country di Holy House e l’acustica Rainin In Madrid chitarra e voce, ingentilita dall’uso di una fisarmonica. La breve I’m Not From Around Here, fa da preludio ad una elettrica Carried Away  (che inizia come un brano alla Sticky Fingers dell’epopea Stones), seguita da una ballata, Don’t Get Mad Get Even, dove ritorna la tromba di Jordan Katz, tenue e delicata. Sale alla ribalta la grande Emmylou Harris in Swing Set eseguita in duetto con Dan, canzone magnifica, di una dolcezza infinita, seguita da una energica Capetown dal ritmo roots, una perfetta western-country song, mentre con Haarlem c’è sempre il grande Bob nella struttura del brano, spoglio ed introspettivo. Si cambia ancora ritmo con una Mexican Vacation, dall’arrangiamento allegro, dove gli strumenti girano a mille, mentre Home si avvale del buon apporto di Mike Viola al piano e controcanto, per chiudere con Love Makes All The Other Worlds Go Round (un titolo più corto, non si poteva fare?) e These Living Dreams, che hanno il connubio forse più convincente fra musica e parole.

Quindici canzoni, più di cinquanta minuti di musica sana e senza fronzoli, Dan Bern è un grande folksinger, innegabilmente “dylaniano” sfacciatamente “dylaniano” (ma non deve essere una colpa), che si muove tra poesia e canzoni, che sapranno inchiodarvi all’ascolto come poche altre. Drifter (per chi ancora non lo conosce) può essere senz’altro il primo passo per avvicinarsi ad un cantautore onesto e sincero, e lo può risollevare ai livelli che gli competono: bel disco e titolo che dovrebbe suggerire più di una riflessione.

NDT: E’ in circolazione (ma dalle nostre parti non si è ancora visto) un altro lavoro con i Common Rotation, Doubleheader,  un sentito omaggio al mondo del baseball, di cui Dan è un accanito fan.  Se lo trovo, vi terrò informati. Alla prossima!

Tino Montanari

*NDB E se è per questo ne esiste un terzo, Wilderness Song, anche questo disponibile solo sul suo sito come Doubleheader, ma che provvederò a recapitare al buon Tino per recensione integrativa alla presente. In questo caso mi appaleso nella terza B, non come Blogger o Bruno, ma come Boss!

Provaci Ancora Eric, Una Anteprima? Eric Johnson – Up Close Another Look

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Eric Johnson – Up Close Another Look – Mascot/Provogue/Edel 02-04-2013

Eric Johnson è un fantastico chitarrista texano che, nella sua carriera che dura ormai da una trentina di anni (almeno a livello discografico), ha realizzato solo una manciata di album di studio, sei per la precisione, compreso questo Up Close, oltre ad un disco, Seven Worlds, registrato nel 1978 ma pubblicato solo 20 anni dopo, uno dal vivo della serie Live From Austin, Texas nel 2005 (ma registrato nell’88), oltre alla sua partecipazione come un terzo della “società” in una delle varie incarnazioni dei G3, insieme ai Joe Satriani e Stevie Vai. E per lui, come per molti altri, il migliore rimane ancora il primo ufficiale, Tones, uscito nel lontano 1986 per la Reprise, eccellente disco prevalentemente strumentale che ebbe un grosso successo sia di critica che di pubblico in quell’anno, disco che si inseriva in quel filone tra prog, rock, southern e blues dove operavano gruppi come i Dixie Dregs di Steve Morse, tanto per fare un nome, o il materiale meno bluesy di Robben Ford, virtuosi della chitarra elettrica per intenderci, e anticipatore del successo che avrebbero ottenuto i suoi futuri pard Joe Satriani e Steve Vai (già in pista ma noto soprattutto per le collaborazioni con Frank Zappa).

