La “Cura” E’ Sempre Eccellente! Old Crow Medicine Show – Remedy

old crow remedy

Old Crow Medicine Show – Remedy – ATO Records

A meno di due anni da Carry Me Back di cui vi avevo puntualmente riferito sul Blog http://discoclub.myblog.it/2012/08/22/nostalgici-del-futuro-nel-passato-old-crow-medicine-show-car/, e da cui potete recuperare eventuali altre notizie sulla band, tornano gli Old Crow Medicine Show, con il nuovo album Remedy, che vede il ritorno in pianta stabile nel gruppo di Critter Fuqua, che peraltro aveva partecipato da “esterno” anche ai due precedenti, riportando la formazione al classico sestetto (o forse settetto?). In copertina la bandiera del Tennessee, quasi a significare un atto di amore per la loro nuova residenza (i sei/sette vengono un po’ da tutti gli Stati Uniti e si erano incontrati in quel di New York, dove grazie all’aiuto di Doc Watson era partita la loro carriera, a cavallo del nuovo secolo). Un altro personaggio importante si affaccia sulle loro traiettorie periodicamente: un certo Bob Dylan, che già sull’omonimo album di debutto aveva regalato alla band un brano inedito, Wagon Wheel, che li aveva fatti conoscere al grande pubblico e che, a tutt’oggi, è una delle canzoni migliori del repertorio degli OCMS.

Ma il buon Bob evidentemente ha sviluppato una passione irresitibile per il gruppo: infatti anche per il disco di quest’anno ha spedito il testo di una nuova canzone, Sweet Amarillo, completo di istruzioni su quali strumenti utilizzare, meno armonica e più violini, il ritornello dopo la 16a battuta, mi raccomando. Inutile dire che il brano, completato da Ketch Secor e Critter Fuqua, è uno dei migliori, probabilmente il migliore del disco, un pezzo che accoppia gli abituali bluegrass e otm dei “Crow” con sfumature cajun e la classifica andatura del miglior Bob Dylan campagnolo, i violini ci sono, quelli di Chance McCoy e Ketch Secor, un “friccico” di fisarmonica a cura di Fuqua, banjo, mandolino, chitarre, contrabbasso e anche una inconsueta batteria, raramente presente nella strumentazione, per segnare il tempo da valzerone della canzone, che più la ascolti più ti piace, magari meno orecchiabile di Wagon Wheel ma di piacevole impatto https://www.youtube.com/watch?v=PMNUCD9US5I . Un’altra caratteristica tipica di questa formazione è sempre stata quella dell’utilizzo di produttori di provata qualità: David Rawlings per i primi due, poi Don Was e, per gli ultimi due dischi, Ted Hutt. E anche se qualcuno sembra non gradire una certa patina, minima, di “contemporaneità” fornita da Hutt, al sottoscritto il sound, anche di questo nuovo album piace, un poco quello che è stato fatto, con le dovute differenze, da Rick Rubin con gli Avett Brothers.

Diciamo che il fatto che i componenti vadano e vengano, a compensare il rientro di Fuqua Willie Watson ha iniziato una carriera solista con Folk Singer Vol.1 https://www.youtube.com/watch?v=b5ukmBguMzYrende i lavori degli OCMS più vari e meno prevedibili. Anche Brushy Mountain Conjugal Trail, dal testo salace e divertente ha un approccio musicale ed un tipo di suono che sembra uscire dai solchi del Dylan nashvilliano di Blonde On Blonde, tra armonica e piano che si fanno largo nel consueto tappeto di mandolini,chitarre acustiche e dobro, tipico del gruppo, e pure il cantato è decisamente “ispirato” dal vecchio Bob https://www.youtube.com/watch?v=PiBXPWZnOyE . I vecchi fans non si preccupino, i frenetici breakdowns a ritmi frenetici, con violini, banjo e tutti gli ingredienti del bluegrass vecchio e nuovo che ti arrivano addosso come treni, non mancano, a partire da una 8 Dogs 8 Banjos che è un programma fin dal titolo. E non mancano neppure quelle ballate struggenti, tipiche del loro repertorio, come la meravigliosa e malinconica Dearly Departed Friend, una piccola meraviglia di strumentazioni parche e armonie vocali stupende (che sono presenti comunque in tutto il disco, un marchio di fabbrica), un esempio di country ballad perfetta, con pedal steel e batteria discreta che si integrano nel suono acustico tipico dei nostri amici. Mean Enough World,  viceversa, è un’altra sarabanda a tutta velocità, con armonica, voci, banjo e contrabbasso che si intrecciano in acrobatiche combinazioni.

Firewater è una ulteriore dimostrazione della loro dimestichezza con le canzoni country, anche quelle che prevedono una bella costruzione armonica, non solo velocità frenetiche e virtuosismi a pié sospinto, ma anche gusto per la melodia e delicate nuances sonore. Però li puoi tenere fermi giusto  per quei tre minuti, poi le mani riprendono a viaggiare sugli strumenti come se le loro vite e quelle degli ascoltatori dipendessero dal divertimento che riescono a generare, come nelle evoluzioni di Brave Boys. Doc’s Day è un sentito omaggio al loro vecchio mentore, Doc Watson, un brano che ha mille profumi, bluegrass, folk, old time, blues, hillbilly e tutti gli ingredienti di quella che viene comunemente definita country music, divertente e coinvolgente, suonata con gran classe, non puoi fare di muovere il piedino a tempo con la musica. O Cumberland ci porta dalle parti degli Appalachi e del folk old time, tra violini, banjo, dobro, l’immancabile armonica e sonorità acustiche che confermano la loro adesione alla tradizione della musica popolare americana. Ribadite in una Tennessee Bound che è un peana e un’ode allo stato che li ospita e da cui gran parte della musica che si ascolta in questo Remedy ha avuto le sue origini e la sua consacrazione.

Notevole anche Shit Creek, ancora un esempio della bravura degli Old Crow Medicine nel calarsi fino in fondo nei meandri della musica country ed uscirne sempre con qualcosa di originale e ricco di spunti, qui sono le derive folk del cantato corale e gli indiavolati interscambi tra i violini, il banjo e tutto il restanti elementi sonori della band. Anche un pizzico di western swing in Sweet Home per ulteriormente movimentare e differenziare i contenuti dell’album, prima di accomiatarsi con una intensa The Warden che li accomuna con i loro amici di oltreoceano, Mumford and Sons, con cui hanno condiviso un tour, in giro per l’America in treno, sul Big Express. quei brani maestosi ma semplici al tempo stesso, che si riappropriano della grande tradizione musicale, in questo caso americana, e, senza stravolgerla troppo, la fanno conoscere alle nuove generazioni, senza dimenticarsi delle “vecchie”, che approvano incondizionatamente (sto annuendo(. Niente di nuovo sotto il sole, però anche stare lì e prenderlo richiede quantomeno una certa classe! Esce domani, se volete fare un ascolto nel frattempo http://www.npr.org/2014/06/22/322596225/first-listen-old-crow-medicine-show-remedy

Bruno Conti

L’Avete Chiesto Voi? Rick Estrin And The Nightcats – You Asked For It…Live

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Rick Estrin And The Nightcats – You Asked For It…Live – Alligator 08-07-2014

