Ma Allora Ditelo! Un’Altra Occasione Per Farsi Del Male (Finanziariamente)! Van Morrison – Moondance Deluxe Edition 30 Settembre 2013

Van-Morrison-Moondance-Deluxe-product-shot.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Van Morrison – Moondance Deluxe 4CD+Blu-Ray Audio – Expanded Edition 2 CD Warner Bros 30-09-2013

MOONDANCE: DELUXE EDITION

Disc One – Original Album Remastered

1. “And It Stoned Me”
2. “Moondance”
3. “Crazy Love”
4.  “Caravan”
5.  “Into The Mystic”
6.  “Come Running”
7.  “These Dreams Of You”
8.   “Brand New Day”
9.   “Everyone”
10. “Glad Tidings”

Disc Two – All Previously Unreleased

1.       “What do we call this Van?”
2.       “Caravan” (Take 1)
3.       “Caravan” (Takes 2-3)
4.       “Caravan” (Take 4)
5.       “Caravan” (Takes 5-6)
6.       “Caravan” (Take 7)
7.       “Caravan” (Take 8)
8.       “I’ve Been Working” (Early Version Take 1)
9.       “I’ve Been Working” (Early Version Take 2)
10.   “I’ve Been Working” (Early Version Take 5)
11.   “Nobody Knows You When You’re Down And Out” (Outtake)
12.   “I Shall Sing” (Take 1)
13.   “I Shall Sing” (Takes 2-3)
14.   “I Shall Sing” (Takes 4-6)
15.   “I Shall Sing” (Take 7)
16.   “I Shall Sing” (Takes 8-12)
17.   “I Shall Sing” (Take 13)

Disc Three – All Previously Unreleased

1.       “Into The Mystic” (Take 10)
2.       “Into The Mystic” (Take 11)
3.       “Into The Mystic” (Takes 12-13)
4.       “Into The Mystic” (Takes 14-16)
5.       “Into The Mystic” (Take 17)
6.       “Brand New Day” (Take 1)
7.       “Brand New Day” (Take 2)
8.       “Brand New Day” (Take 3)
9.       “Brand New Day” (Take 4)
10.   “Brand New Day” (Takes 5-6)
11.   “Brand New Day” (Take 7)
12.   “Glad Tidings (Take 1)
13.   “Glad Tidings (Takes 2-4)
14.   “Glad Tidings (Takes 7-8)
15.   “Glad Tidings (Take 9)
16.   “Caravan Redo” (Takes 1-2)
17.   “Caravan Redo” (Take 3)

Disc Four – All Previously Unreleased

1.       “Come Running” (Take 1)
2.       “Come Running” (Take 2)
3.       “Come Running” (Takes 3-4)
4.       “Come Running” (Take 5)
5.       “Come Running” (“Rolling On 4”)
6.       “Moondance” (Take 21)
7.       “Moondance” (Take 22)
8.       “Glad Tidings” (Alt. Version)
9.    “These Dreams Of You” (Alt Version)
10.   “Crazy Love” (Remix)
11.   “Glad Tidings” (Remix 1)
12.   “Glad Tidings” (Remix 2)
13.   “Glad Tidings” (Remix 3)
14.   “Caravan” (Remix)
15.   “These Dreams Of You” (Remix)
16.   “I Shall Sing” (Mix)

Disc Five – Blu-Ray Audio disc with high-resolution 48K 24 bit PCM stereo and DTS-HD Master Audio 5.1 surround sound audio of original album (no video)

MOONDANCE: EXPANDED EDITION

Disc One – Original Album Remastered

Disc Two – All Previously Unreleased

1.   “Caravan” (Take 4)
2.   “Nobody Knows You When You’re Down And Out” (Outtake)
3.   “Into The Mystic” (Take 11)
4.   “Brand New Day” (Take 3)
5.   “Glad Tidings” (Alt. Version)
6.   “Come Running”(Take 2)
7.   “Crazy Love” (Mono Mix)
8.   “These Dreams Of You” (Alt. Version)
9.   “Moondance” (Take 22)
10.   “I Shall Sing” (Take 7)
11.   “I’ve Been Working” (Early Version, Take 5)

Sto già piangendo, sia perchè è uno dei miei album preferiti in assoluto (con una facciata pressoché perfetta, parlando di vecchi vinili), sia perché scucire 70/80 euro o più per una valanga di versioni degli stessi 10 pezzi un po’ mi secca. Deciderò al momento, ma non essendo un feticista dell’articolo in sé o delle registrazioni surround, penso che mi accontenterò della versione doppia, che comprende sia i due “inediti” veri, I Shall Sing e Nobody Knows You When You’re Down And Out, che contiene le takes più significative estratte dalla Super Deluxe e mi farò prestare da amici facoltosi la suddetta per godere del resto.

Ci si fa del male finanziariamente, ma del bene a livello musicale, quindi sempre bene accette queste gradite sorprese.

Essendo Van Morrison, Van Morrison, questo è stato il suo commento:

A MESSAGE FROM VAN MORRISON.

Yesterday Warner Brothers stated that “Van Morrison was reissuing Moondance”. It’ is important that people realise that this is factually incorrect. I did not endorse this, it is unauthorised and it has happened behind my back

My management company at that time gave this music away 42 years ago and now I feel as though it”s being stolen from me again

18th July 2013

Che caratterino!

Alla prossima.

Bruno Conti

P.S.

Appena ho la lista completa dei brani contenuti in John Martyn The Island Years, altri 17 CD + 1 DVD di delizie sonore, sarà mia cura tenervi informati.

Dagli Archivi Della Memoria. Widespread Panic – Oak Mountain 2001 Night 1

widespread panic oak mountain.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Widespread Panic – Oak Mountain 2001 Night 1 – Widespread Records

All’incirca all’inizio degli anni ’90 (secolo scorso), scrivevo una serie di recensioni per il Busca concernenti un gruppo di band che poi negli anni a venire avremmo definito “Jam bands”, i primi dischi di gente come i Gov’t Mule, i Blues Traveler, i Widespread Panic, Col. Bruce Hampton ed altri che ora non ricordo, quando ancora non se li filava nessuno, c’erano anche i Phish e la Dave Matthews Band, che da lì a poco sarebbe stata la prima ad avere un successo commerciale clamoroso (e forse rimane l’unica a non essere di nicchia). Nicchia di dimensioni consistenti, perché già agli inizi questi gruppi muovevano nell’ambito di un movimento che si chiamava H.O.R.D.E e che se a noi italiani richiamava orde di fans, in effetti stava per “Horizons Of Rock Developing Everywhere” e riprendeva lo stile di band leggendarie come i Grateful Dead (ancora vivi e vegeti, fino alla morte di Jerry Garcia nel 1995) e gli Allman Brothers, rivitalizzati dall’ingresso in formazione di Warren Haynes, che avrebbe fondato la sua creatura, i Gov’t Mule, nel 1994.

