Solo Per Fans Accaniti…Cofanetto Eric Clapton And Friends – The Breeze An Appreciation Of JJ Cale

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Eric Clapton & Friends An Appreciation of JJ Cale Box Set – Surfdog Records 29-07-2014

Già, giustamente vi chiederete, ma per i fans di chi? Di Eric Clapton o di JJ Cale? Direi più del secondo, visto che si tratta di un cofanetto ordinabile alla modica cifra di 100 dollari sul sito della http://www.surfdog.com/store/product/eric-clapton-friends-breeze-appreciation-jj-cale-deluxe-edition-cd-box-set. Il contenuto lo vedete nella immagine qui sopra, il tutto esce il 29 luglio, lo stesso giorno in cui la Universal pubblica la versione normale. Per ciò che concerne il contenuto musicale, eccolo:

CD 1

Eric Clapton & Friends
The Breeze (An Appreciation of JJ Cale)

Call Me The Breeze
https://www.youtube.com/watch?v=zsqF3p8ORDE

Rock And Roll Records (feat. Tom Petty)
Someday (feat. Mark Knopfler)
Lies (feat. John Mayer)
Sensitive Kind (feat. Don White)
Cajun Moon
Magnolia (feat. John Mayer)
I Got The Same Old Blues (feat. Tom Petty)
Songbird (feat. Willie Nelson)
Since You Said Goodbye
I’ll Be There (If You Ever Want Me) (feat. Don White)
The Old Man And Me (feat. Tom Petty)
Train To Nowhere (feat. Mark Knopfler and Don White)
Starbound (feat. Willie Nelson and Derek Trucks)
Don’t Wait (feat. John Mayer)
Crying Eyes (feat. Christine Lakeland and Derek Trucks)

CD 2

JJ Cale
Originals

Call Me The Breeze
Rock And Roll Records
Someday (Unreleased Demo)
Lies
Sensitive Kind
Cajun Moon
Magnolia
I Got The Same Old Blues
Songbird (Unreleased Demo)
Since You Said Goodbye
I’ll Be There (If You Ever Want Me)
The Old Man And Me
Train To Nowhere (Unreleased Demo)
Starbound
Don’t Wait
Crying Eyes
After Midnight (Original 1966 Version)

Quindi le versioni originali dei brani contenuti nel nuovo CD, più tre demo e la prima versione di After Midnight del 1966.L’etichetta è quella nuova dello stesso Clapton, nel sito, al link sopra, trovate tutte le informazioni (oppure guardate qui https://www.youtube.com/watch?v=fRM_lj6owZc) tra cui quelle sulla versione in quattro vinili (perché c’è anche quella) e magari qualcos’altro di sfizioso!

Bruno Conti

Dopo Electric, Quasi Inevitabilmente… Un Altro “Piccolo” Capolavoro! Richard Thompson – Acoustic Classics

richard thompson acoustic classics

Richard Thompson – Acoustic Classics – Beeswing Inc./Proper Music/Ird

Dopo lo stupendo Electric http://discoclub.myblog.it/2013/02/22/semplicemente-richard-thompson-electric/, uscito all’incirca un anno e mezzo, era quasi inevitabile che Richard Thompson ci proponesse un disco acustico, una delle forme in cui più si esibisce nella dimensione concertistica https://www.youtube.com/watch?v=IfdkyHaD5OA (anche perché, per motivi economici, girare con una band costa) e che invece nel formato discografico risulta poco frequentata dal nostro. A ben guardare bisogna risalire al 1984, trent’anni fa, per trovare un disco solo voce e chitarra di Thompson, ovvero SmallTown Romance, peraltro registrato in concerto al Bottom Line di New York, due anni prima, agli inizi del 1982. E controllando la lista di quel disco, solo due brani si sovrappongono, I Want To See The Brights Lights Tonight Down Where The Drunkards Roll, un po’ perché alcuni dei “classici” che appaiono in questo nuovo disco non erano stati ancora scritti e, soprattutto, perché le ferite della separazione, artistica e coniugale, con Linda Thompson, non si erano ancora rimarginate e quindi andare a toccare alcune di quelle bellissime canzoni che avevano caratterizzato una decade di musica insieme provocavano una sensazione dolorosa.

richard thompson 1

Ora, che di anni ne sono passati più di trenta, e Richard si è riavvicinato alla ex moglie , riappropriandosi anche di tutto il suo vecchio repertorio, quale migliore occasione di questa per riproporlo in una veste solitaria, solo con la voce e una chitarra acustica Lowden, scegliendo tra il suo sterminato repertorio, ma in una dimensione di studio. Infatti il disco non è dal vivo, ma è stato registrato in studio, dandoci la possibilità di ascoltare quelle che possono essere considerate tra le sue canzoni più rappresentative, non certo nella forma del Greatest Hits (perché successi, se non di critica, mai ne ha avuti) ma piuttosto in una sorta di “Richard Thompson sings his best songs” e quante ce n’erano da scegliere, quindi immagino che ridurle alle quattordici che appaiono in questo Acoustic Classics (e non ci sono quelle con i Fairport Convention) non sia stata una operazione facile, ma piacevole, anche per chi andrà ad ascoltarle, cioè noi  !

richard thompson live

In poco più di 50 minuti troviamo riunite alcune delle più belle canzoni che hanno fatto la storia della nostra musica: dalla splendida I Want To See The Bright Lights, che apre le danze, una delle più belle canzoni di tutti i tempi https://www.youtube.com/watch?v=go6-OOZaqK0  (secondo chi scrive Richard Thompson è tra i cinque migliori autori nella storia della canzone anglo-americana degli ultimi cinquant’anni, gli altri quattro, se volete saperlo, sono Dylan, Lennon-McCartney, che valgono per uno, Van Morrison e Bruce Springsteen, con Jimi Hendrix, in veste di wild card, e tantissimi altri, lì vicino, ad una inezia, a cominciare da John Fogerty. E’ meglio che mi fermi, ce ne sono troppi, per fortuna, quasi altrettanto indispensabili). Il secondo brano è un altro capolavoro, Walking On A Wire, brani che sono stupendi nelle loro versioni “elettriche” ma che rifulgono di una luce quasi abbagliante anche in queste versioni più intime, concise, con la chitarra acustica di Thompson che disegna traiettorie semplici ma quasi altrettanto essenziali di quelle originali e quella voce, particolare ed unica, che le riempie di nuovi significati. In effetti potremmo parlare di un disco ideale sia per i neofiti, che vogliono ascoltare il meglio, sia per i fans, i completisti, che non hanno mai abbastanza di che bearsi.

richard thompson one door open

Il terzo brano, anche questo stupendo, è Wall Of Death, che in origine si trovava su Shoot Out The Lights, il canto del cigno della coppia Richard & Linda Thompson, canzone tristissima ma ricca di mille suggestioni, come la successiva Where The Drunkards Roll, cha appariva invece nel loro disco di esordio, insieme alla title-track I Want To See The Brights Lights Tonight. Richard, oltre che chitarrista elettrico superbo è anche un grandissimo all’acustica, e quindi i florilegi che ci regala con la sua Lowden sono da gustare con piacere, quasi centellinare, stiamo ascoltando un maestro della chitarra in azione. Non ci sono solo brani celeberrimi in questo album, ma anche gli episodi cosidetti “minori” sono fior di canzoni, prendete la galoppante One Doors Opens, che appariva su un album poco noto, ma molto bello, ci mancherebbe, come Old Kit Bag oppure un brano come Persuasion, scritto con il neozelandese Tim Finn, “inventore” dei mai dimenticati Split Enz, e fratello del più famoso Neil, quello dei Crowded House, una canzone apparsa solo sulla antologia quadrupla Walking On A Wire, in qualche live ed interpretata come duetto con il figlio Teddy, altro brano di una bellezza quasi oltraggiosa https://www.youtube.com/watch?v=0fhJlc52hrA .

