Ma Non Si Era Ritirato? Per Fortuna Che Almeno In Studio “Lo Fa Ancora”! Eric Clapton – I Still Do

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Eric Clapton – I Still Do – Bushbranch/Surfdog CD

Lo scorso anno Eric Clapton ha annunciato il ritiro dall’attività live, almeno per quanto riguarda le tournée vere e proprie (un mese fa si è però esibito in una serie di cinque concerti al mitico Budokan di Tokyo), celebrando l’evento con lo splendido Slowhand At 70, registrato nella sua location preferita, la Royal Albert Hall (e infatti noi come avevamo titolato? http://discoclub.myblog.it/2015/11/30/speriamo-che-ci-ripensi-eric-clapton-slowhand-at-70-live-at-the-royal-albert-hall/ . Per fortuna Clapton non sembrerebbe intenzionato ad interrompere anche il suo cammino per quanto riguarda gli album in studio (anche se le ultimissime dichiarazioni lascerebbero presagire il contrario, ma non ci voglio credere), ed ecco quindi arrivare fresco fresco I Still Do, nuovo lavoro del chitarrista inglese e titolo che è tutto un programma. Dopo almeno 25 anni di passaggi a vuoto, Eric si è rimesso a fare dei bei dischi dal 2010 (Clapton) http://discoclub.myblog.it/2010/09/10/provare-per-credere-eric-clapton-clapton/ , almeno per quanto riguarda i lavori “normali”, escludendo quindi i live, gli album a tema blues (From The Cradle, Me & Mr. Johnson) ed i CD in duo con altri, come quello con B.B. King o The Road To Escondido con J.J. Cale: in tutti questi casi infatti il nostro non aveva mai deluso, mentre nei lavori composti da materiale originale (anche se in tutti i suoi dischi si trovano sempre diverse cover) sembrava che si fosse inceppato qualcosa, fino appunto a sei anni fa. I Still Do, nel quale Eric torna a collaborare con il leggendario produttore Glyn Johns (già con lui nel mitico Slowhand e anche nel successivo Backless), è un buon disco, che alterna come al solito qualche brano originale, alcuni blues e diverse ballate, un lavoro suonato con la consueta classe e maestria che ogni tanto sconfina un po’ nella routine e nel mestiere. Ma Clapton ormai è un musicista che non deve dimostrare più niente, ha raggiunto un’età ed uno status che gli consentono di fare la musica che vuole e come vuole, e non siamo certo noi a dovergli dire che direzione prendere.

I Still Do è in ogni caso un CD che si ascolta con indubbio piacere e, anche se a mio parere è inferiore di uno scalino rispetto sia a Clapton che a The Breeze (nel quale comunque il nostro era aiutato da gente del calibro di Tom Petty, Mark Knopfler e Willie Nelson) e di due scalini al bellissimo Old Sock http://discoclub.myblog.it/2013/03/16/manolenta-va-ai-caraibi-eric-clapton-old-sock/ , è comunque di gran lunga superiore a dischi pasticciati ed altalenanti come Pilgrim, Reptile e Back Home. Il suono è splendido, ed Eric è coadiuvato dal solito manipolo di fuoriclasse, tra cui spiccano i fedelissimi Andy Faiweather-Low alla chitarra ritmica, Paul Carrack all’organo, Simon Climie alle chitarre e tastiere e Chris Stainton al piano (un fenomeno), con l’aggiunta della batteria di Henry Spinetti, del figlio di Johns, Ethan, alle percussioni, delle voci di Michelle John e Sharon White, e soprattutto, in molti brani, di Dirk Powell alla fisarmonica, uno strumento non usuale per Clapton, ma che dona un sapore diverso alle canzoni.

