Dischi Dal Vivo, “Nuovi E Vecchi”, Più O Meno Ufficiali! Parte 1: Neil Young, Rick Derringer, Stevie Nicks, Lucinda Williams, Howard Wales & Jerry Garcia, Copperhead, Cold Blood, Steve Miller

neil young in a rusted

Sul Blog ho parlato spesso di questi live, più o meno ufficiali (direi meno), quasi sempre incisi bene, tratti da broadcast radiofonici e pubblicati da varie etichette “misteriose”. Li ho recensiti sia in breve, nella rubrica delle anticipazioni discografiche, sia per esteso, ad esempio, recentemente, quelli di Steve Miller http://discoclub.myblog.it/2015/04/11/stadium-rock-depoca-steve-miller-giants-stadium-east-rutherford-n-j-25-06-78/, James Taylor http://discoclub.myblog.it/2014/10/18/vecchi-buoni-james-taylor-feel-the-moonshine-georgia-on-my-mind/, Bonnie Raitt http://discoclub.myblog.it/2015/01/13/i-primi-passi-bonnie-raitt-under-the-falling-sky/, tanto per citarne alcuni, ma nel Blog ne trovate molti altri. Purtroppo spesso manca il tempo per parlare di tutti, almeno i più interessanti, quindi, a cominciare da oggi, vi segnalo, in breve e divisa in più parti, una consistente serie di questi concerti dal vivo.

Partiamo con Neil Young & Crazy Horse In A Rusted Out Garage Tour ’86, lo vedete effigiato sopra, etichetta Air Cuts, qualità sonora tra il discreto e il buono, però gran concerto, Live at “Cow Palace”, San Francisco (CA), 21/11/1986, trasmesso dalla radio FM americana; occhio perché circola anche con altri titoli, comunque sempre di non facilissima reperibilità.

rick derringer at the whisky a go-go

Stessa etichetta anche per Rick Derringer Live At The Whisky A Go Go, February 18, 1977, è lo stesso anno del Derrringer Live, il buon Rick apriva per i Led Zeppelin nel loro ultimo tour americano ed era in gran forma come dimostra questo brano https://www.youtube.com/watch?v=GxS-yKBioJ8. Qualità sonora del broadcast decisamente buona.

stevie nicks the summit

Ancora Air Cuts anche per questo Stevie Nicks The Summit, Houston, Texas, October 6th 1989 trasmesso dalla KSAN-FM Radio. Qulaità sonora buona, ma è il sound anni ’80, tipico del periodo, che è “orrido”.

lucinda williams live on texas music

Qui siamo proprio all’inizio della carriera di Lucinda Williams Live On Texas Music Austin, TX, 4th October 1981, la vede nelle vesti della folksinger dei primi tempi, anche se in alcuni brani è accompagnata dal trio di Austin Uncle Walt, mai sentiti ad onor del vero. Qualità sonora discreta, etichetta sempre Air Cuts, tratta da una famosa trasmissione texana che credo sopravviva tuttora in versione televisiva.

howard wales and friends

Questo è un doppio CD, uscito già da qualche mese per la Echoes, qualità sonora eccellente, da avere assolutamente, attribuito a Howard Wales And Friends With Jerry Garcia Symphony Hall, Boston 26th January 1972, nel tour per promuovere l’album Hooterholl http://discoclub.myblog.it/2010/11/15/il-primo-disco-da-solista-di-jerry-garcia-con-howard-wales-h/, oltre a Jerry Garcia, chitarra e voce e Howard Wales, tastiere e voce, c’erano Roger Troy degli Electric Flag al basso e Jim Vincent degli H.P. Lovecraft alla chitarra, Jerry Love alla batteria https://www.youtube.com/watch?v=-2–JM8Ckyc. 

coppehead live at winterland 1973

Raro concerto dal vivo, Live At Winterland, September 1st 1973, nel caso in questione su etichetta Keyhole, pubblicato su CD da un annetto e relativo al quartetto che Cipollina formò nel 1973 dopo avere lasciato i Quicksilver: questa è la formazione della band, attiva solo quell’anno, John Cipollina – lead guitar; Gary Philippet – vocals, guitar, organ; Jim McPherson – vocals, bass, piano; David Weber – drums. Il set, durata poco meno di un’ora, nove brani in tutto, viene dagli archivi di Bill Graham, e quindi la qualità sonora è ottima, con la chitarra di John Cipollina in grande evidenza https://www.youtube.com/watch?v=Qx2ONAJQIjM, il gruppo era superiore come caratura alla relativa “oscurità” che ha avuto a livello discografico grazie all’unico disco pubblicato per la Columbia nella primavera del ’73.

cold blood live at the fillmore west

Altro piccolo pezzo di storia riportato in questo CD, edito ancora dalla Keyhole nel luglio del 2014, riguarda un’altra band della Bay Area, attiva già dal 1969, i Cold Blood, formazione  che venne consigliata al solito Bill Graham da Janis Joplin. Si trattava di un ensemble di nove elementi, con fiati, che mescolava il classico sound acido della West Coast, con funky, blues, molto soul e jazz, tanto da essere considerati uno dei primi gruppi di quel genere che poi sarebbe stato definito blue-eyed soul, ma di quello bello tosto. Il leader e fondatore della band era il chitarrista Larry Field, ma la stella era Lydia Pense, una cantante jopliniana dalla notevole estensione vocale, ideale per il suono ibrido del gruppo: anche questo CD  Live at the Fillmore West 30th June 1971, viene dagli archivi dell’impresario americano e ha circolato in passato come bootleg, pur con qualità sonora sempre eccellente. Se amate la Joplin qui c’è trippa per gatti! Questo è il concerto del giorno prima…

Domani proseguiamo con altri album, lo Steve Miller nel titolo del Post è quello che trovate linkato all’inizio.