Gruppi di “scalmanati” impegnati in dischi e concerti dove l’improvvisazione, la jam session, era uno dei requisiti essenziali. E devo dire che ancora oggi il sottoscritto preferisce un gruppo di “pirla” che si agita per dei quarti d’ora sui propri strumenti, e al limite alla fine rilancia ulteriormente, ad altri gruppetti di dementi, con cappellino e cavallo dei pantaloni all’altezza delle ginocchia, che “declamano” versi improbabili su ritmi improponibili o, nei migliori dei casi, scopiazzati, ma è un parere personale, penso condiviso dalla cosiddetta “confraternita” dei rockers che legge queste pagine. Bisogna altresì dire che anche in questo ambito ci sono delle esagerazioni: prendiamo questo triplo Oak Mountain 2001Night 1 (che come dice il titolo avrà un seguito nella Notte 2) dei Widespread Panic, quando, dopo i dieci minuti di una bella e assai dilatata versione di The Harder They Come di Jimmy Cliff, autore stimato dal gruppo, come dimostra la presenza di Many Rivers To Cross nell’ottimo Live Wood dello scorso anno, parte una Drums di oltre 25 minuti che francamente pare un tantinello eccessiva, forse, pure il fans più accanito rischia l’abbiocco!

Ma è un dettaglio, perché dischi come questo sono destinati ovviamente agli appassionati del genere e anche il giudizio critico assai favorevole è indirizzato soprattutto a chi ama questa musica e quindi la segue con passione. Difficile che band come i Widespread Panic pubblichino dei dischi, ancor più se tratti da concerti, brutti, al limite occorre, come nei buoni vini, guardare l’annata, e nel caso di questo Oak Mountain parliamo del 2001, quando il chitarrista originale della band Michael Houser era ancora nella formazione (non che il suo sostituto Jimmy Herring sia da meno) e lo stile della band, un misto del classico southern rock imparato nella natia Athens, Georgia e quello delle jam bands più classiche, era in pieno fulgore. Formazione classica sudista: due chitarre soliste, tastiere, basso, batteria ed un percussionista aggiunto, con John Bell, uno dei due chitarristi, anche voce solista dallo stile pigro e disincantato, caratteristico e unico, capace però anche di improvvise accelerazioni bluesate.

I brani si incastrano uno nell’altro quasi senza soluzione di continuità: l’iniziale Conrad, con le percussioni impazzite di Domingo Ortiz impegnate a stimolare l’ottima sezione ritmica di Dave Schools, bassista extraordinaire e Todd Nance, batterista solido e variegato, tutti e tre impegnati a costruire uno sfondo perfetto per le evoluzioni delle soliste di Houser e Bell e per le tastiere dell’ottimo “Jojo” Hermann, sorta di omologo del grande Chuck Leavell negli Allman, con continui cambi di ritmo, accelerazioni e rallentamenti tipiche del genere, il brano si tramuta magicamente nella breve One Arm Steve, cantata da Houser e si dilata di nuovo nella lunga Barstool And Dreamers, introdotta dal basso slappato di Schools e dalla slide di Houser per lasciare spazio ad una lunga improvvisazione pianistica di Hermann. Saltando di palo in frasca tra i vari brani del triplo, come non ricordare una This part of town, più quieta e malinconica o le evoluzione à la Traffic della lunga Greta, la divertente Christmas Katie o il frenetico R&R di Let It Rock di Edward Anderson (Charles Edward Anderson Berry, per gli amici Chuck), o la Santaneggiante Radio Child.  

E siamo solo al primo disco. Disco è uno dei loro classici instrumental, Blight, inserita all’interno della lunghissima e bellissima Driving Song, è una delle prime collaborazioni con lo sfortunato Vic Chessnut, Last Dance è un inconsueto ma riuscito “incontro” con il Neil Young di Times Fade Away. Nel terzo CD cover riuscitissime di Fixin’ To Die, Bukka White via Bruce Hampton, i War di Low Rider e JJ Cale di Ride me high, per concludere con una strepitosa Dream Song E’ stato un piacere parlare ancora una volta dei Widespread Panic, ogni tanto ci si incontra di nuovo. Lunga vita ai loro archivi!

Bruno Conti  

P.s Esisteva un DVD, più o meno con lo stesso titolo, pubblicato nel lontano 2001 dalla Sanctuary (etichetta non più in attività) e relativo ad un concerto del 2000, ma il repertorio è completamente diverso.

P.s II. La qualità sonora è ottima, nettamente superiore a quella dei filmati inseriti nel Post! 

Due “Signorine” Da Sposare…Musicalmente! Kim Richey – Thorn In My Heart/Amy Speace – How To Sleep In A Stormy Boat

kim richey thorn in my heart.jpgamy speace how to sleep.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kim Richey – Thorn In My Heart – Yep Roc Records 2013

Amy Speace – How To Sleep In A Stormy Boat – Windbone records 2013

Oggi vi parlo di queste due cantautrici, stranamente accomunate dal fatto che sono particolarmente stimate dalla grande Judy Collins (Amy Speace ha pubblicato anche lei dei CD per la Wildflower di proprietà di Judy).

Partiamo dalla più “stagionata”: Kim Richey (è del ’56), originaria dell’Ohio, dopo una vita vagabonda, è approdata a Nashville in cerca di fortuna, costruendosi un bagaglio di esperienze ed emozioni, valorizzate attraverso la sua voce. All’esordio con l’album omonimo Kim Richey (95)ha fatto seguire dischi dove il suono diventa più pop e ricercato come Bitter Sweet (97) e Glimmer (99), per poi approdare alla Lost Highway con Rise (2002, album) con alcune interessanti partecipazioni come l’ex Green On Red Chuck Prophet e Pete Droge (uno dei tanti talenti mancati) e l’immancabile Collection (2004). Dopo una lunga pausa, nuovo cambio di casacca (Vanguard Records) e ritorno in studio per pubblicare Chinese Boxes (2007) e Wreck Your Wheels (2010) con sonorità che ricordano Lucinda Williams (anche nel timbro vocale e nella sofferta interpretazione dei brani).

