Un “Menestrello” D’Altri Tempi , Dal New Jersey Non Solo Springsteen! John Gorka – Bright Side Of Down

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John Gorka – Bright Side Of Down – Red House Records/Ird

Era il lontano 1987 quando, noncurante delle mode imperanti in quel periodo, John Gorka esordiva con I Know, dimostrando di essere un folksinger in grado di proporre canzoni di una bellezza cristallina, interpretate con garbo e grazia http://www.youtube.com/watch?v=GpqSv5enfW8 . Da allora Gorka ha continuato ad incidere a scadenze piuttosto regolari, un album ogni paio d’anni, senza modificare di una virgola il proprio genere, non si è imbarcato in strane operazioni sonore, non ha mai nemmeno provato a mettere in piedi una band, ma ha continuato a bazzicare locali, pub e coffeehouses e diffondere la sua musica. Per chi non conosce il personaggio, dovete sapere che il buon John (nativo del New Jersey http://www.youtube.com/watch?v=g7gRn61x1-Q ) si trasferisce in gioventù in Pennsylvania, dove frequenta il college e coltiva l’amore per la musica folk. Inizia a girare in lungo e in largo gli Usa e durante un lungo soggiorno in Minnesota compone le canzoni del citato I Know (distribuito da un’etichetta locale la “mitica” Red House Records), e le incide con l’aiuto di giovani cantautrici in ascesa come Shawn Colvin e Christine Lavin.

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Il lavoro di  Gorka e la sua forte personalità attirano l’attenzione della Windham Hill Records, che lo mette subito sotto contratto e gli fa pubblicare in regolare sequenza Land Of The Bottom Line (90), Jack’s Crows (91) e Temporary Road (92, album che propongono sonorità sempre più curate, che lo rendono una delle figure più interessanti del panorama “neo-folk”. I successivi Out Of The Valley (94) e Between Five And Seven (96) sono sempre di buon livello, mentre l’eccellente After Yesterday (98), The Company You Keep (01) e Old Future Gone (03), lo vedono tornare alla sua etichetta di partenza, a dimostrazione delle difficoltà incontrate dall’artista nel suo tentativo di imporsi sul mercato americano http://www.youtube.com/watch?v=8632B6lgtM8 . Dopo una breve pausa ecco Writing In The Margins (06) e  So Dark You See (09), nei quali John ritorna alle sue radici, a quel folk intimista e malinconico, prima di pubblicare con la collaborazione delle sue compagne di etichetta Lucy Kaplansky e Eliza Gilkyson l’album Red Horse (10) http://discoclub.myblog.it/2010/08/07/un-piccolo-supergruppo-red-horse-gilkyson-gorka-kaplansky/ .

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Bright Side Of Down è stato registrato, prodotto e mixato da Rob Genadek presso il Brewhouse Recording Studio di Minneapolis, Minnesota, ed è il quinto consecutivo sotto la sua produzione:  anche in questa occasione John Gorka, voce, chitarre acustiche e banjo, è stato raggiunto in studio dallo stesso Rob Genadek batteria e percussioni, Dirk Freymuth alle chitarre elettriche e bouzouki, Jeff Victor alle tastiere, Enrique Toussaint, Michael Manring (*NDB. Discepolo di Jaco Pastorius e autore di vari pregevoli album strumentali, bellissimi quelli per la Windham Hill http://www.youtube.com/watch?v=zaK2GU9pgos ) e Gordy Johnson al basso e Cale Baglyos al violino, e  le immancabili Eliza Gilkyson, Lucy Kaplansky, e Claudia Schmidt, per il suo tredicesimo album in studio, uno dei personaggi più longevi del cantautorato americano.

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Tutte le canzoni sono ritagliate per la voce tenorile e suadente di Gorka, a partire dall’agreste Holed Up Mason City, la delicata title track Bright Side Of Down con le voci femminili di Eliza Gilkyson e Lucy Kaplansky, passando per le cadenzate High Horse e More Than One, la rilettura di una cover dell’amico scomparso Bill Morrissey, She’s That Kind Of Mystery http://www.youtube.com/watch?v=6UI89HD86U0  e il costante ritmo di Outnumbered. L’acustica Don’t Judge A Life apre la seconda parte del disco, seguita dalla dolce e breve filastrocca Honeybee (dedicata alla figlia), Procrastination Blues con cori quasi gospel, in duetto con la brava Claudia Schmidt, il folk ricco di “pathos” di Thirstier Wind, il capolavoro del disco http://www.youtube.com/watch?v=TjjocKivwn4 , la ballata dolente Mind To Think con il violino di Cale ad accompagnare la melodia, e la chiusura poetica di Really Springs con al controcanto Antje Duvekot http://www.youtube.com/watch?v=WSvukwSffYc .

Bright Side Of Down è uno di quei lavori fatti con pazienza e talento (anche se la sua musica può sembrare ripetitiva, e forse per i non aficionados può esserlo, forse), ma la costante qualità artistica che da sempre accompagna le prove di John Gorka, lo rende senz’altro una delle voci più credibili della canzone d’autore intelligente e di qualità.

Tino Montanari

numero uno

*NDB Ogni tanto mi “intrometto” negli articoli degli altri con qualche intervento, video, aggiunta di qualche nome che merita essere conosciuto: il bello di un Blog è anche condividere con gli altri la buona musica, quindi se ogni tanto mi scappa la “citazione” non ci fate caso. O meglio, fateci caso!

Bruno Conti

Meglio Tardi Che Mai! The Animals – The Mickie Most Years And More

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The Animals – The Mickie Most Years And More – Real Gone 5CD Box Set

Il titolo del post ha una doppia valenza: innanzitutto è riferito al fatto che parlo di questo box set con notevole ritardo, essendo lo stesso uscito negli ultimi mesi del 2013, anche se non è mai troppo tardi per parlare di buona musica (o grande musica, come in questo caso), soprattutto se trattasi di ristampe.

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In secondo luogo sono oltremodo felice che qualcuno si sia finalmente ricordato degli Animals, dato che quando si parla di gruppi inglesi degli anni sessanta, dopo lo scontato dualismo Beatles – Rolling Stones, si passa subito agli Who e spesso (ma non sempre, purtroppo) ai Kinks, o alla triade Yardbirds – Cream – Fleetwood Mac se si è appassionati di blues, o ancora a Led Zeppelin e Deep Purple se si parla di hard rock (anche se queste ultime due band sono più frequentemente associate agli anni settanta), ma quasi mai ci si rammenta della band di Newcastle-upon-Tyne: quindi questo cofanetto della benemerita Real Gone, che racchiude i primi dischi del gruppo (discografia americana, più completa di quella inglese), giunge graditissima.