Bruno Conti

Nel Record Store Day Made In Italy Anche Un CD, Mini! Lowlands – “San Diego Serenade” EP – For Nello!

lowlands san diego serenade

Oggi 18 aprile è il giorno del Record Store Day per il 2015. La manifestazione negli ultimi anni è diventata sempre più incentrata sulla pubblicazione di vinili, spesso inediti ed interessanti, e anche spesso assolutamente unici e bramati dai collezionisti, ma sempre, immancabilmente, carissimi! Che si tratti di 45 giri, EP, 10 pollici, LP, doppi vinili, picture disc, dischi colorati, cofanetti più o meno lussuosi e tutti a tiratura limitata, mi sembra che la manifestazione, ogni anno di più, sia diventata un ennesima scusa per il business delle case discografiche, con il meritorio obiettivo di appoggiare i negozi indipendenti, nella loro lotta di sopravvivenza verso un mercato dominato dalla grande distribuzione e dalla vendita in rete tramite i “grandi venditori”, questo cosiddetto momento di purezza, duplicato nel Black Friday americano di fine novembre, che, già dal nome, doveva essere dedicato soprattutto al vinile. Però con questo sistema di distribuzione le date di uscita si fanno ballerine, i dischi escono a capocchia, prima ma anche molto dopo il giorno fissato, sono difficilissimi da trovare e anche, come detto, molto cari: non tutti comunque, perché se tutti fossero molto costosi, uno se ne farebbe una ragione, ma i prezzi hanno un range enorme, dal ragionevole al folle, e qui sorge il dubbio del business marketting (le due t sono volute)!

record store day

Oltre a tutto, come ricordavo prima, gli altri prodotti sembrano banditi dalle pubblicazioni (quest’anno fa eccezione una ripubblicazione da parte della Unversal in musicassetta del primo demotape dei Metallica No Life ‘Til Leather, naturalmente già “sparito” prima dell’uscita), quindi niente più CD o Mini CD o Cofanetti che gli altri anni, in quantità minime ma interessanti caratterizzavano questo giorno particolare. Voi direte, giustamente, che già le case discografiche ci massacrano tutto l’anno con ristampe a getto continuo che se anche per un giorno il formato digitale viene fatto riposare non dovrebbe essere un problema: ma proprio il nulla assoluto mi sembra eccessivo, qualche ristampa o prodotto ex novo, i più interessanti, creato per il Record Store Day potrebbe uscire anche in CD.

E viene proprio a fagiolo questo EP, un Mini CD con 5 pezzi, su etichetta MRM/Appaloosa, distr. IRD, pubblicato dai Lowlands, abituali frequentatori del RSD, http://discoclub.myblog.it/2012/04/21/record-store-day-2012-bis-un-italo/ e http://discoclub.myblog.it/2013/04/17/record-store-day-2013-lowlands-left-of-the-dial-ed-abbiati-s-2/, che hanno colto l’occasione di questo disco, pubblicato come Lowlands And Friends per ricordare Nello Leandri, uno storico proprietario e gestore di negozi di dischi in quel di Pavia, scomparso il giorno di Natale del 2014 e “premiato” in modo postumo con questa cover di San Diego Serenade, il classico di Tom Waits, che sempre veniva richiesta a Ed Abbiati a livello discografico. Il 9 Febbraio del 2015 Ed ha deciso finalmente di accontentarlo e, nella cucina di casa sua, ma a livello assolutamente professionale, è stata infine registrata: tra Lowlands vari, il violino di Michele Gazich, la chitarra di Maurizio “Gnola” Ghielmo, fiati vari ed assortiti, le voci di Betti Verri e Sergio “Tamboo” Tamburelli, la classica ballata di Tom Waits viene ricreata in una bella versione che ne preserva l’immutato fascino. Nel dischetto trovate anche una versione acustica in solitaria di Can’t Face The Distance, un’altra, più acustica ancora dell’originale, presente nell’ultimo album della band pavese http://discoclub.myblog.it/2014/11/21/continua-linvasione-delle-band-pavesi-lowlands-love-etc-disco-concerto/ di Love Etc…, molto bella anche in questa versione ulteriormente più scarna, formato acustico replicato anche in I Wanne Be e portato alle estreme conseguenze nella versone demo, solo Ed e Gnola, di San Diego Serenade. Il tutto costa poco, lo potete acquistare pure in altri giorni, non è obbligatorio farlo oggi, anche perché sarebbe troppo tardi, e in ogni caso buon Record Store Day, mai dimenticare!