Non so se abbiamo proprio chiesto per averlo (voi lo avete fatto? Io no, o non me ne sono accorto), comunque un bel CD dal vivo di Rick Estrin And The Nightcats è sempre cosa gradita. Si tratta ovviamente del primo Live del gruppo, che in anni recenti, con la nuova ragione sociale, ha prodotto solo un paio di dischi in studio, entrambi molto buoni e fedelmente riportati da chi scrive (http://discoclub.myblog.it/2012/07/13/e-intanto-l-alligator-non-sbaglia-un-disco-rick-estrin-and-t/) , ma la dimensione concertistica ha sempre un suo fascino particolare, soprattutto per ciò che concerne il blues e dintorni, ma anche in generale. Per parafrasare un famoso disco di Jimmy Buffett, You Had To Be There, ma anche se non c’eravate il surrogato del disco rende bene l’idea e se qualcuno ha chiesto per averlo una ragione ci sarà pure stata. Oltre a tutto, anche come Little Charlie And The Nighcats, quando Charlie Baty era ancora il leader della formazione, non usciva un Live dal lontano 1991. Dei vecchi, a parte Estrin, non c’è più nessuno, ma sound ed etichetta, la Alligator, sono sempre quelli. Quindi ben venga questo You Asked For It…, pimpante album che ci permette di gustare una formazione al top della forma, con l’armonicista e cantante Rick Estrin (in occasione del suo 64° compleanno si è registrato questo disco al Biscuits And Blues di San Francisco, sua città natale) che divide gli spazi solisti con l’ottimo Christoffer “Kid” Andersen, chitarrista norvegese che ad ogni disco si conferma sempre più come uno dei migliori al suo strumento (l’erede, se e quando vorrà ritirarsi, di Jimmie Vaughan, o comunque un suo pari) e con Lorenzo Farrell, il bassista, che opera anche all’organo e al Moog conferendo al sound una maggiore varietà di opzioni e J. Hansen, batterista dallo swing quanto mai accentuato.

Il pubblico apprezza e si diverte, anche per i divertenti siparietti e presentazioni che un “vecchio” gigione come Estrin ha metabolizzato in oltre 40 anni sui palchi di mezza America. Prendete la presentazione di My Next Ex-Wife, anche con qualche parolaccia “bippata”, mette il pubblico nella giusta predisposizione per gustarsi il brano al meglio, su un groove funky che avrebbe reso orgoglioso l’Isaac Hayes più nasty dei tempi di Shaft, Rick racconta le disavventure del suo divorzio, ma poi la band cattura un mood Stax anni ‘70 dove l’organo di Farrell, la chitarra in overdrive di Andersen, molto hendrixiana e l’armonica di Estrin fanno meraviglie, grande gruppo .

Ma già dalla partenza, con il classico “Are You Ready For The Blues” che introduce una fulminante Handle With Care, dove il materiale è veramente da maneggiare con cura, si capisce perché la formazione è considerata tra le migliori della Bay Area ed il suo leader spesso candidato come miglior armonicista ed Entertainer ai Blues Music Awards, senza dimenticare il fantastico l’assolo di Kid Andersen, un miracolo di equilibri sonori, in bilico tra R&R e Blues  Non tutto il disco è così scintillante, ma anche la divertente New Old Lady, molto Blues Brothers, e comunque tipica delle revue anni cinquanta e sessanta dove blues, rock and roll, soul, R&b e divertimento si intrecciavano con gusto sopraffino. O una New Old Lady, funky blues d’annata si accoppia con le classiche dodici battute di Baker Man Blues, cantate con grande aplomb dal batterista J. Hansen, che ha anche scritto il pezzo.

Trascinante anche il ritmo scandito nella poderosa Keep Your Big Mouth Shut o nello shuffle della divertente Smart Like Einstein per poi rallentare in That’s Big, anche questa preceduta da una lunga introduzione di Estrin, sempre istrionico e buffo nelle sue divagazioni, ma poi è blues, swingato e classico, prima di tuffarsi in una divagazione country, come You Gonna Lie, dove Johnny Cash sposa i Blasters e Kid Andersen estrae dal cilindro (fate conto che lo abbia) una lunga improvvisazione sulla sua chitarra che è da ascoltare per crederci, micidiale, rockabilly boogie, con la solista che si inerpica su territori che furono cari al Danny Gatton più funambolico, prima di lasciare il giusto spazio ai brevi assolo della sezione ritmica . A proposito di Blasters, uno slow blues con uso d’organo come Never Trust A Woman porta la firma di Rick Estrin e Dave Alvin e avrebbe fatto un figurone su Super Session con ancora un maiuscolo lavoro di Andersen alla solista https://www.youtube.com/watch?v=RjdaBBxa5Cc . Dump That Chump, richiesta a gran voce dal pubblico. è un altro dei cavalli di battaglia dei Gattoni Notturni, e Don’t Do It sembra un brano dei migliori Fabulous Thunderbirds mentre la conclusiva Too Close Together, un brano di Sonny Boy Williamson, solo un contrabbasso ad accompagnare l’armonica di Estrin, è l’occasione per ascoltare un maestro al lavoro, avete presente Room To Move su The Turning Point di John Mayall? Siamo da quelle parti https://www.youtube.com/watch?v=d6gPtj-LA-s . Settantacinque minuti che passano in un baleno!

Bruno Conti

Sempre Da Genova E Dintorni, Con Passione! La Rosa Tatuata – Scarpe

la rosa tatuata scarpe

La Rosa Tatuata – Scarpe – Club De Musique/IRD

Continuiamo questo excursus su alcune uscite discografiche di musicisti italiani rock “indipendenti”, in tutti i sensi, ma soprattutto dal mainstream della musica leggera italiana. Di solito nel Blog, come avrete notato, non appaiono, per usare un eufemismo, molti dischi cantati in italiano,  artisti del Bel Paese, soprattutto ultimamente, alcuni ne passano, anche perché fa piacere spargere ll verbo della buona musica e di alcuni di questi album mi hanno chiesto di parlarne, quindi, se mi piacciono, provvedo più che volentieri, se no non ne sentireste neppure parlare, le recensioni negative non mi piacciono, piuttosto lascio perdere. Giusto ieri, sul Blog, avete visto la recensione del disco di Paolo Bonfanti e Martino Coppo, ebbene tutti e due sono presenti anche in questo Scarpe della band genovese La Rosa Tatuata, il secondo ospite al mandolino in un brano, Tutto quello che arriverà, il primo come co-produttore storico del gruppo, ma anche come musicista e cantante aggiunto nel nuovo disco. E’ una collaborazione che risale a molti anni indietro, quando nel gruppo militava ancora il membro fondatore della band, Max Parodi, scomparso nel 2008 per un infarto, a soli 38 anni https://www.youtube.com/watch?v=aTlkAPyicY4 . Bonfanti, genovese pure lui, ha prodotto i tre precedenti lavori della band, Al Centro Del Temporale del 1998, Bandiera genovese del 2001 e Caino del 2006. Ma il gruppo esisteva già dal 1992, e nel 1993, tra una collaborazione e l’altra con Bonfanti e Massimo Bubola, aveva già pubblicato un primo mini-album, Prigionieri del rock & roll, dove, almeno nel titolo, ma non solo, si respirava aria di Bruce.

