Meglio Tardi Che Mai, Quando Meritano! Dori Freeman – Dori Freeman

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Dori Freeman – Dori Freeman – Free Dirt Records

Ecco un altro nome da appuntarsi per chi ama le voci femminili di qualità. Dori Freeman ha esordito con questo CD omonimo ormai all’incirca un anno fa, nel marzo del 2016, ma, come diceva Catalano, meglio parlarne tardi che non parlarne del tutto. Per cui colmiamo questa lacuna spendendo alcune parole di elogio per inquadrare il lavoro di questa cantautrice, che viene dalle colline della Virginia, dove è nata circa 25 anni, e dove attualmente risiede, in quel di Galax. Proviene da una famiglia di musicisti, sia il babbo che il nonno suonavano a livello professionale nell’ambito della grande tradizione della musica degli Appalachi: quindi country e folk music nel DNA di questa cantante, che però nel suo debutto (anche se esisterebbe un autoprodotto Porchlight del 2011, dove partecipava anche il babbo Scott), oltre a mostrare le influenze appena citate inserisce anche diversi elementi di “Americana”, grazie all’intervento come produttore di Teddy Thompson (il figlio di Richard, ma che ve lo dico a fare) e di una pattuglia di ottimi musicisti, guidati da Jon Graboff, alle chitarre e pedal steel, che conosciamo per le sue collaborazioni con Laura Cantrell, Shooter Jennings, Neal Casal, Norah Jones e una miriade di altri, il tastierista Erik Deutsch, anche lui con Jennings, Carrie Rodriguez, Erin McKeown; Alex Heargreaves, già al violino con Sarah Jarosz, è presente in un paio di brani, mentre Jeff Hill, basso e Rob Walbourne, batteria, entrambi del giro della Thompson Family, completano la formazione.

La Freeman tra le sue influenze cita anche Rufus Wainwright , oltre a Doc Watson, Iris Dement, Louvin Brothers, Linda Ronstadt: insomma dai nomi sciorinati finora si intuisce che la musica che andiamo ad ascoltare in questo CD, finanziato con l’ormai immancabile crowdfunding della Kickstarter Campaign, potrebbe riservarci delle piacevoli sorprese. Se vi piacciono Emmylou Harris (di cui riprende qualche anche inflessione vocale), Nanci Griffith, e alcuni dei nomi che ricorrono poco sopra, potreste fare un pensierino su questo disco, magari non vi cambierà la vita, ma la renderà sicuramente più piacevole. Le canzoni gravitano intorno a relazioni amorose, la fine delle stesse, il desiderio di essere indipendenti, ma anche di incontrare anime gemelle, insomma i soliti elementi che animano la buona musica tradizionale, country o folk che sia. All’inizio più folk, come nella delicata elegia di You Say, solo la voce pura e deliziosa di Dori, un basso e una chitarra acustica, molto Griffith o Emmylou nei loro momenti più intimi, e anche nella successiva Where I Stand, dove intreccia delle splendide armonie vocali con il suo produttore Teddy Thompson, in un altro cristallino brano di impianto acustico. Ma anche quando il suono si fa più corposo e entrano gli altri strumenti, per esempio nel country old fashioned e “valzerato” della incantevole Go On Lovin’, dove pedal steel, violino e piano rievocano atmosfere di una purezza senza tempo, mentre lei canta con grande trasporto.

Oppure nella corposa Tell Me, dove il suono si fa più elettrico, ma quasi con riserbo e precauzione, senza esagerare, sempre con garbo e delicatezza, in equilibrio tra antico e moderno. E ancora nella mossa Fine, Fine, Fine, che grazie alle incisive armonie di Thompson, rievoca le collaborazioni di Carlene Carter (la “figlioccia” di Johnny Cash fra pochi giorni di nuovo in pista come partner di John Mellencamp), in terra d’Albione con l’ex marito Nick Lowe e Dave Edmunds, ricordato nello splendido break chitarristico di Jon Graboff. Molto bella anche l’elettroacustica e avvolgente Any Wonder, provvista di una squisita melodia, tra Norah Jones e Natalie Merchant, e qualche tocco delle grandi cantanti pop degli anni ’60. In Ain’t Nobody si tenta anche la strada impervia ed impegnativa del canto a cappella, risolta con ingegno grazie all’accompagnamento provvisto solo dallo schioccare delle dita che rievoca lo spirito di un brano come Sixteen Tons; ancora struggente country music di stampo sixties nella adorabile Lullaby, che ricorda la Norah Jones dei Little Willies, con la twangy guitar di Graboff e il piano di Deutsch in bella evidenza. A Song For Paul, nuovamente in coppia con Teddy Thompson, rivela quell’amore per le canzoni strappalacrime dei Louvin Brothers, mentre la conclusiva Still A Child è di nuovo un tuffo nella migliore country music, con fiddle, piano e pedal steel a carezzare la garbata e classica voce della Freeman che ci riporta alla purezza della tradizione, tramandata alle nuove generazioni.

Una volta si usava il carciofo contro il logorio della vita moderna, ma volendo si può usare anche la (buona) musica.

Bruno Conti

Meglio Tardi Che Mai, Quando Meritano! Dori Freeman – Dori Freemanultima modifica: 2017-04-20T11:52:17+02:00da bruno_conti
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