Bruno Conti

Un Grande Vecchio Texano Doc! Ray Wylie Hubbard – The Ruffian’s Misfortune

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Ray Wylie Hubbard – The Ruffian’s Misfortune – Bordello Records

Questo signore ormai viaggia anche lui verso i settanta, e dopo quasi quarant’anni di carriera (e, con questo, 16 album alle spalle) http://discoclub.myblog.it/2012/04/23/l-ultimo-fuorilegge-ray-wylye-hubbard-the-grifter-s-hymnal/ , è ancora oggi considerato come una delle figure di maggior riferimento del movimento country progressivo texano, quello che ha fatto conoscere Austin sulle cartine geografiche musicali (anche per merito della epica Up Against The Wall, Redneck Mother, resa famosa da Jerry Jeff Walker). Chi segue fedelmente la produzione discografica di questo grande “outlaw texano”, sa che non deve aspettarsi una copiosa uscita di album, ne tantomeno dischi realizzati per “majors” altisonanti, e fin dalla bellissima foto del retro del digipak che lo ritrae in un primo piano quanto meno impietoso, con le rughe che gli segnano il volto e la barba bianca incolta, Ray Wylie Hubbard mostra tutta la sua “onestà”. Una schiera di musicisti, più o meno famosi, fa bella mostra di sé nei solchi virtuali delle dieci tracce del CD in questione: oltre a Ray Wylie alle chitarre e armonica, troviamo il figlio Lucas Hubbard alle chitarre acustiche e elettriche, Gabe Rhodes al mandolino e percussioni, Rick Richards batteria e percussioni, il co-produttore George Reiff al basso, la bella e brava Eleanor Whitmore al violino, con l’apporto vocale delle quasi immancabili McCrary Sisters, che rendono estremamente piacevoli le canzoni del nuovo album.

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La prima cosa che noterete quando inserirete The Ruffian’s Misfortune nel lettore CD è la voce di catrame e intrisa da mille bourbon di Hubbard, a partire dall’iniziale All Loose Things, un blues dalla potente sezione ritmica, come nella seguente Hey Mama My Time Ain’t Long (scritta con il giovane Jonathan Tyler https://www.youtube.com/watch?v=5Iu5A9GmpxA) con le chitarre che entrano sotto la pelle, mentre Too Young Ripe, Too Young Rotten è una superba serenata texana (da cantare sotto un cielo di stelle) https://www.youtube.com/watch?v=ooEDBsok1qQ , impreziosita dal violino della Whitmore, per poi passare alla ritmata e sanguigna Chick Singer Badass Rockin’, con tanto di armonica a chiudere il brano, e al roots-blues di Bad On Fords https://www.youtube.com/watch?v=UN-kqQRfp98 . Il disco continua alla grande, senza tentennamenti, con un sontuoso arrangiamento che accompagna una Mr.Musselwhite’s Blues (penso un doveroso omaggio al grande Charlie), imbevuta di armonica e telecaster https://www.youtube.com/watch?v=b3BYlL-yHjs , un vero gioiello, proseguendo con il ritmo sincopato di una Down By The River che non è quella di Neil Young, una Jesse Mae  crepuscolare che sembra  suonata sui monti Appalachi, i coretti “soul” di Barefoot In Heaven, andando a chiudere con una meravigliosa ballata Stone Blind Horses, cantata e suonata à la Mark Knopfler, con un malizioso ritornello che ricorda la mitica Wild Horses degli Stones https://www.youtube.com/watch?v=dTz68xgocjA .

Ray Wylie Hubbard è uno di quei rari talenti musicali che non si possono classificare in un solo genere, avendo cavalcato negli anni tra il ’70 e l’inizio anni ’90 il periodo country targato Lloyd Maines, poi il roots-rock nel decennio successivo con Gurf Morlix (il meglio dei produttori di settore dell’epoca), e il blues dell’ultimo periodo da Eternal & Lowdown (01) fino a questo ultimo The Ruffian’s Misfortune, valorizzato come i precedenti, da una musica che striscia come un serpente attraverso l’erba. Domanda delle cento pistole: cosa ci vuole per fare un bel disco come questo? Lo spirito giusto, il coraggio di suonare il proprio blues, dei bravi musicisti, il tempo che serve e dell’ottimo Bourbon.

Tino Montanari

Suoni Di Frontiera! Calexico – Edge Of The Sun

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Calexico – Edge Of The Sun – City Slang Records/Anti – Deluxe Edition

I Calexico li avevamo lasciati dalle parti di New Orleans, in occasione del precedente disco Algiers (12), ed ora  per questo nuovo lavoro, Edge Of The Sun, li ritroviamo nel cuore del Messico. La band di Tucson (che viaggia verso il diciottesimo anno di attività) chiude con questo Edge Of The Sun, una trilogia “messicana” iniziata con il capolavoro The Black Light (98), e proseguita con il poco considerato Carried To Dust (08), tutti album segnati dalla cultura del paese messicano, con inevitabili influenze tex-mex, folk e country-western. Le tematiche del disco traggono ispirazione da un viaggio fatto dai due “leader storici” John Convertino (batteria) e Joey Burns (basso, chitarra e voce) a Mexico City, dove riescono a portare in studio, nelle varie “sessions” di registrazione, “compari” musicisti come Ben Bridwell (Band Of Horses), Sam Beam (Iron & Wine con cui avevavano già colloborato nell’EP In The Reins (05), Pieta Brown (figlia di Greg Brown), la rediviva Neko Case, Nick Urata (Devotchka), il polistrumentista Greg Leisz, e sconosciute cantanti d’area come la bravissima messicana Carla Morrison, la spagnola Amparo Sanchez, la guatemalteca Gaby Moreno, e un gruppo folk greco come i Takim, con il consueto apporto del fratello di Joey, John Burns, e dei co-produttori Craig Schumacher e Sergio Mendoza.