richard thompson live 2

1952 Vincent Black Lightning, una delle più belle canzoni mai dedicate ad una moto, era già acustica all’origine, uno dei suoi cavalli di battaglia in concerto, fin dall’apparizione in Rumor And Sigh, altro album tra i migliori della discografia di Thompson, e brano inserito tra le “100 All Time Songs” dalla rivista Time, con il vorticoso fingerpicking sulla chitarra che lo ha sempre caratterizzato https://www.youtube.com/watch?v=td2sewfxz88 . I Misunderstood è uno dei rarissimi brani di Richard che ha rischiato di diventare un singolo da classifica, anche grazie ad un bel video che circolava su MTV, viene sempre da Rumor and Sigh ed è un’altra bellissima canzone https://www.youtube.com/watch?v=te4YKjLJPro (in quel disco ce n’era una terza I Feel So Good, che in classifica ci entrò, sia pure nelle Billboard Modern Rock Tracks, non in quelle principali). Anche From Galway To Graceland, altro brano spettacolare, non è mai apparsa in un album ufficiale della discografia, ma solo nella ennesima antologia Watching The Dark, secondo voi quanti sono gli artisti che si possono permettere di disseminare tanti gioielli anche tra i cosiddetti “scarti” della propria propria produzione? Forse proprio, non a caso, solo quelli che ho citato poc’anzi tra i grandissimi!

richard thompson 3

L’ultima cinquina di brani si apre con Valerie, uno dei brani più rock del suo canone sonoro, ma che è scintillante anche in questa versione acustica, con un intricatissimo lavoro di chitarra, la canzone in origine era su Daring Adventures del 1986. Altro tuffo nel passato, e altro capolavoro, Shoot Out The Lights, canzone-metafora sulla fine di un matrimonio e di un amore (che Wikipedia ci ricorda essere un brano della band metal Diamond Head, non sapevo, mi pare un chiaro esempio di omonimia). Beeswing è il nome dell’etichetta personale di Richard Thompson (quella che pubblica questo CD), ma è anche il titolo di un ulteriore brano, che appariva in origine su Mirror Blue, altro clamoroso esempio di folk contemporaneo di questo genio della musica, a occhio, anzi a orecchio, mi sembra che nel brano ci siano due chitarre, o è forse un mandolino quello di supporto? When The Spell Is Broken era su Across A Crowded Room, il disco che avrebbe dovuto dargli il successo commerciale, ma fu un clamoroso flop di vendite, l’ultimo album registrato in Inghilterra e l’ultimo prodotto da Joe Boyd, possiamo aggiungere un bel “ecchisenefrega”, vista la bellezza della canzone https://www.youtube.com/watch?v=xyxR8iU3Jxs . Forse la più bella in assoluto (ma è una bella lotta) è proprio quella posta in conclusione di questo Acoustic Classics, si chiama Dimming Of The Day e ogni volta che la ascolto capisco perché amo così tanto Richard Thompson e la sua musica, perché spesso queste canzoni sfiorano la perfezione del genio https://www.youtube.com/watch?v=ZaaSAwjPOlk !

Esce domani ufficialmente.

Bruno Conti

Capitolo Secondo, Più O Meno! Royal Southern Brotherhood – heartsoulblood

Royal Southern Brotherhood – heartsoulblood royal southern brotherhood back cover

Royal Southern Brotherhood – heartsoulblood – Ruf Records/Ird

Facendo un po’ di contabilità spicciola questo è il terzo album che esce in circa due anni, dalla primavera 2012, a nome Royal Southern Brotherhood (compreso il CD+DVD dal vivo Songs From The Road), un disco solista per ciascuno dei tre leader del gruppo, Devon Allman, Cyril Neville e Mike Zito, in rigoroso ordine alfabetico, due dischi anche per il batterista della band, Yonrico Scott, mentre il bassista Charlie Wooton, che io sappia, si è limitato a partecipare al disco di Deanna Bogart. In ogni caso hanno anche trovato il tempo per riunirsi a Los Angeles per registrare questo heartsoulblood con il loro produttore Jim Gaines https://www.youtube.com/watch?v=Nd1wrfJy9n0(che come dicevo in relazione al disco omonimo precedente, chi scrive lo non ama particolarmente, ancora meno in questa occasione in cui si fa aiutare da David Z). http://discoclub.myblog.it/2012/05/11/famiglie-reali-royal-southern-brotherhood/

Royal Southern Brotherhood 1

Intendiamoci, due signori professionisti, però con il vizietto delle contaminazioni tra rock, soul, funky, blues e certa musica dalle sonorità “moderne” che ogni tanto fa a cazzotti con le attitudini dei loro assistiti, ma è un punto di vista personale. Ovviamente le contaminazioni fra generi diversi sono all’ordine del giorno per questo gruppo, anzi sono una delle loro ragioni di vita, ma non sempre riescono alla perfezione. Il migliore del mazzo, a giudicare dai dischi solisti, dovrebbe essere il chitarrista e cantante Mike Zito, ma anche il secondo chitarrista Devon Allman tiene alta la bandiera di famiglia e così pure il quarto dei fratelli Neville, Cyril. Vi sto forse dando l’impressione di parlare di un disco brutto? Tutt’altro, però mi sembra sempre che manchi quel “piccolo” quid che distingue i “grandi” dagli onesti artigiani, seppure di notevole caratura. World Blues, uno sforzo compositivo di gruppo che apre le danze è un gran brano, molto Allman meets Neville, chitarre, solista e slide, ciondolanti tra rock, southern e blues, con un notevole suono d’assieme e la giusta grinta anche della sezione ritmica, bella partenza https://www.youtube.com/watch?v=QoDctjmEgY4 . Rock And Roll, un titolo che non assoceresti d’acchito con Cyril Neville, è viceversa un bel tuffo nelle radici della musica rock classica, da Memphis a New Orleans sulle ali di una slide tagliente, d’altronde proprio lo stesso Cyril ha detto che “il R&R è il figlio del R&B” e lo ribadisce nel testo di questa canzone https://www.youtube.com/watch?v=IYU6SpTGZv0 .

Royal Southern Brotherhood 2

Groove On, viceversa, stranamente, visti gli autori Allman e Zito, è un funky molto marcato che sta fra Neville Brothers e Santana, magari con risultati non straordinari, anche se il lavoro delle due soliste, e del contorno ritmico, è assolutamente pregevole https://www.youtube.com/watch?v=i0j5I-AaYCA . Here It Is, costruita su un giro di basso di Charlie Wooton, porta la firma di Zito, Scott e Wooton per la musica, ma secondo me il suono è molto farina del sacco dei due produttori, tanto groove e poca musica https://www.youtube.com/watch?v=zrFWg_J3wGU . Ancora tanto funky e poco rock (per non parlare di blues o soul) per una Callous, discreta ma che fa rimpiangere i migliori Neville, suoni molto nitidi e produzione di pregio, a fronte di poca sostanza, anche se l’impegno vocale e strumentale, soprattutto nella parte finale, è notevole e dal vivo avrà un altro impatto. Decisamente meglio Ritual, più rock ancorché pasticciato e non diretto verso i lidi che il loro nome richiederebbe. Shoulda Known, finalmente, è una bella ballata sudista che è nelle corde della famiglia Allman, scritta da Devon ricorda le cose migliori del babbo Gregg, con l’aggiunta anche di una forte componente deep soul.

royal southern brotherhood 3

Let’s Ride, firmata da Cyril e Omari (?!?, da dove sbuca, questo mi mancava nella famiglia, a occhio direi il figlio) Neville, è a sua volta una cavalcata nel suono della dinastia di New Orleans, funky e rock mescolati con la consueta perizia https://www.youtube.com/watch?v=9w3RcXDEwg4 . Trapped, di nuovo firmata dalla band al completo è un altro buon esempio delle due anime del gruppo, rock e soul, quando funzionano insieme, ma manca sempre quell’ulteriore passo qualitativo, anche se ad averne di ensemble di questo livello. She’s My Lady francamente non saprei, smooth soul anni ’70, morbido e levigato, che in inglese si traduce proprio con smooth, mah! Takes A Village, è un’altra bella ballata, questa volta di Mike Zito, dall’impronta blues elettroacustica, difficile gridare al miracolo però, mentre il rock blues sudista torna in Zona Cesarini con una vibrante Love And Peace che ci riporta a temi più energici, quantunque sempre un po’ incompiuti, insomma la somma dei singoli non aumenta il valore del gruppo.

Bruno Conti

Non Otis, Sempre L’Altro! Bobby Rush With Blinddog Smokin’ – Decisions

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Bobby Rush With Blinddog Smokin’ – Decisions – Silver Talon Records CD/DVD

Il disco dello scorso anno di Bobby Rush, Down In Louisiana, era, per chi scrive, un buon disco, ma non un grande disco (per quanto, forse, sia il sottoscritto a pretendere troppo, visto che il disco era candidato ai Grammy come miglior disco blues, anche se il premio negli anni ha perso parte della sua autorevolezza) e pure questo Decisions viaggia più o meno sugli stessi livelli qualitativi. Se volete leggervi la storia di Bobby Rush andate a recuperare la recensione http://discoclub.myblog.it/2013/03/03/non-quello-giusto-ma-non/ , qui posso aggiungere che il nostro amico ama circondarsi, quando possibile, di ottimi musicisti, per mantenere la sua reputazione di inventore del folk-funk, definizione che si è affibbiato da solo. Questa volta si tratta dei Blinddog Smokin’, ottima formazione funky-soul-blues capitanata da Carl Gustafson, autore della traccia di apertura (e di altre nel CD), una eccellente Another Murder In New Orleans, un brano sul lato violento della Crescent City, interpretata in modo egregio da Rush, che duetta per la prima volta in carriera con l’amico e concittadino Dr. John, un blues carico di soul, mid-tempo, ideale per la voce (e il piano) del buon Mac Rebennack e che è uno dei motivi per cui varrebbe la pena di avere questo album https://www.youtube.com/watch?v=iK1AdcX0Djg (nella foto qui sotto, non si direbbe vedendola, ma il più giovane dovrebbe essere Dr. John).

bobby rush dr. john

Album che si avvale, oltre che dei Blinddog, di una serie impressionante di ottimi musicisti provenienti da quell’area geografica, New Orleans e dintorni, dove il disco è stato registrato: Sherman Robertson, Carl Weathersby e Shane Theriot, oltre allo stesso Rush, alle chitarre, David Torkanowsky alle tastiere, una nutrita serie di fiatisti, tra i quali Mindi Abair e Chuck Findley, per ricordare i più noti, Billy Branch all’armonica e moltissimi altri. Purtroppo non sempre i risultati, per quanto apprezzabili, sono all’altezza di questo spiegamento di forze: Rush, che è un arzillo quasi ottantenne (secondo alcune biografie li ha anche superati) ha una (in)sana mania, che però ogni tanto devia verso l’ossessione, per le donne “grosse”, quantomeno in quella specifica parte del corpo e nelle canzoni ama farcelo sapere.

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Bobby Rush’s Bus è un funky-blues gagliardo, con armonica, fiati e voci femminili ben piazzate nella canzone, ma Dr.Rush, un hip-hop elettronico dove Bobby “rappa” (?!?) da par suo, è una ciofeca tremenda, mentre Skinny Little Women tratta l’argomento quantomeno a tempo di blues classico, ancora con l’armonica di Branch in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=cz4OToB0g5A  e Funky Old Man (che sarebbe lui), con quel fior di musicisti che lo accompagnano, ha qualche evidenza dello splendore di Rufus Thomas o James Brown, divertente, per quanto sopra le righe https://www.youtube.com/watch?v=Iq2KsjaHads . Decisions è un buon blues, New Orleans style, con organo, armonica e chitarre in bella evidenza, forse le voci femminili di supporto sono troppo invadenti e la voce di Rush mostra i segni del passare del tempo, ma è ancora gagliarda https://www.youtube.com/watch?v=_3Rni2rbd5M . If That’s The Way You Like It I Like It, uno scioglilingua più che un titolo, con i suoi fiati in overdrive e la sezione ritmica in spolvero, è un altro funky che permette alla chitarra di salire al proscenio, ma evidenzia troppo i limiti attuali della voce di Bobby.

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Love of a woman è un altro blues classico, scandito ed eseguito con vigore dalla sua band https://www.youtube.com/watch?v=N5Vqi0HuXvA , bene anche Rush che si fa largo tra chitarre, piano, organo ed armonica. Discreta anche Stand Back, come molti dei brani presenti in questo album firmato da Carl Gustafson,  musicalmente sembra un brano dei Santana, solista in evidenza, fiati e vocalists di supporto ben piazzati, la voce non è memorabile e il risultato finale ricorda più i Santana delle “canzoni” recenti che la band rock dei tempi che furono. In Too Much Weekend Rush imbraccia la  chitarra acustica e ci presenta anche un lato più folk della sua produzione, un bel blues carico dove la voce è sul pezzo, vivace e decisa più che in altri brani del disco. Sittin’ Here Waiting è la bonus posta in conclusione, un altro blues elettroacustico di buona fattura che conferma il giudizio tutto sommato positivo – suonato bene, cantato anche, a parte qualche eccesso e cedimento qui è la – su questa nuova fatica del “vecchio” Bobby. Il DVD riporta il video del primo brano, l’interessante making of delle sessions dell’album e qualche intervista.

Bruno Conti

Festeggiando 30 Anni Di Storie Di Amore E Odio! The Men They Couldn’t Hang

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Men They Couldn’t Hang – Tales Of Love And Hate – Secret Records – CD/DVD

Men They Couldn’t Hang – The Night Ferry – Vinyl Star Records – EP

Ci sono certi dischi che, a prescindere dal loro oggettivo valore, rimangono impressi nel tempo per altri motivi: nel mio caso il discorso vale per How Green Is The Valley (86), un album che comprendeva almeno due brani semplicemente strepitosi, il folk rock di Going Back To Coventry e la straordinaria ballata Shirt Of Blue, che si trovano puntualmente, e fortunatamente, in questo live fatto (ri)uscire nell’ambito delle celebrazioni per i loro 30 anni di carriera. Ma partiamo dall’inizio: gruppo sfortunato e simpatico quello dei TMTCH, che ha avuto solo un grande “sfiga”, quella di trovarsi sulla strada dei Pogues, che negli anni ottanta venivano ritenuti “l’alternativa”, e di non riuscire di conseguenza a trovare un proprio spazio “al sole” nel vasto mercato del folk-rock anglofilo e internazionale, anche se, sinceramente, forse la loro proposta musicale non possedeva l’inventiva della band dello “sdentato” Shane McGowan. I Men They Couldn’t Hang si formano nel lontano ’84 per iniziativa di Stefan Cush e Phil Odgers alle voci e chitarre, Paul Simmonds alla chitarra, Shanne Bradley al basso e Jon Odgers alla batteria, dei bei tipi che musicalmente apparivano, a prima vista, un bizzarro incrocio tra i citati Pogues, i Long Ryders e i Clash.
http://discoclub.myblog.it/tag/men-they-couldnt-hang/

the men they couldn't hang old

In ogni caso il gruppo inglese dopo l’esordio Night Of A Thousand Candles (85) e il già menzionato How Green Is The Valley (86), aveva fornito delle più che buone prove con dischi come Waiting For Bonaparte (88), Silvertown (89), Domino Club (90), passando per il live Alive,Alive-O (91), e, dopo alcuni anni di riflessione a causa di una separazione affrettata e poco convinta, tornavano con Never Born To Follow (96), un EP Big Six Pack (97), The Cherry Red Jukebox (03), un altro live Smugglers And Bounty Hunters (05), e dopo un’altra ulteriore breve pausa eccoli di nuovo con Devil On The Wind (09) e il doppio 5 Go Mad On The Other Side (11), una raccolta di demos, b-sides e rarità del periodo 84-96.

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Veniamo a questo Tales Of Love And Hate, che è stato registrato al The Islington Academydi Londra nel 2004, a completare la formazione, oltre ai componenti principali sopracitati, troviamo sul palco  anche Bobby Valentino al violino, Dan Swift alla batteria, Ricky McGuire al basso, Nick Muir al piano, per una scaletta che contiene 22 delle canzoni più amate dei TMTCH, compresi naturalmente tutti i grandi successi. (Il CD contiene 19 brani, il DVD, oltre al concerto completo, è pure arricchito da interviste al gruppo, per un totale di ben 154 minuti). Di seguito vi elenco la tracklist della serata:

The Day After

The Ghosts Of Cable Street

Wishing Well

Bounty Hunter

Ride Again

Shirt Of Blue

Company Town

Dogs Eyes Owl Meat And Man Chop

Australia

Barratt’s Privateers

The Bells

Silver Dagger

Singing Elvis

Rosettes

Smugglers

Nightbird

Silver Gun

The Colours

Summer Of Hate

Ironmasters

Going Back To Coventry

Green Fields Of France

Quella sera del 30 Luglio 2004, i TMTCH festeggiavano il ventennale di carriera ed erano particolarmente “pimpanti”, sciorinando nell’arco del concerto composizioni piacevoli e scorrevoli, con un “sound” attraente e invitante, baldanzoso e vivace, spesso irresistibile. I brani scelti per la scaletta furono un buon mix di vecchio e nuovo (ma purtroppo nulla dal loro album Never Born To Follow), e la partenza, “a rotta di collo”, con il trittico iniziale The Day After, The Ghosts Of Cable Street https://www.youtube.com/watch?v=t5-3dSrx3rQ  e la Wishing Well di Nick Lowe, proseguendo con brani “tirati” in stile Pogues come Dogs Eyes Owl Meat And Man Chop, Singing Elvis https://www.youtube.com/watch?v=17hnPasSyqk , Summer Of Hate, il folk-rock di Bounty Hunter, Company Town e la galoppante Nightbird, rispolverando i brani tradizionali Silver Dagger e Smugglers, intermezzati dai grandi “classici” Shirt Of Blue, Rosettes e The Colours, senza dimenticare le ballate di Paul Simmonds (che resta la penna più prolifica e autorevole del gruppo), le meravigliose Australia https://www.youtube.com/watch?v=A4APLaWGMEY  e The Bells, andando a chiudere doverosamente con la grandissima Green Fields Of France, un vero “inno” generazionale.

the men they couldn't hang night ferry ep

Night Ferry è un EP di quattro brani (due brani originali e due cover), un’anticipazione del nuovo disco dei The Men They Couldn’t Hang The Defiant in uscita a Settembre (grazie alla raccolta fondi avviata dai “fans” ), prodotto da Mick Glossop. Il mini-traghetto parte con il punk-folk-rock della title track The Night Ferry, seguita da Raising Hell che vira verso una sorta di folk acustico, arrivando a riva con le cover di I Knew The Bride di Nick Lowe (autore che amano molto), rifatta con lo spirito dei Pogues, e una versione ruggente di Shoals Of Herring di Ewan MacColl, una ballata che profuma d’Irlanda.  

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L’energia che sprigiona Tales Of Love And Hate, ristampato in confezione CD+DVD a dieci anni dalla data originale di uscita (era uscito, solo il DVD, come 21 Years of Love And Hate), è assolutamente positiva e attanaglia l’attenzione dell’ascoltatore, e se amate il genere e non avete neanche un loro disco, beh direi che è praticamente indispensabile, se non lo amate, ma ogni tanto vi va di ascoltare un disco in relax per un ascolto non impegnativo, queste canzoni possono anche servire. Se volete il mio umile consiglio, questo è un gruppo da non farsi scappare, ricchi di grinta e anima, nell’attesa del prossimo imminente lavoro.

Tino Montanari

E’ Gia Partita La Grande Jam In Cielo? E’ Scomparso Johnny Winter, Aveva 70 Anni

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Se ne è andato ieri a Zurigo John Dawson Winter III, Johnny Winter per tutti, nella sua camera di albergo o in una clinica, non è chiaro, come non sono certe le circostanze della sua morte. A darne notizia sarebbe stata Jenna Derringer, la moglie del suo collaboratore di lunga militanza Rick. Non è stato ancora emesso un comunicato ufficiale per chiarire le cause del decesso. Quello che è certo è che Johnny Winter, da moltissimo tempo, dall’inizio degli anni ’90, non godeva più di buona salute: dopo essersi liberato da una lunghissima dipendenza dalle droghe, ex eroinomane e tossicodipendente, con il vizio dell’alcol e degli antidepressivi, Winter le aveva proprio tutte, ma testardamente, per virtù o per necessità, negli ultimi dieci anni della sua vita sotto la guida di Paul Nelson, chitarrista e manager, continuava la sua carriera di performer e musicista. Il suo ultimo concerto dovrebbe essere avvenuto il 14 luglio al Cahors Blues Festival in Francia, era stato anche in Italia, a maggio, per tre date, ed erano già previste altre date per un tour nordamericano, come pure la pubblicazione del nuovo disco Step Back, la cui uscita era annunciata per il prossimo 2 settembre e dovrebbe rimanere l’unica cosa certa, purtroppo, per il futuro.

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Step Back Track Listing

1. Unchain My Heart – Johnny Winter
2. Can’t Hold Out (Talk To Me Baby) – Johnny Winter with Ben Harper
3. Don’t Want No Woman – Johnny Winter with Eric Clapton
4. Killing Floor – Johnny Winter with Paul Nelson
5. Who Do You Love – Johnny Winter
6. Okie Dokie Stomp – Johnny Winter with Brian Setzer
7. Where Can You Be – Johnny Winter with Billy Gibbons
8. Sweet Sixteen – Johnny Winter with Joe Bonamassa
9. Death Letter -Johnny Winter
10. My Babe – Johnny Winter with Jason Ricci
11. Long Tall Sally – Johnny Winter with Leslie West
12. Mojo Hand – Johnny Winter with Joe Perry
13. Blue Monday – Johnny Winter with Dr. John

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Nel frattempo, come memento per ricordare quello che è stato uno dei più grandi chitarristi che la storia del blues e del rock ricordino, (ri) pubblico la recensione che gli avevo dedicato in occasione dell’uscita del bellissimo cofanetto commemorativo (in tutti i sensi) True To The Blues: The Johnny Winter Story, pubblicato lo scorso febbraio, in occasione del suo 70° compleanno.

Forse è già partita una lunghissima jam lassù nel cielo dei grandi musicisti, con i due musicisti effigiati in apertura del Post e con tanti altri che hanno condiviso con lui i palchi dei concerti, in giro per tutto il mondo!

R.I.P. John Dawson Winter (Beaumont, Texas 23 Febbraio 1944 – Zurigo, Svizzera 16 Luglio 2014).

Ieri, Oggi E Sempre! True To The Blues: The Johnny Winter Story

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Johnny Winter – True To The Blues: The Johnny Winter Story – 4 CD Sony Music/Legacy 25-02-2014

John Dawson Winter III, come recitava il titolo di un suo disco degli anni ’70, ma Johnny Winter per tutti, è uno dei più grandi chitarristi della storia del Blues (e non solo), bianchi o neri non fa differenza, punto! E per lui, che è più bianco del bianco, albino si dice, essere considerato alla stessa stregua di quelli che erano stati gli eroi della sua gioventù, da Robert Johnson a T-Bone Walker, passando per Elmore James, Hubert Sumlin e nel R&R Chuck Berry, per non parlare di Muddy Waters, credo che sia stato un onore non trascurabile. Si diceva albino, texano, un mare di tatuaggi, non necessariamente nell’ordine, “scoperto” da Michael Bloomfield (di cui in questi giorni esce un altrettanto bel cofanetto) nel dicembre del 1968, quando lo introdusse al grande pubblico del Fillmore East di New York, in una delle date del Super Session Tour con Al Kooper, lo stesso che aveva fatto conoscere anche Carlos Santana http://www.youtube.com/watch?v=5zECNsIeH9g .

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Ma già una piccola leggenda a livello locale, per i concerti e per il fatto di avere inciso il suo primo album, che fin dal titolo metteva le cose bene in chiaro, The Progressive Blues Experiment (anche se poi era una accozzaglia di materiale inciso per vari singoli) poi pubblicato a livello nazionale dalla Liberty nel 1969, lo stesso anno in cui usciva il suo primo omonimo album per la Columbia, in conseguenza di un contratto per cui Winter aveva ricevuto un assegno in anticipo di sei cifre (600.000 dollari), che per quegli anni era qualcosa di inimmaginabile http://www.youtube.com/watch?v=FrQeIJm41dk .

Johnny_Winter_(album)Johnny_Winter_-_Second_Winter

Il 1969 è un anno magico per Johnny Winter, oltre a Johnny Winter esce Second Winter, uno strano disco inciso su tre facciate, che è ancora migliore del primo, e, soprattutto c’è la partecipazione al festival di Woodstock, dove però il nostro Johnny non è inserito né nel film, né nella colonna sonora tripla del film e neppure in Woodstock 2, il doppio postumo uscito nel 1971. E sì che Winter suonò la domenica notte, prima di CSN&Y, in uno dei momenti topici della manifestazione http://www.youtube.com/watch?v=M6kPQLLLYAc .

winter + hendrixjohnny winter woodstock experience

Per sentire due brani della sua esibizione abbiamo dovuto aspettare l’edizione sestupla della colonna sonora, pubblicata per i 40 anni, oppure l’eccellente doppio Woodstock Experience, uscito sempre nel 2009 per la Sony Legacy, che riporta l’esibizione completa. Al tempo Winter girava con il suo trio, dove c’erano Tommy Shannon al basso (poi anche con Stevie Ray Vaughan, uno dei suoi “discepoli”) e Uncle John (Red) Turner, presenti pure nei due album di studio http://www.youtube.com/watch?v=ULB4QQ9vvko  e invece al 2° Atlanta International Pop Festival del 1970, che si tenne nel luglio di quell’anno, esordirono i Johnny Winter And con Rick Derringer alla seconda solista. Proprio da quella esibizione vengono le tre chicche di questo cofanetto: un brano, Mean Mistreater, che uscì nel triplo vinile, The First Great Rock Festivals Of The Seventies – Isle Of Wight/Atlanta Pop, mai pubblicato su CD e due completamente inediti, Eyesight ToThe Blind (popolarissima in quel periodo, perché appariva in Tommy degli Who, anche se era riportata, all’inizio, come The Hawker) e Prodigal Son, due, anzi tre, grandissimi brani dal vivo che però non so se giustificano completamente l’acquisto di questo cofanetto per chi ha già tutto di Winter. E’ per questo che in un giudizio sul cofanetto meriterebbe cinque stellette per il contenuto musicale e  quattro perché ci si sarebbe aspettato qualcosa di più a livello di materiale inedito, possibile che non ci fosse altro? Comunque il cofanetto è imperdibile in ogni caso.

winter woodstock

Fine della digressione, riprendiamo la disamina dei contenuti. Anzi, prima parliamo brevemente della qualità sonora, che mi sembra decisamente ottima e della scelta dei brani, pure questa molto oculata. I primi due CD sono ovviamente i migliori, si va, in ordine cronologico, dal blues acustico dell’iniziale Bad Luck And Trouble, dove Winter, è all’acustica con bottleneck, accompagnato da un mandolino e da una armonica, si passa alle prime sventagliate slide di R&R e boogie texano con una gagliarda Mean Town Blues, poi è subito tempo per una fantastica jam dal repertorio di BB King con una It’s My Own Fault, tratta dal concerto al Fillmore citato prima, uno slow blues di una intensità inusitata e con il texano già ai vertici della sua arte chitarristica, formidabile.

fillmore lost concert

Pubblicato su CD solo nel 2003 nei Lost Tapes di Bloomfield & Kooper. Dal debutto CBS troviamo I’m Yours and I’m Hers, Mean Mistreater con Willie Dixon e Walter “Shakey” Horton, un po’ grezza a livello tecnico, Dallas, un altro blues acustico e Be Careful With A Fool, altro lento di quelli torridi, degno della sua fama; Leland Mississippi Blues viene da Woodstock, forse non la scelta migliore da quella serata, ma evidentemente è per evitare di duplicare troppe volte gli stessi brani. Da Second Winter cominciano ad arrivare i primi capolavori: Memory Pain ricorda il suono dei Cream mentre Highway 61 Revisited viene considerata, a ragione (con All Along The Watchtower di Hendrix), tra le più belle cover mai fatte di un brano di Bob Dylan, con la sua incredibile slide galoppante contribuisce a creare la leggenda di questo grande musicista texano http://www.youtube.com/watch?v=hPnGXTIQHZw , Miss Ann, con i fiati, attinge da Little Richard, mentre Hustled Town In Texas è un rock-blues di quelli tosti. Dalla versione doppia edita dalla Legacy sono tratti due brani registrati dal vivo alla Royal Albert Hall di Londra nel 1970, entrambi fantastici, una Black Cat Bone che avrebbe fatto felice il maestro Elmore James e la prima di una serie interminabile di versioni di Johnny Be Goode, vero cavallo di battaglia di Johnny, che la fa come nessuno al mondo http://www.youtube.com/watch?v=lUGgXvhLKE4 .

atlanta wight

I primi tre brani del secondo CD nel Box sono quelli tratti dal concerto ad Atlanta del 1970, Eyesight To The Blind, a velocità supersonica, Prodigal Son e Mean Mistreater assai più tosta della versione in studio. Da Johnny Winter And vengono Rock and Roll Hoochie Koo, altro classico della band, Guess I’ll Go Away, quasi hendrixiana nella sua costruzione e On The Limb, cantata con Derringer, di cui non si sentiva particolarmente la mancanza. Da Johnny Winter And Live non si può fare a meno di nulla, qui ci sono 4 brani, ma il disco è uno dei più bei dischi della storia del rock e del blues, quindi è fondamentale averlo, comunque nel cofanetto si trovano It’s My Own Fault, Jumpin’ Jack Flash fatta quasi meglio degli Stones http://www.youtube.com/watch?v=wQPlU5q1CBI , Good Morning Little School Girl http://www.youtube.com/watch?v=10G7rV0xYvM  e una versione “diabolica” di Mean Town Blues, che è un festival della slide.

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Da Still Alive And Well, forse l’ultimo grande album di studio, vengono la title-track, Rock Me Baby, altra grande rilettura di un brano di BB King, fatta sempre a velocità di crociera winteriana http://www.youtube.com/watch?v=Q0NBnClUEDA  e Rock and Roll, omonima solo nel titolo di quella degli Zeppelin, ma altrettanto feroce. Proseguendo con il terzo CD troviamo tre brani da Saints And Sinners che introduce un sound più rock e commerciale, ma non è poi malvagio, come Rollin’ ‘Cross The Country, la fiatistica Hurtin’ So Bad e la funky Bad Luck Situation stanno a testimoniare. Tre anche da John Dawson Winter III, pubblicato l’anno prima nel 1974, Self Destructive Blues, che illustra forse anche la situazione di vita del nostro amico in quel periodo, Sweet Papa John, un classico blues elettrico e Rock and Roll People (scritta da John Lennon e apparsa postuma su Menlove Ave.), omaggio all’altro amore di Winter http://www.youtube.com/watch?v=GoaK6hEKh_A .

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Dal violentissimo Live con il fratello Edgar, Together, viene una Harlem Shuffle di buona qualità, mentre dall’altrettanto tirato (ed esagerato) Captured Live sono estratte Bonie Moronie http://www.youtube.com/watch?v=6Q1o5uuw6ag  e Roll With Me. Tired Of Trying e TV Mama vengono dal disco che segna il ritorno alle origini, Nothing But The Blues, preludio alle collaborazioni con Muddy Waters (e la sua band) qui riprese in”Walkin’ Thru’ The Park (con James Cotton all’armonica) e nella rara Done Got Over, registrata dal vivo http://www.youtube.com/watch?v=CmnT8gcljXo .

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Ci sono ancora tre pezzi per album (forse troppi) dagli ultimi due dischi per la Blue Sky/Cbs, White, Hot And Blue e Raisin’ Cain (tra cui una strana, per Winter, Bon Ton Roulet). Rimangono un brano a testa dai tre bellissimi album per la Alligator, più volte nominati per il Grammy, una Stranger Blues, tratta dalla “misteriosa” Live Bootleg Series, vol.3 (e però giunta al volume 10), di cui nemmeno i compilatori di questo cofanetto sono stati in grado di risalire alla provenienza, indicando un generico “registrato nei tardi anni ‘80”! Rimangono Illustrated Man (altro brano autobiografico) con Dr.John e tratto da Let Me In uscito per la Point Blank nel 1991. Hard Way (notevolissima) da Hey Where’s Your Brother dell’anno successivo e, dal concerto del 1993 al Madison Square in onore del “bardo”  Bob Dylan – The 30th Anniversary Concert Celebration, una fenomenale versione dal vivo di Highway 61 Revisited.

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Infine da Roots, l’ultimo grande disco di studio uscito per la Megaforce nel 2011, i duetti con Vince Gill in Maybellene e Derek Trucks in Dust My Broom http://www.youtube.com/watch?v=VIpmUroL2D4 , quasi a chiudere al cerchio. Lo danno per morto da anni, ma anche lui il 23 febbraio del 2014 festeggerà il suo 70° compleanno e due giorni dopo uscirà questo stupendo cofanetto. Poche parole per concludere, il resto l’ho detto prima: “mano ai portafogli”!

Bruno Conti

Un Irlandese Con “Le Carte In Regola”! Mick Flannery – By The Rule

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Mick Flannery – By The Rule – Universal Music Ireland

Quarto album per il cantautore irlandese di Blarney, Contea di Cork, Mick Flannery, di cui il sottoscritto e l’amico Bruno (titolare di questo blog) da alcuni anni stiamo cercando, con le recensioni dei suoi dischi, di far conoscere le grandi potenzialità ai tanti lettori di queste pagine virtuali (*NDB Vedi sotto). Dopo un breve tour negli Stati Uniti, a marzo 2013 Mick si trasferisce a Berlino, dove in sette mesi trova la voglia e l’ispirazione per scrivere By The Rule, e indubbiamente dopo un primo ascolto, il fascino della capitale tedesca si riscontra nella stesura dei testi e nelle atmosfere di questi tredici brani. Il risultato finale di queste nuove canzoni di Flannery (che hanno preso lentamente forma nella sua stanzetta di Kreuzberg), è il racconto di storie ed esperienze che vengono udite nelle caffetterie e nei bar della città berlinese, messe in musica con l’apporto di Shane Fitzsimons al basso, Alan Comerford alle chitarre, Christian Best alla batteria, Phil Christie al pianoforte e tastiere, Karen O’Doherty al violino e sua zia Yvonne Daly alle armonie vocali, con la produzione di Christian Best e Ryan Freeland (Aimee Mann, Ray La Montagne, Ramblin’ Jack Elliott) https://www.youtube.com/watch?v=L99jRABbNc8 .

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Le carte di questo album iniziano a venire esposte con il singolo Get What You Give, brano aperto da una fragorosa chitarra, poi supportata su un ricco tessuto sonoro da una ritmica tagliente https://www.youtube.com/watch?v=cO6zakt0lgc , a cui fanno seguito le dolci armonie di The Watcher https://www.youtube.com/watch?v=cKzCP-wb__U  e The Small Fire, dal ritmo lento e sommesso, con la seconda che si sviluppa nel percorso del brano in un crescendo importante, mentre la title track, By The Rule, con un sottofondo musicale scarno, viene cantata da Mick in modo sofferto e passionale. Le carte ripartono con la migliore del mazzo, Even Now, una ballata pianistica di una struggente ed intima bellezza, una sorta di moderno “madrigale” di fine ‘800, declamato come fosse una romanza da Flannery: cambiano poi i ritmi con una “giocosa” I’m On Your Side https://www.youtube.com/watch?v=_JivBMcMxMk , per poi tornare nuovamente alle atmosfere acustiche di Bluebird e a quelle più elettriche di Galfond, mentre una chitarra slide accompagna le note dolenti di Own It. Le carte finali, Pride https://www.youtube.com/watch?v=xn6ob8iQcls  e The Blame, sono costruite su melodie che comprendono tutto il complesso universo musicale dell’autore, con assolo di pianoforte e archi sostenuti sempre da una buona ritmica, andando a concludere con i melodiosi coretti di Live In Hope e una ninna-nanna spettrale e acida come Out To Sea, che chiude il mazzo.

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Dopo Evening Train (07) e White Lies (08), http://discoclub.myblog.it/2010/03/23/dall-irlanda-cantautore-e-scalpellino-mick-flannery/  e soprattutto Red To Blue (12) acclamato numero uno in Irlanda per varie settimane (come questo By The Rulehttp://discoclub.myblog.it/2012/06/29/in-irlanda-un-numero-1-grande-talento-mick-flannery-red-to-b/ , abbiamo la conferma che non è sicuramente il talento che manca a questo magnifico cantautore, certificato ulteriormente da questo ultimo lavoro (il migliore per chi scrive), in quanto le canzoni parlano da sole, sono cantate con un timbro di voce personale, allo stesso tempo profondamente evocativo ed immediatamente riconoscibile.

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Quando si tratta di parlare di Mick Flannery ho sempre un “conflitto di interessi” personale (sono dichiaratamente un suo ammiratore), ma a volte mi è difficile comprendere per quale motivo lo stesso Mick Flannery sia così popolare in patria, mentre fuori dai confini della verde Irlanda (soprattutto dalle nostre parti), faccia fatica a far conoscere la sua musica (direi anche colpa degli “addetti ai lavori?).