la rosa tatuata

Proprio il rock classico americano, la scuola dei cantautori genovesi, ma anche veronesi (Bubola viene da lì), il combat folk-rock di gente come Modena City Ramblers e Gang (con cui hanno collaborato in passato) sono tra le influenze vestite con orgoglio dalla band, che nel corso degli anni ha avuto vari cambi di organico, alcuni forzati ed immagino abbia dovuto fare anche i conti con la difficile situazione del mercato discografico, sempre più deteriorata con il passare del tempo, otto anni tra un disco e l’altro non sono uno scherzo, comunque ce l’hanno fatta e questo nuovo Scarpe è un buon esempio di rock che è sì in italiano, ma allo stesso tempo di chiara matrice anglosassone https://www.youtube.com/watch?v=Y-m-K7bBmZk . Terre Di Confine, con Bonfanti ai cori, Bongianino alla fisarmonica, Claudio De Angeli dei Birkin Tree alla chitarra acustica, ha un sound che mescola folk, la canzone d’autore di Bubola, De Andrè, Guccini con il classico rock di Pogues, Steve Earle, i Men They Couldn’t Hang e certe cose più rock dei Modena City Ramblers. Ogni Notte D’estate, è un brano decisamente più rock, suono tra Mellencamp e Springsteen, sempre con in evidenza la bella voce di Giorgio Ravera, che oltre ad essere l’autore di testi e musiche, suona l’elettrica ed è il leader del gruppo, ben spalleggiato da Massimo Oliviero, l’altro chitarrista, qui anche al mandolino, che ingentilisce il sound della canzone, con un bel groove del basso di Nicola Bruno e della batteria di Massimiliano Di Fraia, a completare e a fare da collante anche l’organo di Andrea Manuelli. Ancora rock arrembante in Bei tempi andati, l’unico brano che porta la firma di Bonfanti, che la canta con Ravera e Filippo Sarti, forse siamo dalle parti del primo Ligabue e la musica del Boss, ma anche del Bubola più rockeggiante: ovviamente queste sono solo suggestioni e indicazioni suggerite al sottoscrito dall’ascolto, per una musica che ha comunque una sua dignità e un suo valore personale, simpatici i campionamenti di quella che sembra una tuba e il suono delle campane.

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Ancora rock incalzante per In Piena Luce, un bel testo poetico che parla di amori, viaggi marinari (sono pur sempre genovesi) e con un bel tappeto di chitarre elettriche ed acustiche ed un ritmo che può ricordare i primi Dire Straits di Mark Knopfler, sempre per dare dei punti di riferimento, non prendeteli per oro colato, solo come impressioni assolutamente personali di chi scrive. Molto bella Aprimi Le Ali, forse il brano migliore del disco, una ballata lirica, energica e ad ampio respiro, con la pedal steel di John Egenes (che ricordo in quasi tutti i dischi di Eliza Gilkyson ma anche con Jono Manson) e il sax di Sarti, che galleggiano sull’organo di Manuelli, mentre Ravera fornisce una delle più convincenti prove vocali dell’album https://www.youtube.com/watch?v=zM9yHLqdh9Q . Poi arriva il rock molto riffato e quasi sudista di In Fondo Allo Specchio, con Ravera e Bonfanti che si sfidano a colpi di solista e con l’armonica che fa capolino qui e là. Ancora rock italiano d’autore in una Tutto Quello Che Arriverà, arricchita dai mandolini di Coppo che aggiungono un’aria quasi country alle procedure, potremmo quasi definirla roots music italo-americana, per quella frammistione tra melodie nostrane e la tessitura musicale di tipico stampo rock. A Non C’è Più Fame partecipano David Frew,  vecchia chitarra solista degli irlandesi An Emotional Fish, band storica di inizio anni ’90 (quelli di Celebrate, la ricordate? Per i fans di Vasco, Gli Spari Sopra) e Trevor, cantante della band death metal genovese dei Sadist (?!), per un brano rock dalle ambientazioni sonore invece particolarmente raffinate.

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Danzando con i tuoi demoni, con il suono di varie chitarre stratificate che lo caratterizza, è una sorta di ballata mid-tempo, qualcosa che ricorda il giro soul di People Get Ready che poi si espande in un bel pezzo rock dalle melodie insinuanti, mentre Il Giardino Delle Rose Giganti, il brano dal testo più raffinato, ricercato e poetico, è anche una delle canzoni più ricche a livello sonoro, con un bell’intreccio di organo, pedal steel e chitarre varie. Scarpe è una specie di boogie R&R all’italiana, con tanto di pianino da saloon, a cura di Enrico Carpaneto,  mosso e divertito nella sua semplicità di fondo. Tutti cercano, di nuovo con in primo piano la fisarmonica di Bongianino, è una sorta di quadretto acustico e poetico alla Fabrizio De André, dolce e sognante, per concludere degnamente un piacevole disco, ricco di passione e impegno, probabilmente non salverà le sorti della discografia mondiale, ma mi sento di consigliarlo in quanto è in grado di garantire agli ascoltatori trequarti d’ora di onesto intrattenimento e nel desolante panorama italico attuale già non è poco!

Bruno Conti 

Ma Sono Veramente Italiani? Paolo Bonfanti & Martino Coppo – Friend Of A Friend

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Paolo Bonfanti & Martino Coppo – Friend Of A Friend – Felmay

Mi sono fatto la domanda nel titolo (una variazione di quello usato per il  disco solo di Paolo) e, come prevede il “codice Marzullo”, mi do anche la risposta. Dai nomi, ovviamente sì, sono italiani, anzi genovesi e quindi propensi alla ricerca di nuovi e vecchi territori, ma dalla musica che esce dai solchi (sia pure virtuali) di questo Friend Of A Friend non si direbbe. In ogni caso, per quello che possiamo ascoltare in questo album, si dovrebbe parlare, se ci piacciono i paroloni, di afflato internazionale: Bonfanti e Coppo (o chi per essi) sul CD ci consigliano di catalogare il contenuto sotto la voce American Roots Music, quel genere che congloba bluegrass, country, blues, folk, cajun e la musica d’autore, e non si sbagliano. Fin qui nulla di strano, lo fanno in tantissimi. Il problema sta nel farlo bene, e loro lo fanno, come dimostra l’attività solista di Paolo Bonfanti (potete leggere qui http://discoclub.myblog.it/2013/10/16/italiani-per-caso-da-genova-paolo-5731139/, quello che ho scritto sul suo ultimo ottimo album) e quella di Martino Coppo con i Red Wine, storica formazione italiana di bluegrass https://www.youtube.com/watch?v=nJCEMV8nTqs , nella quale, negli anni ’80, militò anche Bonfanti, entrato per sostituire Beppe Gambetta, altro virtuoso del genere, dalla fama internazionale.