In questo Thorn In My Heart, prodotto dal pluridecorato Neilson Hubbard, Kim si accompagna con validi musicisti del valore di Carl Broemel dei My Morning Jacket  alla pedal steel, Pat Sansone dei Wilco alle armonie vocali, Will Kimbrough alla chitarra acustica e Kris Donegan alle chitarre elettriche, e  avendo come ospiti nei duetti “personcine” come Jason Isbell e la rediviva Trisha Yearwood. Il disco mischia folk, rock e country in modo disteso e piacevole, a partire dall’iniziale Thorn In My Heart, proseguendo con le splendide ballate London Town (con il corno francese di Dan Mitchell) e Angel’s Share accompagnata nel ritornello da un violino delizioso, passando per il duetto con Isbell e le armonie vocali di Trisha Yearwood nel pregevole country Break Away Speed, e ancora il valzer sognante  di Love Is, con un pianoforte scintillante, per finire con la sofisticata I’m Going Down, la folk song Take Me To The Other Side e la chiusura cupa e rallentata, ma affascinante, di Everything’s Gonna Be Good .

La seconda, Amy Speace, è di Baltimora, ha una storia musicale più breve rispetto alla Richey e il suo stile è un insieme di generi musicali diversi. Amy infatti fonde rock, blues, country e folk, si scrive le sue canzoni, e con la sua voce bella e tersa si è fatta conoscere fino ad essere scelta dalla Collins. Non è una “novellina”, il suo disco d’esordio (ma già prima, nel 1998, faceva parte di un duo folk Edith O con Erin Ash, che ha pubblicato un album, Tattoed Queen), Fable (2002) è stato realizzato con il finanziamento e le donazioni dei fans (ormai è una consuetudine dilagante), e dopo una vita “on the road” con la sua fidata band Tearjerkers, incide Songs For Bright Street (2006), anche lei incide per la Wildflower della Collins e The Killer In Me (2009), prodotto da James Mastro e Mitch Easter che la porta ad avere una certa visibilità nell’ambito del settore musicale e che verrà ripubblicato nel 2014 dalla sua etichetta, la Windbone.

Come il CD della Richey, anche questo How To Sleep In A Stormy Boat (finanziato nuovamente da fans e “amici”)  è prodotto dal “prezzemolino” Neilson Hubbard (piano e chitarre nonché collaboratore di Matthew Ryan e Garrison Starr), ritroviamo Kris Donegan alle chitarre, Michael Rinne al basso, Evan Hutchings alla batteria, Dan Mitchell tromba e tastiere, Jill Andrews alle armonie vocali, e le collaborazioni di ospiti di riguardo come Mary Gauthier e John Fullbright, per un lavoro molto particolare che la Speace costruisce ispirandosi alle opere di William Shakespeare. E l’iniziale The Fortunate Ones in duetto con la grande Mary Gauthier è subito da brividi, con degli splendidi violini in sottofondo, violini che accompagnano anche How To Sleep In A Stormy Boat. La voce baritonale di John Fullbright introduce The Sea & The Shore cantata in duetto con Amy, a cui fanno seguito l’intro a cappella di Bring Me Back My Heart, l’elettroacustica Hunter Moon, passando per le melodie sognanti di Left Me Hanging e Perfume, per concludere con le dolci confessioni acustiche di Feather & Wishbones e la ballata pianistica Hesitate cantata al meglio, come la miglior Judy Collins; le note del libretto sono firmate da Dave Marsh, uno dei migliori giornalisti musicali americani e per anni biografo di Springsteen.

Kim Richey e Amy Speace non saranno sicuramente il futuro cantautorale americano (non hanno forse una personalità straripante), ma trovando parecchie affinità elettive con colleghe come Mary Gauthier, Lucinda Williams, Mary Chapin Carpenter  (per citare le più brave), per chi scrive sono, senza alcun dubbio, la conferma della rinascita del rock d’autore al femminile.

Tino Montanari

Ed A Fine Agosto Arriva Anche Lui! Bob Dylan – The Bootleg Series Vol. 10 – Another Self Portrait (1969-1971)

bob dylan another self portrait.jpgbob dylan bootleg 10 superdeluxe.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bob Dylan – The Bootleg Series Vol. 10 – Another Self Portrait (1969-1971)

Per gli appassionati di musica il ritorno dalle vacanze sarà un vero e proprio salasso: oltre ai già annunciati box set di Beach Boys, Marc Bolan e Clash (più altre cose che al momento non mi sovvengono), è notizia di un paio di giorni fa che il 27 Agosto (in America, nel resto del mondo le date varieranno come al solito) la Columbia/Sony pubblicherà il decimo capitolo degli archivi del grande Bob Dylan.

Come si evince dal titolo il piatto forte saranno le sessions per l’album più controverso di tutta la discografia dylaniana, cioè quel Self Portrait per il quale l’esimio critico Greil Marcus scrisse la famosa recensione che esordiva con “What’s this shit?” (non penso ci sia bisogno di tradurre); ho detto il piatto forte, ma non la totalità dei brani proverranno dalle sessions del famigerato doppio album, in quanto ci saranno diverse outtakes anche da Nashville Skyline, da New Morning e pure qualcosa che non è finito tra le bonus tracks del Greatest Hits Vol. 2. (NDM: il contenuto di questo decimo Bootleg Series non è comunque una sorpresa, in quanto era già stato anticipato dal singolo Wigwam/Thirsty Boots, pubblicato in occasione dell’ultimo Record Store Day).

L’album uscirà in versione standard con 35 canzoni su 2 CD, in triplo vinile con le stesse 35 canzoni, e la solita versione superdeluxe di 4 CD, con la versione originale rimasterizzata di Self Portrait sul terzo ed il leggendario show (più per il suo valore storico che, pare, per l’effettiva qualità della performance) che Bob tenne con The Band nel 1969 all’Isola di Wight, il suo unico concerto nel periodo compreso tra 1966 ed il 1974,

Questa comunque la tracklist completa dei 3 CD (esclusa quindi la riedizione di Self Portrait):

The Bootleg Series, Vol. 10 – Another Self Portrait (1969-1971)
CD 1

1 Went To See The Gypsy (demo)
2 In Search Of Little Sadie (without overdubs, Self Portrait)
3 Pretty Saro (unreleased, Self Portrait)
4 Alberta #3 (alternate version, Self Portrait)
5 Spanish Is The Loving Tongue (unreleased, Self Portrait)
6 Annie’s Going To Sing Her Song (unreleased, Self Portrait)
7 Time Passes Slowly #1 (alternate version, New Morning)
8 Only A Hobo (unreleased, Greatest Hits II)
9 Minstrel Boy (unreleased, The Basement Tapes)
10 I Threw It All Away (alternate version, Nashville Skyline)
11 Railroad Bill (unreleased, Self Portrait)
12 Thirsty Boots (unreleased, Self Portrait)
13 This Evening So Soon (unreleased, Self Portrait)
14 These Hands (unreleased, Self Portrait)
15 Little Sadie (without overdubs, Self Portrait)
16 House Carpenter (unreleased, Self Portrait)
17 All The Tired Horses (without overdubs, Self Portrait)