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Le “border-song” iniziano con Falling From The Sky cantata in coppia con Ben Bridwell, con una robusta sezione fiati ad accompagnare il motivo https://www.youtube.com/watch?v=B8SBTpLVil4 , seguita dal vocione di Sam Beam utilizzato in una spettrale Bullets & Rocks https://www.youtube.com/watch?v=Cgw0FAC3Bko , passando per la “dylaniana” When The Angels Played con la flebile seconda voce di Pieta Brown e il robusto apporto di Greg Leisz, il folk di Tapping On The Line dove si risente piacevolmente ai cori Neko Case, cambiando ritmo con i suoni caraibici della divertente Cumbia De Donde, con la cantante spagnola Amparo Sanchez https://www.youtube.com/watch?v=tjzxxzBTNmw  e la ballata di frontiera Miles From The Sea dove brilla il controcanto di Gaby Moreno. I suoni “messicani” vengono ribaditi nello strumentale Coyoacan (in puro sound Calexico) https://www.youtube.com/watch?v=nusixXIdCnU  e le trombe “mariachi” di una travolgente Beneath The City Of Dreams con la Moreno di nuovo in evidenza, mentre il suadente Woodshed Waltz, a tempo di danza, si avvale della chitarra del leggendario Greg Leisz https://www.youtube.com/watch?v=NVt-h6Tgt4M , tornando ai ritmi latini di Moon Never Rises, in duetto con Carla Morrison, per finire con la crepuscolare e intensissima World Undone con la formazione dei Takim (probabilmente la canzone più intrigante del lotto) https://www.youtube.com/watch?v=XiZT1IU4rrU , e la bellissima melodia di Fallow The River, interpretata dal cantante Nick Urata dei Devotchka (per chi scrive un gruppo meraviglioso e sottostimato). Per i fans del gruppo, nell’edizione Deluxe ci sono sei brani, Calavera, Roll Tango, Rosco Y Pancetta, Volviendo, Lei It Slip Away e Esperanza, che probabilmente sono le basi per il prossimo lavoro dei Calexico.

La musica dei Calexico è  spesso una sorta di “road movie” alla Sergio Leone, che si consuma tra i deserti dell’Arizona e le suggestioni delle feste messicane, una miscela di suoni che nel corso degli anni ha funzionato a dovere, infilando rock e mariachi, folk e country, umori zingareschi e musica latina, il tutto convogliato su paesaggi sonori alla Ennio Morricone e che riconferma questa formazione come una delle realtà musicali più creative del panorama post-rock di “frontiera” americano. Gracias amigos !

Tino Montanari

Un “Supergruppo”? Più O Meno. Diamond Rugs – Cosmetics

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Diamond Rugs – Cosmetics – Sycamore Records/Thirty Tigers

Cosa otteniamo unendo due musicisti dei Deer Tick, un ex dei Black Lips, un Dead Confederate, un Six Fingers Satellites e Steve Berlin, del giro Los Lobos e Blasters? Un supergruppo? Più o meno, anche se dovendo pensare ad un supergruppo mi vengono in mente i Blind Faith di Clapton, Baker e Winwood, o in tempi più recenti i Traveling Wilburys con Dylan, Harrison, Orbison, Petty e Lynne, però in questo caso,  con tutto il rispetto per i nomi dei musicisti coinvolti, parlerei più di un progetto collaterale o di una collaborazione, per quanto riuscita. Infatti questo Cosmetics è già il secondo album che i Diamond Rugs pubblicano, dopo l’omonimo esordio del 2012: e se proprio vogliamo indagare fino in fondo, non sono neppure coinvolti solo i sei musicisti principali, ma ce ne sono altri quattro di contorno, due ulteriori fiati, che uniti al sax di Berlin (impegnato anche a tastiere varie) danno alle procedure, ove occorra, un suono più caldo e diretto, già accentuato dal fatto di avere registrato il tutto su un vecchio otto piste nel Playground Sound Studio di Nashville, in una decina di giorni nell’agosto del 2013. Se aggiungiamo ancora Adam Landry, chitarrista e pianista, nonché produttore dell’album (di recente all’opera con Lilly Hiatt) insieme a Justin Collins, pure lui alla chitarra, otteniamo una formazione dove il classico formato, chitarre (ben tre), basso, batteria è arricchito appunto da una sezione di fiati e da molte tastiere.

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Secondo alcuni il risultato è la somma delle parti dei vari musicisti coinvolti, secondo altri ognuno porta il suono del proprio gruppo, ma il mondo è bello anche perché alla fine ognuno ha la propria opinione, comunque rispettabile. Oltre a tutto John McAuley, perché non abbiamo detto che dietro al tutto, in un certo senso, c’è lui, in quanto il precedente album doveva essere il suo esordio solista, il “vizio” della collaborazione ce l’ha nel sangue, visto che, al di fuori dei Deer Tick, c’era già stato il progetto Middle Brother, altro “supergruppo” con Taylor Goldsmith dei Dawes e Matthew Vasquez dei Delta Spirit, sia pure con attitudini più roots-rock, mentre per questi Diamond Rugs si è parlato di indie rock, e qui dobbiamo ancora metterci d’accordo su cosa si intenda esattamente: è un genere musicale o il fatto che i frequentatori vengono da un background indipendente dalle majors discografiche? Boh! Comunque si ondeggia tra il R&R rauco e fiatistico di Voodoo Doll, dove si oscilla tra un classico rock alla Los Lobos e Blasters e derive più funky-wave, tipo i Talking Heads della parte centrale di carriera, tra synth e sax che si contendono gli spazi sonori del brano con le chitarre https://www.youtube.com/watch?v=IdBv7Q9EDiE . Thunk, con i suoi fiati all’unisono appoggiati ai riff delle chitarre ha un suono più classico, sempre divertente e ben scandito, insomma l’energia sembra non mancare https://www.youtube.com/watch?v=2ij76Ntnb8o . Couldn’t Help It addirittura potrebbe essere un bel garage rock and roll melodico (si può dire?) che avrebbe fatto la sua bella figura su Negativity dei Deer Tick, ma anche in un disco dei citati Travelin’ Wilburys https://www.youtube.com/watch?v=8faDZtRh_n0  e pure Meant To Be ha un bel groove d’assieme, scandito e più rallentato rispetto ai precedenti brani, ancorché più chitarristico https://www.youtube.com/watch?v=vIRa61opst4 .