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I due, armati dei rispettivi strumenti, il mandolino per Coppo e vari tipi di chitarra per Bonfanti, come è facilmente intuibile dalla foto di copertina non sono più dei giovanotti (ma neppure Jovanotti, per fortuna, mi scappa da dire) e quindi, forti di di una lunga militanza nella musica e di una amicizia altrettanto “storica”, hanno deciso di unire le forze per questo dischetto, Friend Of A Friend, che li vede alle prese con le loro passioni musicali. Il fatto che esca per una etichetta dal nome francese, la Felmay, situata nei pressi di Alessandria e che quello di Bonfanti sia uscito per la Club De Musique, gloriosa etichetta di Courmayeur, probabilmente è del tutto marginale, solo una piccola curiosità. Non marginale invece la scelta dei brani contenuti in questo disco di cui andiamo a parlare. Il CD, lo ammetto, è già uscito da qualche mese, ma come ebbe a dire il maestro Manzi, non è mai troppo tardi per parlarne. Si tratta di prodotti che necessitano di tutte le possibilità che è possibile mettere in campo per spargerne la conoscenza, in quanto assolutamente meritori di essere ascoltati da quanta più gente sia possibile raggiungere, sia da chi ama questo genere, magari un po’ di nicchia, ma qui siamo in un sito di carbonari, sia per i novizi. Il dischetto, oltre che sul sito dell’etichetta e nei negozi specializzati, stranamente, lo trovate anche su Amazon, per cui non avete scuse!

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Nei suoi quattordici brani, parte materiale originale e parte cover scelte con gusto e competenza (e in cui riconosco parecchi dei miei ascolti), scorre la storia della musica americana, con una piccola capatina nella terra d’Irlanda e un paio di soste in quel di Genova, vicino a New Orleans. La canzone di apertura https://www.youtube.com/watch?v=IXJYDaxCaA4 , la title-track, dove accanto alla chitarra di Bonfanti (autore del brano) e al mandolino di Coppo, troviamo anche il basso elettrico di Lucas Bellotti, la fisarmonica di Roberto Bongianino e le percussioni di Alessandro Pelle, indica una strada che potrebbe essere interessante (ri)percorrere anche in futuro, una sorta di ballata country-grass che ci riporta a formazioni storiche come i Dillards, i Country Gazette ed altri, ma con la fisarmonica usata in alternativa al suono classico del violino, canzone molto piacevole ed accattivante che predispone subito all’ascolto del disco, anche in virtù della briosa interpretazione vocale. Tennesse Blues è il primo omaggio ai classici, nel caso un brano strumentale di Bill Monroe, dove i plettri volano a velocità supersoniche sui rispettivi strumenti, un poco come ci piaceva ai tempi ascoltare in dischi come il memorabile album di Norman Blake, Tut Taylor, Sam Bush, Vassar Clements e soci. Ok, qui sono solo in due, ma lo spirito è quello e l’improvvisazione è regina. Nell’ambito cantautori John Prine è uno dei più grandi, e Paradise è una delle sue canzoni più belle, qui viene riletta in una bella versione che lascia spazio anche agli interventi strumentali misurati ma pertinenti dei due protagonisti. Naturalmente non poteva mancare mastro Muddy Waters, in una inconsueta ma intensa versione per mandolino e acustica della sua Catfish Blues.

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Interessante anche l’idea di aggiungere alcuni versi in genovese ad un brano tradizionale tra i più conosciuti, Going Down The Road Feeling Bad, fatto da tutti, da Woody Guthrie ai Grateful Dead passando per Bill Monroe, versione ricca del picking dei due https://www.youtube.com/watch?v=aleGP3umGms , propensione poi ribadita nell’ottima Matilda’s Dance (una giga o un reel?), che profuma di Irlanda o comunque di folk celtico, come usava David Bromberg nei suoi dischi, ma anche i Fairport più acustici o Dan Ar Bras (mi è sembrato di cogliere un riff che sembra uscire da Thick As A Brick dei Jethro Tull, è possibile, o me lo sono sognato?) https://www.youtube.com/watch?v=T_tkpUA8JXM&feature=youtu.be . Anche quella dopo mi pare di conoscerla, Everybody Knows This Is Nowhere è sempre una grande canzone, elettrica alla Neil Young o acustica come in questa versione, l’importante è che ci siano l’immancabile falsetto e il la-la la-la-la, e quelli ci sono entrambi, che poi la versione sia pure bella, con piacevoli intrecci vocali, non guasta. Jesus On The Mainline è un altro super classico, anche se la versione non è elettrica come quella celeberrima di Ry Cooder, la slide (acustica) d’ordinanza non manca, i due se la cantano e se la suonano di gusto, e il supporto ritmico di basso e batteria ci sta a fagiuolo.

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A seguire un trittico di composizioni originali di Paolo Bonfanti: I Got A Mind
è un’altra bellissima ballata molto evocativa, più acustica rispetto all’iniziale Friend of A Friend ma sempre di pari spessore qualititivo e pure Trains, senza tralasciare il solito intricato picking dei due, è un altro brano che utilizza la forma canzone nel migliore dei modi, mentre Dark and Lonesome Night è un altro vivace ed intricato pezzo a tempo di bluegrass. L’ultimo cantautore omaggiato dalla coppia è uno decisamente meno conosciuto, ma dal grande talento, David Wilcox, per reinterpretarne la brillante Rusty Old American Dream Coppo passa alla chitarra, riappare la slide, ma non cambiano i risultati, sempre eccellenti. Si può fare del cajun cantato in dialetto genovese? Certo, basta non dirlo a Zachary Richard che magari si inquieta: Via Da Zena è un altro esempio della formazione a cinque con fisa, che consiglierei di esplorare ancora in futuro, perché mi pare funzioni alla grande. E come direbbe quel nostro amico, Bringing It All Back Home, si conclude con una Wsm, che è l’acronimo di William Smith Monroe, per gli amici Bill, un ultimo brano strumentale che profuma anche di certe avventure di Jorma Kaukonen, tra Quah e gli Hot Tuna https://www.youtube.com/watch?v=oZFCiE2Pxe0 . Sono italiani, confermo, e questo disco è più bello del 70, ma diciamo 80%, di altri progetti omologhi che escono in giro per il mondo. E pensare che quel signore che è partito anche per poi “scoprire” questa musica, veniva dalla loro città.

Bruno Conti

Un “Letterato E Musicista” Veramente Eclettico! Andrew Bird – Things Are Really Great Here, Sort Of…

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Andrew Bird – Things Are Really Great Here, Sort Of… – Wegawam Music

Letterato e musicista, è difficile considerare Andrew Bird un semplice cantautore, sebbene da qualche anno il suo nome compaia con una certa frequenza nell’elenco dei migliori personaggi della nuova canzone d’autore americana. Violinista di formazione classica, Bird ha cominciato come membro aggiunto con la band “retroswing” dei Squirrel Nut Zippers, per poi continuare a puntare la propria attenzione sulla musica del passato, con il progetto Bowl Of Fire. Sciolto anche questo gruppo, Bird si è reinventato una carriera solista, a partire dall’esordio Weather Systems (03) (ma il primo “vero” disco solo, Music Of Hair, era già uscito nel 1996), a cui hanno fatto seguito il magnifico The Mysterious Production Of Eggs (05) https://www.youtube.com/watch?v=dDzm2PkEGt4&list=PLIwDDkSFBCebL5J4vOfeiCDCF_SgCTpMg , Armchair Apocrypha (07), Noble Beast (09), Break It Yourself (12), Hands Of Glory (12), senza contare svariati EP e incisioni live: tutto con il marchio di una musica suonata in un delizioso groviglio di strumenti diversi, basi pre-registrate, che certificano l’attuale e passata, sfuggente, attività artistica di questo personaggio. Nel frattempo, nel corso degli ultimi anni, “l’eclettico” ha anche insegnato musica, composto colonne sonore e collaborato con decine di artisti, crescendo come autore ed allargando il suono dei suoi dischi, che si sono fatti più complessi, sfaccettati e ricchi di idee, con moderne soluzioni melodiche.