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Gli Animals furono una tra le band tra le più influenti dei sixties (chiedete per informazioni a Bruce Springsteen, Tom Petty e, anche se non lo ammetterà mai, a Van Morrison), un quintetto che fondeva in maniera mirabile rock, blues e soul, e che aveva i suoi punti di forza nella formidabile voce di Eric Burdon, una delle ugole più “nere” tra i bianchi, assolutamente in grado di adattarsi sia ai brani più grezzi che a quelli più melodici, e nell’organo di Alan Price, in grado di fare molto spesso la differenza (completavano il gruppo il chitarrista Hilton Valentine, il bassista Chas Chandler (futuro manager di Hendrix) ed il batterista John Steel).

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Non scrivevano molti brani originali, ma rivisitavano brani famosi e meno famosi del panorama blues, soul e pop, perlopiù americano (Willie Dixon, Ray Charles, un vero idolo per Burdon, Chuck Berry, John Lee Hooker, ma anche famose coppie di autori come Goffin – King o Mann – Weil), il tutto con un grande gusto ed un feeling micidiale, in alcuni momenti forse erano addirittura meglio degli Stones stessi, almeno in quegli anni.

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Andiamo a vedere brevemente i cinque CD inclusi in questo box, album prodotti da Mickie Most (tranne l’ultimo, come da titolo del box) e riproposti rigorosamente in mono.

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I Just Wanna Make Love To You: EP di sole quattro canzoni, pubblicato nel 1963. Un dischetto che rivela un gruppo ancora un po’ da sgrezzare ma già con idee e feeling al posto giusto: oltre alla title track (un classico di Willie Dixon ma più noto nella versione di Etta James), troviamo Big Boss Man di Jimmy Reed, una prima versione di Boom Boom di John Lee Hooker e Pretty Thing di Bo Diddley.

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The Animals: album del 1964 che si apre con la leggendaria House Of The Rising Sun, noto traditional che gli Animals avevano appreso dalla versione presente sul primo album di Bob Dylan (che a sua volta l’aveva rubacchiata a Dave Van Ronk, ma questa è un’altra storia…), ma che qui rivoltano come un calzino, dandone un’interpretazione potente e drammatica nello stesso tempo, una performance tra le più memorabili della storia del rock (e per una volta non è retorica), dall’arpeggio di chitarra di Valentine, definito in maniera geniale dal giornalista David Fricke (che cura le note di questa ristampa) “la colonna sonora di una camminata verso il patibolo”, all’assolo di organo di Price, fino all’incredibile prova vocale di Burdon: un brano da pelle d’oca anche la millesima volta che lo si ascolta, uno di quei pezzi sui quali si potrebbe scrivere un libro http://www.youtube.com/watch?v=MgTSfJEf_jM .

(NDM: ricordo un bellissimo film di Martin Scorsese, Casino, nel quale veniva usata questa canzone nel momento chiave della pellicola, e cioè quando nel finale gli eventi precipitavano e molti dei protagonisti ci lasciavano le penne, secondo me uno dei migliori momenti in assoluto di fusione tra musica e cinema http://www.youtube.com/watch?v=1FZ2FA-epcE .)

E’chiaro che questo brano da solo fu in grado all’epoca di trainare l’album fino al numero sette della classifica, ma all’interno ci sono molte altre canzoni di pregio, dall’ottima resa di The Girl Can’t Help It (Little Richard), ai due noti classici di Chuck Berry, Memphis Tennessee e Around And Around http://www.youtube.com/watch?v=H2kzqP__uXc , fino al trascinante finale con la bella I’ve Been Around di Fats Domino.

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 The Animals On Tour: registrato in studio (e non dal vivo come il titolo farebbe supporre), al disco manca un pezzo alla House Of The Rising Sun, ma nell’insieme è più riuscito del suo predecessore, e Burdon canta bene come non mai. Con ben tre brani di Ray Charles (tra cui la stupenda Hallelujah, I Love Her So e la sofferta I Believe To My Soul, con un riff di piano che ritroveremo molto simile qualche mese dopo in Ballad Of A Thin Man di Bob Dylan http://www.youtube.com/watch?v=4XsdYQCG12Q ), la vivace Let The Good Times Roll e lo strepitoso blues di Big Maceo Merriweather Worried Like Blues, con la band che gira a mille e Burdon che dà i punti a tutti i suoi colleghi dell’epoca http://www.youtube.com/watch?v=GaxTzdpz8EA .

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Animal Tracks: del 1965 come il precedente, questo è un altro grande disco: si apre con la splendida We Gotta Get Out Of This Place http://www.youtube.com/watch?v=jxNEiZhpinY , altro successo del gruppo, e contiene anche un’intensa versione della notissima Don’t Let Me Be Misunderstood http://www.youtube.com/watch?v=HHjKzr6tLz0 , per non parlare della formidabile resa di Bring It On Home To Me, seconda solo all’originale di Sam Cooke http://www.youtube.com/watch?v=ZntYBFyuZd4 . E con ben cinque pezzi su dieci a firma Eric Burdon, dei quali il gustoso errebi I Can’t Believe It  è sicuramente il migliore.

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Animalization: prodotto da Tom Wilson (il “more” del titolo del box), già noto per aver collaborato con Dylan e Simon & Garfunkel, il disco non si discosta molto dai predecessori, proponendo la solita riuscita miscela di cover e brani originali: Don’t Bring Me Down è la più nota http://www.youtube.com/watch?v=I0KrLaaCkPQ , ma spiccano anche See See Rider, You’re On My Mind e la notevole Cheating (dalla quale Tom Petty ha preso senz’altro spunto per scrivere la sua Breakdown http://www.youtube.com/watch?v=lddcmEhrh88 ). Arriva Barry Jenkins alla batteria, mentre il nuovo tastierista Dawe Rowberry appariva già dal precedente Animal Tracks!

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Questo box ha comunque tre difetti, che comunque spariscono se paragonati alla qualità della musica contenuta: in primo luogo l’assenza di Animalism, cioè l’ultimo album americano prima che Burdon sciogliesse e riformasse il gruppo, spostando l’asse della musica sul rock psichedelico tipico di San Francisco.

Il secondo difetto riguarda le bonus tracks, appena dodici in cinque CD, e nessuna di esse veramente inedita (perlopiù ci sono brani apparsi su singolo, missaggi differenti o versioni stereo di brani già presenti in mono): tra tutte spicca la bellissima It’s My Life, uno tra i momenti migliori per Burdon e soci http://www.youtube.com/watch?v=H3GNKUE-d9c .

Infine, la confezione, veramente cheap: un box di cartoncino sottile (che alla terza o quarta volta che lo si apre è già usurato), niente libretto, ed i CD presentati nella jewel box più basic in assoluto, quella per intenderci con la parte davanti della costa nera e rigata.

In più, in omaggio all’interno, troviamo una maglietta non particolarmente bella (io la uso come pigiama), con il risultato che, una volta estratta, i CD ballano allegramente da una parte all’altra del box.