Senza farla troppo lunga ma dandogli i giusti meriti, Eric Johnson, ha avvicinato quei livelli qualitativi solo con il successivo Ah Via Musicom del 1990, poi creandosi una nicchia di appassionati, un seguito di culto, che ha continuato a comprare i suoi dischi ma con minore entusiasmo anche negli anni successivi, fino ad arrivare al 2010, l’anno di questo Up Close, uscito ai tempi solo sul mercato americano per la Vortexan/EMI, ma non distribuito in Europa, e che è di gran lunga il suo disco migliore dopo Tones, ma cosa ti va a pensare quel “diavolo” di un Johnson, facciamone una versione aggiornata per il mercato europeo, quell’Another Look, come avranno notato i più attenti: come dice lo stesso Eric Johnson, si è limitato ad aggiungere alcune parti di chitarra ritmica e a remixare il tutto, e la differenza è molto sottile, praticamente non si percepiscono i nuovi interventi, ma il disco suona meglio all’ascolto e se lo dice lui chi siamo noi per negarlo? Quindi prendiamo nota senza peraltro poter fare a meno di notare che questa nuova edizione ha due brani in meno di quella del 2010, strano ma vero, si toglie invece di aggiungere, anche se per onestà si tratta di due brevi intermezzi di poco più di un minuto ciascuno.

Ma quello iniziale, un intramuscolo orientaleggiante di 1:05, Awaken, è rimasto. Fatdaddy è il primo brano strumentale dove, a velocità vorticose, la chitarra solista di Johnson interagisce con una ottima sezione ritmica con vari batteristi che si alternano, Kevin Hall, Barry Smith e Tommy Taylor e il grande Roscoe Beck al basso, con lui da inizio carriera. Brilliant Room è il primo brano cantato, con ospite come vocalist il bravo Malford Milligan, altro texano che era negli Storyville (ve li ricordate?) il gruppo di David Holt e David Grissom con la sezione ritmica dei Double Trouble, un gruppo che ha non tenuto fede alle promesse, ma aveva molte potenzialità, il brano è un veloce rock, anche commerciale, ma con una verve ed un lavoro di suoni e chitarre che molta produzione attuale non ha (dipenderà dal fatto che il co-produttore è tale Richard Mullen ma l’ingegnere è Andy Johns, della premiata famiglia?), un sound fantastico. E sentite come suonano il Blues, in una cover eccellente di Texas (tema che ritorna), il vecchio brano firmato Mike Bloomfield/Buddy Miles che si trovava sul disco degli Electric Flag, per l’occasione a duettare con Johnson troviamo un pimpantissimo Steve Miller alla voce e Jimmie Vaughan alla seconda solista, cazzarola come suonano! Gem è uno di quei brani strumentali stile Prog-rock dove il nostro Eric esplora a fondo la sua tavolozza di colori e suoni per la gioia dei fanatici della chitarra.

Tra i titoli non manca Austin, altro ottimo duetto a tempo di rock con un Johnny Lang in gran vena e la chitarra di Johnson che crea traiettorie quasi impossibili senza scadere nelle esagerazioni di altri suoi colleghi virtuosi. La lunga Soul Surprise è un altro lento con i vocalismi senza parole del titolare e atmosfere sempre molto ricercate. On The Way è un ulteriore strumentale, molto Twangy & Country in questo caso, stile di cui è maestro Albert Lee. Senza citarle tutte, ma non ci sono cadute di gusto, vorrei ricordare il tributo in apertura (una piccola citazione di Little Wing) all’Hendrix più sognante, nella ricercata A Change Has Come To Me e il duetto molto melodico con la slide di Sonny Landreth in Your Book. Una delizia per gli amanti della chitarra elettrica, come tutto il disco peraltro.

Bruno Conti

Ex Bambini Prodigio Crescono! Eric Steckel – Dismantle The Sun

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Eric Steckel – Dismantle The Sun – Eric Steckel Music

La storia dei “bambini prodigio” nella musica pop prima e rock dopo è lunga e accidentata: da quella tragica di Frankie Lymon nella top ten americana a 13 anni con Why Do Fools Fall In Love nel 1956 e morto per una overdose di eroina nel 1968 a soli 25 anni, passando per Stevie Wonder e Steve Winwood già stelle del soul e del pop ad inizio anni ’60 e tuttora in pista ai giorni nostri, per non parlare di alcuni fenomeni della chitarra come Neal Schon a 15 anni nella band di Santana o Shuggie Otis che sempre a 15 anni partecipava alla Kooper Session e pubblicava il suo primo disco da solista, ma anche i Free che all’epoca del primo album nel ’68 erano tutti dei teenagers con un bassista Andy Fraser, 15 anni ma già prodigioso tecnicamente.