Non guasta che nei vari brani i componenti del gruppo si alternino alla voce solista, garantendo al disco una discreta varietà di temi sonori, senza per questi essere troppo dispersivo. Live And Shout ha un bel drive alla Bo Diddley o alla Buddy Holly, se fossero vissuti nel 21° secolo https://www.youtube.com/watch?v=-DYdJi4CEsE , ma la passione per le chitarre se la fossero portata dietro dai loro tempi, magari con un pizzico di ghigno alla Tom Petty. La brevissima So What non rimarrà negli annali della pop music, mentre Ain’t Religion, per il ritmo della batteria e la costruzione del brano, potrebbe apparire come una (quasi) riuscita fusione tra un mid-tempo pettyano e un brano alla Creedence https://www.youtube.com/watch?v=SSYW4OKqHO4  e Killin’ Time, con un organetto molto vintage e il riff ripetuto delle chitarre elettriche, spolverato dalle acustiche, ha un sapore vagamente sixties, di nuovo piacevole ma non non memorabile, anche le se chitarre qui roccano in modo più energico. Blame forse ha dei tratti tipo i Wall Of Voodoo meno minacciosi e più leggerini, interessanti spunti strumentali, spesso irrisolti e anche Clean, unisce suono garage e sixties, l’attacco sembra Wild Thing dei Troggs e lo svolgimento è un po’ scolastico https://www.youtube.com/watch?v=bdWfjBEQTZQ , come si usa dire. Meglio la botta di energia della conclusiva Motel Room, dove chitarre, fiati e tastiere tornano tutti insieme appassionatamente per un bel finale a base di spastico funky & roll https://www.youtube.com/watch?v=wd0MmIsgCoE .

Bruno Conti     

Gli Eroi Del Giovane Darnielle! Mountain Goats – Beat The Champ

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Mountain Goats – Beat The Champ – Merge Records

A tre anni dall’ultimo lavoro Transcendental Youth (recensito puntualmente da chi scrive su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2012/10/02/la-meglio-gioventu-indie-americana-mountain-goats-transcende/ ), tornano John Darnielle e i suoi Mountain Goats con questo Beat The Champ, un album particolare, ispirato dal mondo professionistico del Wrestling (sport che per inciso rifiuto di vedere), ma che per il ragazzino John (leader e letterato del gruppo) in gioventù è stato un colpo di fulmine, che lo ha portato a scrivere su questo tema le tredici canzoni dell’album.

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I ricordi di Darnielle iniziano sul ring del Grand Olympic Auditorium di Los Angeles, e con i suoi fidati “sparring partners” all’angolo, Peter Hughes al basso, John Wurster alla batteria e con lo stesso John al piano, introducono una commovente Southwestern Territory, per poi omaggiare l’eroe della sua infanzia tale (The Legend Of )Chavo Guerrero, con una ariosa pop song https://www.youtube.com/watch?v=4lqy7KBuO7Y per poi passare al sincopato groove di Foreign Object https://www.youtube.com/watch?v=JQNv2sY7Ge0 , al cadenzato alt-country di Animal Mask https://www.youtube.com/watch?v=U3bV40rEfko , al furioso punk di Choked Out che anticipa la bellissima Heel Turn 2, con una intrigante coda pianistica strumentale. Dopo una meritata pausa, il settimo “round” riparte con una Fire Editorial dall’andamento “jazzistico”, mentre gli archi entrano in scena in Stabbed To Death Outside San Juan (la storia di un lottatore ucciso in uno spogliatoio di Porto Rico) https://www.youtube.com/watch?v=ytRJOcl4-bo , per poi passare alla tumultuosa batteria di Werewolf Gimmick, le suadenti note di una notturna Luna https://www.youtube.com/watch?v=VSeLIAkUZCo  e di una acustica Unmasked, andando poi a menzionare un altro storico lottatore texano con la pimpante The Ballad Of Bull Ramos https://www.youtube.com/watch?v=fRZHsqvoJMM , e chiudere i ricordi dell’infanzia con una spettrale e quasi recitativa Hair Match. Gong!

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I dischi dei Mountain Goats non sono tutti uguali, e lo dimostra ancora una volta questo Beat The Champ,  con una varietà di stili che accompagna la narrazione di John Darnielle, un letterato a cui serve solo una chitarra acustica e la sua tipica voce nasale per raccontare le sue storie, storie di personaggi evocati dalla sua penna, che ad ogni disco aggiungono qualche dettaglio, qualche sfumatura, fino a comporre un altro capitolo di un grande unico romanzo https://www.youtube.com/watch?v=74g4LeTipB4 . Probabilmente questo ennesimo lavoro, non farà breccia tra il grande pubblico, ma senza alcun dubbio (per chi scrive), è un altro esempio interessante di “concept album”, eseguito con sentimento, talento e passione, da una delle formazioni più sottovalutate del panorama americano. Da scoprire!