Ma, come ho detto prima, sono quisquiglie (la confezione però è brutta brutta): la musica è davvero sublime, ed i soldi richiesti sono ben spesi fino all’ultimo euro.

Marco Verdi

Uno “Sfigato” Di Professione! Micah P.Hinson – Micah P.Hinson And The Nothing

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Micah P.Hinson – Micah P.Hinson And The Nothing – Talitres/Audioglobe

Avviso ai lettori, questa è una recensione ad alto rischio faziosità: sì, perché non posso negare che, negli ultimi anni, nessun cantautore (oltre a Mick Flannery) abbia colpito in maniera così intensa e profonda la mia sensibilità musicale, come ha fatto questo ex-ragazzo texano dalla voce vissuta, sporcata da alcol e sigarette. Nato a Memphis (nel giorno dell’attentato a Regan), Micah Paul Hinson, abbandona presto la famiglia per trasferirsi al college di Abilene, Texas, ma a soli 20 anni ne ha già passate di tutti i colori, dalla vita per strada, alla prigione, alla droga, e trascinato purtroppo dalla dipendenza incontra anche Melissa (una modella di Vogue), che lo porta ad una forte depressione, ma la scelta consapevole di aggrapparsi alla musica (e soprattutto l’abbandono della “femme fatale”), lo porta ad evitare una vita allo sbando. Il debutto discografico avviene con lo splendido Micah P. Hinson And The Gospel Of Progress (04) http://www.youtube.com/watch?v=Qr9PhIOunc4 con la commovente Nothing, passando per l’orchestrale At Last Our Promises e la fantastica tromba in Stand In My Way per non dire di tutte le altre (un disco da avere a tutti i costi), e sull’onda del successo la Sketchbook Recordsdecide di pubblicare Baby And The Satellite (06) raccolta dei primi demo di Micah e dopo un EP Lights From The Wheelhouse (06), escono Micah P.Hinson And The Opera Circuit (06), Michah P.Hinson And The Red Empire Orchestra (08), seguiti dall’album di cover All Dressed Up And Smelling Of Strangers (09) e da Micah P.Hinson And The Pioneer Saboteurs (10) (*NDB A me non era piaciuto particolarmente http://discoclub.myblog.it/2010/05/26/strum-und-drang-micah-p-hinson-and-the-pioneer-saboteurs/ ) ma la “sfiga” lo perseguita, e durante il tour in Spagna dell’estate 2011, un terribile incidente d’auto (ha rischiato di perdere l’uso delle braccia, e per un chitarrista è un fatto tragico) lo costringe ad una lunga convalescenza in Texas che lo porta ad elaborare canzoni scritte in precedenza, e quando torna in Spagna nel 2012, si chiude per qualche tempo al Moon River Studio di Santander, e con un manipolo di musicisti locali (Aquattro String Quartet e altri) dà vita a questo nuovo Micah P.Hinson And The Nothing.

Come nell’album precedente il suono è fondamentalmente acustico, a renderlo ricco e vario c’è l’innesto di vari strumenti, dall’organo al banjo, da un quartetto d’archi alle chitarre elettriche, dal violino al piano, per tredici canzoni che dal quasi punk dell’iniziale How Are You Just A Dream?, passano al country di On The Way Home (To Abilene), un sentito omaggio alla sua città , alle delicate ballate pianistiche The One To Save You Now e I Ain’t Movin, transitando per il pop malinconico di The Same Old Shit, il “Nashville sound” di The Life, Living, Death And Dying Of A Certain Peculiar L.J. Nichols (uno dei titoli più lunghi della sua storia musicale) e Love Wait For Me, fino a sperimentare in Sons Of The Ussr il “suo” modo di fare avanguardia http://www.youtube.com/watch?v=VFS7zENPCcg . Non manca il bluegrass di There Is Only One Name, il brano pianistico dall’andatura malferma di God Is Good http://www.youtube.com/watch?v=uEbvHRwZS8I , la dolcezza struggente di The Quill http://www.youtube.com/watch?v=ElKLiLOn-20  e la chiusura con chitarra e voce (cartavetrata) di Micah in A Million Light Years, nonché la testimonianza sonora di una vena compositiva mai inaridita nella “ghost track” The Crosshairs, tutta giocata sugli archi e un intrigante crescendo di voci.

Anche se le vette artistiche dei primi dischi sembrano inarrivabili (soprattutto per la rinuncia delle parti orchestrali), Micah P.Hinson continua il suo percorso musicale con canzoni che risentono del travaglio delle sua vita, fatta di continue e ripetute ripartenze (che forse gli avrebbero consentito di diventare più di un personaggio di “culto”), ma la passione e il sentimento che traspaiono dalle tracce di The Nothing certificano l’ennesimo centro del songwriter texano. Mi sembra di aver detto tutto, ora sta a voi: se avete già tutti i dischi precedenti saprete cosa fare, per tutti gli altri lasciarsi stregare da questo ultimo lavoro non è per niente difficile (parola di “fazioso”)!

P.S: Non oso pensare che cosa possa ancora succedere a quest’uomo in un prossimo futuro, ma gli auguro sinceramente di uscirne ancora una volta vincitore!

Tino Montanari

Non E’ Uno Scherzo Da 1° Aprile! Looking Into You: A Tribute To Jackson Browne

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Looking Into You: A Tribute To Jackson Browne – 2 CD – Music Road Records/Ird

Non è uno scherzo da 1° di aprile, che sarebbe la data ufficiale di uscita di questo bellissimo tributo, ma è la pura realtà. In effetti ve ne parlo già da oggi (visto che il Blog, come da nome, è anche una vetrina informativa sulle uscite discografiche), in quanto, proprio da questa settimana, sul nostro territorio italico, per la serie “strano ma vero” è già disponibile per l’acquisto, in molti negozi selezionati, due settimane prima della uscita ufficiale, a cura della Music Road Records, l’etichetta di Jimmy LaFave. E il cast dei partecipanti è impressionante, come la qualità delle canzoni. Appena ho un attimo di tempo recensione completa, per il momento questa è la tracklist:

Disc One
1. These Days – Don Henley w/ Blind Pilot
2. Everywhere I Go – Bonnie Raitt and David Lindley
3. Running On Empty – Bob Schneider
4. Fountain Of Sorrow – Indigo Girls
5. Doctor My Eyes – Paul Thorn
6. For Everyman – Jimmy LaFave
7. Barricades Of Heaven – Griffin House
8. Our Lady Of The Well – Lyle Lovett
9. Jamaica Say You Will – Ben Harper
10. Before The Deluge – Eliza Gilkyson
11. For A Dancer – Venice
12. Looking Into You – Kevin Welch

Disc Two
1. Rock Me On The Water – Keb’ Mo’
2. The Pretender – Lucinda Williams
3. Rosie – Lyle Lovett
4. Something Fine – Karla Bonoff
5. Too Many Angels – Marc Cohn feat. Joan As Police Woman
6. Your Bright Baby Blues – Sean and Sara Watkins
7. Linda Paloma – Bruce Springsteen and Patti Scialfa
8. Call It A Loan – Shawn Colvin
9. I’m Alive – Bruce Hornsby
10. Late For The Sky – Joan Osborne
11. My Opening Farewell – JD Souther

Finalmente un tributo come si deve all’arte di uno dei migliori cantautori americani degli ultimi 40 anni, per il momento sentite che versione di These Days fa Don Henley con i Blind Pilot http://www.youtube.com/watch?v=6TFOvsNAnIE!