The Bootleg Series, Vol. 10 – Another Self Portrait (1969-1971)
CD 2

1 If Not For You (alternate version, New Morning)
2 Wallflower (alternate version, 1971)
3 Wigwam (original version without overdubs, Self Portrait)
4 Days Of ’49 (original version without overdubs, Self Portrait)
5 Working On A Guru (unreleased, New Morning)
6 Country Pie (alternate version, Nashville Skyline)
7 I’ll Be Your Baby Tonight (Live With The Band, Isle Of Wight 1969)
8 Highway 61 Revisited (Live With The Band, Isle Of Wight 1969)
9 Copper Kettle (without overdubs, Self Portrait)
10 Bring Me A Little Water (unreleased, New Morning)
11 Sign On The Window (with orchestral overdubs, New Morning)
12 Tattle O’Day (unreleased, Self Portrait)
13 If Dogs Run Free (alternate version, New Morning)
14 New Morning (with horn section overdubs, New Morning)
15 Went To See The Gypsy (alternate version, New Morning)
16 Belle Isle (without overdubs, Self Portrait)
17 Time Passes Slowly #2 (alternate version, New Morning)
18 When I Paint My Masterpiece (demo)

Bob Dylan & The Band
Isle of Wight – August 31, 1969 – CD 4

1 She Belongs To Me
2 I Threw It All Away
3 Maggie’s Farm
4 Wild Mountain Thyme
5 It Ain’t Me, Babe
6 To Ramona/ Mr. Tambourine Man
7 I Dreamed I Saw St. Augustine
8 Lay Lady Lay
9 Highway 61 Revisited
10 One Too Many Mornings
11 I Pity The Poor Immigrant
12 Like A Rolling Stone
13 I’ll Be Your Baby Tonight
14 Quinn The Eskimo (The Mighty Quinn)
15 Minstrel Boy
16 Rainy Day Women #12 & 35

Ora, io sono un grande fan di Dylan, ma anche uno che va a cercare spesso il pelo nell’uovo, e qui di peli, e belli grossi, ne vedo almeno tre.

1 – Chiaramente le sessions non sono complete, e allora perché “sprecare” un CD per metterci la versione rimasterizzata di un disco che ogni Dylan fan possiede, e non usarlo per pubblicare qualche altra outtake? Mancano per esempio le sessions con Johnny Cash e buona parte di quelle con George Harrison, nelle quali furono incise versioni dylaniane di Yesterday dei Beatles, Cupid di Sam Cooke, All I Have To Do Is Dream degli Everly Brothers, ed altre chicche.

Era poi necessario inserire le versioni dei brani di Self Portrait senza gli overdubs orchestrali, dato che sono comunque le stesse takes che sono poi finite sul disco?

2 – Che cos’è quella Minstrel Boy proveniente dai Basement Tapes sul primo CD? Tutti sanno che i nastri della cantina sono incisioni del 1967, e quindi qui sono totalmente fuori contesto.

3 – Dato che con tutta probabilità l’acquirente occasionale NON comprerà questo disco, i fans di Bob si butteranno in misura maggiore sulla versione multipla, e quindi perché mettere sul secondo CD due canzoni del concerto alla Isle of Wight che poi si ritrovano anche sul quarto CD?

Nonostante questo, dato che mi conosco, alla fine il fan prevarrà sul “critico” e dunque attenderò con ansia la fine di Agosto.

Marco Verdi

P.S: dato che pare già deciso anche l’argomento dell’undicesimo volume degli archivi, e cioè le sessions di Blood On The Tracks (già uscite credo nella loro quasi totalità, tra disco ufficiale, Biograph, Bootleg Series Vol. 1 e colonna sonora di Jerry MaGuire), mi piacerebbe che non si sprecassero tutte queste occasioni (anche per i Witmark Demos non avevo certo gridato al miracolo) e si pubblicasse finalmente roba tipo i Basement Tapes completi, le sessions di Infidels (dentro ci sono cose strepitose), il disco con Dave Alvin, i concerti con Tom Petty, la tournée religiosa del 1979/80…

*NDB Oppure quelle con David Bromberg (che appare nel video promo di presentazione di Another Self Portrait, che vedete sopra) a Chicago nel 1992, solo due delle quali sono state utlizzate per Tell Tale Signs. In fondo Bromberg appariva anche nelle sessions originali sia per Self Portrait che per New Morning.

Piccoli (Ri)Passi Della Storia Del Rock! Garland Jeffreys In Concerto A Pavia 17 Luglio 2013

garland jeffreys tour italiano.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

Ultima data del tour italiano di Garland Jeffreys, questa sera, 17 luglio 2013, in Piazza Vittoria a Pavia, concerto gratuito che chiude il breve tour italiano, 4 date, di questo autentico newyorkese, nato a Brooklyn il 3 luglio del 1943, quindi ha appena compiuto 70 anni. Grande amico di Lou Reed, conosciuto all’università di Syracuse nel 1964 e da allora i due sono rimasti grandi amici. In attesa della pubblicazione del nuovo album, finanziato dai fans, che stando al sito di Jeffreys  http://garlandjeffreys.com/ è in dirittura di arrivo, vi ripropongo quanto avevo scritto sul Blog in occasione dell’uscita dell’album The King Of In Between. Nel frattempo, come ha scritto anche sul suo sito “Viva Italia”. Il nostro amico, tra l’altro ha studiato proprio anche nel nostro paese all’Università di Firenze, sempre nei lontani anni ’60, e parla un discreto italiano!

garland jeffreys.jpg

 

 

 

 

 

 

Garland Jeffreys – The King Of In Between – Luna Park Records

Ma vi sembrava possibile che fosse “scomparso” uno come Garland Jeffreys, anni 67 (le biografie danno come anno di nascita o il 1943 o il 1944, forse perché è nato il 1° gennaio del ’44?), luogo Brooklyn, New York, compagno di scuola (all’università) di Lou Reed, amico personale di Springsteen, nei suoi dischi hanno suonato, tra gli altri: Stan Getz, Dr. John, Sonny Rollins, James Taylor, David Bromberg, Linton Kwesi Johnson, Sly & Robbie, Phoebe Snow e ora, nuovamente, anche il buon Lou! Dicevo, vi sembra possibile che fosse scomparso? E infatti eccolo qua con un nuovo disco dopo quattordici anni di silenzio interrotti solo dalla raccolta I’m Alive pubblicata dalla Universal e qualche best e twofer rilasciato dalla australiana Raven.