Tino Montanari

Gli Stones Raddoppiano Lo “Scherzo”. From The Vault: Live At The Marquee Club 1971

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Rolling Stones – From The Vault: Live At The Marquee Club 1971 – Eagle Rock – DVD/Blu-Ray/DVD+CD/DVD+LP 22-06-2015

Il primo aprile si era parlato dell’uscita a fine maggio di varie edizioni potenziate della ristampa di Sticky Fingers, il loro album del 1971, e tra le varie bonus contenute nella Super Deluxe edition era riportata anche la presenza di un DVD registrato al Marquee di Londra in quell’anno, ma con la presenza di soli due brani, facendo pensare ad una sorta di “scherzo”. Invece non si tratta di uno scherzo, si chiama marketing: come era successo per Exile On Main Street alcuni anni orsono, il DVD inserito nel Box è una sorta di “teaser” dell’uscita ufficiale (e completa) del concerto, che è annunciata per il 23 giugno su etichetta Eagle Rock (che ormai fa parte del gruppo Universal). Si tratta della registrazione effettuata nel piccolo club londinese (non so se ci siete mai stati, visto che il locale non esiste più, ma era veramente un buco) per la televisione americana, circa un mese prima dell’uscita di Sticky Fingers.

Il concerto è bellissimo, sono i Rolling Stones migliori, ma potevano fare un cofanetto unico, comunque il contenuto è questo:

  • • Live With Me
  • • Dead Flowers
  • • I Got The Blues
  • • Let It Rock
  • • Midnight Rambler
  • • (I Can’t Get No) Satisfaction
  • • Bitch
  • • Brown Sugar

BONUS TRACKS:

  • • I Got The Blues – Take 1
  • • I Got The Blues – Take 2
  • • Bitch – Take 1
  • • Bitch – take 2
  • • Brown Sugar (Top Of The Pops, 1971)

Esce il 23 giugno, circa un mese dopo l’altra ristampa annunciata http://discoclub.myblog.it/2015/04/01/scherzo-1-aprile-il-25-maggio-uscira-super-edizione-sticky-fingers-dei-rolling-stones/.

Bruno Conti

“Folk Bucolico” Dalle Foreste Dell’Ontario! Great Lake Swimmers – A Forest Of Arms

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Great Lake Swimmers – A Forest Of Arms – Nettwerk/Self Records 21-04-2014

Dopo la precedente recensione di New Wild Everywhere http://discoclub.myblog.it/2012/04/28/nuovo-folk-canadese-great-lake-swimmers-new-wild-everywhere/ , con piacere torno a parlarvi dei Great Lake Swimmers di Tony Dekker, giunti con questo A Forest Of Arms al sesto lavoro in studio, nell’ambito di una carriera ormai ultradecennale. Come i lavori precedenti, A Forest Of Arms è stato registrato in diverse località e nell’arco di diversi mesi (per esempio nelle grotte di Tyendinaga nell’Ontario), con una sezione ritmica importante, florilegi di banjo e chitarre, il suono di un violino affilato, e coloro che hanno familiarità con questo gruppo riconosceranno in questi dodici brani di “acoustic folk” le tematiche e la bellezza ambientale dell’Ontario, di cui sono originari. Tony Dekker, leader, voce solista e alle chitarre, si avvale come sempre degli altri “boscaioli” Erik Arnesen al banjo e chitarra, Joshua Van Tassel alla batteria, Bret Higgins al basso, e della brava Miranda Mulholland al violino e cori, con il supporto del tecnico del suono Justin Shane Nace, il tutto mixato dal meraviglioso talento di Howie Beck (Feist), con Kevin Kane dei Grapes Of Wrath ospite alla 12 corde elettrica in parecchi brani del disco.

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La scampagnata fra gli spazi aperti canadesi si apre con il ritmo tribale di Something Like A Storm https://www.youtube.com/watch?v=t7XV-PVDQ_8 , seguito dal pop-folk orecchiabile di Zero In The City https://www.youtube.com/watch?v=rPIdRNjKnDs , le percussioni di Shaking All Over https://www.youtube.com/watch?v=N_ikAVU3DBY , le dolci e rarefatte atmosfere da camera di Don’t Leave Me Hanging https://www.youtube.com/watch?v=LUrT2HXLB70 , e gli approcci “bluesy” di brani come One More Charge At The Red Cape e I Must Have Someone Else’s Blue. Dopo un breve “picnic” ci si immerge di nuovo nelle foreste con le note bucoliche di I Was A Wayward Pastel Bay, le scorribande del banjo di Arnesen in A Bird Flew Inside The House, le aperture sonore di un melodioso violino in una ritmata A Jukebox In A Desert Of Snow, passando per la struggente ballata The Great Bear (tra i punti più alti e poetici del disco e dai cui versi proviene il titolo dell’album https://www.youtube.com/watch?v=Wyzvuj6Q3_4 ), il largo uso di archi in With Every Departure, e le incursioni acustiche (da sempre marchio di fabbrica di Dekker) nella conclusiva Expecting You.

Di questo gruppo canadese ormai se ne parla da anni, tuttavia oggi più che mai i Great Lake Swimmers sono un vero collettivo, degni delle grandi band che li hanno preceduti e A Forest Of Arms si iscrive nel solco della continuità, con canzoni composte in luoghi appartati e magici, proponendo una musica fuori dal tempo, dal carattere spirituale, che trova in Tony Dekker un perfetto cantore di un mondo di personaggi e paesaggi incontaminati. Esce il 21 aprile in Canada, USA e Regno Unito, il 28 aprile in Italia.