Bruno Conti

Le Stagioni Passano, Ma “Il Cuore” Rimane! Heart – Fanatic Live From Caesar’s Colosseum

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*NDB Torna la solita rubrica della domenica, il supplemento del Disco Club, dedicato a cofanetti, ristampe e nomi storici del rock, questa volta tocca alla nota band canadese delle Heart. La parola a Tino.

Heart – Fanatic Live From Caesar’s Colosseum – Frontiers Records – CD+DVD-BLU-RAY

Per i pochi che non li conoscono, gli  Heart sono un gruppo rock “canadese” guidato dalle ormai “stagionate” sorelle Wilson, Ann e Nancy (ometto da gentiluomo l’età delle signore), peraltro originarie della California, e in pista da ben 38 anni. “Gli” Heart nascono a Vancouver, nel lontano ’63, quando il chitarrista Roger Fisher, col fratello Mike e il bassista Steve Fossen, fondano la band, poi, dopo molti anni di gavetta, si trasferiscono a suonare nei bar di Seattle, una delle città più piovose d’America, stabilizzando la formazione solo nel 1973 con l’ingresso delle sorelle Wilson, entrambe cantanti e chitarriste.

Il debutto discografico, prima solo in Canada per la Mushroom, avviene con Dreamboat Annie (75) (composto quasi interamente da Ann), raggiungendo vendite notevoli nello stesso Canada e poi in Usa, e l’uscita del seguente Little Queen (77) conferma la facilità del gruppo di produrre un rock dalle inflessioni hard, piacevole e ben strutturato. Il successo continua con la pubblicazione di Dog And Butterfly (78) e Bebe Le Strange (80) che diventano dischi di platino (superando senza problemi l’abbandono del fondatore Roger Fisher). Dopo una tournée americana a supporto dei Rolling Stones, la formazione torna in studio per incidere Private Audition (82) e dopo un ulteriore cambio d’organico (con una nuova sezione ritmica composta dal bassista Mark Andes e dal batterista Denny Carmassi) danno alle stampe Passionworks (83). All’apice del successo vengono ingaggiate dalla Capitol Records e pubblicano l’omonimo Heart (85) (con oltre sette milioni di copie vendute), successo confermato dai successivi Bad Animals (87) (trainato dal formidabile successo di Alone  e Brigade (90). Degli anni successivi, tra antologie, raccolte, dischi live, natalizi e solisti (Nancy Wilson, sposata con il regista Cameron Crowe), sono da ricordare Desire Walks On (93) (con una cover di Dylan Ring Them Bellshttp://www.youtube.com/watch?v=P6tkNHeA23w , il sottovalutato Jupiters Darling (04) e Fanatic (12), da cui tutto parte per parlarvi di questo ultimo lavoro “live”.

Infatti per supportare l’uscita di Fanatic , la band ha svolto un’importante tour in Nord America, che si è concluso con un magnifico spettacolo al Caesar’s Colosseum di Windsor in Ontario http://www.youtube.com/watch?v=uG0CRuPXtbw , con l’attuale line-up composta oltre che dalle sorelle Wilson (voce, chitarre, flauto e mandolino), Ben Smith alla batteria e percussioni, Craig Bartock alle chitarre, Dan Rothchild al basso e Debbie Shair alle tastiere.

La scaletta del concerto (una sorta di juke-box), ripercorre una carriera importante, a partire dall’intro hard-rock di Fanatic, con l’inconfondibile voce di Ann Wilson in evidenza, seguita dai primi classici Heartless (da Magazine (77) e What About Love, una ballata capolavoro (che risale al bellissimo Heart), un brano marchio di fabbrica delle due sorelline. Mashallah è il secondo estratto (alla fine saranno cinque) da Fanatic, ancora un hard-rock contraddistinto da un riff “zeppeliniano” (per chi non la sapesse Ann Wilson e soci hanno fatto piangere Robert Plant a un concerto tributo al Kennedy Center, con Obama tra il pubblico) , come 59 Crunch,  mentre Even It Up è un mid-tempo estratto da Bebe Le Strange.

Si ritorna ai brani storici con Straight On e Dog And Butterfly (qui riproposta con un’intrigante sezione d’archi), a cui fanno seguito Walking Good (sempre da Fanatic) un brano che si snoda tra chitarre acustiche e tastiere, e These Dreams (uno dei singoli più venduti di Heart), con Nancy alla voce. A seguire una bella versione del lento d’eccellenza Alone (una canzone che non ha bisogno di parole, ma deve essere ascoltata in religioso silenzio). Ci si avvia alla fine con l’ultimo estratto da Fanatic, Dear Old America, mentre l’acustica di Nancy introduce un altro classico “delle” Heart, Crazy On You, per poi finire  con il loro “inno” generazionale, la strafamosa Barracuda.

Si potrebbe discutere se questo album dal vivo fosse necessario (se non ho sbagliato i conti questo è il quinto ufficiale della band *NDB. Sesto!), ma se amate l’hard rock classico, è sempre un piacere sentire la voce splendida  di Ann Wilson (una delle migliori del rock), la bravura alla chitarra di Nancy, il “sound” di un gruppo tosto e rodato, (ad oggi come Heart hanno venduto oltre 30 milioni di dischi nel mondo) in grado di regalare ai loro fedeli “fans” serate elettrizzanti come questa.

Tino Montanari

Doppia Razione di… Jono Manson – Angels On The Other Side

 

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JONO MANSON – Angels On The Other Side – Appaloosa/IRD

*NDB Aggiungo anche la mia “versione dei fatti” alle riflessioni del buon Jimmy che potete (ri)leggere a seguire. Il disco è bello e merita. Repetita iuvant. Buona lettura.