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Questo ultimo lavoro (uscito un po’ a sorpresa) Things Are Really Great Here, Sort Of…  è una bella, e particolare, raccolta di cover dedicata agli Handsome Family, ed in fondo primo o poi c’era da aspettarselo, da uno che si era sempre dichiarato un “fan” dei coniugi Sparks, prima includendo un brano, Don’t Be Scared, nel suo esordio solista, fino ad arrivare alle più recenti versioni di So Much Wine e When That Elicopter Comes, incise rispettivamente per l’EP Give It Away e nell’ultimo album Hands Of Glory. Il nuovo progetto è stato registrato con l’attuale band di Bird che comprende Alan Hampton al basso, Kevin O’Donnell o Justin Glasco, alla batteria, Eric Heywood alla pedal steel, e come ospite alla chitarra e voce la brava Tift Merritt https://www.youtube.com/watch?v=NEdZghRgg2s .

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Questa incursione nel repertorio degli Handsome Family, Andrew la inizia con l’incedere lento e caracollante di una Cathedral In The Dell, a cui fa seguito il violino pizzicato di The Folled e la splendida, romanzata, Giant Of Illinois, arricchita dalle sfumature del controcanto di Tift Merritt, che troviamo anche nell’andatura “western” di So Much Wine, Merry Christmas. La rivisitazione prosegue con il violino struggente (il suo strumento principale) nella malinconica My Sister’s Tiny Hands https://www.youtube.com/watch?v=5-8zHPgmtqQ , mentre in The Sad Milkman sarebbe facile trovare delle similitudini con il grande Townes Van Zandt, per poi ritrovare la chitarra e la voce di Tift (che è decisiva nel ricreare le note armonie vocali degli Handsome Family), nella ballata alt-country Don’t Be Scared. Verso la fine dell’album, il violino torna protagonista  nella danza folk celtica di Frogs Singing, passando poi per le atmosfere lente di Drunk By Noon e, andando a chiudere, doverosamente, con l’accorata versione in stile “ambient” di uno dei brani di maggior successo di Brett e Rennie Sparks, quella Far From Any Road (Be My Hand) che ha conquistato la notorietà anche come sigla della serie televisiva, ideata da Nic Pizzolatto, True Detective  .https://www.youtube.com/watch?v=p4zluA60hjs

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Dal lontano ’96 ad oggi, nel corso di una carriera decisamente prolifica, Bird ha maturato una musicalità varia, piuttosto elaborata, dove elementi pop, folk, country e persino di musica classica, si intrecciano con estrema grazia ed eleganza, qualità perfettamente a fuoco pure in questo Things Are Really Great Here, Sort Of … dove le dieci splendide canzoni che lo compongono (anche se ispirate dalla sua band preferita), escono dall’anima di questo talentuoso violinista di Chicago. Tutto sommato la lettura di questa recensione, se vi intriga, serve anche a fare la conoscenza (se ancora non li conoscete), con un gruppo affascinante e geniale come gli Handsome Family http://discoclub.myblog.it/2013/06/18/i-cantastorie-dell-alternative-country-handsome-family-wilde/) .

Tino Montanari

Come Avrebbe Detto Paul: The Continuing Story Of Fab And Max! Psychic Twins – A Small World In Black And White

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Psychic Twins – A Small World In Black And White – Greywolf Records Inc.

In leggero ritardo sulle premesse (e sulle promesse) ecco il secondo album dei Psychic Twins, “promettente” band milanese di rock in tutte le sue declinazioni e clienti abituali del Blog. Prima di addentrarci nei dettagli e nei contenuti spiego ai due o tre(mila) che non  l’avranno capito il titolo del post: si tratta ovviamente di un doppio omaggio ai Beatles, Fab che sta anche per Fabrizio e la prima parte da una dotta citazione dal White Album (The Continuing Story Of Bungalow Bill, ricordate?). Eh sì, perché la storia continua, dopo Crossings, pubblicato circa un annetto e mezzo fa (anche meno, visto che ha avuto “varie uscite” in epoche diverse) e di cui avete letto più volte in queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2013/06/19/quello-bravo-e-in-mezzo-nella-foto-ma-anche-gli-altri-non-so/, e l’EP a tiratura limitata “for friends and relatives only” Madd’n’Lucky, che peraltro conteneva quattro brani ora apparsi anche in A Small World…, una serie di concerti preparativi e celebrativi per la nuova uscita con la cosiddetta versione Mark II, touring band degli Psychic Twins, ovvero, citiamoli, perché lo meritano e sono bravi, garantisco, li ho visti dal vivo più volte: Fab(rizio) Friggione, voce e chitarra, Nik Taccori, alla batteria e percussioni, Cesare Nolli, al basso, Chris Lavoro, alla chitarra, Ermanno Fabbri alla chitarra, Davide Dave Rossi, alle tastiere e  Debora Cesti, voce, più Jack Jaselli, alla voce e Michele Castellana al basso, nonché ingegnere del suono e factotum alla produzione, con Fabrizio, del nuovo album.

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Dal vivo, come appena detto, sono molto bravi e grintosi e le cover che eseguono sono anche esplicative delle influenze che si agitano nella loro musica: due pezzi dei Beatles, Day Tripper Oh Darling https://www.youtube.com/watch?v=fZSJ7p-mx3o , a conferma di una passione smisurata per i Fab Four, soprattutto da parte di Fabrizio, ma anche due brani di Tom Petty, Mary Jane’s Last Dance e You Wreck Me, una Call Me The Breeze, scritta da JJ Cale, ma ostinamente riportata nella versione di John Mayer (Fabrizio, la versione più famosa è quella dei Lynyrd Skynyrd!) e naturalmente il Boss, ritratto con loro sulla copertina del primo album, con una Dancing In The Dark  decisamente ad alta densità chitarristica https://www.youtube.com/watch?v=8lH1xTGQwRY . E poi ci sono le loro canzoni, quelle firmate Fabrizio Friggione, musica e Massimo Monti, testi, e anche eminenza grigia (credo come la volpe dell’etichetta discografica) alle spalle di tutta l’operazione, in qualità di produttore esecutivo. E poi naturalmente le canzoni del nuovo album, con tutte le fonti di ispirazione citate, ma anche molta farina del sacco di chi le ha scritte, e dei musicisti che hanno suonato nell’album, fanno sì che il CD sia assolutamente e decisamente godibile, in quel suo situarsi all’incrocio (At The Crossroads) tra rock e pop, con alcune stradine di campagna che convergono in quella principale. Un capolavoro? Ovviamente sì! Scherzo, ma degno di confrontarsi con molta produzione che arriva dai due lati dell’oceano, questo si può dire, senza timori di piaggeria o paraculaggine. Ascoltatelo e mi darete ragione, si trova sulle varie piattaforme digitali, ma non ancora, a parte ai loro concerti, nel formato fisico. Insomma è un classico caso del disco che c’è ma non si trova.

