Si Era Solo Preso Una Breve Pausa! Dub Miller – The Midnight Ambassador

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Dub Miller – The Midnight Ambassador – Smith Entertainment CD

Alzi la mano chi si ricorda di Dub Miller? Texano, esordì nel 2001 con l’ottimo American Troubadour, subito bissato l’anno successivo con l’altrettanto valido Post Country, entrando nel novero dei nomi più brillanti di quel movimento nato a cavallo tra Oklahoma e Texas e chiamato Red Dirt. Poi silenzio assoluto fino ad oggi (solo un live nel 2015, ma con registrazioni del 2002), un lunghissimo periodo durante il quale il nostro ha tentato prima di laurearsi in giurisprudenza (ma abbandonando di fatto i corsi al secondo anno) e poi di intraprendere la carriera di promoter ed organizzatore di concerti, anche qui con poco successo. Dub deve poi aver capito che il meglio è in grado di darlo soprattutto come cantautore, dato che ha finalmente deciso di tornare a fare musica, e pubblicando il suo primo album di brani originali in 14 anni, intitolandolo The Midnight Ambassador: quasi tre lustri lontano dalle scene è un periodo che sarebbe lunghissimo anche per una star affermata, figuriamoci per uno che non aveva neppure raggiunto lo status di artista di culto. Roba da stroncare sul nascere una carriera, specie in tempi come quelli odierni dove tutto viaggia velocissimo e non c’è il tempo di aspettare chi rimane indietro: ma Miller non si è spaventato, ha inciso le sue canzoni con calma e nel modo in cui voleva lui, e le ha pubblicate solo quando se lo sentiva, ed il risultato finale è decisamente riuscito, in quanto The Midnight Ambassador è un signor disco di puro songwriting country texano, una collezione di canzoni (undici) che ci restituisce un musicista che nonostante l’assenza dalle scene non ha perso lo smalto, come se questo nuovo lavoro fosse stato registrato un anno dopo Post Country.

Dub alterna brani country-rock diretti e fruibili a ballate profonde, ed è proprio in queste ultime che eccelle, in quanto è uno che sa scrivere, ha feeling, senso della musica, ed in più la vita non è che  gli abbia dato grandi soddisfazioni: i suoi colleghi però non si sono dimenticati di lui, dato che nell’album suonano personaggi come Cody Braun (uno dei due fratelli leader dei Reckless Kelly), il grande Lloyd Maines (il più grande produttore texano, che però qua si “limita” a suonare la steel guitar), il noto songwriter e musicista di Nashville Scott Davis, mentre il produttore è Adam Odor, uno che in carriera ha collaborato con Ben Harper, Jason Boland e Cody Canada. Il disco è stato registrato in parte in Texas, a Wimberley, ed in parte agli Abbey Road Studios di Londra. L’album non parte col botto, ma in maniera molto intensa con Things I Love About You, una sinuosa e toccante ballata, impreziosita dall’interpretazione ricca di pathos da parte di Dub e dagli ottimi interventi di steel (Maines) e violino (Braun). La mossa Broken Crown mi ricorda parecchio (anche il timbro vocale è simile) un brano alla Tom Russell, quel misto tra rock, western e Messico tipico del cowboy di Los Angeles: la splendida melodia ed il ritmo sostenuto rendono la canzone ancor più coinvolgente; The Day Jesus Left Odessa (bel titolo) è uno slow dal motivo decisamente emozionante, che ci mostra che il nostro è un autore forse non prolifico ma decisamente dotato di talento: uno dei pezzi più belli che ho ascoltato ultimamente (e non solo country). Mandi Jean ha curiosamente un refrain springsteeniano, anche se l’accompagnamento non ha nulla a che vedere col Boss (però con quel titolo!).

Charlie Goodnight, che inizia per voce, chitarra e violino (ma poi entra anche il resto della band, anche se in punta di piedi), ci conferma che il nostro si trova particolarmente a suo agio con le ballate: brano fluido e disteso, anch’esso tra i più riusciti; Comfortably Blue è invece un country-folk diretto e saltellante, che si apprezza fin dalle prime note: il bello di questo disco, oltre alle canzoni, sono gli arrangiamenti puliti ed essenziali, come se Dub avesse capito che a volte il meglio lo si ottiene per sottrazione. La cadenzata The Last Church Bell è caratterizzata da un gustoso botta e risposta voce-coro, mentre Taking Our Sunshine Away è il pezzo più elettrico del disco, un rockabilly texano al 100%, seguito senza soluzione di continuità da Big Chief Tablet, uno scintillante country-rock e dotato ancora di gran ritmo. Il CD termina con Ain’t No Cowboy, una western song dal tono epico, cantata con il giusto grado di drammaticità e suonata con grande perizia, e con la title track, un finale dai colori crepuscolari, ancora dominato da violino e steel.

Quattordici anni di assenza è un periodo lunghissimo, ma sembra che Dub Miller sia tornato più bravo di prima: speriamo soltanto che stavolta rimanga.

Marco Verdi

Si Era Solo Preso Una Breve Pausa! Dub Miller – The Midnight Ambassadorultima modifica: 2016-03-16T00:33:19+01:00da bruno_conti
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