Jono Manson è newyorkese per nascita, residente a Santa Fè, New Mexico, anzi Chupadero (ve lo ricordate il disco della Barnetti Bros Band?) dove si trova il suo studio di registrazione, Kitchen Sink, “americano” puro per il genere di musica che fa e infine italiano d’adozione perché ci ha vissuto e ci viene spesso per fare concerti e produrre dischi di altri, un cittadino del mondo quindi. Ma soprattutto, ed è quello che ci interessa, un bravo musicista: forse non sarà, come si usa dire, di primissima fascia, ma nella sua lunga carriera discografica, che ormai si snoda lungo quattro decadi diverse, prima indipendente ed autogestito negli anni ’80, poi solista con One Horse Town nel 1994 (ripubblicato nel 1998 in Italia dalla Club De Musique), il passaggio molto veloce attraverso una major con Almost Home, uscito come Jono Manson Band per la A&M nel 1995, che lo avrebbe poi scaricato in un nanosecondo, nonostante le ottime critiche ricevute dal disco.

Senza addentrarci in tutta la discografia ha pubblicato anche un disco nel 2003, Gamblers, con Paolo Bonfanti, dove ha esplicitato anche il suo amore per il blues, sempre presente nella sua musica. E poi ha collaborato, sotto varie forme, con decine, anzi centinaia di artisti, la lista è più lunga dell’elenco telefonico, se volete la trovate sul suo sito, http://www.jonomanson.com/discography/. come produttore, ingegnere del suono, musicista, autore, le sue attitudini sono molteplici: giusto per citarne alcune tra le ultime, ha prodotto il bellissimo Far Out dei Mandolin’ Brothers, ha scritto alcune canzoni per Crystal Bowersox, nel CD d’esordio, All That For This per la finalista di American Idol (non storcete il naso, da lì spesso escono buoni cantanti, non è come X Factor!) e una anche per l’ultimo Blues Traveler, Suzie Crack The Whips, e poteva John Popper non ricambiare il favore suonando l’armonica nel disco di Jono?

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Certo che no, e infatti c’è, con il suo suono inconfondibile, in una bella ballata come Silver Lining. Certo saprete delle altre frequentazioni di Manson che è cugino dei fratelli Ethan e Joel Cohen e buon amico di Kevin Costner a cui ha insegnato a suonare la chitarra, con risultati apprezzabili poi riscontrati nei dischi dei Modern West. Ma veniamo alla nuova prova di Jono Manson, questo Angels On The Other Side che si colloca tra i suoi migliori album in assoluto di sempre: c’è rock, c’è blues, alternanza di pezzi tirati e ballate, un pizzico di folk e country, ma soprattutto tante belle canzoni, scaturite evidentemente da un momento di buona ispirazione e poi realizzate con grande perizia in un disco che non ha nulla da invidiare alla grandi produzioni, anzi, con un suono più ruspante, genuino, direi analogico, rispetto al suono sintetico di molti dischi che escono ultimamente anche da parte di artisti da cui ti aspetteresti ben altro, non faccio nomi!

E così scorrono brani come la stupenda ballata iniziale che dà il titolo al disco, Angel On The Other Side, dove alla slide c’è Jay Boy Adams (scusate ma mi scappa la citazione, questo signore ha fatto due album bellissimi tra il 1977 e il ’78, dove appaiono come ospiti Jackson Browne e David Lindley, e si trovano su CD per la Wounded Bird): qualcuno mi ha detto che questo brano gli ha ricordato John Hiatt, e non credo sia un’offesa, non è che uno si sveglia la mattina e dice, cià faccio un brano come John Hiatt, provaci! Honky Tonky On My Mind, presumo con l’aiuto degli ottimi texani Shurman, ha una bella andatura rock and blues, con la chitarra che taglia il brano in due e Jono che canta veramente bene. Altra ballata sontuosa con The Frame dove la pedal steel e il mandolino di John Egenes dettano il suono, per non dire della roccata There’s A Whole World On Fire, grande suono d’insieme e le derive country di un’altra ballata molto bella come Together Again, perfetta american music con un bel dobro a dare il tocco d’autore.

Snowed In è un’altra piccola lezione su come si deve fare della musica rock d’autore (pensate sempre a quel signore che si chiama John, siamo su quei livelli), con un suono chitarristico che è una goduria. Di Silver Lining si è detto, I’m Gonna Get It va giù di brutto, chitarre, chitarre e ancora chitarre. Angelica, altra bella ballata con la bella voce di supporto di Larkin Gayl, non cede di un millimetro come qualità, The Other Yesterday è un buon mid-tempo e niente male neppure la mandolinata Everything In Me, prima della poderosa conclusione con l’eccellente Grateful, che sono certo Levon Helm avrebbe apprezzato e poi l’organo Hammond è da sballo. Ma non è finita, l’edizione italiana Appaloosa, oltre al libretto con testi e traduzioni in italiano contiene anche una bonus track, Never Never Land che è proprio L’Isola Che Non C’è di Edoardo Bennato, solo voce, piano e chitarra acustica, anche questa sarebbe piaciuta a John Hiatt. Tutto l’insieme piace parecchio a noi ascoltatori, e bravo Jono!

Bruno Conti

Conflitto d’interessi?…What?

Credo sia il dubbio che potrebbe sorgere in molte menti, leggendo questa mia recensione – riflessione sul nuovo album di Jono Manson, amico e produttore artistico anche dell’ultima fatica della band di cui faccio parte. Ma sinceramente non credo che questo possa inficiare il mio parere e quindi me ne faccio una ragione e comincio col dirvi che trattasi di ottima musica. La cosa è facilmente deducibile sin dalla title  track che apre l’album, fine ballata in inconfondibile Jono’ style, con un testo evocativo e dolci chitarre a stendere un delicato tappeto sonoro sotto ai versi che, come in buona parte del cd, riflettono il momento di grazia e felicità dell’autore

 

A partire dalla prima strofa emergono l’ottimismo per questo positivo periodo di vita, l’amore per la sua famiglia e per la musica che lo accompagna sempre. Penso che questo brano potrebbe essere inserito in una immaginaria mini-suite, insieme a The Frame, Together Again (la mia preferita ed impeccabile ballata) e Grateful che, in vario modo e con diverse sfumature musicali,  ribadiscono la sensazione di gioia e pace interiore. Mi riferisco in particolare ai testi, alle parole che, malgrado il T9 e tutte le infernali tecnologiche innovazioni del momento, se sono pensate e sentite hanno ancora un importante e fondamentale significato, sia nel ristretto ambito di una canzone, sia nella vita di tutti i giorni. Ma tutti abbiamo (chi più, chi meno) un Honky Tonk In Our Mind, un lato ribelle, al quale va dato ampio margine di manovra, proprio per rimanere sani di mente e sfogarci ogni tanto o anche spesso. E tutto questo malgrado ci sia A Whole World On Fire intorno a noi e si cerchi di salvare almeno qualcosa di buono e di dire qualcosa di giusto. Ballate sapienti come Silver Lining, con un grande e misurato John Popper all’armonica, ma anche del sano R&R, come in Snowed In e I’m Gonna Get It.