E torna in pompa magna con un signor disco (a parte la eventuale reperibilità), uno dei suoi migliori in assoluto, nettamente superiore a quel Wildlife Dictionary del 1997 dove provava a cimentarsi anche con electrodance e trip hop, non con grandi risultati. E questo nonostante Jeffreys sia sempre stato un maestro delle fusioni di più musiche, nei suoi dischi più riusciti (e anche negli altri) hanno sempre convissuto rock, folk, soul e reggae (confesso di non essere un amante del reggae, per usare un eufemismo, ma Garland Jeffreys, con Joan Armatrading e Joe Jackson, è uno dei pochi da cui lo “reggo”). Don’t Call Me Buckwheat del 1991 era il disco dove meglio era riuscito a fondere “modernismo” e rock tradizionale, forse per merito di alcune ottime canzoni e dei testi a sfondo “razziale”, ma i suoi migliori, per il sottoscritto, rimangono quelli del periodo “rock”, l’ottimo Ghost Writer del 1977 e l’uno-due irresistibile di Escape Artist (dove apparivano anche Roy Bittan e Danny Federici) e il grandissimo disco dal vivo Rock’n’Roll Adult con Brinsley Schwarz dei Rumour alla chitarra.

Questo nuovo The King Of In Between (si sarebbe potuto chiamare Streets of New York se non l’avesse già fatto Willie Nile) lo riporta ai fasti del passato: prodotto da Larry Campbell, che ultimamente non sbaglia un colpo, da Tara Nevins agli Hot Tuna, passando per Levon Helm, con Roy Cicala che si occupa della parte tecnica (era l’ingegnere del suono ai Record Plant Studios ai tempi di Lennon e Springsteen), una manciata di ottime canzoni e lo spirito di un ragazzino (dimostra almeno dieci anni meno di quelli che ha), e una figlia di 14 anni (l’età non casualmente coincide con il suo ritiro dalle scene), Savannah, che vuole fare la musicista di professione e duetta proprio ai cori con Lou Reed in The Contortionist.

Coney Island Winter è una partenza fulminante, come ai tempi d’oro, un brano rock in crescendo, con basso funky, la batteria di Steve Jordan, le chitarre di Campbell e Duke Levine, e un tiro musicale che oltre che nel titolo ricorda anche nel suono il miglior Lou Reed e, perché no, anche il miglior Garland Jeffreys, uno dei migliori cantori della città di New York con lo scomparso Willy Deville. I’m Alive era uno dei due brani inediti nella raccolta del 2007, raffinatissimo negli arrangiamenti, tirato nei ritmi rock and soul e con un ritornello facilmente memorabilizzabile, praticamente una canzone perfetta. Streetwise è un funky-rock contaminato da una sezione archi da disco anni ’70 ma non può non piacere nella sua immediatezza e freschezza. La già citata The Contorsionist ha i ritmi cadenzati dei migliori pezzi di Garland con il vocione di Lou Reed che si presta per i coretti simil doo-wop del delizioso ritornello e la chitarra di Larry Campbell che ricama note. All around the world è il primo dei brani in stile reggae ma rivisto nell’ottica newyorkese di Jeffreys, con fiati e cori femminili a impreziosire la struttura sonora.

C’è spazio anche per il Blues con una fantastica ‘til John Lee Hooker Calls Me con la slide di Campbell, una fisarmonica insinuante e un ritmo boogie inesorabile. E di nuovo in Love Is A Not Cliché, quasi atmosferico alla Tom Waits se non fosse per le evidenti differenze tra il vocione di Waits e la voce più malleabile ed acuta di Jeffreys. Rock and Roll Music tiene fede al suo titolo, un brano che oscilla tra rockabilly e blues con grande energia. The Beautiful Truth è un altro brano anomalo, atmosferico, con un sound di chitarra che ricorda le “minisinfonie Stax” di Isaac Hayes mescolate a ritmi reggae e con il falsetto del nostro amico che galleggia sui ritmi spezzati. Roller Coaster Town è proprio reggae, con un filo di ska nei fiati sincopati però con New York sullo sfondo e Junior Marvin dei Wailers a unire passato e presente. In God’s Waiting Room è il pezzo acustico che non ti aspetteresti, solo la voce e una chitarra acustica slide, bellissimo peraltro con la voce che si arrampica improvvisamente verso dei falsetti incredibili.

La “traccia nascosta” sinceramente se la poteva risparmiare, si chiama Rock On, ma di rock non c’è nulla, su un tappeto di batterie elettroniche e synth a go-go cita a casaccio pezzi di vecchi brani e non mi entusiasma per nulla.

Per il resto nulla da eccepire, un signor album. Ora non vi resta altro da fare che trovarlo.

Bruno Conti

Qui Si Va Sul Sicuro! Jackson Taylor & The Sinners – Crazy Again

jackson taylor crazy again.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jackson Taylor & The Sinners – Crazy Again – Sinner Music/Smith Entertainment CD

Jackson Taylor, texano di Austin, è uno che non sbaglia mai un colpo.

Cresciuto a pane e outlaws (soprattutto Waylon Jennings e Billy Joe Shaver), si è fatto notare sin dal suo disco di esordio nel 2001, Humboldt County, come uno dei migliori countrymen del Lone Star State: in dodici anni ha pubblicato una decina di album (compreso un live), ed il risultato è sempre oscillato tra il buono ed il molto buono. Jackson non è, né sarà mai, uno che cambierà il suo sound causando nei suoi fans mal di pancia e boati di disapprovazione, è uno da cui sai esattamente cosa aspettarti, e proprio per questo non farà mai il disco che cambierà il corso della storia, ma neppure ciofeche inenarrabili: il suo rockin’ country chitarristico, molto elettrico e grintoso, è ormai il suo marchio di fabbrica, anche se Jackson è uno che sa scrivere canzoni degne di nota ed anche scegliere con gusto le cover da interpretare. Quindi non è un country rocker un tanto al chilo, ha ritmo e feeling, oltre che una buona voce ed una forza interpretativa non comune: personalmente non mi sono mai lasciato scappare un suo disco, ed anche questa nuova fatica, Crazy Again, non mancherà di soddisfare i cultori del vero country made in Texas.

Taylor non cambia di una virgola: un country decisamente vigoroso, strettamente imparentato con il rock, una serie di brani che parlano di donne e bevute in compagnia ed una band, composta dai soli Brandon Burke alla batteria e Rance Cox alla chitarra solista (Jackson in questo disco si esibisce stranamente al basso, come da copertina e questa è una novità), che lo segue come un treno in corsa; giusto per dare un po’ più di colore alle canzoni, troviamo tre o quattro amici (Dan Johnson, Haydn Vitera, Omar Vallejo ed Earl Hinton) che aggiungono qua e là un violino, una steel e qualche chitarra acustica.

