Ripartono Le Uscite Nel 2017, Parte I! Novità: Dropkick Murphys E Ristampe: Ron Wood, Michael McGear

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Finiamo l’anno con un Post dedicato alle prime uscite discografiche del 2017. Si parte subito, già il 6 gennaio esce la prima novità “importante”: il nuovo album dei Dropkick Murphys, la band celtic punk di Boston che arriva al nono album di studio con questo 11 Short Stories of Pain & Glory, pubblicato per la propria etichetta, la Born & Bred, e come di consueto prodotto dall’ottimo Ted Hutt. Sono dieci brani firmati dalla band e una cover del famoso brano tratto dal Musical Carousel, You’ll Never Walk Alone, un brano cantato in mille occasioni e che è anche uno degli inni del Liverpool. Per i più “temerari” fans uscirà anche una versione limitata dell’album con libretto da 26 pagine e due tracce aggiunte, disponibile per la modica cifra di circa 40 euro in una tiratura di 5.000 copie.

Questi i titoli dei brani:

1. The Lonesome Boatman
2. Rebels With A Cause
3. Blood
4. Sandlot
5. First Class Loser
6. Paying My Way
7. I Had A Hat
8. Kicked To The Curb
9. You’ll Never Walk Alone
10. 4-15-13
11. Until The Next Time

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I’ve Got My Own Album To Do è il primo album solista di Ron Wood, uscito nel 1974 quando il chitarrista inglese era ancora nei Faces, un disco poi uscito in CD in varie versioni, la prima negli anni ’90, poi diverse edizionin, sempre per il gruppo Warner, l’ultima per la Warner Japan nel 2012, ma anche per la Rhino nel 2009 e, solo in vinile, per la Music On Vinyl nel 2015. Il disco regge bene il passare del tempo, un classico album di R&R, con molti brani a firma Wood, ma ci sono anche un paio di tracce Jagger/Richards, una del bassista Willie Weeks, un paio di cover e una canzone composta da Wood con George Harrison, che poi sarebbe uscita, in un’altra versione, nel disco Dark Horse dell’ex Beatle. Nell’album di Ron Wood ci sono una valanga di ospiti: oltre all’eccellente sezione ritmica, Willie Weeks/Andy Newmark, ma anche Pete Sears Micky Waller, nel disco appaiono, in ordine sparso, Keith Richards, Ian McLagan, Mick Jagger, David Bowie, George Harrison, Mick Taylor Rod Stewart, per la serie scusate se è poco.

La nuova versione, in uscita sempre il 6 gennaio per la Friday Music, sarà doppia, ma non perché potenziata da una mirabolante serie di bonus,bensì perché i tipi dell’etichetta americana, senza peraltro indicarlo in copertina, hanno inserito nella confezione anche il secondo album solista di Ron Wood, l’ottimo Now Look, uscito nel 1975, sempre in origine per la Warner, con la produzione di Wood, Bobby Womack Ian McLagan, e con gran parte degli stessi musicisti usati nel disco precedente, nello specifico, Richards, Taylor, McLagan, Weeks, Newmark, oltre a Womack e Kenney Jones e la presenza di alcune cover, brani a firma Wood/Womack e il classico sound rock dei dischi di metà anni ’70., il punto debole ovviamente, purtroppo, è la voce, diciamo non memorabile di Ronnie. Insomma, se vi manca(no) potreste farci un pensierino.

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Dopo le due uscite previste per il 6 gennaio, cominciamo a vederne una di quelle annunciate per il 13 gennaio, mentre le altre ve le presenterò nel Post di domani, per centellinare queste prime ristampe targate 2017. Innanzi tutto chi è Michael McGear? Se aggiungiamo il vero cognome McCartney, il nostro amico Mike è in effetti il fratello minore di Paul, l’altro figlio di Mother Mary, nato in quel di Liverpool due anni dopo il più celebre fratello. Anche lui con una carriera nella musica, prima come membro degli Scaffold, quelli di Lily The Pink, n° 1 nelle classifiche inglesi nel periodo natalizio del 1968 (una band tra music hall e comedy rock, per intenderci la versione italiana del brano venne fatta dai Gufi nel 1969, e come La Sbornia, entrerà anche nelle hits italiane, “Trinca, trinca, trinca, buttalo giù con una spinta…!”

Nel 1968 McGear aveva iniziato anche una carriera solista, il primo album McGough e McGear, in coppia con il suo socio negli Scaffold, ma nell’aprile 1972 pubblica il suo primo album solo “serio”, questo Woman che sta per essere ristampato il 13 gennaio p.v. dalla Esoteric, il disco uscì in origine per la Island e nell’album, oltre a Roger McGough alle chitarre, apparivano anche Andy Roberts, di Liverpool Scene Plainsong, Zoot Money, Brian Auger, Gerry Conway dei Fairport Convention, Tony Coe ai fiati, da lì a poco in Solid Air di John Martyn, e ancora il futuro Average White Band, Alan Gorrie, insomma fior di musicisti. Il soggetto della foto di copertina era proprio Mary McCartney, la mamma di Paul e Mike.

Nella nuova versione Esoteric, rimasterizzata per l’occasione, è stato aggiunto anche un libretto ricco di note e una intervista realizzata per l’occasione con Michael McGear McCartney. Una certa aria di famiglia si respira tra i solchi dell’album, per nulla disprezzabile, sound tipico dell’epoca, molto piacevole.

Ci risentiamo domani con la seconda parte, dedicata alle altre ristampe in uscita il 13 gennaio. Nuovo anno, vecchio Blog.