 

Una citazione particolare va fatta per Never Never Land, versione inglese del successo di Edoardo Bennato, L’Isola Che Non C’è. Il brano, presente solo nell’edizione italiana dell’album, è rivisitato con gusto ed originalità, voce pianoforte e chitarra acustica, in una personale e sensibile versione, che non mancherà di stupire. Unico mio rammarico è l’assenza di un pezzo come The Man On The Moon che, finito di comporre sul divano di casa mia in un gelido e nevoso mattino di marzo, mi aveva lasciato letteralmente a bocca aperta (*NDB. Rettifica in tempo reale, l’autore dice che il brano nel frattempo è diventato Bring The Man Down, e noi aggiorniamo). Fortunatamente avremo modo di ascoltarlo sia live, nel corso del suo attuale tour italiano, sia nel progetto Brothers Keeper, in uscita in primavera http://www.youtube.com/watch?v=jjCuVOb_VF0 .

jono manson 2

 

Una ennesima conferma del talento di Mr. Manson (*NDB. Qui sopra con l’altro autore dei brani, anzi autrice mi dicono!), con un album che piacerà a tutti i suoi estimatori, ma consigliato soprattutto a chi ancora non lo conosce: vi perdete buona musica, duro lavoro, sincerità e tanta, tanta passione. In chiusura un saluto alla rinata e gloriosa etichetta Appaloosa, sinonimo di musica di qualità, alla quale auguro tutto il meglio.

Jimmy Ragazzon

Un Album Di “Spiriti Liberi” . Walt Wilkins & The Mystiqueros – Wildcat Pie & The Great Walapateya

walt wilkins wildcat pie

Walt Wilkins & The Mystiqueros – Wildcat Pie & The Great Walapateya – Folk Walt CD

Da quando ha avuto la brillante idea di formare i  Mystiqueros (una sorta di “dream team” di musicisti e cantautori texani), Walt Wilkins (di cui su queste pagine ho recensito il precedente lavoro Plenty http://discoclub.myblog.it/2012/07/15/texan-troubadour-walt-wilkins-plenty/  ) non sbaglia un colpo. Il buon Walt dopo aver trascorso anni a scrivere brani poi portati al successo da altri suoi colleghi (i primi due che mi vengono in mente Ricky Skaggs e Pat Green) e pellegrinando per minuscole “indie labels”, arriva al decimo album, il quinto con i fidati Mystiqueros, Diamonds In The Sun (07) che includeva la sua “perfect song” Trains I Missed http://www.youtube.com/watch?v=OGesD7hQLms , Vigil (09), Agave (10), il già citato Plenty (12), arrivando a questo Wildcat Pie & The Great Walapateya (dal titolo alquanto enigmatico e una difficile reperibilità). In questa occasione la line-up del gruppo gira intorno a Ray Rodriguez alla batteria e percussioni,  il basso di Bill Small, con il supporto di Marcus Eldridge e Jimmy Davis alle chitarre, il cantautore Brian Langlinais (è in uscita a breve un disco per l’etichetta italiana Ultrasound Records), oltre ovviamente alla bella moglie Tina Wilkins come vocalist aggiunta.

walt wilkins mystiqueros

Wildcatpie & The Great Walapateya è un disco forte e onesto, dosa con classe brani country-pop come le iniziali Its Only Rain http://www.youtube.com/watch?v=LI_3NXnREsA , King For A Day e Hold Me Tight, il blues-soul di Somebody http://www.youtube.com/watch?v=663C_H57Ecs , tracce di matrice texana quali Love & a Good Buzz, From Here To There, Under The Midnight Sky, Believe http://www.youtube.com/watch?v=85_tq70aAes , l’honky-tonky di Salinda http://www.youtube.com/watch?v=q3JHfJASU8o e If I Had A Little Truck, il ruvido gospel-blues sudista di This Old House, ballate suadenti come She Must Be Out Of Her Mind e Down Where The River Flows, e nelle 17 tracce non potevano mancare “cover” d’autore come Streets Of Baltimore di Harlan Howard (qualcuno ha detto Gram Parsons e Emmylou Harris?) http://www.youtube.com/watch?v=EWIRdvvwioA , il Doug Sahm di Beautiful Texas Sunshine, Give Me Strength di Eric Clapton e quella Dancing In The Moonlight di Sherman Kelly, portata al successo nel lontano ’73 dai King Harvest.

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E’ molto probabile che a Wilkins una band come i Mystiqueros sarà utile pure dal vivo (anche per il suo vecchio repertorio) in quanto tendono ad assimilare e sovrapporre stili diversi, dove una fisarmonica, un piano honky tonk e steel guitars varie producono canzoni che nella poetica di Walt Wilkins equivalgono a uno di quei rari momenti dove le stesse hanno ancora una loro importanza.

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Sicuramente un CD in cui credere, che si fa apprezzare per canzoni scritte e suonate come si deve, anche se ovviamente non se ne accorgerà nessuno.

Tino Montanari

Un Raffinato Quartetto: E Che Voce La Ragazza! Lake Street Dive – Bad Self Portraits

lake street dive bad self portraits

Lake Street Dive – Bad Self Portraits – Signature Sounds

Il recente successo di Inside Llewyn Davis ha scatenato tutto un indotto intorno al film e alla colonna sonora, e in occasione del lancio del film, si è tenuto un concerto “One Night Only” dove alcuni musicisti, invitati da Burnett e dai fratelli Cohen, hanno cantato alla Town Hall di New York brani ispirati da quell’epoca gloriosa. Diventerà un CD/DVD, Another Day, Another Time, più avanti nell’anno (a marzo esce quello del film) ma non è inerente al CD di cui stiamo parlando, se non fosse per il fatto che i Lake Street Dive sono tra coloro che sono stati invitati da T-Bone Burnett per questa serata speciale e questo denota, secondo me, che si tratta di gente di valore http://www.youtube.com/watch?v=np3ru7z-PRE .

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Non fanno folk, ma qualcosa c’è, probabilmente, se non in piccola parte, non fanno neppure il jazz che gli viene attribuito come genere principale, ma fanno un pop assai raffinato e ricco di sfumature soul,  qualche brivido rock, folk e jazz intesi in un’ottica alla Laura Nyro o Carole King, in virtù del fatto che il gruppo ruota tutto intorno alla voce di Rachael Price, che è il motivo per cui questo Bad Self Portraits è così piacevole http://www.youtube.com/watch?v=crqkkXCGMyk . Non la solita da voce da cantante o cantautrice triste e malinconica che va per la maggiore al momento (e al sottoscritto ce ne sono molte che piacciono, è un genere che frequento con piacere, quindi non è una critica), quanto una bella voce pimpante, con dei piccoli timbri gutturali, di gola, alla Tony Childs, (ricordate?), oppure quelle voci bianche, ma innamorate della musica nera, un blue eyed soul semplice ma movimentato, musica che ha dei ritmi  vivaci e mossi, frutto di parecchi anni on the road, dove hanno affinato lo stile, portato alla luce da metà anni 2000, in quel di Boston, Massachusetts, con alcuni album, quattro in tutto, dove lentamente ma con progressi costanti, sono passati dalla indie jazz band degli inizi, al raffinato quartetto che pubblica questo nuovo lavoro per la Signature Sounds, probabilmente il loro migliore fino ad ora.