Parlando di chitarristi, in epoca più recente, è noto che Bonamassa apriva per i concerti di BB King a 12 anni, Jonny Lang pubblicava il suo primo disco a 14 anni, (Monster) Mike Welch fu così soprannominato da Dan Aykroyd perché era un fenomeno sin da giovanissimo, e potremmo andare avanti per anni. Ma Eric Steckel credo sia insuperabile (nell’ambito chitarristi di una certa fama): il suo primo disco A Few Degrees Warmer, venne registrato dal vivo e pubblicato nel 2002 quando di anni ne aveva 11, a 13 era già sul palco con i Bluesbreakers di John Mayall e pubblicava il suo secondo album High Action (recensito sul Buscadero da chi vi scrive), CD che presentava un bluesman già fatto e finito a livello tecnico, anche se ancora con una voce da adolescente che strideva con il repertorio adulto che presentava, ma la stoffa c’era già.

Noto con piacere che Eric, negli anni, non si è perso per strada come altri fenomeni e ha continuato a pubblicare dischi abbastanza regolarmente, per approdare a questo Dismantle The Sun, il suo quinto album, oltre a quel live giovanile e ad un EP solo per il download del 2009. Ora che a 23 anni non ancora compiuti è un “giovane vecchio” della scena blues-rock, ha anche sviluppato una voce da consumato performer, fresca ma vibrante di passione, ha aggiunto anche piano e organo tra i suoi strumenti di supporto e realizza con questo disco la sua prova migliore: il suono, che nei primi anni, era molto perfettino e deferente soprattutto verso i grandi “King” del Blues, si è fatto più grintoso e tirato, con molto rock ad integrare il blues presente nel suo DNA.

L’uso delle tastiere aggiunge una piacevole patina quasi southern al suono, che rimane elettrico come in passato, con la chitarra che viaggia che è un piacere anche nei brani più lenti, come nella lunga ed elegiaca Empty Promises, un piccolo capolavoro di equilibri sonori con il fantastico assolo di wah-wah nella parte centrale e finale, esuberante ma mai sopra le righe, com’è la tendenza di molti chitarristi tecnocrati in circolazione al giorno d’oggi, in questo caso tecnica ma anche cuore, oltre al grande controllo dello strumento. Non ci sono altri brani di questo livello ma il disco si mantiene comunque su livelli elevati, dal rock-blues poderoso e sudista dell’iniziale Mississippi River alle trame tirate di Day Drinkin’ e Love Me Or Leave Me, ma non mancano anche brani più raccolti come la dolce Last Night dove la chitarra acustica e l’organo di Steckel si destreggiano con abilità, e lui canta veramente bene, prima di estrarre dal cilindro un assolo all’elettrica che ci lascia stupiti per il grande controllo sulla sua chitarra maturato in questi anni, tante note ma non una di troppo. Outlaw ci mostra di nuovo il suo lato più duro e tirato, con più di un punto in comune con il miglior Bonamassa rocker e poi di nuovo una bella ballata come Highway Bound, con piano ed organo che ci guidano verso i sentieri del miglior rock americano fino al consueto (ma sempre gradito) assolo liberatorio della solista nella parte finale.

Non manca anche un po’ di hard rock 70’s style in Found Out The Hard Way e del blues più canonico in Sugar Sweet, dove appaiono anche l’armonica di Steve Guyger e il piano di Robert Sands, gli unici ospiti del disco, che per il resto si avvale “solo” della sua ottima band, Rick Prince al basso e Andrew Haley alla batteria. In conclusione From Your Blues To Mine un altro dei pezzi forti dell’album, altro brano dalla classica struttura rock, piano e organo apripista, voce ispirata e grande assolo nella parte finale, una formula semplice ma eseguita sempre molto bene e che conferma la validità di questo Dismantle The Sun, assolutamente consigliato agli amanti del buon rock e dei virtuosi della chitarra elettrica, me lo ero perso un po’ per strada, da (ri)aggiungere alla lista di quelli bravi, si fatica un po’ a trovarlo ma ne vale assolutamente la pena!

Bruno Conti