Recuperi Di Fine Anno – Parte 4: Jonathan Wilson – Fanfare

jonathan wilson fanfare

Jonathan Wilson – Fanfare – Bella Union CD

Confesso che non conoscevo Jonathan Wilson, e di conseguenza il suo CD d’esordio Gentle Spirit http://www.youtube.com/watch?v=I8E9kQg9gCU , fino a quando lo scorso anno mi sono recato a Lucca ad assistere al concerto di Tom Petty & The Heartbrakers, nel quale Jonathan e la sua band  erano posti come opening act. Solitamente io (ma non solo io) i gruppi spalla ai concerti li subisco abbastanza passivamente, raramente ho trovato qualcuno che mi facesse smettere di guardare l’orologio per sapere quanto distante era il momento in cui sarebbe arrivato l’headliner della serata, ma devo ammettere che Wilson ha rapito la mia attenzione durante tutto il suo mini-set: la sua miscela di California e psichedelia, di Neil Young e Pink Floyd mi hanno catturato all’istante (poi Petty chiaramente mi ha dato il colpo di grazia, complice un caldo micidiale) http://www.youtube.com/watch?v=-hYiY1vOOVw , e quindi non ho esitato molto quando quest’anno ho visto tra le uscite discografiche degli ultimi mesi la seconda fatica del ragazzo originario del North Carolina, intitolato Fanfare.

Prima dell’ascolto ero stato un po’ allarmato dalle notizie che davano il CD, tredici canzoni, durare ben settantotto minuti, ma già alla fine del primo ascolto mi sono ritrovato come un pirla seduto sul divano a bocca aperta, e se non mi fosse mancato il tempo lo avrei rimesso immediatamente da capo. Fanfare è un grande, grandissimo disco, per me addirittura il migliore dell’anno che volge al termine, ad opera di un musicista che ha raggiunto un tale livello dopo solo due album che ha pochi riscontri in giro tra i suoi coetanei  Un disco di musica rock, con implicazioni folk e psichedeliche (ma qualsiasi classificazione è riduttiva), che ricorda da molto vicino il panorama musicale californiano dei primi anni settanta, quando il Laurel Canyon era, musicalmente parlando, il centro del mondo, e gli album di riferimento erano If I Could Only Remenber My Name di David Crosby (che, guarda caso, appare come ospite in Fanfare) ed in misura minore Pacific Ocean Blue di Dennis Wilson (tra Wilson ci si intende…).

Fanfare è un album di una maturità e di una complessità impressionante, dove però complessità non vuol dire difficile fruibilità: certo, non è un disco da ascoltare distrattamente in macchina, va centellinato, assaporato lentamente, quasi sezionato, e ad ogni ascolto vi rivelerà qualcosa di nuovo. E’ innanzitutto un disco di musica nel senso più puro del termine, un album pieno di suoni e di melodie stratificate, con brani lunghi e fluidi che cambiano mood anche più di una volta nel loro percorso, con una strumentazione ricca e variegata, e dove la voce di Wilson è usata talvolta quasi come se fosse un altro strumento. C’è di tutto in Fanfare: da gentili ballate folk che diventano quasi delle sinfonie rock, ad echi di psichedelia inglese, a spunti quasi jazzati, fino ad elementi di Canterbury sound, da accordi di chitarra younghiani a fraseggi pianistici che richiamano John Lennon, e molto altro ancora. Ma sbagliate se pensate ad un disco frammentario o, peggio, pretenzioso: Wilson abbina la sua bravura indubbia come songwriter alla perizia come arrangiatore e produttore (ha già collaborato in tal senso con i Dawes e nell’ultimo album di Roy Harper, Man & Myth, e Roy ha ricambiato il favore scrivendo con Jonathan due brani per Fanfare), riuscendo a darci un lavoro che è quasi un dipinto ottenuto mescolando abilmente sonorità differenti (e la pittura è tirata in ballo direttamente anche dalla copertina, che richiama il Giudizio Universale di Michelangelo, forse l’unica cosa un po’ pretenziosa di questa operazione).

E poi ci sono gli ospiti, tutti comunque “nascosti” dentro alle canzoni, quasi come facessero parte anche loro dei colori del quadro: oltre a Crosby, anche il vecchio partner Graham Nash, l’altro californiano doc Jackson Browne, Mike Campbell e Benmont Tench degli Heartbrakers, per finire con Taylor Goldsmith dei Dawes e Pat Sansone dei Wilco. Parlare nel dettaglio di tutti i brani è quasi un’impresa, ci vorrebbe un supplemento domenicale a puntate come già fatto con la discografia di Bob Dylan, e ancora non basterebbe a rendere l’idea dell’esplosione di suoni e melodie presenti nel CD. Posso accennare alla title track, che apre l’album con una lunga introduzione strumentale dove flauto, violino, sax e chitarre si intersecano in una girandola sonora incredibile, o la quieta Dear Friend , con gli strumenti in libertà, uno dei pezzi più vicini al primo solo di Crosby, o l’eterea Her Hair Is Growing Long, un capolavoro di equilibrio che ha persino qualche eco di Astral Weeks del grande Van Morrison. E siamo solo al terzo brano: Love To Love è una ballata rock con una dose maggiore di energia, mentre Future Vision è una splendida mini-sinfonia psichedelica con piano e chitarra che si destreggiano tra un mare di suoni, Moses Pain, una delle più belle del lavoro, è pura California, con le sue chitarre liquide ed il suo pianismo eccezionalmente fluido.

Poi ci sono la rarefatta Cecil Taylor (dedicata al celebre pianista)  , la più roccata Illumination, uno dei brani più fruibili del disco, l’eccelsa Desert Trip, nel quale Wilson si supera sia dal punto di vista del songwriting che dell’arrangiamento, dove nota dopo nota si potrebbe annidare qualsiasi sorpresa. Fazon, una canzoni dei semisconosciuti Sopwith Camel, è un po’ freddina, ma New Mexico è piena di cambi di ritmo e trovate geniali; Love Strong sembrano i Pink Floyd mezzi country di Zabriskie Point con Lennon in session al pianoforte, mentre All The Way Down chiude l’album in tono minore per quanto riguarda la qualità media dei brani del CD, ma pur sempre una canzone che qualche freccia al suo arco ce l’ha. Grandissimo disco: se per Natale dovete farvi fare un regalo, Fanfare può essere la scelta più azzeccata.

Un consiglio: ascoltatelo in cuffia.

Marco Verdi

Recuperi Di Fine Anno – Parte 4: Jonathan Wilson – Fanfareultima modifica: 2013-12-14T15:42:08+01:00da bruno_conti
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