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Il disco è stato registrato in uno studio di una piccola cittadina del Maine, Parsonsfield, meno di 2.000 anime, mentre, come raccontano nelle note, un piccolo terremoto per fortuna innocuo si abbatteva sui dintorni del piccolo borgo. Non so se il tutto abbia contribuito a dare una piccola scossa alla loro creatività, ma il prodotto che ne è uscito è estremamente piacevole: il loro amore per il soul, la musica di Hall & Oates, i Beatles e in particolare Paul McCartney, i Fleetwood Mac, i Mamas and Papas, i Drifters, i primi Jackson 5 (su YouTube circola un video, dove, all’impronta, per le strade di Brighton, Ma., improvvisano una versione di I Want You Back http://www.youtube.com/watch?v=6EPwRdVg5Ug ), tutto questo confluisce nel CD, che non sarà di quelli che fanno svoltare la storia della musica, ma per chi ama tutti i nomi citati potrebbe essere una piacevole sorpresa.

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La Price è la frontwoman della band, e i tre musicisti che completano il gruppo scrivono tutto il materiale, Mike “McDuck” Olson, che oltre alla chitarra, suona anche tromba, trombone e piano, la bassista (anche al piano) Bridget Kearney, forse l’autrice principale e alla batteria Mike Calabrese, tutti contribuiscono al sound strumentale e vocale che è raffinato il giusto, senza eccessi. In effetti la Price ha anche una carriera parallela come cantante jazz, ma qui il pop-soul più gioioso impera: la Kearney al contrabbasso e Calabrese alla batteria “swingano” a tempo di rock-soul sin dall’iniziale title-track, giravolte di piano e chitarra, ambientazioni sudiste, accenni di doo-wop, la voce squillante di Rachael http://www.youtube.com/watch?v=nCHiB1IymBQ , ancora intrecci vocali beatlesiani in una Stop Your Crying ricca di energia 60’s. Better Than è soul music divina, con un organo in sottofondo, la voce di gola della Price e un assolo di tromba di Olson delicatissimo. Rabid Animal ricorda il miglior Billy Joel degli anni ’70 con un pianino insinuante http://www.youtube.com/watch?v=zSDeO66VxL8  mentre You Go Down Smooth ha l’energia irrefrenabile di Walking On Sunshine di Katrina And The Waves http://www.youtube.com/watch?v=GfOkqLxjaMI .

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Use Me Up si appoggia sul fantastico contrabbasso della Kearney e sulle tastiere di Sam Kassirer, il produttore del disco, che aggiunge dei piccoli tocchi di genialità al suono d’assieme della band. Anche Bobby Tanqueray ha quel suono volutamente retrò e arrangiamenti pop raffinatissimi, studiati per valorizzare la voce di Rachael Price. Just Ask avreste potuto trovarla su Back To Black di Amy Winehouse, con la voce che ha la stessa intensità della scomparsa cantante inglese, tonalità quasi perfette. Seventeen è un’altra costruzione sonora semplice e complessa al tempo stesso, con voci e strumenti che si incastrano alla perfezione e in What About Me, per una volta si fanno più aggressive, prima di lasciare spazio ad una ballata pianistica molto McCartney come Rental Love http://www.youtube.com/watch?v=5wUvzfz6F-A . Se vi piacciono le bravi cantanti e il pop raffinato qui troverete pane per i vostri denti!                                                                    

Bruno Conti

Non Tutte Le “Zucche” Sono Vuote! The Gourds – All The Labor

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The Gourds – All The Labor – Soundtrack – High Plains Films – CD – DVD

Sebbene mi sforzi, non riesco a pensare a un album non riuscito tra gli undici pubblicati dai texani Gourds, in diciotto anni di carriera (dal 1996 a oggi). Cominciano subito col dire che questa band proviene da Austin, Texas (il che è già una garanzia) e hanno cominciato a fare musica dai primi anni ’90, diventando col tempo un gruppo perfettamente rodato nel cosiddetto country alternativo texano, dei veri e propri veterani della scena di Austin, da cui hanno imposto il proprio stile, un roots-rock poliedrico e festoso, nonostante le loro radici siano ancorate alla tradizione (si sono ispirati a personaggi come Doug Sahm e Lowell George). Il nucleo del gruppo è formato da Kevin Russell, Max Johnston, Keith Langford (omonimo del cestista dell’Olimpia Milano), Claude Bernard e Jimmy Smith, hanno esordito con periodici lavori tra cui vi ricordo Dem’s Good Beeble (96), Stadium Blitzer (98), Ghosts Of Hallelujah (99)e Bolsa De Agua (00) dedicato al citato Doug Sahm, disco che include melodie con fisarmoniche e violini che sanno di tex-mex, e che naturalmente risentono del vicino confine messicano. Nella seconda decade le “zucche” sono ripartite con Cow Fish Fowl Or Pig (02), Blood Of the ram (04), Heavy Ornamentals (06), Noble Creatures (07), l’ottimo Haymaker (09) e l’ultimo lavoro in studio Old Mad Joy (11), un disco di transizione (con una copertina improponibile).

gourds

Questo All The Labor, stranamente, è il primo disco dal vivo di questa formazione, ed è il risultato di un film musicale (finanziato con il sistema della Kickstarter Campaign http://www.youtube.com/watch?v=tl9STjTJOGU) girato in più date nel corso del tour svoltosi fra il 2011 e 2012, con diciotto brani catturati a formare una perfetta colonna sonora, che vuole anche essere un bilancio della carriera. Ho sempre pensato che certe formazioni rendano al meglio nei concerti dal vivo, ed è questo il caso dei Gourds, quando la musica ruspante, e la contagiosa energia e il piacere della band di fare rock, si tramuta in versioni irresistibili di brani del primo periodo come Gangsta Lean, Pint Tar Ramparts, Jesus Christ With Signs Following, Maria, Plaid Coat, e brani del repertorio più recente (estratti da Old Mad Joy), quali Peppermint City, Melchert, Eyes Of A Child, Your Benefit, per chiudere in gloria con l’inedito All The Labor.

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“La grande bellezza” (citazione di moda in questo periodo) di questo documentario http://www.youtube.com/watch?v=x2fao5BSVzk , si manifesta nei ritmi sostenuti di Keith Langford, negli accenti cajun della fisarmonica di Claude Bernard, del banjo e violino di Max Johnston e soprattutto nella voce e nel mandolino di Kevin “Shinyribs” Russell, (il leader riconosciuto della band), senza tralasciare le chitarre elettriche, e dove la varietà del suono, in diverse forme, rappresenta il loro punto di forza. Dischi così fanno bene alla salute, non resta che pagare lo scontrino del CD o DVD, sedersi sulla poltrona, premere il tasto play del lettore, e scoprire che il divertimento è appena cominciato.