Bruno Conti

 

Il Resto Del Meglio Secondo Disco Club. Annata Musicale 2016, Parte II

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Eccoci alla seconda parte della lista dei migliori dischi del 2016, secondo il vostro Blogger preferito, spero!

michael kiwanuka love & hate

Michael Kiwanuka – Love And Hate

felice brothers life in the dark

Felice Brothers – Life In The Dark

aaron neville apache

Aaron Neville – Apache

joe bonamassa blues of desperationjoe bonmassa live at the greek theatre 2 cd

Joe Bonamassa – Blues Of Desperation

Joe Bonamassa – Live At The Greek Theatre

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Ryley Walker – Golden Sings That Have Been Sung

kiefer sutherland down in a hole

Kiefer Sutherland – Down In The Hole

Fabrizio Poggi Texas-Blues-Voices

Fabrizio Poggi And The Amazing Texas Blues Voices

steepwater band shake your faith

Steepwater Band – Shake Your Faith

james maddock jimmy immy live in italia

James Maddock/David Immergluck – Jimmy/Immy w/Alex Valle Live In Italia

kenny neal bloodline

Kenny Neal – Bloodline

jack ingram midnight motel

Jack Ingram – Midnight Motel

seth walker gotta get back

Seth Walker – Gotta Get Back

dwight yoakam swimmin' pools

Dwight Yoakam – Swimmin’ Pools, Movie Stars…

parton harris ronstadt the complete trio collection

Dolly Parton/Emmylou Harris/Linda Ronstadt – The Complete Trio Sessions

reckless kelly sunset motel

Reckless Kelly – Sunset Motel

nick cave skeleton tree

Nick Cave & The Bad Seeds – Skeleton Tree

led zeppelin complete bbc sessions front

Led Zeppelin – The Complete BBC Sessions

frankie miller's double take front

Frankie Miller’s Double Take

luke winslow-king i'm glad trouble don't last always

Luke Winslow-King – I’m Glad Trouble Don’t Last Always

bob weir blue mountain

Bob Weir – Blue Mountain

phish big boat

Phish – Big Boat

leonard cohen you want it darker

Leonard Cohen – I Want It Darker

nitty gritty dirt band circlin' back

Nitty Gritty Dirt Band – Circlin’ Back Celebrating 50 Years

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Richard Lindgren – Malmostoso

dear jerry celebrating the music of jerry garcia 2 cd

Dear Jerry – Celebrating The Music Of Jerry Garcia

madeleine peyroux secular hymns

Madeleine Peyroux – Secular Hymns

david bromberg band the blues, the whole blus and nothing but the blues

David Bromberg Band – The Blues, The Whole Blues And Nothing But The Blues

melissa etheridge MEmphis rock and soul

Melissa Etheridge – Memphis Rock And Soul

joanne shaw taylor wild

Joanne Shaw Taylor – Wild

otis clay live in switzerland

Otis Clay – Live In Switzerland, 2006

john prine for better, or worse

John Prine – For Better, Or Worse

the shelters

The Shelters – The Shelters

tim buckley lady, give me your key

Tim Buckley – lady, give me your key

life and songs of emmylou harris

The Life & Songs Of Emmylou Harris CD+DVD

planxty between the jigs and the reels

 Planxty – Betwen The Jigs And The Reels A Retrospective CD+DVD

stevie nicks bella donna

Stevie Nicks – Bella Donna

jimmy ragazzon songbag

Jimmy Ragazzon – SongBag

blue rodeo 1000 arms

Blue Rodeo – 1000 Arms

townes van zandt's last set

Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set

Rolling Stones - Blue & Lonesome cd

Rolling Stones – Lonesome and Blues

Direi che è tutto. Ho lasciato fuori qualcosa da queste due liste (e da quella “ufficiale” dell’11 dicembre)? Può essere, ma credo di avere di avere quasi esagerato. In attesa delle prime uscite targate 2017 e comunque con aggiornamenti giornalieri del Blog su uscite passate e future.

Bruno Conti

 

 

Il Resto Del Meglio Secondo Disco Club. Annata Musicale 2016, Parte I

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The Rest Of The Best Anno 2016

Come promesso nel Post dell’11 dicembre ecco gli altri dischi importanti, interessanti, belli, scegliete voi la definizione, che a mio parere sono usciti nel corso del 2016: novità, ristampe, anche nomi “minori”, dischi “oscuri”, ma non per questo meno validi, alcune “sorprese”! Anche quest’anno, come titolare del Blog, mi sono riservato una congrua e corposa appendice, divisa in due parti, su ciò che più mi è piaciuto in questo 2016 che si avvia alla conclusione. Arrivo quasi in Zona Cesarini, visto che mancano giusto quattro giorni alla fine dell’anno, ma a causa di malanni di stagione non sono riuscito a farlo prima. Andiamo più o meno in ordine cronologico, a ritroso, partendo dall’inizio dell’anno, dove ci sono stati molti dischi di cui magari ci siamo dimenticati a causa delle uscite successive.  Buona lettura.

david bowie blackstar

David Bowie – Blackstar

mamas and papas complete singles

The Mamas And The Papas – The Complete Singles 50Th Anniversary Collection

magic sam blues band black nagic with bonus

Magic Sam Blues Band – Black Magic 

lucinda williams the ghosts of highway 20

Lucinda Williams – The Ghosts Of Highway 20

simo - let love show the way

SIMO – Let Love Show The Way

Visti dal vivo a giugno, confermo tutto quello che ho scritto nella presentazione del disco.

long ryders final wild songs

The Long Ryders – Final Wild Songs

tedeschi trucks band let me get by deluxe

Tedeschi Trucks Band – Let Me Get By

ina forsman

Ina Forsman – Ina Forsman

E per l’inizio 2017 è prevista l’uscita del nuovo CD/DVD della Ruf della serie Blues Caravan, con le Blue Sisters, ovvero Ina Forsman, Layla Zoe, TashaTaylor

runrig the story

Runrig – The Story

marlon williams

Marlon Williams – Marlon Williams

mavis staples livin' on a high note

Mavis Staples – Livin’ On A High Note

james hunter six hold on

The James Hunter Six – Hold On

richmond fontaine you can't go back

Richmond Fontaine – You Can’t Go Back If There’s Nothing To Go Back To

southern family

Dave Cobb & Friends – Southern Family

Il più bel concept album del 2016

peter wolf a cure for loneliness

Peter Wolf – A Cure For Loneliness

santana iv

Santana – IV

E adesso è uscito anche il Live At The House Of Blues

charles bardley changes

Charles Bradley – Changes

chris forsyth the rarity of experience

Chris Forsyth & The Solar Motel Band – The Rarity Of Experience

graham nash this path tonight

Graham Nash – This Path Tonight

La versione Deluxe con il DVD del concerto allegato.

mary chapin carpenter

Mary Chapin Carpenter – The Things That We Are Made Of

rides pierced arrow

The Rides – Pierced Arrow

janiva magness love wins again

Janiva Magness – Love Wins Again

Candidata ai Grammy 2017 come miglior disco blues dell’anno, candidatura più che meritata.

case lang veirs

case/lang/veirs tre voci splendide

Magari spulciando trovate qualcosa che vi era sfuggito durante l’anno, e poi andate a cercare nel Blog i post specifici dedicati al disco.

Domani la seconda parte.