Il CD inizia in maniera potente con Alabama Woman Blues, un classico di Leroy Carr, un blues del tipo che Eric mastica a colazione, ma eseguito con classe immensa e con il gruppo che suona da Dio (Stainton su tutti, ed anche la fisa inizia a farsi sentire), e poi il sound è spettacolare. Can’t Let You Do It è l’omaggio che ormai non può mancare a J.J. Cale, con Eric che adotta il tipico stile vocale e chitarristico laidback del vecchio amico, un pezzo che non avrebbe sfigurato su The Breeze…ed il ragazzo alla sei corde ci sa sempre fare! I Will Be There è un brano del songwriter iralndese Paul Brady, e vede alla seconda chitarra e voce il fantomatico Angelo Mysterioso: tutti subito a pensare ad una vecchia collaborazione lasciata nei cassetti con George Harrison, dato che lo stesso soprannome era stato dato all’ex Beatle (ma con la “i” al posto della “y”) nella versione originale di Badge dei Cream. Clapton però si è affrettato a smentire, e dall’ascolto non sembra neppure il figlio di George, Dhani, come qualcuno aveva ipotizzato: a monte di tutto la canzone è molto bella, fluida, rilassata, e suonata al solito molto bene, con un tempo leggermente reggae, un genere che non amo particolarmente ma qui ci sta. Spiral (il primo dei due brani originali) è il primo singolo, un rock-blues lento ed abbastanza attendista, con la chitarrona in evidenza e gran lavoro di Carrack all’organo, anche se dal punto di vista compositivo non è tra le migliori, mentre Catch The Blues, secondo ed ultimo pezzo scritto da Eric, sembra quasi un brano di Santana per il suo gioco di chitarra e percussioni, Manolenta canta in maniera rilassata e la canzone risulta raffinata ma non stucchevole.

Con Cypress Grove (un brano antico di Skip James) Enrico torna al sound robusto di quando suona blues elettrico, un pezzo dal sapore tradizionale ma dalla strumentazione decisamente rock, anche se qui affiora una certa routine; Little Man, You’ve Had A Busy Day è un oscuro brano del passato, inciso anche da Elsie Carlisle e Sarah Vaughn, una versione elettroacustica che vede il nostro affrontare un tipico motivo d’altri tempi con notevole classe ed una punta di mestiere. Sembra strano che esistano ancora dei brani di Robert Johnson che Eric debba ancora affrontare, ma è questo il caso di Stones In My Passway (che però veniva eseguito nel DVD incluso in Sessions For Robert J.), un blues suonato in maniera abbastanza canonica, nobilitato comunque dall’utilizzo della fisarmonica e dalla voce grintosa del leader. Nel corso della carriera Eric ha inciso più volte brani di Bob Dylan, passando dal famosissimo (Knockin’ On Heaven’s Door) al meno noto (Born In Time) o addirittura all’inedito (Walk Out In The Rain, If I Don’t Be There By Morning): I Dreamed I Saw St. Augustine non è tra le più famose di Bob, ma è una scelta da intenditori (era su John Wesley Harding), ed è eseguita in maniera molto diversa dall’originale, con la fisa che è quasi lo strumento guida (mai usato così tanto da Eric), con il nostro che canta da par suo e costruisce un ottimo arrangiamento da rock ballad classica, con un coro alle spalle a dare il tocco gospel. I’ll Be Alright è un traditional nelle quali Clapton assume le vesti del folksinger (il brano è incredibilmente simile a We Shall Overcome, anche nel testo), e lo fa con risultati egregi: un pezzo di grande pathos, bel gioco di voci tra Eric ed il coro e solita chitarra super, un Clapton diverso ma di indubbio fascino.

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Somebody’s Knockin’, ancora JJ Cale, è una via di mezzo tra il classico stile del musicista dell’Oklahoma ed un blues alla Clapton, con Eric che canta bene e suona meglio; l’album si chiude con I’ll Be Seeing You, uno standard jazz interpretato ancora con classe e finezza, un brano quasi afterhours con il piano a guidare le danze ed Eric che smette i panni della rockstar per fare il crooner. Pensavate non ci fosse anche l’edizione deluxe? E invece c’è, ed è pure costosissima, un cofanetto rivestito in tessuto jeans e con all’interno, tra le altre cose, una USB a forma di “vacuum-tube”, ovvero la valvola degli amplificatori, e, a livello musicale, “ben” due bonus tracks, Lonesome e Freight Train (che ad oggi non sono ancora disponibili per l’ascolto).

Quindi un altro buon album da parte di Eric “Manolenta” Clapton, anche se non il migliore della sua discografia, ma un CD piacevole, ben fatto, ottimamente suonato e che alla fine dei conti è destinato a venire inserito tra i suoi più positivi degli ultimi anni.

Marco Verdi

Ma Non Si Era Ritirato? Per Fortuna Che Almeno In Studio “Lo Fa Ancora”! Eric Clapton – I Still Doultima modifica: 2016-05-22T10:15:23+02:00da bruno_conti
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