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NDT: Kevin Russell sotto lo pseudonimo di Shinyribs ha inciso due interessanti lavori solisti, Well After Awhile (2010) e Gulf Coast Museum (2013):  nel primo si trova una cover del classico A Change Gonna Come del grande Sam Cooke, in versione acustica con ukulele e mandolino.

Tino Montanari

*NDB. Last but not least, il nome dei Lowlands di Ed Abbiati viene dal titolo di una canzone dei Gourds.

Vecchie Glorie Sempre In Gran Forma, 2. Kim Simmonds And Savoy Brown – Goin’ To The Delta

kim simmonds and savoy brown goin' to the delta

Kim Simmonds And Savoy Brown – Goin’ To The Delta – Ruf Records/Ird

Come nel caso del disco dei Wishbone Ash, anche i Savoy Brown ruotano da molti anni intorno alla figura di un musicista, il chitarrista Kim Simmonds, fondatore della band nel lontano 1965 (quindi quasi 50 anni fa) quando il British Blues muoveva i primi passi (sì è vero c’erano già stati Cyril Davies e Alexis Korner) con l’avvento di band come i Bluesbreakers di John Mayall, con Eric Clapton alla solista, già con gli Yardbirds, che insieme a Stones, Animals, Pretty Things e molti altri, si erano fatti portavoce del blues e del R&R nero presso il grande pubblico inglese, “bastardizzando” il classico suono della Chess e degli altri artisti di Chicago, con un vigore che da lì a poco avrebbe dato vita al British blues-rock prima e all’hard rock poi. I Savoy Brown (con Ten Years After, Chicken Shack, Fleetwood Mac) furono uno dei primi gruppi a realizzare dischi di quello che loro consideravano la versione europea del suono di Chicago e della zona del Delta del Mississippi, e in questo senso i primi dischi, Shake Down e Getting To The Point, con Chris Youlden, voce solista, Bob Hall al piano e Martin Stone e in seguito “Lonesome” Dave Peverett alla seconda solista, sono ancora oggi dei grandi dischi di Blues, dove la reinterpretazione di classici delle dodici battute si alternava a brani originali firmati da Simmonds e dagli altri.

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Proprio Simmonds raramente viene ricordato tra i grandi axemen di quella era gloriosa, ma invece è stato uno dei chitarristi migliori dei quegli anni, rigoroso ma ricco di inventiva, capace di suonare in punta di vita, con uno stile quasi jazzato e poi di cavare dal manico della sua chitarra note dure ed incattivite che sarebbero state il preludio alla svolta rock-blues degli anni successivi. Con questo Goin’ To The Delta, dopo gli ottimi Voodoo Man e il disco dal vivo http://discoclub.myblog.it/2013/05/08/era-l-ora-savoy-brown-songs-from-the-road/ , Kim decide di tornare sul “luogo del delitto”, il Delta e la musica di Chicago sono gli spunti da cui parte questo nuovo CD, ma l’approccio è inconsueto, nessuna cover ma tutta una serie di brani firmati dallo stesso Simmonds sulla falsariga del blues classico, suonati con una formazione a tre, solo il bassista Pat De Salvo e il batterista Garnett Grimm ad accompagnarlo. Ed i risultati sono molto buoni, Simmonds non è mai stato un cantante formidabile, ma in quasi mezzo secolo di carriera sui palchi di tutto il mondo ha sviluppato una voce diciamo adequata, abbondantemente controbilanciata dal suono della chitarra che è viva, tagliente e pimpante come poche volte nel corso degli ultimi anni della sua carriera (i due dischi appena citati esclusi).

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L’iniziale Laura Lee mette subito le cose in chiaro, le classiche 12 battute del Chicago Blues più elettrico con una chitarra fluida e pungente come si confà allo stile di Simmonds http://www.youtube.com/watch?v=bTWntcoxjE8 , una parte cantata che viene dal songbook immaginario dei grandi autori neri e la verve e la grinta che i bianchi, che non dovrebbero saperlo suonare, secondo gli stereotipi della critica, hanno aggiunto al blues stesso. Sad News rallenta i tempi ma non l’intensità del lavoro della solista, uno slow blues di quelli duri e puri che era facile trovare nei primi anni della Savoy Brown Blues Band. Nuthin’ Like The Blues alza la quota rock del sound del trio e ci riporta al suono più grintoso del periodo “americano” della band http://www.youtube.com/watch?v=muLScTsbcCU , impressione confermata da uno strepitoso strumentale come Cobra, un boogie blues modellato sulle migliori performances degli ZZ Top, quasi cinque minuti di pura forza chitarristica dove Kim Simmonds ci delizia con tutti i “trucchi” e i virtuosismi del miglior blues-rock elettrico, grandissimo brano, una potenza devastante! When You’ve Got A God Thing http://www.youtube.com/watch?v=_k6_z0UT7GM  e Backstreet Woman si impadroniscono dei ritmi più funky del Blues di Albert King, più groove e basso in bella evidenza, ma con la solista sempre in grado di disegnare assoli ricchi di feeling e mordente.

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Goin’ To The Delta è un altro classico esempio del sapido blues elettrico che usciva dai fumosi locali della Wind City nei gloriosi anni ’60 (e anche da locali come il Marquee e il Klooks Kleek nella Londra dello stesso periodo) http://www.youtube.com/watch?v=mOEBKYIiYvs .Just A Dream è il classico slow blues che non può mancare in un disco che vuole rievocare quel periodo di grande creatività, mentre Turn Your Lamp On introduce elementi R&B e R&R, altri pilastri della musica di quel periodo qui ripresa con il giusto piglio, anche se tra le pieghe dei brani, ovviamente, si respira una aria di déjà vu che non sempre il lavoro della solista di Simmonds può redimere, ma ci prova alla grande. In I Miss Your Love, un altro slow cadenzato e ricco di atmosfera, Kim si cimenta con profitto anche alla slide http://www.youtube.com/watch?v=E9Oc_wUQkuE  per tornare al Chicago blues di Sleeping Rough, forse un po’ ripetitiva: in fondo non stiamo parlando di un capolavoro ma di un buon lavoro indirizzato soprattutto agli amanti del genere, come conferma la conclusiva Going Back, altra escursione nei percorsi collaterali del R&B, sempre punteggiati dalla solista, precisa e puntuale, del nostro amico Kim, che non ha perso la verve dei giorni migliori. Un ennesimo onesto ritorno per una della firme storiche del “blues bianco”!

Bruno Conti