Un Altro “Figlio” Del Laurel Canyon? Israel Nash – Israel Nash’s Silver Season

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Israel Nash – Israel Nash’s Silver Season – Loose/Thirty Tigers CD

Israel Nash Gripka (il cognome si è perso per strada negli ultimi anni) è uno che, sia fisicamente che musicalmente, potremmo definire un’anima in pena. Nativo del Missouri, si trasferisce nel 2006 a New York (Brooklyn per l’esattezza), dove pubblica tre anni dopo un primo album, New York Town, che non ha molta fortuna. Quindi si sposta sulle Catskill Mountains (sempre nello stato di New York), ufficialmente in cerca di ispirazione, e la mossa funziona, in quanto Israel partorisce quello che ancora oggi per molti è il suo disco-manifesto, Barn Doors & Concrete Floors, un riuscito album di Americana, che segnala il nostro come uno dei nomi su cui puntare per il futuro del movimento roots http://discoclub.myblog.it/2011/04/04/e-questo-perche-l-ho-saltato-israel-nash-gripka-barn-doors-a/ . Ma Gripka non è ancora contento: si sposta quindi in Texas, ed invece di proseguire il discorso introdotto con il suo secondo lavoro, magari corroborandolo con elementi riconducibili al Lone Star State, decide di fare (stavolta solo in maniera figurata) un salto nella California dei primi anni settanta, pubblicando (nel 2013) Rain Plans, nel quale Israel adotta sonorità tipiche di quel momento storico, quando cioè il Laurel Canyon era il luogo più cool d’America e If I Could Only Remember My Name di David Crosby era il disco di riferimento dell’epoca. Un cambio a 360 gradi che però ha suscitato più ammirazione che critiche, tanto che Israel si è sentito in dovere di proseguire il discorso, ampliandolo, con il suo nuovissimo album Silver Season.

Un rock cantautorale con più di un accenno psichedelico, sonorità spesso sospese a mezz’aria, brani lunghi ed articolati ed atmosfere talvolta al limite dell’onirico: molti critici lo hanno giustamente paragonato al Neil Young più intimista e “triste” (quello di dischi come On The Beach e Tonight’s The Night), anche per il timbro vocale molto simile a quello del canadese, ed anche a Jonathan Wilson, con il quale ha obiettivamente più di un punto in comune. Ad un primo ascolto di Silver Season io aggiungerei qualcosa dei Pink Floyd (un gruppo decisamente sdoganato negli ultimi anni, si vedano anche le riproposte dal vivo dei loro brani da parte dei Gov’t Mule) e, in generale, un altro nome che mi viene in mente spesso è quello di Chris Robinson, sia per le sonorità che per lo stile delle copertine dei CD. Accompagnano Gripka i suoi soliti compagni di ventura (Eric Swanson, Joey ed Aaron McClellan, Josh Fleishmann) ed il produttore è Ted Young, da sempre partner di studio di Israel e di recente anche con Kurt Vile.

L’album presenta nove canzoni di lunghezza medio-alta (dai quattro minuti e mezzo a quasi sette), con una musicalità molto simile tra un brano e l’altro, tanto che si potrebbe tranquillamente ascoltare senza pause, come se fosse un brano unico: nonostante questo Silver Season è ricco di spunti interessanti e non ci si annoia mai. Intrecci chitarristici, sonorità eteree, voci spesso lontane ed un uso massiccio del mellotron (strumento ormai da considerare vintage), con soluzioni melodiche sempre intriganti e mai banali. Willow apre il disco in maniera lenta, poi entra la ritmica, la chitarra arpeggia ed una steel langue sullo sfondo, Israel inizia a cantare con la sua voce fragile, che in questo brano appare più come uno strumento aggiunto: infatti il pezzo, lungo e fluido, funzionerebbe alla perfezione anche come strumentale. Parlour Song ha un’atmosfera sognante, la psichedelia inizia ad insinuarsi anche se, dopo poco più di un minuto, il brano cambia registro e diventa una ballata younghiana al 100%, con suoni elettrici e strumenti che sembrano sospesi in aria: il tutto ha un indubbio fascino, e la parte strumentale centrale floydiana aggiunge ancora maggior spessore https://www.youtube.com/watch?v=ZlIcUb2MH04 .

Anche The Fire And The Flood ha diverse frecce al suo arco: voce suadente, solita bella steel e suono più vicino ad un certo country “cosmico” che aveva in Gram Parsons la sua figura centrale; L.A. Lately ha invece un avvio inquietante, ma poi il brano diventa una ballata bucolica di grande limpidezza, ancora con la figura del Bisonte canadese ben presente, ed un suono che potrebbe essere l’anello mancante tra Harvest e On The Beach: splendido poi il crescendo finale corale e chitarristico. Lavendula entra subito nel vivo, una rock ballad giusto a metà tra i Floyd più bucolici (il suono) e Young (la voce); Strangers è più meditata ed interiore, anche se la band fornisce il solito tappeto sonoro ricco e creativo. A Coat Of Many Colors (nonostante il titolo, non è il classico di Dolly Parton) è l’apoteosi del sound di Gripka, come se Young avesse Gilmour e Waters al posto di Sampedro e Talbot nella band, si può dire psych-country https://www.youtube.com/watch?v=RzB9SB1pxdM ? L’album volge al termine, il tempo di gustarsi Mariner’s Ode, in assoluto il pezzo più movimentato e diretto del CD, anche se qualcosa di ovattato nel suono rimane, e The Rag & Bone Man, languida, sognante, quasi crepuscolare, degna conclusione di un disco impegnativo e fruibile nello stesso tempo.

Marco Verdi

Un Altro “Figlio” Del Laurel Canyon? Israel Nash – Israel Nash’s Silver Seasonultima modifica: 2015-10-14T13:15:24+02:00da bruno_conti
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