Finalmente Un Ritorno Alle Sue Atmosfere Più Consone! Mike Oldfield – Return To Ommadawn

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Mike Oldfield – Return To Ommadawn – Virgin/EMI CD – CD/DVD – LP

Se volessimo essere severi potremmo tranquillamente affermare che Mike Oldfield non azzecca un disco da 25 anni, e cioè da quando nel 1992 ha dato alle stampe Tubular Bells II, fortunato e riuscito seguito del lavoro che lo ha reso celebre al mondo intero, Tubular Bells appunto: da allora il musicista inglese ha pubblicato diversi lavori caratterizzati da atmosfere più eteree e strumentazioni perlopiù elettroniche, diventando quasi un esponente della musica new age, ambient e chillout, coinvolgendo nel calderone anche altri due episodi della saga delle campane tubolari (Tubular Bells III e The Millenium Bell, mentre Tubular Bells 2003 è un rifacimento nota per nota del primo volume, ineccepibile ma fondamentalmente inutile); forse gli unici album a salvarsi sono Guitars del 1999 ed il recente Man On The Rocks (2014), nel quale il nostro tornava ad un gradevole pop-rock con una serie di brani cantati, fortunatamente non da lui. Ma torniamo un attimo indietro, agli anni settanta, cioè la decade delle suite strumentali che fecero di Mike uno dei maggiori esponenti della musica progressive: a parte Tubular Bells, affermerei certamente che il suo miglior lavoro del periodo sia stato Ommadawn, molto meglio di Hergest Ridge, un po’ troppo simile al mitico disco d’esordio, ed anche del successivo doppio album Incantations, forse troppo lungo e minimalista; Ommadawn invece era un lavoro di grande qualità, nel quale Mike utilizzava in maniera ispirata strumentazioni di stampo celtico (il leader dei Chieftains, Paddy Moloney, suonava nel disco), mescolandole con atmosfere più acustiche e ritmiche tribali di derivazione africana, creando una sorta di opera world music ben prima che questo termine diventasse di moda.

Poi, come sappiamo, Oldfield cominciò a pubblicare album di grande successo all’insegna di un pop-rock orecchiabile e scrivendo grandi successi come Moonlight Shadow e To France, e tornerà solo una volta alla formula della lunga suite strumentale, con l’apprezzato Amarok del 1990, guarda caso abbastanza simile nello stile proprio ad Ommadawn. Adesso Mike ha fatto di più, pubblicando un vero e proprio seguito della sua composizione del 1975, intitolandola senza troppa fantasia Return To Ommadawn (e corredandola con una stupenda copertina in stile fantasy), ma, cosa ben più importante, ritrovando come per magia l’ispirazione giusta e portando a termine un ottimo lavoro. Return To Ommadawn segna infatti un vero e proprio ritorno alle atmosfere di 42 anni fa, con l’utilizzo da parte di Mike (suona tutto lui, mentre nel primo Ommadawn c’erano vari sessionmen) di strumenti veri e propri, e lasciando da parte per una volta sintetizzatori, computer e programmatori vari: come d’abitudine Oldfield elenca diligentemente nel booklet del CD tutto ciò che ha suonato, partendo da una lunga serie di strumenti a corda (chitarre acustiche ed elettriche, mandolino, banjo, ukulele, arpa celtica e basso), tastiere (piano, organo Hammond e farfisa, mellotron), percussioni varie (tra cui anche bodhran e glockenspiel), oltre a flauto e pennywhistle, mentre gli effetti vocali sono stati presi direttamente dall’Ommadawn originale e riadattati. Ma Mike non si è limitato ad utilizzare gli strumenti “giusti”, ma ha anche riproposto le stesse atmosfere elettroacustiche del primo volume, alternando come al solito momenti di quiete ad altri più ritmati, senza peraltro generare un clone del disco del 1975, bensì creando nuove ed evocative melodie partendo da dove si era fermato più di quarant’anni fa.

La suite è divisa in due parti, per un totale di 42 minuti: l’inizio è parecchio attendista (come spesso capita in queste opere del nostro), con un pennywhistle solitario, doppiato poco dopo da un flauto e due chitarre acustiche (una delle quali di tipo flamenco), ma i cambi di ritmo e melodia si palesano quasi subito, ed i vari strumenti iniziano presto ad intersecarsi creando un’atmosfera decisamente suggestiva. Sembra davvero il Mike della metà dei seventies, ed è un vero piacere ascoltarlo destreggiarsi nuovamente in mezzo a veri strumenti. Le sue tipiche linee musicali molto melodiche (al settimo minuto c’è un fraseggio di chitarra elettrica davvero splendido) si alternano ad altre più scattanti e nervose, in modo da non causare in chi ascolta neppure un istante di noia. Alcune melodie si ripetono ciclicamente, ma sono sempre eseguite da strumenti diversi, e poi all’improvviso arrivano le percussioni e le voci di stampo africano, agganciandosi così direttamente all’album di 42 anni fa. Il finale, poi, è maestoso come sempre, con il ritorno alle atmosfere folk iniziali, irrobustite da una bella chitarra elettrica e da un mandolino suonato con inusitato vigore. Se Mike Oldfield non è mai stato, per dirla all’inglese, la vostra tazza di tè, non sarà certo Return To Ommadawn a farvi cambiare opinione, ma se negli anni settanta avete vibrato per le sue suite strumentali, questo CD potrebbe addirittura colpirvi al cuore.

Marco Verdi

Finalmente Un Ritorno Alle Sue Atmosfere Più Consone! Mike Oldfield – Return To Ommadawnultima modifica: 2017-01-25T09:51:16+01:00da bruno_conti
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