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Veniamo alle undici canzoni contenute nel disco, eseguite dalla recording band, Mark I, che coincide in alcuni elementi con quella dei concerti, ma si avvale anche di altri validi musicisti. Direi, senza ricorrere ad auliche visioni o alla ricerca di reconditi significati, che siamo dalle parti del classico “It’s only rock’n’roll but we like it!”, né più, né meno. Il brano di apertura Even If You Don’t Care è un perfetto esempio di quanto appena detto: melodia solare, ritmo sostenuto, chitarre spiegate, la bella voce di Fabrizio Friggione in primo piano, tutta la band in tiro, con il basso di Paolo Legramandi e la batteria di Nik Taccori a disegnare precisi disegni ritmici, l’organo di Rossi che aggiunge le giuste coloriture al sound, impreziosito dai precisi interventi della solista di Fabrizio, che è un ottimo chitarrrista elettrico anche se dal vivo se limita a suonare solo una acustica di supporto. In The Desert Of My Brain con l’aggiunta di una pimpante tromba, courtesy of Daniele Moretto, ha una atmosfera tra il tex-mex e il gitano spagnoleggiante, una variazione sul classico tema tra rock e melodia dei soliti Psychic Twins.

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Deliziosa Brothers And Sisters, introdotta da un delicato arpeggio dell’acustica, seguito dal preciso lavoro di raccordo della solista, dal sound alla Booker T dell’organo di Davide Rossi che si produce anche in un assolo che profuma di soul; non mancano una “fischiettata” di Fabrizio e la seconda voce insinuante e sexy di, per dirla alla De Gregori, Debora “Belli Capelli” Cesti, o “Sister Black Hair”, se preferite gli America, per la fluente capigliatura nera, che si miscela perfettamente con quella di Fabrizio, mentre del basso rotondo di Castellana si evidenzia anche lo scorrere delle mani sul manico dello strumento (privilegi dell’ingegnere del suono). Il soul, se preferite il “blue-eyed soul”, quello seventies di matrice bianca, è protagonista di Small World, tromba e sax si aggiungono, pure un bel piano elettrico, il dancing bass di Legramandi e un assolo di chitarra stereo a cura di Max Elli, “lavoratissima” e spezzata nei due canali dello stereo; a completare lo spettro sonoro, Jack Jaselli canta la seconda parte del brano, aggiungendo poi le sue armonie vocali a quelle della Cesti e di Friggione per il resto della canzone. Tonight And Forever è la più springsteeniana del lotto, introdotta dal classico oh-oh-oh che la rende subito immediata e coinvolgente, ha un ritornello che ti fa venire di cantarla a squarciagola, come nelle migliori canzoni del boss, chitarre tintinnanti, pianini insinuanti, coretti molto piacevoli, per un brano che potrebbe essere un singolo potenziale se le radio trasmettessero ancora della buona musica, ci accontentiamo del video, diretto dal marito della figlia di Massimo Monti, così rimane tutto in famiglia e si risparmia (forse) https://www.youtube.com/watch?v=RSv8SU9Xkxw

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End Of September ha un taglio più riflessivo, una slide sullo sfondo, un paio di brevi interventi di chitarra acustica, sono i tratti distintivi di un brano che ci lascia apprezzare ancora una volta la voce evocativa di Mr. Friggione. Un tappeto di percussioni introduce No Man’s Land – ero già pronto all’ingresso di Keith Richards e Charlie Watts ma non arrivano – in effetti ricorda molto l’intro di Sympathy For The Devilma poi il brano rimane un acquerello prettamente acustico, con qualche reminiscenza brasilianeggiante nelle armonie vocali della Cesti e i “soliti” tocchi di colore aggiunti dalle tastiere. Wonderland è l’altro pezzo forte rock della raccolta, un bel brano in crescendo, parte piano, ma poi entrano man mano un mare di chitarre, suonate dallo stesso Fabri e da Max Elli , il ritmo si fa incalzante, rallenta e riparte in una mini jam strumentale, molto bella, che lo conclude. At The Crossroads è il terzo brano che era già presente nell’EP, anche questo dal sound molto americano, maturo, che non sfigurerebbe con molta produzione internazionale, ricco e curato negli arrangiamenti, il tocco del wah-wah è quel piccolo segno di genialità che separa una buona canzone da una normale, non male il finale con il vibrato della chitarra che si sovrappone al wah-wah e sfocia in un bel assolo di Gian Marco De Feo, brano ricco mi ci ficco. Sometimes You Do It Right è il brano che Massimo Monti ha dedicato alla figlia, penso Maddy per gli amici, una dolce ballata mid-termpo anche questa già presente nell’EP, ma che non per questo si apprezza meno, musicalmente mi pare di cogliere elementi da entrambi i lati dell’oceano, le melodie dei Beatles e il rock di Springsteen, Petty e chi volete voi. A concludere il tutto Burn Like Fire, una sorta di moderna ninna nanna in solitaria, pochi tocchi di chitarra e tastiere e la voce di Fabrizio Fargo Friggione sovrincisa varie volte per creare un suggestivo effetto.

Forse l’ho detto anche altre volte, ma, come è noto, repetita iuvant, non sembra neanche un CD prodotto in Italia, ed è inteso ovviamente come un complimento, un altro lampante caso di “italiani per caso”, un bel disco di rock (e pop), su cui potreste fare un pensierino.

Bruno Conti

Un Cantautore “Di Nicchia”! Joe Purdy – Eagle Rock Fire

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Joe Purdy – Eagle Rock Fire – MC Records

Ogni tanto succede di venire a contatto con personaggi che hanno poca visibilità, si fanno delle ricerche e si scopre che sono in giro da molto tempo, e, cosa più importante sanno scrivere grandi canzoni: Joe Purdy (per chi scrive) è uno di questi. Originario dell’Arkansas, prima di diventare cantautore a tempo pieno, ha fatto ogni genere di mestiere, poi la sua vita è cambiata, nel 2004, quando il serial di successo Lost ha utilizzato una sua canzone Wash Away , rivelandolo agli occhi di tutti come autore già completo anche se in continua crescita. Quattordici dischi in altrettanti anni, tutti lavori autogestiti che potete trovare direttamente sul suo sito http://joepurdy.com/ , a partire dall’omonimo Joe Purdy (01),e proseguendo negli anni con Sessions From Motor Ave (02), Stompin’ Grounds (03), Julie Blue (04), Only Four Seasons (06), You Can Tell Georgia (06), Paris In The Morning (06), Canyon Joe (07), Take My Blanket And Go (07), Last Clock On The Wall (09), 4th Of July (10), This American (10), sino ad arrivare a questo Eagle Rock Fire, registrato in soli cinque giorni (usando apparecchiature analogiche), con l’aiuto solamente di Chris John Hillman alla pedal-steel e mandolino, il fidato Matt DelVecchio al basso e lo stesso Joe alla chitarra e batteria, il tutto ovviamente rilasciato dalla sua etichetta Mudtown Crier Records.