Tino Montanari

Stadium Rock D’Epoca. Steve Miller – Giants Stadium, East Rutherford N.J. 25-06-78

steve miller giants stadium 1977

Steve Miller – Giants Stadium, East Rutherford N.J. 25-06-78 – Echoes

Per metterlo subito in chiaro, il concerto è bello, uno dei migliori Live della loro carriera, decisamente superiore a quello utilizzato per il disco ufficiale dal vivo della Steve Miller Band, pubblicato nel 1983 e che durava “ben” 38 minuti, in CD uguale al vecchio LP: anche la qualità sonora di questo vecchio broadcast radiofonico per la WNEW-FM è più che buona, non eccelsa, il tipico soundboard sound, magari meglio di molti cosiddetti live dell’epoca che erano creati a forza di sovraincisioni in studio, meno perfetto ma più ruspante. Siamo nel 1978, 25 giugno, Almost Summer fu chiamato l’evento allora, il primo concerto tenuto nel mitico Giants Stadium (una sorta di seconda casa per il Boss negli anni a venire), dalla apertura per eventi sportivi avvenuta nel 1976: in quella giornata estiva suonarono anche i Beach Boys, i Pablo Cruise e gli Stanky Brown (?!?), il set della band di Steve Miller, almeno nella versione radiofonica e in quella già tramandata in svariati bootlegs, dura circa un’ora ed il grosso del concerto è incentrato sugli ultimi tre album usciti all’epoca, The Joker del 1973, Fly Like An Eagle del 1976 e Book Of Dreams del 1977, tre dischi di enorme successo che avevano trasformato la vecchia Steve Miller Blues Band, quella del rock-blues delle origini e poi della psichedelia spaziale californiana, in un gruppo di stadium rock di enorme successo, però ancora creativi e ricchi di inventiva, in uno stile che univa space-rock anche commerciale, classico american rock ad altissima quota di riff (una delle caratteristiche salienti della band), un pizzico, soprattutto dal vivo del vecchio amore per il blues e la capacità di scrivere canzoni dai ritornelli accattivanti seppur gaglardi.

steve miller live 1 steve miller greg douglass

A completare il tutto un brano tratto dal “vecchio” Brave New World e uno che sarebbe uscito solo nel 1981 su Circle Of Love. La formazione dovrebbe comprendere (nelle note, ricche di molti particolari inutili, non è riportato), oltre a Steve Miller, ottimo chitarrista e discreto cantante, i fidi Lonnie Turner al basso e Gary Mallaber alla batteria, presumo Byron Allred, a piano, organo e synth (molto presente, ma non fastidioso come diverrà negli anni ’80) e alle chitarre, forse, David Denny e Greg Douglass, alla slide, l’autore con Turner di Jungle Love, viceversa non c’è, perché non si sente nel disco, Norton Buffalo all’armonica, anche se è effigiato in una delle foto contenute nel libretto interno. Però ci sono le canzoni, dodici, con tutti i successi e i brani salienti: con il turbinio ritmico della batteria di Mallaber e il basso pompatissimo di Turner, scorrono la divertente Your Cash Ain’t Nothing But Trash, che indirizza subito la serata ed era su The Joker, Take The Money And Run https://www.youtube.com/watch?v=U5U71_66l-0  da Fly Like An Eagle, con la storia di Billie Joe e Bobby Sue, due moderni Bonnie and Clyde, raccontati in un brano che è un perfetto esempio di rock americano senza tempo, Sugar Babe, di nuovo da The Joker, è un’altra fetta di rock’n’roll di grande appeal, ed è il primo brano dove risalta l’arte del prendere a prestito un riff, in cui Miller è maestro, qui siamo dalle parti di Jumpin’ Jack Flash, nella successiva Swingtown la melodia è “ispirata” a Wimoweh o The Lion Sleeps Tonight se preferite e per fare tombola Rock’n’Me https://www.youtube.com/watch?v=eMiHcFfYgLI  (riportata misteriosamente come Rockin’ Me Baby in copertina), si appropria, dichiarandolo, del celeberrimo riff di All Right Now dei Free, un omaggio a Paul, disse Miller.

E nonostante tutto questo è comunque un bel sentire, l’energia fluisce vigorosa dai brani, le chitarre viaggiano che è un piacere, il pubblico allora e noi che lo sentiamo oggi non possiamo fare a meno di muoverci a tempo con la musica. Jungle Love è un’altra fabbrica di riff R&R e Space Cowboy, il brano più vecchio, dimostra che la band aveva già questo imprinting rock fin quasi dalle origini. Wild Mountain Honey, forse la meno conosciuta, illustra anche le atmosfere ariose e spaziali perfezionate nei dischi di studio https://www.youtube.com/watch?v=3DxeCLeqhbw , con intrecci di tastiere e chitarre, che trovano il loro apice nella lunga intro di synth della celeberrima di Fly Like An Eagle https://www.youtube.com/watch?v=6a6lAwbE1J4 , che poi si dipana in una corposa improvvisazione di circa dieci minuti, prima di confluire in un altro riff immortale, quello di Jet Airliner https://www.youtube.com/watch?v=pEp_IAfyldo , altro successo megagalattico, ma anche canzone godibilissima, nella allora inedita Heart Like A Wheel e andare a concludersi nel rock reggato e sbarazzino di The Joker con la sua “chitarra parlante” https://www.youtube.com/watch?v=geMc4fG-KlA !