Bruno Conti

Nome, Cognome E Professione! Ray Fuller And The Bluesrockers – Long Black Train

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Ray Fuller And The Bluesrockers  – Long Black Train – Azuretone Records

Ah, quei bei gruppi dove si capisce subito dal nome che genere facciano! Ray Fuller e i suoi Bluesrockers vengono da Columbus, Ohio, non certo una delle culle riconosciute del blues americano, ma abbiamo visto più volte che nell’immenso panorama musicale americano spesso i fautori delle 12 battute si trovano anche nelle più sperdute lande e la capitale dello stato del Nord Ovest è comunque una città con quasi un milione di abitanti ed una fiorente scena musicale: tra i gruppi che vengono da là ricordiamo O.A.R ed ekoostik hookah, oltre al gruppo country dei Rascal Flatts, sempre in ambito country Dwight Yoakam, che quindi  all’origine è un “nordista”, come pure di Columbus sono Phil Ochs, Joe Walsh e la cantante jazz Nancy Wilson, ma ce ne sarebbero molti altri. Finito il momento della divulgazione alla Alberto Angela, torniamo ai nostri amici Bluesrockers: classico quartetto blues con Ray Fuller, voce, chitarre ed autore di tutti i brani, Doc Malone, armonica e la sezione ritmica con Myke Rock e Darrell Jumper.

Leggendo le solite biografie il nostro viene presentato come una sorta di leggenda locale e qualcosa di vero ci deve pur essere se il Fuller, sotto varie denominazioni, è in pista dal 1974, ha addirittura una formazione per gli States e una diversa per i tour europei, ha fatto la sua gavetta aprendo i concerti di Muddy Waters e John Lee Hooker, che gli hanno espresso la loro approvazione, e ha pubblicato una decina di album, alcuni solo in vinile, altri per piccole oscure etichette, ma anche uno per la Rounder nel 1989 e un recente Live At Buddy Guy’s Legends..Diciamo quindi che non è un novellino, ma neppure uno che ti fa esclamare: ah Ray Fuller! I paragoni con Elmore James e Hound Dog Taylor si sprecano, vista la sua perizia alla slide, ma anche con George Thorogood per la grinta e per i ritmi a tempo di boogie della sua musica https://www.youtube.com/watch?v=7zIUdXDcl0Y : a questo proposito con Burn Me Up si entra subito in tema, il brano sembra una outtake perduta dell’opera omnia di Thorogood, un po’ blues, un po’ R&R, anche se la registrazione è abbastanza cruda e primitiva e la voce probabilmente non memorabile, però Malone all’armonica si difende comunque bene. Devil’s Den ricorda certi riff di Fogerty con i Creedence, inzuppati però nel blues, insomma musica sana ed onesta che fa muovere il piedino, Voodoo Mama profuma del vecchio British Blues Rock (altra influenza) di band come i Savoy Brown, i Chicken Shack o i Ten Years After, anche se la presenza dell’armonica vira il sound verso il blues classico di Chicago.

Però è quando Fuller si esibisce con il bottleneck che le cose si fanno serie: come nella eccellente Hip Shakin’ Mama dove Ray si conferma virtuoso della modalità slide, ma si difende in modo eccellente anche nello slow blues atmosferico di una Cold Day In Hell, minacciosa il giusto, per quanto manca sempre quel piccolo quid che farebbe il fuoriclasse, pur se il tocco di chitarra è quello giusto https://www.youtube.com/watch?v=q79bZUg-HbQ . La title track potrebbe passare per un titolo dei primi Blasters, mentre Louisiana Woman ha un ritmo funky e un arrangiamento più complesso e variegato, con la chitarra tagliente e tirata, con Let’s Get Dirty che torna a quel sound à la Suzie Q, per intenderci e con le dovute proporzioni. Somethin’ Shakin’ tiene conto di quel Bluesrockers della ragione sociale e la slide infuocata di Fuller duetta con forza e passione con l’armonica di Malone, mentre New Tattoo ha perfino un tocco stonesiano nel bel groove rock che la band trova per l’occasione, ruvido anche se irrisolto. La media qualitativa è buona, ma pare a tratti mancare quella piccola scintilla che fa accendere il trenino a pieno regime: anche lo slow Whiskey Drinkin’ Woman piace per l’impegno ma non decolla del tutto, come pure la successiva Pipeline Blues che ha tutti gli stereotipi del genere, un sano dualismo tra armonica e slide, ma non ti fa fremere più di tanto. Ottima invece Evil On Your Mind, con un bel giro di basso sparato in faccia con cattiveria, la grinta di Fuller sia alla voce come alla solista, vibranti e cariche di feeling, per poi concludere con You’ve Got The Blues, altro bel boogie R&R alla Thorogood, impreziosito dall’ottimo lavoro all’armonica di Doc Malone perfetto contrappunto alla solista di Ray Fuller.

Bruno Conti

Un Salto Indietro Di (Almeno) Cinquanta Anni! Luke Bell – Luke Bell

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Luke Bell – Luke Bell – Bill Hill/Thirty Tigers CD

Fortunatamente nel dorato mondo di Nashville non si produce solo pop travestito da country, ma c’è ancora qualcuno che fa della vera country music. Luke Bell è un musicista originario del Wyoming, con già due dischi alle spalle (Luke Bell del 2012 e Don’t Mind If I Do del 2014), ed è uno che, sia come aspetto fisico sia come tipo di musica proposta, ricorda in maniera netta i pionieri di questo genere musicale. Luke Bell è il titolo anche del suo terzo album (forse creerà un po’ di confusione col primo, ma probabilmente il nostro vuole evidenziare che lo considera un nuovo inizio, ed infatti è il primo ad essere distribuito dalla benemerita Thirty Tigers), e segna un distacco netto da quanto esce abitualmente dalla Music City del Tennessee: infatti Luke è un diretto seguace di coloro che il country moderno hanno contribuito ad inventarlo, a partire da Hank Williams, ma anche proseguendo con Lefty Frizell, Johnny Horton (al quale secondo me assomiglia pure fisicamente), Buck Owens e Roger Miller, e di conseguenza le sue canzoni riflettono in maniera rigorosa quello stile, anche se le tecniche di produzione sono indubbiamente quelle odierne.