Le canzoni di questo album raccontano la vita di un ragazzo di paese che va a vivere in una grande città, com’è forse intuibile dalla seconda traccia L.A. Livin’ con la pedal-steel di Hillman (Billy Bragg) in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=DeJg71sgsrM , mentre il brano iniziale Eagle Rock Fire, è quasi declamato con una voce baritonale vagamente alla Johnny Cash https://www.youtube.com/watch?v=C9N3pZlQo3E , peraltro tutto il lavoro si snoda tra brani minimali sorretti quasi solo da chitarre acustiche come in That Diamond Ring, Meet Me In N.Y. e This American, a cui si aggiunge il sinuoso suono della pedal-steel e dell’armonica in brani come Waiting For Loretta Too Long , Good Gal Away, e altre storie lente ed avvolgenti, raccontate su una base musicale suggestiva, come in I’m Sorry You’re Blue e Wildflowers, un totale di quasi quaranta minuti evidenziati da Joe Purdy e dalla sua splendida voce.

Purdy, pur con mezzi scarsi, ha sempre fatto dell’ottima musica, un songwriter di categoria superiore dove il cuore è sicuramente elemento fondamentale, con tutte le canzoni che sanno trasmettere spesso delle forti emozioni; una sorta di poeta minore che tratta il country-folk con quello “spleen” malinconico che è tanto di moda (con barba d’ordinanza alla Bonnie Prince Billy o Ray LaMontagne). Al di sopra di queste considerazioni si ritorna al quesito iniziale: come mai un autore di talento, dotato di una voce unica e particolare, con tanta passione e voglia di raccontare, non ha ancora conseguito il successo che si merita? Mistero! Alla prossima Joe.

Tino Montanari

Adesso Si Esagera! Woodstock: 3 Days of Peace & Music Limited Edition Revisited Blu-ray

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L’ho detto varie volte ma secondo me ormai la case discografiche e cinematografiche prendono per il culo (per usare il noto francesismo) la gente senza ritegno, non è possibile continuare a pubblicare nuove edizioni delle stesse cose, ogni volta con qualcosa in più per ingolosire i potenziali acquirenti. Prendiamo questo Woodstock: 3 Days Of Peace & Music 40th Anniversary Edition The Director’s Cut. Era già uscito nel 2009, quando effettivamente era il 40° anniversario dal concerto del 1969, un bel quadruplo DVD con molte ore di materiale extra, più di otto ore di materiale in totale, tra film ed extra, mi pare. Ma ora (forse perché è il 45° anniversario?) esce questa edizione in triplo Blu-ray che recita Limited Edition Revisited! Scusa? Cosa vuol dire? Vediamo quindi, per capire, il retro del manufatto, che uscirà il 29 luglio per la Warner Home Video (se cliccate sull’immagine si allarga e potete leggere meglio).

woodstock blu-ray back

Effettivamente oltre a un po’ di memorabilia, tipo riproduzioni di biglietti, toppe e il Life Magazine dell’epoca, c’è anche dell’ulteriore materiale video extra. Cerchiamo in rete e vediamo cos’è!

New Never-Seen Concert Footage:

  • Book of Love
  • Come Back Baby
  • Everything’s Gonna Be Alright
  • Helplessly Hoping and Marrakesh Express
  • Mr. Tambourine Man and Tuning My Guitar
  • Oh Happy Day and I Shall Be Released
  • Persuasion
  • Pinball Wizard

Ovvero Sha Na Na il primo brano, Jefferson Airplane il secondo, Paul Butterfield Blues Band il terzo, CSNY il quarto e il quinto, Melanie il sesto e il settimo, Joan Baez l’ottavo e il nono, Santana il decimo e gli Who l’undicesimo. I titoli erano nel comunicato stampa che annuncia l’uscita, gli artisti li ho aggiunti io. Per un totale di circa un’ora di ulteriore materiale. Vale la pena? Non chiedete a me perché mi scappa la parolaccia, io vi ho informato poi vedete voi se farli del male o meno. Per il momento credo uscirà solo per il mercato americano, dove costerà tra i 35 e i 40 dollari, neanche moltissimo, però…

parolacce australia

E’ un cartello stradale australiano che indica “Divieto di parolacce”! A quando l’integrale in 30 DVD e 20 Blu-Ray? Per il cinquantenario?

Bruno Conti

*NDB Da domani riprendiamo anche con le recensioni, ho un po’ di arretrati da smaltire, alcune di artisti italiani interessanti che non riesco a fare per il Buscadero.

Speriamo Sia L’Ultima E Definitiva Versione Per Un Bellissimo Disco! Allman Brothers Band – The 1971 Fillmore East Recordings

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Allman Brothers Band – The 1971 Fillmore East Recordings – Mercury/Ume 6 CD – 3 Blu-Ray Audio – 4 LP  29-07-2014

Allora sembra che alla fine ci siamo, le versione definitiva compilata da Bill Levenson verrà pubblicata il prossimo 29 luglio dalla Universal. Peccato che non ci sia il glorioso marchio Capricorn, ma non si può avere tutto dalla vita. Sono i 37 brani registrati al leggendario Fillmore East di New York il 12 e 13 marzo 1971, primo e secondo concerto di entrambe le serate, più il closing show del Fillmore del 27 giugno dello stesso anno. 15 brani mai pubblicati prima, nella varie edizioni che si sono succedute negli anni, nei cofanetti e su Eat A Peach. La formazione originale dell’Allman Brothers Band, con Duane e Gregg Allman, Dickey Betts, Berry Oakley, Butch Trucks e Jaimoe in una serie di concerti rock che hanno fatto la storia di questa musica.

allman brothers 1971 fillmore east recordings blu-ray

Questo sarà il triplo cofanetto Blu-ray Audio (ormai abbiamo anche questo formato da tenere in considerazione), con il medesimo contenuto del sestuplo CD, cioè questo:

Track List:

Disc 1 (March 12, 1971 – First Show)
Statesboro Blues
Trouble No More
Don’t Keep Me Wonderin’
Done Somebody Wrong
In Memory Of Elizabeth Reed
You Don’t Love Me
Disc 2 (March 12, 1971 – Second Show)
Statesboro Blues
Trouble No More
Don’t Keep Me Wonderin’
Done Somebody Wrong
In Memory Of Elizabeth Reed
You Don’t Love Me
Whipping Post
Hot ‘Lanta
Disc 3 (March 13, 1971 – First Show)
Statesboro Blues
Trouble No More
Don’t Keep Me Wonderin’
Done Somebody Wrong
In Memory Of Elizabeth Reed
You Don’t Love Me
Whipping Post
Disc 4 (March 13, 1971 – Second Show – Part 1)
Statesboro Blues
One Way Out
Stormy Monday
Hot ‘Lanta
Whipping Post
Disc 5 (March 13, 1971 – Second Show – Part 2)
Mountain Jam
Drunken Hearted Boy (with Elvin Bishop)
Disc 6 (June 27, 1971 – Fillmore East Closing Show)
Introduction by Bill Graham
Statesboro Blues
Don’t Keep Me Wonderin’
Done Somebody Wrong
One Way Out
In Memory Of Elizabeth Reed
Midnight Rider
Hot ‘Lanta
Whipping Post
You Don’t Love Me

La versione CD dovrebbe avere un prezzo tra i 50 e i 60 euro (molto indicativamente), quindi abbordabile, mentre il Blu-Ray sarà decisamente più costoso, vicino ai 100. Libretto di 36 pagine per entrambe le versioni.