Bruno Conti

Gli Stones Americani Degli Anni ’70! J.Geils Band – House Party Live In Germany

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 J.Geils Band – House Party Live In Germany – Eagle Vision CD+DVD o DVD

Classica band americana, originaria dell’area del Massachusetts, nata sul finire degli anni ‘60 come trio acustico intorno alla chitarra di John Geils e all’armonica di Richard Salwitz (il futuro Magic Dick), il gruppo assume la sua forma definitiva quando entrano in formazione il cantante Peter Wolf (originario del Bronx) e il batterista Stephen Jo Bladd, facendosi chiamare prima J.Geils Blues Band e poi, eliminando il Blues dal nome, ma non dalla loro musica, J.Geils Band. Con l’arrivo di Seth Justman alle tastiere diventano una vera forza della natura e dalla zona intorno a Boston, dove erano gli eroi locali, firmando un contratto con la Atlantic, partono alla conquista degli Stati Uniti, con la loro esplosiva miscela di rock, blues e R&B, soprattutto grazie ad un formidabile show dal vivo (ma anche in studio erano fantastici), tanto da essere definiti, come e più dei “Glimmer Twins” Aerosmith, una sorta di controparte americana dei Rolling Stones ed il gruppo preferito dell’Allman Brothers Band, insieme ai quali parteciparono al famoso ultimo concerto del Fillmore East nel giugno 1971.

j.geils band full house

Proprio sui Live la JGB ha costruito la sua reputazione, pubblicandone due, Live Full House (quello con la copertina con le carte da gioco) https://www.youtube.com/watch?v=vvm1_WrF3ns  e il doppio Blow Your Face Out https://www.youtube.com/watch?v=3bDlvQD3S3k , registrati a Detroit,  una sorta di seconda casa per il sestetto, insieme a Boston, da cui proveniva la prima parte del disco del vivo del 1976. Entrambi gli album vendettero intorno al mezzo milione di copie e con Bloodshot, addirittura entrato nei Top 10 delle classifiche USA, cementarono la popolarità della band, che nel momento in cui arriva in Europa per partecipare al Rockpalast di cui questo House Party è la documentazione, stanno girando l’Europa per promuovere il disco Sanctuary, l’ultimo prima di una svolta verso un suono più vicino ad un rock influenzato dalla New Wave più commerciale che caratterizzerà i successivi Love Stinks e soprattutto Freeze Frame, con il singolo Centerfold, ai primi posti in tutto il mondo, ma che segnerà la dipartita di un disilluso Peter Wolf, dopo l’ennesimo buon live Showtime, in disaccordo con lo stile più leggerino e danzereccio assunto dalla band, salvo poi caderci anche lui con i primi album da solista, prima della rinascita artistica nei Noughties.

Ma in questa serata siamo, di poco, ancora nei mitici Seventies, è il 21 Aprile del 1979 https://www.youtube.com/watch?v=g4GD0Zy5MT4 , e sul palco della mitica Grugahalle di Essen la J.Geils Band si esibisce in un eccellente concerto che sarà trasmesso dalla televisione tedesca in Eurovisione, perché, ebbene sì, c’è anche la parte video, in questa doppia confezione pubblicata dalla Eagle Vision, con il titolo Houseparty, e lo spettacolo che offriva il gruppo direi che esige la presenza del DVD . Per la serie una buona promozione è l’anima del commercio, il gruppo esegue, nella prima parte dello show, ben sei brani tratti da Sanctuary , ma con la furia e la potenza dei tempi migliori di questa band, che aveva ben tre frecce al proprio arco, la chitarra a forma di freccia di John Geils (scusate il bisticcio), l’armonica molto elettrificata di Magic Wolf, uno dei migliori virtuosi bianchi all-time dello strumento e grande storico del Blues e, soprattutto, la voce poderosa ed espressiva di Peter Wolf, tra i più grandi cantanti del rock americano dell’epoca, senza dimenticare le tastiere di Justman e l’inarrestabile sezione ritmica.

 

Ecco così scorrere magmatico il R&R della band in Jus’ Can’t Stop Me (ed è difficile fermarli, fin dall’inizio), I Could Hurt You, Sanctuary, One Last Kiss, Teresa e Wild Man, inframmezzati da Nightmares, la title-track del sesto album, una girandola di rock, blues, soul, una vera enciclopedia di party music, che poi decolla nella stratosfera nella seconda parte del concerto, quando appaiono i cavalli di battaglia del loro repertorio. Looking For A Love, il primo successo dei Valentinos di Bobby Womack, è trasformato in un R&R sfrenato degno di Little Richard o degli Stones più arrapati, e anche Give It To Me, R&B, rock e qualche giro reggae e funky, miscelati ad arte, non scherza un cazzo (scusate per lo scherza), Whammer Jammer, dal secondo album, è lo showcase strumentale per tutti i fantastici solisti della band. Ain’t Nothing But A House Party, alza ulteriormente l’asticella del divertimento, Where Did Our Love Go è proprio quella della Supremes, una delle glorie della Detroit musicale,  Pack Fair And Square la facevano anche i Nine Below Zero, ma la versione da ritiro della patente per eccesso di velocità della JGB è formidabile, per concludere il tutto con un altro tributo alla Motown, una First Look At The Purse da sballo, presente fin dal primo spettacolo e dal primo disco, eccezionale. Se ci fosse stata anche la loro versione fenomenale di Serves You Right To Suffer di John Lee Hooker, sarebbe stato un live da 4 stellette, ma anche così, difficile farne a meno.

Bruno Conti