Anche Il Blues Svedese Mancava All’Appello! T-Bear And The Dukes – Ice Machine

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T-Bear And The Dukes – Ice Machine – Self Released

Devo dire che in tanti anni di milizia recensoria mi mancava il disco del gruppo blues svedese (anzi Svezia ai confini con la Norvegia), formazioni progressive, psych, rock classico, cantautori e cantautrici, da Bo Hansson in giù, non mi erano nuovi, ma i fautori delle 12 battute non c’erano nell’album delle figurine (o almeno non ricordo, in decine di migliaia di ascolti nel corso degli anni): americani, inglesi (con irlandesi al seguito), australiani. olandesi, francesi, tedeschi, italiani, brasiliani, africani, danesi e tantissime altre nazionalità di bluesmen, ma gli svedesi no. Eppure mi sono fatto un giro in rete e ho visto che alla voce “swedish blues bands” se ne trovano parecchie, ma tutte mai sentite, almeno per il sottoscritto.

 

Ora colmo questa lacuna con i T-Bear And The Dukes, formazione che è già al terzo album, il primo con la nuova formazione senza i fiati, il classico trio con tastierista aggiunto, quindi un quartetto secondo logica : il leader è tale Torbjorn “T-Bear” Solberg, voce, chitarra solista e piano, nonché autore dei brani, gli altri non li citiamo, perché, a parte le loro mamme, non so a chi possa interessare. Il cognome mi dice qualcosa, nel senso che James Solberg, forse un lontano discendente degli avi svedesi che portano lo stesso cognome, il blues, con Luther Allison e da solista, l’ha frequentato con profitto per molti anni, ma sto divagando come al solito (non sembra, ma me ne rendo conto, potrebbe anche essere voluto, pensa te!). Si tratta di un disco formidabile, questo Ice Machine, uno di cui non si può fare assolutamente a meno? Direi di no.

Però è un disco solido e onesto (si dice così!), lui ha un bel “tocco” di chitarra, una bella voce, il gruppo se la sbriga con efficienza nei vari stili del blues: alla rinfusa, blues tirati come la cover di Let Me Love You, dove la voce, che ha qualche grado di parentela con quella di Chris Farlowe, brilla, e la chitarra pure, sarà perché il brano porta la firma di Willie Dixon ? O il sound tra Santana e Ronnie Earl della brillante Things Ain’t Like They Seem. Sempre a proposito di Earl, il breve strumentale posto in apertura, Intro:To be continued è su quella lunghezza d’onda, mentre Why Don’t You Stop ha qualche aggancio sonoro con il rock californiano dei primi Doobie Brothers, Same Old Tricks è il classico electric blues Chicago Style, con una bella chitarra pungente e la voce grintosa del leader, Ain’t Gone ‘n Give Up On Love, è l’immancabile slow blues, un omaggio a Stevie Ray Vaughan che l’ha scritto, anche se il texano aveva ben altra consistenza, Solberg se la cava più che bene https://www.youtube.com/watch?v=7q_Nk8ayhAU . La title-track è il classico strumentale after-hours jazzato, chitarra-organo, in cui Ronnie Earl appunto è maestro negli ultimi anni. Come è pure strumentale la ritmata Choke Dog ancora con l’ottimo interplay solista-organo, niente da strapparsi le vesti, ma estremamente piacevole, molto da piccoli club dove fare le ore piccole con qualche drink, ma non entrerà nella storia del blues (neppure con la b minuscola, anche se è ben suonato)! Che altro? Una Hard To Believe che anche per la voce di Solberg può ricordare certe cose dei Colosseum e del british blues in generale, una Come Back Baby piacevole anche se abbastanza scolastica e Church Blues un altro lento strumentale, con il solito interplay chitarra-organo, un po’ alla camomilla forse.

Bruno Conti

Anche Il Blues Svedese Mancava All’Appello! T-Bear And The Dukes – Ice Machineultima modifica: 2014-05-03T19:38:56+02:00da bruno_conti
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