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Volendo, ma proprio volendo, uscirà anche questa versione in quattro vinili, che avrà una selezione di brani dai cinque concerti, ovvero le presunte migliori versioni di ciascuna canzone, quattordici in tutto, quelle non ripetute nelle diverse esibizioni.

Sembrerebbe proprio un bel oggetto, la musica sappiamo già che è fantastica, però basta!

Bruno Conti

Alcune Novità Di Fine Giugno. Peter Gabriel, Phish, Willie Nelson, David Gray, Robert Gordon, Roy Buchanan

willie nelson band of brothers

Una veloce rassegna su alcuni titoli in uscita il prossimo martedì 24 giugno, ma prima vi segnalo il nuovo Willie Nelson Band Of Brothers, già uscito per la Sony Legacy il 17 giugno, è “solo il secondo disco pubblicato da Nelson in questo 2014, dopo il disco gospel, Farther Along, in coppia con la sorella Bobbie Nelson, ed è anche il primo disco dove appare materiale nuovo ed originale, dopo una serie di dischi di duetti, vecchi standard, tributi o dischi solo di cover. Nel nuovo CD ci sono nove composizioni a firma Willie Nelson, produce il solito Buddy Cannon ( autore con Willie anche di tutte le canzoni nuove), che come l’armonicista Mickey Raphael è sempre al suo fianco https://www.youtube.com/watch?v=RyaEKtEGMLU . Non mancano naturalmente alcune cover di pregio, un paio di brani di Billy Joe Shaver in particolare, e uno a testa di Bill Anderson e Vince Gill, oltre ad un bel duetto con Jamey Johnson in Crazy Like Me, scritta da Billy Burnette e Shawn Camp. Gli anni sono ormai 81 anni ma non si segnalano momenti di cedimento.

phish fuego

I Phish hanno iniziato i festeggiamenti per il loro 30° anniversario dalla data di formazione, anche se in effetti il primo album, Junta, usciva solo nel 1988, ma il gruppo ha iniziato la propria attività a Burlington, Vermont, nel lontano 1983. E proprio sul finire dello scorso anno si sono trovati in studio per registrare Fuego, quello che è solo il dodicesimo disco di una lunga carriera https://www.youtube.com/watch?v=mmxHvGCo2wQ  (ma i dischi dal vivo non si contano, una infinità e tutti belli), a cinque anni dal precedente Joy, che a sua volta seguiva Undermind del 2004. La novità sostanziale è che questa volta c’era con loro in studio il produttore Bob Ezrin (Alice Cooper, Kiss, Pink Floyd, Lou Reed, Poco e recentemente Deep Purple e Peter Gabriel). E quale è stata la geniale trovata di Ezrin per ovviare al problema dei dischi dei Phish, che non sempre ultimamente sono stati all’altezza della loro fama? Quella di unire la loro leggendaria capacità di improvvisare, che li ha resi la jam band per antonomasia dei tempi moderni https://www.youtube.com/watch?v=kl1Od2fkeYQ , ad una maggiore disciplina nella stesura e nell’arrangiamento delle canzoni e con una serie di brani che si dice siano finalmente all’altezza della loro fama https://www.youtube.com/watch?v=QyQC6aRGKCA . Così dicono, anche se i tre brani che trovate ai link nel post, sembrano confermare, verificheremo dalla settimana prossima. Esce negli Stati Uniti su Ato Records il 24 giugno.

peter gabriel nack to front dvd peter gabriel nack to front blu-ray

peter gabriel nack to front box deluxe

Sempre martedì prossimo esce l’ennesimo nuovo disco dal vivo di Peter Gabriel, a due anni dal precedente Live Blood. Si chiama Back To Front: Live In London ed esce solo in quattro versioni: DVD, Blu-Ray, Deluxe 2CD/2 Blu-Ray o 2CD/2 DVD. Si tratta del concerto alla O2 Arena per festeggiare i 25 anni dell’uscita di So. 21 brani + il Making Of nell’edizione video. Qualità sonora come al solito fantastica https://www.youtube.com/watch?v=RdCZH_ppmek e anche le canzoni non sono male, è bravo questo ragazzo!

david gray mutineers

In teoria (e in pratica) in Europa il 1° luglio, ma negli Stati Uniti è già uscito in questi giorni ecco il nuovo album di David Gray Mutineers, a distanza di quattro anni dal precedente Foundling, che non aveva avuto recensioni unanimemente favorevoli (ma al sottoscritto non era dispiaciuto), viene pubblicato dalla Iht Records e stando ad alcune recensioni già apparse in alcune riviste (Busca compreso) pare molto bello https://www.youtube.com/watch?v=mBS6UgiYTr4 . Produce Andy Barlow dei Lamb, già dietro alla consolle per Damien Rice ed Elbow, che ha aggiunto dei tocchi di elettronica “umana” (se esiste) al solito sound di Gray: quello che conta, come di consueto, sono la voce e le canzoni, e quelle ci sono https://www.youtube.com/watch?v=iF-xx8mMWIo . Esce anche una interessante versione Deluxe tripla con la bellezza di quindici brani dal vivo aggiunti al disco originale, in versioni spesso di notevole spessore e lunghezza: due brani oltre gli otto minuti, Nemesis più di undici minuti e il totale del materiale raggiunge i novanta minuti di durata, quindi non i soliti bonus disc asfittici e molto costosi con poco materiale extra. Da avere!

robert gordon i'm coming home

Ritorna il mitico Robert Gordon, uno degli eroi del revival del rock and roll e del rockabilly a fine anni ’70, primi anni ’80, autore di due splendidi album in coppia con Link Wray, ma anche di parecchi altri album interessanti (tra cui il live con Chris Spedding) in quel periodo, e per sempre immortale tra gli Springsteeniani per la sua bellissima versione di Fire https://www.youtube.com/watch?v=UgwgMtIJ8pc , un bel pezzo del Boss donato per il secondo album con Wray. Il giubbotto è sempre quello d’ordinanza, anche se a giudicare dalla foto gli anni sembrano essere passati pure per lui, ma la voce è sempre fantastica https://www.youtube.com/watch?v=p5ACo5CbTK0 Il disco, I’m Coming Home, su etichetta Lanark Records (?!?) dicono sia buono, trenta minuti concentrati di R&R. Produce lo stesso Gordon, che si fa aiutare da Marshall Crenshaw in Walk Hard, scritta e cantata in coppia, oltre che da Dibbs Preston dei Rockats e dall’ex batterista degli Hooters (non nomi eccintantissimi, a parte Crenshaw, ma visto che erano una decina di anni che non pubblicava dischi, sentiremo con piacere, si spera).

roy buchanan live my father's place

La Rockbeat Records, etichetta specializzata in questo genere di operazioni, pubblica un ennesimo CD di materiale inedito dedicato a Roy Buchanan, uno dei più grandi chitarristi della storia del rock e del blues. Si chiama Shredding The Blues 1978 & 1979 Live At My Father’s Place. Gli appassionati apprezzeranno: ci sono molti dei classici di Roy: I’m Evil , Hey Joe, When A Guitar Play The Blues, la sua versione di Peter Gunn, sentire per credere https://www.youtube.com/watch?v=150b64JCcFk anche se questa nel dischetto non c’è.

Per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti