Come Il Buon Vino, Invecchiando Migliora Sempre Più! Lucinda Williams – Down Where The Spirit Meets The Bone

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Lucinda Williams – Down Where The Spirit Meets The Bone – 2 CD Highway 20 Records

Il titolo del Post, detto tra l’altro da uno che è astemio, ma è un modo di dire efficace e che rende bene l’idea, potrebbe far pensare che nel passato Lucinda Williams non abbia già pubblicato una serie di album strepitosi: dall’omonimo del 1988, ristampato in tempi recenti in versione doppia a Sweet Old World del 1992, il bellissimo Car Wheels On A Gravel Road del 1998, Essence del 2003, il doppio dal vivo al Fillmore e il recente, 2011, Blessed, l’ultimo per la Lost Highway, ma più o meno tutti gli album sono di ottima qualità. E a ben guardare, solo undici album in tutto, in 35 anni di carriera. Questo Down Where The Spirit Meets The Bone è quindi il dodicesimo, il primo pubblicato su una etichetta indipendente e che certifica la buona salute artistica della Williams che si aggiunge ad una lista di artisti maturi, “invecchiati”, che continuano a fare ottimi album: dal capostipite Bob Dylan passando per Mellencamp, Petty, Richard Thompson, John Hiatt, Fogerty, Clapton, Willie Nelson (ma ce ne sono parecchi altri) che spesso piazzano la zampata del vecchio leone, di Bob Seger sentiremo fra poco, mentre Springsteen ultimamente riesce a regalarci solo qualche canzone memorabile, a parte i “soliti” concerti incredibili, forse per una produzione troppo copiosa rispetto al passato. Di Van Morrison sembrano essersi perse la tracce, ma in fondo Born To Sing: No Plan B è uscito nel 2012. Poi ci sono settantenni come Ian Hunter, Billy Joe Shaver, Tony Joe White, Tom Jones, Kris Kristofferson, che non mollano, e ottantenni come Leonard Cohen o Jerry Lee Lewis, che pubblicherà un nuovo disco, di cui si dice un gran bene, a fine mese, che sembrano avere trovato l’elisir di eterna giovinezza.

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Tutto questo per dire che dischi belli da parte di artisti stagionati non sono più una rarità come un tempo, quando i 30 anni sembravano un limite invalicabile e Pete Townshend proclamava di voler morire prima di diventare vecchio. Però questo Down Where The Spirit Meets The Bone, con la sua bella copertina, dove una lama si conficca a spaccare un cuore, si candida ad essere uno dei dischi migliori del 2014 e tra i migliori doppi album di sempre. Venti canzoni, di cui una cover. una bellissima Magnolia dal repertorio di JJ Cale, un’ora e quarantacinque minuti di musica, quindi un “vero” doppio CD, tantissimi musicisti impiegati, con ben sette diversi chitarristi, ovviamente non tutti insieme, che alzano la quota rock del disco che spesso, come è caratteristica della Williams, qui più che altrove, ci regala sontuose sarabande chitarristiche (se qualcuno ha detto o pensato Neil Young, ha ragione). La voce è quella che è, particolare, dolente, forse un po’ monocorde, so che c’è gente che non la ama, ma allo stesso tempo, ultimamente, quando si vuole fare un complimento a qualche nuova cantautrice, si dice che ricorda Lucinda Williams, ormai un punto di riferimento nella canzone d’autore americana. Uno dei chitarristi, Greg Leisz, è anche tra i produttori del disco, insieme a Tom Overby e alla stessa Lucinda, ma non mancano agli addetti abituali al reparto 6 corde della sua band, Val McCallum (anche con Jackson Browne, altro “vecchietto” che prima non ho citato, in uscita con il nuovo disco) e Doug Pettibone, a cui si aggiungono, a seconda dei brani, Bill Frisell, Stuart Mathis dei Wallflowers, Jonathan Wilson e Tony Joe White.

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Per non parlare di Pete Thomas e Davey Faragher, ovvero gli Imposters di Costello, l’ottimo tastierista Patrick Warren e l’immarcescibile ex-Faces Ian McLagan, oltre a parecchi altri bassisti e batteristi e i fiati in un brano. E i risultati si sentono. Anche se il CD si apre con Compassion, che potrebbe essere il motto del disco, solo voce e chitarra, un poema del babbo di Lucinda, Miller Williams, che contiene i versi che danno il titolo all’album, “you do not know what wars are going on/ Down there where the spirit meets the bone.”, cantati con voce spezzata e, appunto, compassionevole. Questo è l’indirizzo diciamo poetico, testuale se volete, del disco, ma poi musicalmente è tutta un’altra cosa. La Williams ha definito il suo genere “country soul” ma il rock è sempre ben presente in questo album: Protection è un blues-rock a doppia-tripla trazione chitarristica, un po’ Tom Petty e un po’ Dire Straits prima maniera, con Lucinda che canta con voce sicura e stranamente assertiva https://www.youtube.com/watch?v=FBmP-0XtXWM , con Gia Ciambotti che offre supporto vocale e le chitarre che cominciano a tirare alle grande. Eccellente anche Burning Bridges dall’andatura più raffinata, con le tastiere che dividono la scena con le immancabili chitarre che ti assaltano dalle casse dello stereo con una ammirevole precisione di suoni e la voce che nel finale si anima di una inconsueta rabbia https://www.youtube.com/watch?v=crvPkFwlG7w . East Side Of Town, una canzone su quelli che vivono ai margini della città e della società, è un tipico esempio del country soul della Williams, un bel piano elettrico, due chitarre più “lavorate”, ma sempre liriche nella loro libertà di improvvisare e una bella melodia che ti entra in testa. West Memphis dedicata al famoso caso di malagiustizia americana (ce l’hanno anche loro!) dei West Memphis Three, è un incisivo swamp blues con la chitarra e l’armonica di Tony Joe White che si aggiungono al lavoro della band https://www.youtube.com/watch?v=5yXbwJefTxQ .

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Cold Day In Hell è la prima ballata del disco, una dondolante costruzione tra soul e rock, tipica della migliore musica della cantante di Lake Charles, tra cori gospel, un organo magico, probabilmente di McLagan e le solite chitarre deliziose. Anche Foolishness ha un bel groove da brano rock classico, con il ritmo che cresce e ti acchiappa, la slide di Leisz che si insinua sotto pelle e duetta con gli altri solisti, non vi so dire chi sono in questo particolare brano, ma in fondo non è poi così importante, vista la bravura di tutti i chitarristi impiegati in questo disco https://www.youtube.com/watch?v=pPTHqZcK5Xo . Senza stare a citare tutte le canzoni, se no la recensione diventa lunghissima, più del solito, vorrei ricordare ancora, nel primo disco, il valzerone country-rock di Wrong Number e il bellissimo duetto con Jakob Dylan (in rappresentanza della famiglia) nella dolcissima litania country-folk di It’s Gonna Rain, una ulteriore piccola meraviglia. Nel secondo disco il classico blues gagliardo di una Something Wicked This Way Comes che mi sembra citi pure il riff di Wang Dang Doodle https://www.youtube.com/watch?v=B9lZrfz2tB0 , ancora con i chitarristi pronti a incattivirsi appena la Williams lascia loro libertà, le raffinate chitarre quasi twangy di Big Mess cantata con grande precisione e partecipazione dalla Williams, le ariose melodie di Walk On, il sontuoso deep soul di Temporary Nature (Of Any Precious Thing), altra compassionevole ruminazione sullo stato dello cose, con organo hammond e piano che si dividono la scena con le chitarre.

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E ancora le dueling guitars della vigorosa Everything But The Truth, tipico esempio del miglior rock californiano, il delizioso country di This Old heartache con la magica lap steel di Leisz ancora in evidenza. Le prelibatezze sudiste di One More Day, dove si gustano anche i fiati. Lo so le ho dette quasi tutte lo stesso, ma sono talmente belle che non se ne può fare a meno. Manca giusto la lunghissima cover di Magnolia di JJ Cale, la cui scomparsa ha colpito evidentemente al cuore i suoi colleghi: quasi dieci i minuti dedicati ad una delle rare ballate del repertorio di Cale, peraltro bellissima, qui resa in un lento crescendo che rende piena giustizia al fascino della canzone. Bello, bello, bello, tante chitarre, tante belle canzoni e una delle musiciste più brave sulla faccia della terra attualmente. Ricorda molto Lucinda Williams!

Bruno Conti

Come Il Buon Vino, Invecchiando Migliora Sempre Più! Lucinda Williams – Down Where The Spirit Meets The Boneultima modifica: 2014-09-30T19:54:34+02:00da bruno_conti
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