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Per quel poco che mi compete, sono e sarò sempre pronto ad ascoltare e recensire i dischi di questo ormai ex scultore (o scalpellino?), augurandomi che il titolare del blog mi dia come sempre, con lo spazio lasciatomi, l’opportunità di far conoscere uno dei segreti meglio custoditi del cantautorato Irlandese.

Tino Montanari

“Nativo Americano” Ma Pur Sempre Rock! Indigenous featuring Mato Nanji – Time Is Coming

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Indigenous featuring Mato Nanji – Time Is Coming – Blues Bureau/Shrapnel Records

La storia è nota, per cui non vi tedierò troppo, raccontandovela nei dettagli per l’ennesima volta, ma a grandi linee, è noto come Mato Nanji sia un nativo americano, “indigenous” se preferite, cresciuto in una riserva indiana, con un babbo patito per il rock e per il blues, Hendrix e Stevie Ray Vaughan in particolare, passione tramandata al figlio, che negli anni fonda gli Indigenous, la band, con fratelli e sorelle, che registrano una buona serie di album, con cadenza annuale agli inizi, tra il 1998 e il 2000, di un rock-blues poderoso intriso delle influenze citate, ma valido per il notevole virtuosismo del leader e deus ex machina del gruppo. Nel 2006 approdano alla Vanguard con Chasing The Sun e quello che doveva essere il primo scalino di una carriera importante causa l’implosione della band che si scioglie.

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Nanji che è il titolare del nome, dopo un paio di album solisti e una collaborazione con Luther Dickinson e Cesar Rosas (buona, ma non eccelsa, visti i nomi coinvolti), riprende a pubblicare come Indigenous featuring Nato Nanji (che sempre lui è), firma un contratto con l’etichetta di Mike Varney, altro noto patito di chitarristi, come il babbo e con questo Time Is Coming siamo nuovamente a tre album in tre anni.

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Se li conoscete e vi sono piaciuti i precedenti http://discoclub.myblog.it/2012/06/11/un-chitarrista-che-fa-l-indiano-indigenous-featuring-mato-na/  la formula è più o meno sempre quella: brani originali, testi firmati dalla moglie Leah Nanji, musica di Mato, con un consistente aiuto di Mike Varney (che produce anche), una cover “minore” come Good At Feelin’  Bad di Bruce McCabe (mi pare ai tempi nel giro della Lamont Cranston Band e recentemente con Jonny Lang) e, soprattutto tanta chitarra, una Stratocaster sempre con il volume a 10, pedale del wah-wah spesso innestato e canzoni che raramente durano meno di cinque minuti (escluso l’unicaa cover) ma molte volte li superano. Anche questo album non mancherà di accontentare chi ama il genere: la chitarra è fluida, anche la voce ha molti agganci con quella di Stevie Ray, atmosferica senza essere memorabile, con qualche reminiscenza AOR di qualità e derive southern (anche se vengono dal Sud Dakota, che nonostante il nome, è a nord degli States), come nell’iniziale Grey Skies, dove la solista di Nanji ben coadiuvata dalle tastiere di Jesse Bradman inizia a tessere le sue trame rock.

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I’m Telling You, con il suo organo prominente e il wah-wah già a manetta ricorda il classico hard rock primi anni ’70 di gente come Deep Purple o Uriah Heep che le tastiere le avevano spesso in evidenza. Good At Feelin’ Bad, citata poc’anzi, sempre rock-blues è, magari un poco più funky, ma siamo su quelle coordinate. Time Is Coming ha tutte le caratteristiche di una bella “hard ballad “sudista, tra chitarre acustiche ed elettriche, tastiere di supporto, una bella melodia ricorrente nel refrain, una piacevole oasi di “tranquillità” nei ritmi frenetici dell’album https://www.youtube.com/watch?v=RVkNZ_D2jkM . Sun Up, Sun Down dal suono denso e corposo, ha qualche tocco psichedelico  https://www.youtube.com/watch?v=Fw2fnoByLvk come pure Around The World, saranno le tastiere che conferiscono questa impronta molto seventies, forse un filo ripetitiva, ma c’è decisamente molto di peggio in giro.

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La chitarra distorta e minacciosa di Won’t Be Around ci potrebbe riportare al Robin Trower che cercava di rifare Hendrix ad inizio carriera (ma lo fa anche oggi), Nanji, altro epigono, è nel suo elemento, e negli oltre sette minuti “lavora” la chitarra con classe e veemenza https://www.youtube.com/watch?v=o-bQoFTdsoE . Anche la super riffatissima You’re What I’m Living For è l’occasione per il buon solismo del nostro amico, magari gli arrangiamenti non sono raffinatissimi e variati, ma gli appassionati del genere gradiranno, penso. Day By Day è una sorta di heavy slow blues, con una chitarra molto distorta e la voce leggermente “effettata”, So Far Gone ritmata e cattiva prende sia da Stevie Ray come da mastro Jimi, ma quei signori, come si sa, erano un’altra cosa. In Give Me A Reason si sente anche una chitarra acustica, ma è subito sommersa da elettrica e tastiere, Something’s Gotta Change, di nuovo molto vaughaniana e la lunghissima Don’t Know What To Do, uno slow torrenziale https://www.youtube.com/watch?v=dPbCgwbsHU0 , sono altre due occasioni per gustare il virtuosismo chitarristico di Mato Nanjii, che è poi il motivo, credo, per cui si comprano i suoi dischi, e in questo CD ce n’è tanto.

Bruno Conti

L’Unione Fa La Forza! Mannish Boys – Wrapped Up And Ready

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Mannish Boys – Wrapped Up And Ready – Delta Groove Music

Questa volta il grande capo, Randy Chortkoff, il boss della Delta Groove, ma anche componente dei Mannish Boys, aveva detto: “semplifichiamo, riduciamo le cose ai fondamentali, diminuiamo le dimensioni del progetto e della band”. Purtroppo Finis Tasby, che ha avuto problemi di cuore a fine 2012, dopo avere partecipato alle registrazioni del precedente Double Dynamite http://discoclub.myblog.it/2012/06/16/una-sorta-di-mini-supergruppo-questo-si-che-e-blues-mannish/ , non ci sarà, quindi saremo solo in sei in studio, all’Ardent di Torrance, California. Questo quanto detto prima. Poi: che dite, invitiamo qualche ospite? Voi che pensate, quanti ce ne saranno, conoscendo la struttura dei precedenti sei album della band e viste le premesse? “Venti”, ce ne sono venti, li ho contati, ok, compresi cinque background vocalist, ma mi sembrano le “semplificazioni” dei governi italiani! Anche se i risultati danno ragione al capo. Siamo di fronte al solito grande disco di blues, non quelli timidi e molto, troppo, legati alla tradizione, ma bello tosto, con tutte le variazioni delle dodici battute ben presenti, grandi cantanti, solisti a chitarre, piano, armoniche, delle più svariate provenienze, con una netta preponderanza di artisti bianchi, anche se il cantante, Sugaray Rayford e una delle due chitarre soliste, Kirk Fletcher, sono neri. Ad ennesima dimostrazione del famoso assunto che “i bianchi non possono suonare il blues”, che fa il paio con “non ci sono più le mezze stagioni”, per quanto la seconda mi paia più attendibile.