Con l’aiuto di un gruppo di musicisti non molto esteso (tra i quali spiccano Brett Resnick alla steel, Casey Driscoll al violino e Micah Hulscher al pianoforte) Luke mette a punto dieci ottime canzoni, tra country puro, honky-tonk, old time music ed un pizzico di rockabilly, il tutto sotto l’attenta produzione di Andrija Tokic (uno che ha già collaborato con Hurray For The Riff Raff ed Alabama Shakes), che dona al CD un suono diretto, pulito ma nello stesso tempo rispettoso della tradizione, sulla falsariga dei lavori di Dave Cobb. Il disco inizia con la godibilissima Sometimes, un honky-tonk ritmato e solare, con gran lavoro di violino, steel e piano, e la voce espressiva di Luke a fare il resto; All Blue è una via di mezzo tra country e folk d’altri tempi (siamo proprio negli anni cinquanta): ritmo sostenuto e melodia di chiaro stampo tradizionale, sembra una cover di qualche oscura canzone dell’epoca, ma poi scopriamo che è farina del sacco di Bell (come del resto tutti i dieci brani del CD). Where Ya Been? inizia con una chitarra jingle-jangle, poi il brano si sposta su territori più country (e più moderni), una canzone cristallina e limpida, decisamente piacevole, mentre Hold Me è ancora un gustoso honky-tonk che più classico non si può, con strumentazione vintage e gran ritmo: ci sono dei punti di contatto anche con l’ultimo disco di Loretta Lynn, per il contrasto tra la classicità delle melodie e la purezza dei suoni odierni.

A proposito della Lynn, il quinto brano si intitola proprio Loretta, ed è una classica ballatona a due voci (la seconda è di Caitlin Rose, artista country a sua volta), raffinata e di gran classe; la velocissima Working Man’s Dream è un folk dal sapore appalachiano tinto di country, con tanto di yodel e dal ritmo vertiginoso, mentre Glory And The Grace è un trascinante country-boogie pianistico, anch’esso suonato in maniera diretta e vibrante. Il dischetto dura poco più di mezz’ora, ma non c’è una nota fuori posto, come confermano i tre pezzi conclusivi: la bucolica The Bullfighter, dall’ottimo motivo, la travolgente Ragtime Troubles, una perfetta barroom song d’altri tempi, con ritmo e feeling a iosa, e The Great Pretender (non è quella dei Platters), una honky-tonk ballad classica, ancora con un refrain che ci riporta indietro almeno di sessanta anni. Il nome Luke Bell forse per voi (ed anche per il sottoscritto) non significava nulla fino a ieri https://www.youtube.com/watch?v=nQM8F4hnxlo , ma da questo disco in poi deve iniziare a rimanervi in testa.

Marco Verdi

Come Si Può Dargli Torto? Mike Zito – Make Blues Not War

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Mike Zito  – Make Blues Not War – Ruf Records

Mike Zito nel corso del suo tragitto musicale, partito da St. Louis una ventina di anni fa, ha incrociato i suoi percorsi con Anders Osborne, Reese Wynans, Sonny Landreth, Delbert McClinton, tutta gente che ha suonato nei suoi dischi, è andato a vivere in Texas, come testimoniato da uno dei suoi dischi migliori (Gone To Texas), è passato anche da New Orleans per condividere il suo percorso con Cyril Neville, e insieme a Devon Allman, hanno virato verso derive sudiste nei Royal Southern Btotherhood, ma dopo due dischi in studio e uno dal vivo, la band  che è rimasta a Neville, ha inserito nuovi elementi. Nel frattempo ha pubblicato due eccellenti album con i Wheel, quello citato e un superbo Songs From The Road, registrato dal vivo, dove il sound aveva anche elementi soul, R&B, country e inevitabilmente southern rock di matrice texana, il tutto proposto con una voce forte e potente, eclettica, tra le migliori nel panorama della musica del Sud degli States. Ed ecco che ora l’irrequieto Zito decide che è meglio Make Blues Not War, e su questo’assunto non si può dire nulla.

Se poi per portarlo a termine ti rivolgi a uno come Tom Hambridge che è stato definito “The White Willie Dixon”, grazie ai suoi lavori con Buddy Guy, Joe Louis Walker, George Thorogood, James Cotton, ecc.,  è quasi inevitabile che il risultato, oltre ad essere ottimo, e lo è, sarà un disco di blues, al di là del titolo profetico. Hambridge, come al solito nei suoi studi di Nashville, ha realizzato un disco che oscilla tra le varie forme di blues: rock-blues tirato e potente, a tratti quasi con derive hard-rock, classico Chicago blues elettrico e un suono southern rock retaggio del passato di Zito. Lo stesso Tom Hambridge è il batterista nle disco, questa volta optando per un approccio di potenza devastante, Tommy MacDonald è il bassista, Rob McNelley è la seconda chitarra solista, in più Kevin McKendree aggiunge le sue tastiere ove occorra, cioè quasi sempre, e ci sono anche un paio di ospiti di prestigio, che andiamo subito a vedere. Le canzoni portano quasi tutte la firma dello stesso Hambridge, cinque insieme a Mike, altre con diversi co-autori e confermano la validità della sua penna, che gli è valsa l’appellativo meritato ricordato poc’anzi. Si parte sparatissimi con una granitica Highway Mama, dove all’accoppiata di chitarre McNelley/Zito (che in tutto il disco è formidabile, soprattutto il buon Mike, che si conferma uno dei solisti più validi in circolazione), si aggiunge anche Walter Trout per un vero festival della sei corde, Zito per l’occasione alla slide, tra riff infuocati, R&R cattivissimo, difficile oggi trovare del blues-rock fatto così bene.

Wasted Time è un gagliardo shuffle ad alta gradazione, pimpante e coinvolgente, con Zito indemoniato alla solista, e la sua band fantastica che lo segue come un sol uomo. Redbird, il brano più lungo del disco, introduce elementi di classico rock-blues anni ’70, tra Free, Zeppelin e piccoli tocchi di rock progressivo, ma non mancano le influenze di Hendrix e SRV per l’uso marcato del wah-wah e per un finale quasi psych, mentre Crazy Legs è una delle canzoni co-firmate da Zito, un boogie-blues vorticoso che ricorda le cose migliori degli ZZ Top o di Thorogood, con la sezione ritmica veramente inarrestabile e il nostro amico che inchioda un assolo micidiale. Make Blues Not War, che nel testo cita Robert Johnson e Muddy Waters è uno slow blues classico, con l’altro ospite Jason Ricci, veemente all’armonica, ad affiancare un ispirato Mike Zito, di nuovo alla slide, difficile fare meglio. On The Road si avvale di un inconsueto clavinet suonato da McKendree, per un robusto funky-blues, dove brillano, al solito, la voce vissuta e la solista fluida del nostro.