L’album si apre con una delle tre covers del lavoro: è Makeup And Faded Blue Jeans di Merle Haggard, un honky-tonk elettrico con la sezione ritmica che picchia, chitarra in tiro e la steel che stempera appena. Se e quando il vecchio Hag l’ascolterà, darà senza dubbio la sua approvazione. Rain è puro rock’n’roll texano, ritmo pulsante e Jackson subito padrone della situazione; Jack’s Drunk Again è uno di quei brani che potete sentire in un qualsiasi honky-tonk bar di Austin, ma la grinta di Taylor e la chitarra di Cox fanno la differenza. La tersa No Place To Go è più countreggiante, con un refrain molto orecchiabile, mentre She’s Not Your Girlfriend è un rockin’ country dal ritmo e melodia irresistibili, quasi un brano da square dance.

Crazy Again è la cover roccata e potente di un brano scritto da Bob McDill (ma portato al successo da Bobby Bare), la limpida e solare Letting Go allenta un po’ i toni, anche se non è propriamente una ballata, Whiskey Drinking Song è tutto un programma fin dal titolo (e con un finale pirotecnico), What A Way To Go è la pimpante versione di un oscuro brano degli anni settanta da parte di un oscuro countryman, tale Bobby Borchers (ma rifatta nel 1991 anche da Ray Kennedy), mentre This Ain’t Goodbye chiude l’album in tono più intimo: il cowboy è stanco e torna a casa.; Ancora un buon disco per Jackson Taylor ed i suoi peccatori: come ho già detto, lui è uno che non delude mai.

Marco Verdi

Una “Miscellanea” Di Generi Musicali! Donna The Buffalo – Tonight, Tomorrow and Yesterday

donna the buffalo tonight.jpg

 

 

 

 

 

 

Donna The Buffalo – Tonight, Tomorrow And Yesterday – Sugar Hill Records 2013 

Esordio su queste pagine virtuali dei Donna The Buffalo, un gruppo che con questo lavoro giunge al decimo album della loro produzione, e festeggia i 25 anni di carriera. Esistono dal 1987 e sono di Ithaca (stato di New York), e dopo una lunga gavetta, esordiscono con due cassette autoprodotte  White Tape (89) e Red Tape (91) e due album autogestiti, l’omonimo Donna The Buffalo (93),e  The Ones You Love (96), si conquistano una meritata fama con Rockin’ In The Weary Land (98), edito dalla Sugar Hill Records come pure il successivo Positive Friction (2000). Dopo una pausa e cambio di formazione, ma mantenendo la forza trainante dei componenti storici della band, la cantante e violinista Tara Nevins (autrice di due splendidi album solisti Mule To Ride (99) e Wood And Stone (2011), e il cantante chitarrista Jeb Puryear, i DTB riprendono il cammino con il primo live ufficiale From The American Ballroom (2002) l’intrigante Wait ‘Til Spring (2003) in coppia con uno dei “mostri sacri” del cantautorato country Jim Lauderdale, a cui fanno seguito Life’s A Ride (2005), e l’ultimo disco di studio Silverlined (2008) che vedeva come ospiti David Hidalgo dei Los Lobos, Claire Lynch icona del bluegrass “indie”, Amy Helm (figlia del compianto Levon) e lo straordinario banjoista Bela Fleck.

Durante tutto il loro percorso, il suono e lo stile della band non è mai cambiato di una virgola, un mondo sonoro nascosto, che va dalla Louisiana alla California, passando per i monti Appalachi, mischiando a piacimento rock e folk, country e bluegrass, cajun e zydeco, tex mex e reggae, fino ad arrivare ad assimilare una certa forma di blues, con composizioni dal tessuto estremamente fluido, vicino a quello delle jam band, e dalla ritmica vitale e allegra. Tutto questo si riscontra anche in questo Tonight, Tomorrow and Yesterday, prodotto da Robert Hunter e registrato in una “location” particolare (l’interno di una chiesa nella campagna di Enfield), con l’attuale line-up del gruppo composta dalla seducente Tara Nevins (lead vocal, violino, fisarmonica, acoustic guitar), che divide la leadership con il compare Jeb Puryear (lead vocal, chitarre e pedal steel) e i loro “pards” David McCracken alle tastiere, Kyle Spark al basso e Mark Raudabaugh alla batteria, per quasi un’oretta di musica danzabile, anche da parte di chi, come il sottoscritto, raramente muove il “piedino” durante un concerto.

All Aboard apre le danze, un brano zydeco con il sapore della Louisiana, mentre Don’t Know What We’ve Got vede la voce di Tara in evidenza con un ritornello che prende sin dal primo ascolto. Con Working On That siamo in ambito rock, con la voce di Jeb che accompagna una ritmica quasi a passo di reggae, seguita da I Love My Tribe dalla musica fluida, chitarre arpeggiate e la bella voce di Tara, mentre Tonight, Tomorrow and Yesterday ha il passo tipico dei DTB, con la voce di Jeb che guida la canzone. One Day At Time cambia registro, ci porta subito in un mondo sognante, con una melodia nostalgica che si sviluppa nel ritornello, per poi passare alla sincopata Love Time con un organo anni ’60 a dettare la linea musicale, mentre No Reason Why con la sua atmosfera quasi campestre, mette voglia di ballare sull’aia (se ce ne sono ancora). Si riparte con I See How You Are, un brano fresco e diretto dal suono accattivante, si prosegue con I Can Fly che sembra presa da uno dei dischi dei Black Sorrows di Joe Camilleri , per arrivare a Ms. Parsley dal tocco reggae più accentuato, con l’organo di David a fare da spalla alla voce di Jeb. Ci si avvia alla fine con il cajun di Why You Wanna Leave Me, la ballata Real Love dalla melodia distesa e solare cantata in duetto da Tara e Jeb, per chiudere con una frizzante Spinning World che mischia sonorità cajun e zydeco.

I Donna The Buffalo sono depositari di un suono personale e sanno scrivere canzoni che toccano nel profondo, alternano ballate suggestive a brani dirompenti, ma suonano con grande vitalità e buon gusto. La loro storia è una favola felice sull’amicizia e sull’amore per la buona musica, una musica intesa come messaggio che va oltre la musica stessa, e chi ha avuto la fortuna di assistere alle loro esibizioni live, può certificare che ogni concerto è un’occasione per celebrare attraverso la loro musica, la vita.

Tino Montanari

Di Già? Un Altro Nuovo CD! Pat Travers Band – Can Do

pat travers band can do.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pat Travers Band – Can Do – Frontiers Records

Per una volta neppure Joe Bonamassa nei suoi momenti di massima prolificità ha potuto fare di meglio. Non ho fatto in tempo a parlarvi del buon Live At the Bamboo Room, un CD+DVD uscito da pochissimo tempo vecchie-glorie-12-pat-travers-live-at-the-bamboo-room.html, che Pat Travers sforna già un nuovo album, questa volta in studio, si chiama Can Do ed esce per la italiana Frontier Records, etichetta che si sta vieppiù specializzando nella pubblicazione di dischi di, come vogliamo chiamarle, vecchie glorie dell’hard rock anglo-americano (quindi Travers come canadese rientra nel target)! Preferite se lo definisco “Classic Rock”? Ok, fatto.

Questo nuovo CD vede riapparire nell’artwork della copertina il classico logo Pat Travers Band che non veniva utilizzato da Crash And Burn del 1980 e il rientro in formazione del vecchio batterista Sandy Gennaro (non commento sul cognome, in fondo Pat ha suonato anche con Carmine Appice, altro noto scandinavo). E in ogni caso, il batterista delle ultime prove, Sean Shannon, è presente nel CD come percussionista aggiunto, nonché come co-produttore ed ingegnere del suono. Per il resto non ci sono significative variazioni da quanto detto sul recente Live: forse il precedente disco in studio era più “interessante”, in quanto Blues On Fire rivisitava vecchi classici del blues delle origini, nel classico stile power hard-rock blues di Travers. Questa volta sono brani originali, con un paio di cover, ma il risultato, non cambia, il genere è quello: o vi piace questa miscela “forte” e non per palati finissimi, molto anni ’70, ispirata dall’hard rock quanto da Hendrix, oppure potete passare ad altro. Rispetto ad altre formazioni triangolari che eccellono in questo campo, la band di Pat Travers ha dalla sua l’utilizzo di un secondo solista, il capace Kirk McKim che consente questo sound delle twin lead guitars spesso usate all’unisono, che ha antenati illustri in Allman Brothers, Wishbone Ash e in campo più hard in formazioni come i Thin Lizzy, ma le coordinate sonore sono un po’ quelle, Viiiulenza e vai!

Voce “cattiva, sezione ritmica picchiata e le twin guitars in evidenza, sin dalla title-track posta in apertura di disco, la formula è abbastanza ovvia. Se siete ancora qui, proseguo con una veloce disamina dell’album. Stand Up/Get Up con wah-wah innestato è più funky ed hendrixiana (anche se l’originale è un’altra cosa, ovviamente), Diamond Girl è più melodica e vagamente weast-coastiana, As Long As I’m with you, più riffata e mid-tempo, ha degli inserti slide ma è sempre picchiata di brutto. Con Long Time Gone, veloce e tirata, siamo di nuovo a quel classico suono hard anni ’70 della Pat Travers band originale mentre lo slow, nuovamente melodico, Wanted (This Was Then/This Is Now), con la chitarra “lavorata” di volumi e pedali, dimostra che comunque il nostro amico ha una buona tecnica da accoppiare alla consueta grinta. Armed And Dangerous di nuovo funky e con slide si ispira ai suoni southern di Orlando, Florida dove il disco è stato registrato, niente di memorabile per la verità, chitarre a parte, che è peraltro il motivo per cui si compra un disco come questo.

La cover di Here Comes The Rain Again degli Eurhytmics con la moglie di Travers, Monica alle armonie vocali, e a ritmi reggae-rock, sulla carta è una tavanata, e anche all’atto pratico. Lo strumentale Keep calm and carry on ancora con le twin lead guitars in evidenza è meglio ma non di molto e la cover di Dust and Bone, presente nell’ultimo disco di Gretchen Wilson, mi fa “accapponare i capelli”, sembra una brutta copia degli ultimi Guns’n’Roses, che già non sono il massimo. Non male Waitin’ On The End Of  Time che risolleva un po’ le sorti declinanti dell’album e decisamente buona una Red Neck Boogie che ricorda le cose migliori del compianto Alvin Lee, con tanto di pianino boogie e meriterebbe futuri approfondimenti. Peccato che non ci siano più le mezze stagioni e neppure le mezze stellette, perché in effetti, per i non aficionados del genere, il disco non meriterebbe più di due stellette e mezzo!

Bruno Conti

Un Tipo “Strano”, Bravo Però! Pokey LaFarge.

pokey lafarge.jpeg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pokey LaFarge – Pokey LaFarge – Third Man Records

Un tipo “strano” questo Pokey LaFarge,  forse non “unico” ma certamente originale, anzi, come diceva la mia mamma, “un originale”. Se gli aggiungete un paio di baffetti, un cravattino e un panama (e secondo me li ha) potrebbe trasformarsi anche in Leon Redbone. Altro personaggio, peraltro tuttora in attività, che circa 35, 40 anni fa, ebbe un notevole successo di critica, ma anche di pubblico ( i suoi dischi entrarono nelle classifiche di vendita, fino alla Top 40 di Double Time nel 1977) con una miscela di jazz, ragtime, vaudeville, blues, folk, il tutto solidamente fondato nella musica degli anni ’20 e ’30, quelli subito prima, durante e dopo la Grande Depressione. E prima ancora c’era stato Dan Hicks e andando a ritroso Jim Kweskin con la sua jug band e tanti altri che nel corso degli anni si sono appassionati a questo recupero delle tradizioni della musica popolare americana.

In questi tempi da Seconda Grande Depressione si assiste ad un ritorno alla musica acustica, nelle sue varie forme, musicisti come i Carolina Chocolate Drops o Luke Winslow-King si possono considerare dei “neo-tradizionalisti”, come pure gli Old Crow Medicine Show nel loro ambito più country e bluegrass, con un pizzico di old time music. E, non a caso, il loro leader Ketch Secor produce questo omonimo Pokey LaFarge, che è già il suo nono disco (compreso un 45 giri per la Third Man Records di Jack White, alla quale sono tornati per questo CD) in vari formati e formazioni e in meno di sette anni di carriera. Dalla ragione sociale della formazione è sparito quel South City Three che aveva caratterizzato tutti i dischi della formazione dal 2009 ad oggi, compreso il Live In Holland, uscito lo scorso anno in Europa per la Continental Song City, comunque la formazione si è ampliata e si sono aggiunti al trio originale di chitarra, contrabbasso e armonica, anche una cornetta e un clarinettom Chloe Feoranzo, anche voce femminile aggiunta. Quindi sempre più anni ’30 ma senza dimenticare quella patina country, old time che lo differenzia parzialmente, ma non troppo, dal citato Redbone, per un genere che è stato definito Riverboat Sound.  Lui, il nostro amico Andrew Heissler, 30 anni, da Bloomington, Illinois, viene da una passione giovanile per il blues (in fondo è nativo dello stato dove si trova Chicago, una delle capitali del Blues), ma anche per il bluegrass di Bill Monroe, suona il mandolino e la chitarra e canta con una bella voce che  si ispira soprattutto al country, ma ha naturalmente retrogusti jazz e blues.

La musica è veloce e ritmata, con gli strumentisti che si alternano alla guida del piccolo combo e supportano LaFarge con brio e tecnica, come nella iniziale Central Time che è subito indicativa di quanto ascolteremo nel resto del disco. Divertente l’old time swing di The Devil Ain’t Lazy con l’armonica frenetica di Ryan Koenig (è lui Leon Redbone, guardatelo) in alternativa alla chitarra di Adam Hoskins e la voce di Pokey che ci riporta al suono dei vecchi 78 giri dell’epoca,  riprodotti con la tecnologia di oggi, con testi che parlano di quanto ci succede intorno, forse anche per questo si può parlare di modernismo retrò. Quando entrano il clarinetto e la cornetta, come nella bella ballata malinconica What The Rain Will Bring, si accentua questo spirito jazzato da bei tempi andati, non guastano in questo senso anche le saltuarie ma precise armonie vocali che accompagnano l’incedere del cantato del leader in quasi tutti i brani. Il tenore nasale di LaFarge (ma gustatevi il falsetto della deliziosa Let’s Get Lost) ci scaraventa in questi brani che profumano di inizio secolo (quello scorso), come Woncha Please Don’t Do It e l’effetto è più quello dei musicisti bianchi di quell’epoca, un Jimmie Rodgers, o a livello strumentale, Django Rheinhardt e Stephane Grappelly, quando Ketch Secor aggiunge il suo violino alle procedure come in One Town At A Time, che per la presenza di una steel guitar ante litteram potrebbe avvicinarsi allo swing di Bob Wills.

In Kentucky Mae, sempre malinconica si aggiunge un quartetto archi e torna la coppia di fiati, piccoli interventi di una chitarra elettrica che insinua la sua modernità apportano leggere correzioni al sound del disco che per il resto è abbastanza atemporale. Doveva essere nel preambolo ma lo dico qui, ovviamente per ascoltare questa musica avete due opzioni: o siete grandi appassionati del genere e in questo caso potete aggiungere anche una stelletta al giudizio critico dell’album, oppure vi dovete calare in un mondo musicale dove il rock o il blues, ma anche il country non hanno nulla del suono dal R&R in avanti, magari da prendere in piccole dosi. Nella frenetica Bowlegged Woman fa anche capolino un pianino indiavolato, ci spingiamo fino al boogie woogie ma il suono rimane rigorosamente unplugged e old time come in City Summer Blues che ti può ricordare sinuose donnine in gonnellino in vecchi locali di un’epoca che non c’è più, ma potrebbe ritornare! Insomma ci siamo capiti, forse, “vecchia musica per giovani” o “musica giovane per vecchi”?  Boh. Bravo, però!

Bruno Conti

Un Vero Costruttore…Di Musica! Kevin Deal – There Goes The Neighborood

kevin deal there goes.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kevin Deal – There Goes The Neighborhood – Blindfellow Records

Ottavo album, a ben quattro (* sarebbero tre) di distanza dal precedente Seven, per il texano Kevin Deal, uno che abbiamo sempre seguito con piacere fin dal suo esordio nel 2000 con Honky Tonk’n’Churches. Deal è un texano di quelli giusti, in tredici anni non si è mai piegato alle leggi del marketing, ha sempre fatto la sua musica nei tempi che ha voluto: un rockin’country decisamente diretto e godibile, ma nello stesso tempo di spessore e ben lontano da certa paccottiglia che viene prodotta a Nashville. Particolare da non sottovalutare (e che si collega al titolo del post): Kevin ha ancora meno problemi a fare una musica che vende poco, solo per il piacere di farla, dato che la sua principale fonte di guadagno è l’azienda Deal Masonry, fondata dal padre e della quale è titolare, una ditta edile che si occupa della costruzione di ville e chiese in pietra (e quindi il titolo del suo primo CD non era casuale), un’attività a quanto pare molto ben avviata.

There Goes The Neighborhood, la sua nuova fatica, prosegue il discorso avviato con i precedenti lavori, stavolta però con una maggiore attenzione verso la musica bluegrass e gospel: non è però un disco a tema, la base di partenza è sì la musica d’altri tempi, ma filtrata ed elaborata secondo i canoni di Kevin, ed il risultato è uno dei lavori più riusciti del nostro. Intanto sono tutti brani originali (tranne uno), è poi il trattamento di Deal e della sua band (Bob Penhall, Miles Penhall, Jim Bownds e Rick Hood) è tipicamente texano, quella miscela di country e rock piena di ritmo e feeling, nobilitata oltremodo dalla produzione (e partecipazione come membro aggiunto della band) del grande Lloyd Maines, che come tutti sapete è il miglior produttore del Lone Star State ed in dischi come questo ci sguazza.

La title track apre l’album, un bluegrass tune che più classico non si può, vivace e godibile, con banjo e dobro protagonisti e la voce di Kevin perfettamente in parte. Cosmic Accident è invece un puro honky-tonk texano, con un bel motivo di fondo ed un train sonoro diretto ed evocativo al tempo stesso. La mossa e godibile I Need Revival è country d’altri tempi, ancora con elementi bluegrass e Kevin calato alla perfezione nel suo elemento; l’annerita Big Prayer è invece un gospel-blues a forti tinte swamp, una canzone che non t’aspetti. Le sorprese continuano con un’intrigante versione del superclassico gospel Amazing Grace, arrangiata però come una rock ballad alla Joe Ely, con il passo tipico del grande texano di Amarillo ed uno splendido assolo di armonica: una versione spiazzante, ma di grande bellezza.

Gideon riprende il discorso country-grass, con il Texas che esce ad ogni nota: gran bella canzone, suonata e cantata alla grande (e la presenza di Maines si sente, eccome); Finish Well è una cowboy ballad coi controfiocchi, dove non mancano echi di Robert Earl Keen (sempre in Texas siamo), mentre la ritmata When Your Name Is Called è puro country di una volta, ricorda quasi certe sonorità dei primi anni settanta della Nitty Gritty Dirt Band. La bucolica A Long Time Ago anticipa l’intensa (più di sei minuti) Just Another Poet, un racconto western che potrebbe essere uscito dalla penna di Guy Clark (NDB. In uscita fra una decina di giorni con il nuovo album, My Favorite Picture Of You). Chiudono un ottimo album la bella King Jesus, un country-rock molto piacevole, ancora con Ely tra le note, e la lunga This Old Cross Around My Neck, elettrica, sfiorata dal blues, con un suggestivo crescendo che ce la fa gustare per tutti i suoi sette minuti abbondanti. Bravo Kevin, ancora un bel disco.

Marco Verdi

*NDB Anche questo, come i Field Report recensito ieri, in effetti è uscito all’incirca un annetto fa, luglio 2012, comunque rimane bello!