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Sedici brani, 74 minuti e spiccioli di ottima musica, il classico suono Delta Groove, pulito e ben definito, che ti spara la musica direttamente in faccia, a cura di Chortkoff, questa volta aiutato da Jeff Scott Fleenor, belle canzoni, un misto di originali e cover pescate nello sterminato serbatoio del blues, e poi tutti gli ospiti, usati nel modo migliore, per creare un piccolo gioiellino destinato agli appassionati ma che può essere goduto anche da chi si avvicina con sospetto alle dodici battute, me li vedo già, che palle il blues! E invece, almeno in questo CD non c’è occasione per annoiarsi. Caron “Sugar Ray” Rayford viene dal gospel, ma in breve tempo è diventato uno dei migliori vocalist in circolazione, come dimostrato subito dall’ondeggiante e gagliarda I Ain’t Sayin’, firmata dall’ex bambino prodigio Monster Mike Welch, che rilascia una scarica di chitarrate di inaudita potenza, con Fred Kaplan al piano, e gli altri Mannish Boys che cercano più che contenerne l’irruenza di elevarla all’ennesima potenza. Everything’s Alright, un classico blues swingato di Roy Brown è più contenuta, con le chitarre di Nico Duportal e Kid Ramos in punta di dita, Willie J. Campbell al contrabbasso e non al basso elettrico e Ron Dziubla che aggiunge con i suoi sax una ulteriore patina vintage.

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Frank “Paris Slim” Goldwasser assume la guida del gruppo, voce e chitarra solista, per una propria composizione, Struggle In My Hometown, con il piano e il Wurlitzer di Rich Wenzel che donano una maggiore profondità e modernità ai continui cambiamenti di tempo del brano. Wrapped Up And Ready, la canzone, ancora firmata da Rayford, ci introduce ai talenti dell’armonica di Kim Wilson che duetta con la chitarra di Kirk “Eli” Fletcher, per un brano che ci riporta agli splendori dei primi Fabulous Thunderbirds https://www.youtube.com/watch?v=qPBAyRMyYak . It Was Fun, più lenta e rilassata, firmata da Chortkoff, è l’occasione per ascoltare l’ottimo lavoro della solista di Steve Freund, altro maestro del genere, mentre in I Can Always Dream, sempre del boss, niente ospiti, solo i Mannish Boys duri e puri, con Goldwasser impegnatissimo alla solista e i risultati si sentono, ottimo come sempre Sugar Ray. Candye Kane, con la sua chitarrista Laura Chavez al seguito, ci propone una salace rilettura della famosa I Idolize You firmata da Ike Turner, con Randy Chortkoff all’armonica, in una delle sue rare apparizioni in mezzo a tanti ospiti.

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You Better Watch Yourself non la conosco, ma è l’occasione per Chortkoff per introdurre una sua nuova scoperta, tale Jacob “Walters” Huffman, armonicista, un nome, una promessa, niente male. Però quando torna l’originale, Kim Wilson, ben spalleggiato da Welch, alle prese con una cover di Something For Nothing di Robert Ward, siamo dalle parti del Chicago Blues più osservante, con piano, fiati e tutto il gruppo in grande spolvero. Il capo si riserva una solo canzone https://www.youtube.com/watch?v=nF4woyfLB8M , Can’t Make A Livin’, dove conferma di non essere poi questo gran cantante, discreto armonicista, e quindi lascia spazio alla voce di Trenda Fox e alle chitarre di Fletcher e Welch, in modalità tremolo. The Blues Has Made Me Whole, di nuovo con e di Steve Freund, dà piena conferma al proprio titolo e vi pareva che in un disco di blues recente non ci fosse Bob Corritore? Ci sta, ci sta, con la sua armonica a spalleggiare Welch e il rientrante Rayford in una potente I Have Love, prima di lasciare il posto a Wilson per uno dei rari lenti del disco, Troubles; ottima anche la cover di She Belongs To Me un Magic Sam d’annata con Kid Ramos che sembra Peter Green. Don’t Say You’re Sorry con Goldwasser alla slide e alla voce è un’ulteriore variazione sul tema blues e la conclusiva, strumentale Blues For Michael Bloomfield, firmata da Fletcher è una occasione per tutti i chitarristi di lasciarsi andare in un sentito e bellissimo omaggio ad uno dei grandi dello strumento https://www.youtube.com/watch?v=G3FCtvr1aIk .

Bruno Conti

Nome Intrigante, La Musica Un Po’ Meno! Kings Road Band – Spiral Stares

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Kings Road Band – Spiral Stares – Self Released

Sono un quartetto, vengono da Los Angeles, California, la loro musica si ispira a quella di Doors, Hendrix, Stones, Janis Joplin e molti altri, un misto di rock, blues elettrico e psichedelia. Wow! O così almeno recita la biografia della King Road Band https://www.youtube.com/watch?v=uG-HTDpCCQs . Ci sono due Hernandez in formazione, Carlos e Gloria, anche dai lineamenti somatici rilevati dalle foto paiono fratelli, quali in effetti sono, lui alle chitarre, lei alla voce: e qui sta l’inghippo. Musicalmente mi ritrovo con le fonti di ispirazione, l’iniziale Follow The Light addirittura ha qualche tocco à la Jefferson Airplane, con la chitarra di Carlos che traccia delle linee ispirate a quel sound e dei tocchi alla solista che potrebbero venire dai primi brani dei Big Brother, mentre l’organo di Charlie Fountaine rafforza questa vicinanza d’intenti ai Doors, anche per l’uso dei pedali, come faceva Manzarek, per sostituire il basso che non c’era in formazione https://www.youtube.com/watch?v=2mM6qG2Gyl8 . Il problema è che alla voce non ci sono Grace Slick, Janis Joplin, né tantomeno Jim Morrison, ma una ragazza dalla voce che per quanto tagliente la si voglia dipingere, sembra più una pallida controfigura (e ho detto tutto) di Susanna Hoffs delle Bangles. Forse, ma forse, anche per il tipo di voce, si potrebbero accostare agli X di Exene Cervenka e John Doe, che però erano molto più punk ed incazzati e in seguito hanno avviato una carriera all’insegna della roots music più rigorosa.

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Tornando alla Kings Road Band (da non confondere con i Kings Road, che erano molto meglio), musicalmente, pur con questa tendenza revivalistica spinta (che dal vivo si estrinseca anche in spettacoli di luci stroboscopiche molto sixties), sono anche validi, gli intrecci di chitarre e organo ogni tanto si spingono in territori psych più spinti, come nella lunga, conclusiva Third Eye Encounters, che oscilla tra Big Brother e Quicksilver, e quando la voce tace (si è capito che non mi piace molto, non è un fatto personale, un semplice parere, magari ad altri, più versati nell’indie rock, potrebbe anche essere gradita), il dualismo chitarra-organo sviluppa delle interessanti atmosfere. Altrove si potrebbero tracciare paragoni con il psych-pop divertente di ? & The Mysterian o Sam The Sham & The Pharaos (quelli di Wooly Bully), ad esempio in She’s Only Beautiful Sometimes, che potrebbe essere un singolo potenziale, da unire al riff alla Volunteers di Follow The Light.

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Altrove, ad esempio in Old Friend (l’altro brano che supera i sei minuti), quando Fountaine passa al piano, il suono si fa più classic rock, anche in Tears Of the Sun o addirittura vira al boogie, come nella scatenata Creatures Of the Night. Elementi più dark e ricercati nella lenta Killing You o bluesati come in Stacy’s Jam, che tiene fede al nome e cerca più l’improvvisazione. Però la voce da ragazzina capricciosa ed umorale della Hernandez rovina gli sforzi meritevoli degli altri musicisti, mancherebbe il batterista George Liebel da ricordare, così li abbiamo citati tutti https://www.youtube.com/watch?v=JMsKPFAgZBU . Pare che a Los Angeles siano considerati creatori di “Good Vibrations” sin dal lontano 2011, anno della loro apparizione (forse anche prima https://www.youtube.com/watch?v=Py7Ie_Gz6lY), ma lo dice sempre il loro sito, crederci o no? L’impegno c’è, per il resto vedete voi!

Bruno Conti