Bad News Is Coming è un omaggio all’arte di uno degli ultimi grandi del blues moderno, quel Luther Allison che ci ha lasciato nel 1997, un blues lento intenso e lancinante, con McKendree all’organo e una atmosfera che può ricordare quella di brani simili di Zeppelin e ZZ Top, con la chitarra che viaggia sul filo del rasoio, con un assolo veramente torrenziale; One More Train è il secondo brano che vede la presenza dell’armonica del bravissimo Jason Ricci, uno dei migliori “soffiatori” delle ultime generazioni, con Zito di nuovo alla slide e McKendree al piano, per un pezzo che ricorda il sound degli Stones dell’epoca di Mick Taylor, con Girl Back Home, ancora incentrata sull’intenso lavoro del bottleneck di Mike. Chip Off The Block ci introduce ai talenti di una futura stella della chitarra, o così si spera, tale Zach Zito, figlio d’arte, per un pezzo che cita sia nel testo come nel contenuto il Texas Blues di Stevie Ray Vaughan, il ragazzo sembra promettente. Ma il babbo è una “belva”, come conferma in un ennesimo lancinante slow come Road Dog o nel frenetico boogie R&R di un “vecchio classico” come Route 90, dove Zito e McKelley si scambiano riff a velocità supersonica, per un finale splendido, come d’altronde tutto il disco.

Bruno Conti

Il Primo Cofanetto “Importante” del 2017! Cream – Fresh Cream

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Cream – Fresh Cream – 3 CD + Blu-Ray Audio – Polydor/Universal

Se ne parlava ormai da svariati mesi (considerando che il Fresh Cream originale era uscito nel 1966 e quindi il 50° Anniversario sarebbe stato il 9 dicembre, giorno della pubblicazione della prima versione in LP) ma questa volta diciamo che non siamo molto lontani dalla “perfezione”, visto che la data di uscita del cofanetto è stata fissata per il 27 gennaio. Sarà un quadruplo in Super Deluxe Edition, con libro di 64 pagine, e che nel remastering dello specialista Bill Levenson, conterrà il disco originale in versione mono più i vari singoli usciti ai tempi e un paio di EP francesi nel primo CD. Il disco 2 in versione stereo con aggiunti “stereo mixes” differenti da quelli dell’album, con diversi brani che escono per la prima volta nel secondo CD. Mentre il terzo dischetto audio contiene le prime versioni di molti pezzi non pubblicati all’epoca e alcune outtakes, in tutto undici tracce, di cui dieci inedite, mentre una canzone You Make Me Feel era uscito nel Box del 1997 Those Were The Days uscito nel 1997, Infine, sempre nel terzo CD, sono riportate anche le BBC Sessions registrate tra il Novembre 1966 e il Gennaio 1967, due delle quali non erano state inserite nel CD pubblicato nel 2003. A completare il box un Blu-Ray Audio destinato agli audiofili, contiene solo i due album in versione Mono e Stereo, con qualche bonus.

Comunque qui sotto potete leggere la tracking list completa del cofanetto:

CD1]
FRESH CREAM Mono Album
1. N.S.U. 2:44
2. SLEEPY TIME TIME 4:20
3. DREAMING 2:00
4. SWEET WINE 3:19
5. SPOONFUL 6:30
6. CAT’S SQUIRREL 3:01
7. FOUR UNTIL LATE 2:09
8. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ 4:46
9. I’M SO GLAD 3:59
10. TOAD 5:14
Session recording – mono mix:
11. THE COFFEE SONG 2:56
The Mono Singles:
12. WRAPPING PAPER 2:29
13. CAT’S SQUIRREL 3:01
A-side & B-side of Cream’s 1st UK single, Reaction 591007, released 7 October 1966.
14: I FEEL FREE 2:49
15: N.S.U. 2:45
A-side & B-side of Cream’s 2nd UK single, Reaction 591011, released 9 December 1966.
16. SPOONFUL Part I 2:26
17. SPOONFUL Part II 2:31
A-side & B-side of Cream’s 3rd US single, ATCO 45-6522, released September 1967.
The Mono French EPs:
18. WRAPPING PAPER alternate mix 2:25
19. SWEET WINE alternate mix 3:18
20. I’M SO GLAD 3:57
21. CAT’S SQUIRREL alternate master 3:01
FRENCH EP, Polydor 27 791, released November 1966.
22. I FEEL FREE alternate mix 2:48
23. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ alternate master 1:50
24. N.S.U. 2:44
25. FOUR UNTIL LATE 2:06
FRENCH EP, Polydor 27 798, released November 1966.

[CD2]
FRESH CREAM Stereo Album
1. N.S.U. 2:45
2. SLEEPY TIME TIME 4:23
3. DREAMING 2:01
4. SWEET WINE 3:20
5. SPOONFUL 6:31
6. CAT’S SQUIRREL 3:08
7. FOUR UNTIL LATE 2:08
8. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ 4:43
9. I’M SO GLAD 3:59
10. TOAD 5:12
Session recordings – stereo mixes:
11. I FEEL FREE 2:52
12. WRAPPING PAPER 2:25
13. THE COFFEE SONG 2:48
New stereo mixes:
14. I’M SO GLAD (NEW STEREO MIX) 3:59
15. N.S.U. (NEW STEREO MIX) 2:48
16. WRAPPING PAPER (NEW STEREO MIX) 2:43
17. THE COFFEE SONG (NEW STEREO MIX) 3:06
18. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ (FIRST VERSION – NEW STEREO MIX) 4:53
19. SPOONFUL (FIRST VERSION – NEW STEREO MIX) 5:57
20. TOAD (NEW STEREO MIX) 5:12
All new stereo mixes previously unreleased.

[CD3]
FRESH CREAM Early versions, outtakes and alternate mixes:
1. THE COFFEE SONG early version 2:54
2. YOU MAKE ME FEEL session outtake 2:41
3. BEAUTY QUEEN session outtake 2:38
4. WRAPPING PAPER early version 1:05
5. CAT’S SQUIRREL early version 2:27
6. I FEEL FREE early version 3:08
7. I FEEL FREE mono mix with no lead vocal 2:51
8. I FEEL FREE alternate mono mix 2:50
9. SWEET WINE early version 3:07
10. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ early version 4:35
11. TOAD early version 4:19
All tracks previously unreleased except “You Make Me Feel” which was first released
on the box set Those Where The Days, Polydor 314 539 000-2, in September 1997.

THE BBC SESSIONS (November 1966 – January 1967):
BBC Light Programme “Saturday Club” session
Recorded at the Playhouse Theatre, London, 8th November 1966:
12. SWEET WINE 3:28
13 ERIC CLAPTON INTERVIEW 0:54
14. WRAPPING PAPER 2:31
15. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ 3:04
16. SLEEPY TIME TIME 3:16 previously unreleased
17. STEPPIN’ OUT 1:50

BBC Home Service “Guitar Club” session
Recorded at BBC Studio 2, Aeolian Hall, London, 28th November 1966:
18. CROSSROADS 1:55
19. STEPPIN’ OUT 2:34 previously unreleased

BBC World Service “R & B Club” session
Recorded at BBC Maida Vale Studio 4, London, 9th December 1966:
20. CAT’S SQUIRREL 3:43
21. TRAINTIME 2:56
22. I’M SO GLAD 4:24
23. LAWDY MAMA 1:54

BBC Light Programme “Saturday Club” session
Recorded at the Playhouse Theatre, London, 10th January 1967:
24. ERIC CLAPTON INTERVIEW 2 0:48
25. I FEEL FREE 2:55
26. N.S.U. 2:57
27. FOUR UNTIL LATE 1:54

[Blu-ray Audio]
FRESH CREAM US Stereo Album in 24/96 Hi Resolution Audio:
1. I FEEL FREE 2:52
2. N.S.U. 2:45
3. SLEEPY TIME TIME 4:23
4. DREAMING 2:01
5. SWEET WINE 3:19
6. CAT’S SQUIRREL 3:08
7. FOUR UNTIL LATE 2:08
8. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ 4:43
9. I’M SO GLAD 3:59
10. TOAD 5:12

Stereo bonus tracks:
11. SPOONFUL 6:32
12. WRAPPING PAPER 2:25
13. THE COFFEE SONG 2:49

FRESH CREAM US Mono Album in 24/96 Hi Resolution Audio:
14. I FEEL FREE 2:48
15. N.S.U. 2:44
16. SLEEPY TIME TIME 4:20
17. DREAMING 2:00
18. SWEET WINE 3:19
19. CAT’S SQUIRREL 3:00
20. FOUR UNTIL LATE 2:08
21. ROLLIN’ AND TUMBLIN’ 4:45
22. I’M SO GLAD 3:58
23. TOAD 5:13

Mono bonus tracks:
24. SPOONFUL 6:33
25. WRAPPING PAPER 2:28
26. THE COFFEE SONG 2:54

Il prezzo, molto indicativamente, sarà tra i 50 e i 60 euro.

Direi che è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Un Po’ Di Sano Classic Rock Al Femminile! Heart – Live At The Royal Albert Hall

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Heart – Live At The Royal Albert Hall (With The Royal Philarmonic Orchestra) – Eagle Rock CD – DVD – BluRay

Chi mi conosce sa che, tra i vari generi musicali, non disdegno il rock anni settanta di matrice classica, e fra i vari gruppi e solisti che formano questo tipo di panorama ho sempre avuto un occhio di riguardo per le sorelle Ann e Nancy Wilson (per Nancy, anche due occhi…), meglio conosciute come Heart. Nel corso della loro carriera, le due musiciste di Seattle hanno conosciuto il successo a fasi abbastanza alterne: il primo periodo (la seconda metà dei seventies), caratterizzato da una discreta popolarità e da sonorità decisamente influenzate dai Led Zeppelin, un inizio di anni ottanta piuttosto difficile, subito seguito da una incredibile metamorfosi dal 1985, sia nel look che nel sound, che ha fatto conoscere loro il successo planetario consacrandole vere e proprie star del panorama AOR, per poi ripiombare nuovamente nel corso degli anni novanta quasi nell’oblio generale. Verso la fine della prima decade del nuovo millennio le due Wilson hanno ricominciato ad incidere con una certa regolarità ed a buoni livelli, prima con Red Velvet Car (2010), molto legato a sonorità più roots del solito, seguito dal più duro Fanatic e, quest’anno, dal discreto Beautiful Broken, più vicino al loro classico suono.

Negli ultimi anni non sono mancati neppure gli album dal vivo, dall’ottimo Fanatic Live del 2014, al natalizio Home For The Holidays di un anno fa, fino a questo Live At The Royal Albert Hall, appena uscito sia in formato audio che video (ma con i tre classici supporti pubblicati separatamente), che senza dubbio è il più riuscito dei tre, in quanto prende in esame in egual misura tutte le fasi della carriera delle due sisters, ma anche perché è registrato insieme all’Orchestra Filarmonica di Londra (che non è mai sovrastante, ma sottolinea con molta misura i brani del disco) in uno dei templi mondiali della musica dal vivo, tra l’altro mai frequentato prima d’ora da Ann e Nancy. E la serata è di quelle giuste, con le due “ragazze” in ottima forma, sia la bionda Nancy, che non è mai stata una axewoman ma se la cava benissimo con la ritmica e soprattutto con l’acustica, sia soprattutto la mora Ann, che passano gli anni ma non passa mai la bellezza della sua voce, potente il giusto nei pezzi più rock e seducente e profonda nelle ballate; la band di supporto è formata da quattro elementi (Craig Bartok alla solista, Christopher Joyner alle tastiere, Daniel Rothchild al basso e Benjamin Smith alla batteria), mentre l’orchestra è arrangiata e condotta nientemeno che da Paul Buckmaster, una vera e propria leggenda per quanto riguarda gli archi trapiantati nel rock (avendo in passato collaborato soprattutto con Elton John, ma anche con David Bowie, Rolling Stones, Leonard Cohen, Grateful Dead, Dwight Yoakam, Harry Nilsson, Stevie Nicks e persino Miles Davis).

La serata, che si apre con la potente Magic Man, decisamente zeppeliniana (provate a fare il giochino immaginario di sostituire la voce di Ann con quella di Robert Plant) e con un buon break nel ritornello, dà chiaramente spazio all’ultimo lavoro del duo, Beautiful Broken, con cinque canzoni, tra le quali spiccano la maestosa Heaven (nella quale esordisce l’orchestra), anche questa con abbondanti tracce del Dirigibile, come peraltro anche la complessa I Jump, con i suoi palesi riferimenti a Kashmir, mentre Two è una delicata ballata pianistica, cantata benissimo da Nancy, che non avrà la potenza della sorellona ma se la cava egregiamente. Non mancano naturalmente le megahits degli anni ottanta, e se These Days non mi ha mai convinto più di tanto (troppo pop ed annacquata), What About Love, pur essendo decisamente ruffiana e costruita per le classifiche, ha un’ottima melodia (copiata pari pari qualche anno dopo dal duo pop-rock-AOR svedese dei Roxette per la loro Listen To Your Heart, mentre Alone è semplicemente straoordinaria, una delle migliori ballate degli eighties: da anni le Heart la ripropongono in una versione più lenta e spogliata dal big sound dell’originale, valorizzando ancor di più il motivo splendido e la voce strepitosa di Ann, ed anche questa sera i brividi non si contano.

Non mancano neppure i successi della prima ora, come la scintillante Dreamboat Annie, title track del loro primo album del 1975 (e con l’orchestra che commenta con grande gusto in sottofondo), la grandiosa Crazy On You, forse la loro migliore rock song di sempre, e l’incalzante e trascinante Barracuda, posta nei bis giusto prima del finale di Kick It Out (un rock’n’roll tosto e vibrante). E non dimenticherei l’omaggio proprio agli Zeppelin, con una magistrale No Quarter, che mantiene intatta l’atmosfera minacciosa ed inquietante dell’originale, una rilettura lunga e potente che anche i tre membri superstiti della storica band inglese apprezzeranno (in passato sia Plant che Page hanno avuto parole più che lusinghiere per le due sorelle Wilson). Come ho scritto nel titolo, un po’ di sano rock al femminile ogni tanto ci vuole, e le Heart sono sempre tra le migliori interpreti in tal senso.

Marco Verdi

 

Un Live Che Non Fa Prigionieri! Anche Perché Ci Sono Già…. Mark Collie – Alive At Brushy Mountain State Penitentiary

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Mark Collie & His Reckless Companions – Alive At Brushy Mountain State Penitentiary – Wilbanks Entertainment CD

Spero che mi perdonerete la battutaccia del titolo, ma era difficile resistere… Non so quanti di voi si ricordano di Mark Collie, country singer-songwriter di Nashville abbastanza popolare negli anni novanta, autore di ben cinque album dal 1990 al 1995, con una bella serie di canzoni decisamente elettriche e poco inclini ai compromessi, tra honky-tonk, cover di pezzi rock, qualche ballata di buona fattura e soprattutto tanta energia e brani di sano country moderno. Le vendite non erano neanche male, ma all’improvviso, all’indomani di Tennessee Plates (1995), il silenzio, totale e lunghissimo, interrotto soltanto nel 2006 con la pubblicazione di Rose Covered Garden, un lungo periodo di inattività che non ha fatto certo bene alla sua carriera. Per fortuna le notizie più recenti lo darebbero (il condizionale è d’obbligo) in procinto di tornare nel giro, ma intanto l’appetito viene stuzzicato con la pubblicazione di questo live, il primo per lui, intitolato Alive At Brushy Mountain State Penitentiary, registrato nel 2001 nell’omonima prigione del Tennessee (che ha chiuso i battenti nel 2009), ma messo sul mercato soltanto oggi.

La registrazione di dischi dal vivo nelle prigioni è una vecchia pratica, non solo nel country: gli esempi più noti sono i leggendari album alla Folsom Prison e poi a San Quentin da parte di Johnny Cash, ma anche il disco inciso da B.B. King alla Cook County Jail; anche Mark, che nel 2001 era ancora relativamente popolare, ha pensato di allietare la dolorosa permanenza dei carcerati della prigione di Brushy Mountain, e per farlo si è presentato con una super band. Lo accompagna infatti in questa serata gente come David Grissom, grande chitarrista già al servizio di John Mellencamp e Joe Ely, il tastierista Mike Utley, da decenni nella Coral Reefer Band di Jimmy Buffett, il bassista Willie Weeks (Rolling Stones, Eric Clapton e molti altri), il chitarrista e violinista Shawn Camp (produttore e partner musicale del grande Guy Clark) ed il batterista Chad Cromwell (Neil Young, Mark Knopfler): un gruppo dal pedigree eccezionale, perfetto per accompagnare il nostro nelle sue scorribande elettriche e decisamente coinvolgenti, canzoni che in questa veste live si spostano ancora di più verso il rock; come ciliegina, abbiamo anche un paio di graditi ospiti, e cioè la brava Kelly Willis in tre pezzi e, alla chitarra e voce in Someday My Luck Will Change, il grande bluesman Clarence “Gatemouth” Brown, quattro anni prima della sua scomparsa.

Un gran bel disco di puro country-rock, vigoroso e vibrante, con un leader decisamente in palla ed un pubblico prevedibilmente caldo (anche perché non è che serate come questa fossero frequenti in quel luogo), che risponde spesso con ovazioni ai testi delle canzoni, scelte con cura tra originali e cover in modo da offrire quasi solo brani a tema per così dire carcerario (e quindi non ci sarebbe stata male una bella The Devil’s Right Hand di Steve Earle, uno che in galera c’era pure stato). Attacco potente con One More Second Chance, un rockin’ country (molto più rockin’ che country) ad alto tasso elettrico, gran ritmo e Grissom subito in prima fila a macinare note; I Could’ve Gone Right è una orecchiabile country song che parte lenta ma poi, quando entra la band, fa salire la temperatura, con un motivo diretto ed altro ottimo assolo chitarristico (ma anche Utley fa sentire le sue dita sulla tastiera), Maybe Mexico, che parla della nazione del titolo come possibile luogo di destinazione per un fuggitivo, è un country’n’roll tutto da godere, con il pubblico che si fa sentire al termine di ogni ritornello. Heaven Bound, di e con Kelly Willis, mette in primo piano la bella voce della bionda cantante, per una country song limpida e deliziosa, mentre Got A Feelin’ For Ya (scritta da Dan Penn con Chuck Prophet), ha un ritmo più cadenzato ed elementi quasi soul, con la voce della Willis che si adatta al brano con ottima duttilità.

La fluida On The Day I Die vede Mark tornare al centro del palco, ed è una rock ballad fatta e finita, di country ha poco, e rientra alla perfezione nella categoria di certe canzoni stradaiole di John Mellencamp, mentre la tonica Dead Man Runs Before He Walks ha un buon sapore di country blues elettroacustico sudista; la bella Rose Covered Garden, un folk tune cantautorale di grande presa (una delle migliori composizioni di Mark), precede un’intensa cover di Why Me Lord di Kris Kristofferson, ancora con l’aiuto di Kelly, un’ottima versione che piacerà di certo anche al vecchio Kris. La roccata e ficcante Do As I Say prelude all’arrivo di Clarence “Gatemouth” Brown, che con Someday My Luck Will Change sposta la serata su territori decisamente blues, uno slow notturno di gran classe per sei minuti decisamente caldi e sudati, con la chitarra del bluesman a farla da padrone (ma anche l’hammond di Utley non scherza); il concerto si avvia al termine, il tempo per una Folsom Prison Blues più roccata di quella di Johnny Cash (anche per via dell’assolo di Grissom), e per le conclusive Reckless Companions, altro scintillante country-rock, tra i migliori della serata, e Gospel Train, che come da titolo ci fa spostare di botto in una chiesa dell’Alabama, grazie soprattutto alle voci del Brushy Mountain Prison Choir, grandi protagoniste del brano.

Un gran bel live, ma adesso è tempo che Mark Collie torni del tutto con un disco nuovo al 100%.

Marco Verdi

Lui E’ Bravo Ma La Differenza La Fa L”Ospite”! Peter Karp With Mick Taylor – The Arson’s Match Live In NYC

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Peter Karp with Mick Taylor – The Arson’s Match Live In NYC – Karpfoley Music

Se avete letto l’intestazione della recensione, o avete visto la copertina del CD, immagino che non vi sarà sfuggito il nome di Mick Taylor, che è forse il motivo di principale interesse di questa uscita. Ma anche il titolare dell’album, Peter Karp, non è nuovo su queste pagine virtuali, mi sono già imbattuto in lui in altre occasioni, soprattutto per la pubblicazione di un paio di album registrati in coppia con Sue Foley e usciti per la Blind Pig, la stessa etichetta che ha rilasciato l’ultimo lavoro solista di Karp Beyond The Crossroads, edito nel 2012 http://discoclub.myblog.it/2012/08/12/un-altra-bella-accoppiata-peter-karp-sue-foley-beyond-the-cr/ . Mi pareva di ricordare (comunque ho verificato) che in entrambi i dischi registrati in duo, il buon Peter non fosse solo un onesto comprimario, ma un protagonista alla pari con la rossa canadese/texana Foley, buon autore, bella voce, solista interessante, soprattutto impegnato alla chitarra con il corpo di acciaio in modalità bottleneck, ma anche in versione classica.

Oltre a tutto il nostro amico ha un passato, se non glorioso, quanto meno interessante, e questo The Arson’s Match Live In NYC in effetti sbuca dalle nebbie del passato. Registrato al Bottom Line, leggendario locale della Grande Mela, nel 2004 (proprio l’anno della sua chiusura) il concerto, mandato in onda da una radio locale, era destinato a promuovere un album in studio, sempre di quell’anno, The Turning Point, dove alla chitarra solista appariva Mick Taylor, poi rimasto in formazione anche per il tour con la band di Karp: gruppo dove si segnala anche un ottimo armonicista come Dennis Gruenling e due validi tastieristi Jim Ehinger e Dave Keyes ( in seguito, per parecchi anni con Popa Chubby), oltre ad una sezione ritmica pimpante formata da Daniel Pagdon al basso e Paul “Hernandez” Upsworth alla batteria. Diciamo pure che il disco non è di facile reperibilità (per usare un eufemismo), è uscito già da parecchi mesi, costa abbastanza caro, ma, oltre ad essere piuttosto bello, ha anche un fine nobile, in quanto il 100% dei proventi delle vendite vanno alla Ovarian Cancer Research.

Lo stile dell’album è fin dall’inizio esemplificato dalla title track The Arson’s Match posta in apertura: un solido blues alla Elmore James, dove la slide di Karp e l’armonica di Gruenling si dividono gli spazi con un ispirato Taylor, con l’inconfondibile suono della sua Gibson che inizia subito ad inanellare eccellenti assoli, anche in modalità wah-wah, la band tira alla grande, il buon Peter ha una ottima voce, (buon autore, ripeto, i brani sono tutti suoi) ed è un virtuoso del bottleneck e il pubblico pare divertirsi. Gee Chee Gee Chee Waves, al di là del titolo strano, è un solido blues-rock con elementi soul, un tocco quasi alla Van Morrison nell’andatura mossa, le tastiere che aggiungono profondità al suono e Mick Taylor che quando inizia a lavorare con la sua chitarra ha quel tocco in più e la finezza del fuoriclasse, siamo a New York ma sembra di essere a Memphis. In Y’All Be Lookin’, un gagliardo shuffle, ancorato da un solido groove di basso, Peter Karp (o e Taylor?) inchioda un assolo di slide di grande feeling; The Turning Point parte come una ballata acustica e diventa, in un delizioso crescendo, una splendida rock ballad dove lo spirito degli Stones “americani” è chiaramente palpabile, uno degli highlights del concerto, con una lirica solista (grandissimo Mick) e organo che sfiorano la perfezione nel loro interscambio.

The Nietzsche Lounge accelera il ritmo, si va di boogie, con un tocco country, pianino honky-tonk e il leader sempre eccellente con il suo cantato incisivo, che lascia spazio a brevi e continui interventi mai banali della chitarra di Taylor, gusto e feeling come sempre le sue armi; ancora doppia tastiera anche nella languida, latineggiante Your Prettyness, con assolo swing di piano di Keyes e accelerazione micidiale blues con grande intervento di Gruenling all’armonica, che è nuovamente protagonista anche nella potente Rolling On A Log, un ottimo pezzo rock-blues con elementi “sudisti”, dove ancora Karp si conferma vocalist di valore e il consueto gran finale della solista di Mick Taylor. Un’altra bella ballata come I’m Not Giving Up non guasta nell’atmosfera festaiola del concerto, l’organo “scivolante” di Ehringer fa da apripista per il consueto assolo magistrale dell’ex Stones, in serata di grazia, mentre la band poi si lancia in un vorticoso boogie blues intitolato Treat Me Right, ritmo e grinta non mancano mai in questa bella serata newyorkese che si conclude con Train O’Mine, un altro brano eccellente dove i vari solisti si superano, prima Gruenling all’armonica e poi un super riff di Karp e Taylor che sfocia in una bella jam chitarristica a chiudere i giochi. “It’s Only Rock’n’Roll But We Like It”: scusate ma ci stava!

Bruno Conti