Dal Vivo Si Conferma Un Fenomeno. Gary Clark Jr. – Live North America 2016

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Gary Clark Jr. – Live North America 2016 – Warner CD

L’ultimo album del texano Gary Clark Jr., The Story Of Sonny Boy Slim (2015), nonostante il titolo molto blues, era stata una delusione abbastanza cocente, un po’ perché veniva dopo l’infuocato Gary Clark Jr. Live, uno dei dischi dal vivo più belli degli ultimi anni, un po’ perché ci mostrava un artista incerto, a metà tra le strade del blues e tra quelle di un errebi/hip hop dozzinale e che mal si sposava con quello che aveva fatto fino ad ora, un disco nettamente inferiore al suo esordio su major Blak And Blu, che non era perfetto, ma all’80% più che soddisfacente. La dimensione ideale di Clark è però il palcoscenico, sul quale si sente libero di non scendere a compromessi e di dare libero sfogo alla sua incredibile abilità chitarristica, trasformando letteralmente alcune delle sue canzoni: il live album del 2014 evidenziava proprio questo, facendo quasi sembrare che esistessero due diversi Gary Clark Jr., uno più trattenuto che faceva i dischi di studio ed uno che dal vivo entusiasmava le folle, con un’attitudine da discepolo diretto del grande Jimi Hendrix. Ho quindi accolto con giubilo la notizia che il nostro avrebbe pubblicato un altro disco registrato on stage, Live North America 2016, ed ora che lo ho ascoltato posso affermare che siamo esattamente sugli stessi livelli del precedente, che continuo a preferire per il semplice motivo che era doppio mentre questo è singolo.

Qualche dubbio, quando ho visto che ben sette canzoni su dodici erano tratte da The Story Of Sonny Boy Slim, l’ho avuto (con l’altro live invece ci sono solo due brani in comune), ma sin dalle prime note del primo pezzo le mie incertezze sono state spazzate via: Gary dal vivo sembra quasi trasfigurarsi, come se fosse preso dal sacro fuoco del blues, e mostra, oltre al fatto di essere un ottimo cantante, di possedere una abilità chitarristica mostruosa, che gronda bravura ma anche feeling ad ogni nota, senza mai dare l’impressione di scadere nel tecnicismo fine a sé stesso, con la conseguenza di riuscire a migliorare anche canzoni di media qualità. L’album, registrato in diverse date non specificate, vede Gary a capo di un classico quartetto (King Zapata alla seconda chitarra, Johnny Bradley al basso e Johnny Radelat alla batteria), un combo essenziale, asciutto ma dalla grande potenza espressiva, un gruppo ideale per le scorribande del leader. L’inizio del CD è subito di grande potenza, con la rocciosa Grinder, chitarra dura e sezione ritmica granitica, un hard blues che Gary canta con voce leggermente arrochita e dopo poco più di un minuto è già lì che arrota alla grande, preannunciandoci cosa ci aspetta nel seguito del disco. The Healing è ancora puro rock blues, essenziale, tosto, sudato e caldo, con la sei corde del nostro che rilascia un assolo formidabile, non temendo paragoni altisonanti: forse i brani dell’ultimo album si confermano non dei capolavori dal punto di vista dello script, ma suonati così fanno la loro porca figura.

Con Our Love Gary molla un po’ la presa, e ci propone un delizioso errebi dal sapore classico, cantato alla grande e suonato splendidamente, senza rinunciare certamente a far parlare la chitarra: grandissima canzone; Cold Blooded prosegue nel mood rhythm’n’blues, con un tocco di funky che non guasta, meno bella della precedente ma comunque godibile (e poi il finale chitarristico è da applausi), mentre When My Train Pulls In è ancora rock blues all’ennesima potenza, fluido, vibrante e con i fantasmi di Hendrix e Stevie Ray Vaughan non molto distanti, per quasi dieci minuti di pura goduria elettrica. Down To Ride e You Saved Me sommano altri sedici minuti di musica, e se la prima è un soul di gran classe (e non è facile senza organo e fiati), la seconda è una rock song quasi sulfurea, forse non un grande brano ma con una chitarra al solito strepitosa che mette tutte le cose a posto. Shake vede Clark duettare con Leon Bridges (con Jeff Dazey al sax), un pezzo roccato, potente e spedito, un boogie classico davvero trascinante, mentre Church, con Gary anche all’armonica, è un brano cantautorale, una ballata riflessiva e quasi folk, anche se lo spirito rock non manca neppure qua. Verso la fine c’è spazio anche per due cover blues: Honest I Do (Jimmy Reed), in una rilettura di classe, squisita e rispettosa (è anche la più sintetica, poco più di tre minuti), e My Baby’s Gone di Elmore James, con il nostro che dimostra di saperci fare anche alla slide: bellissima, pur in assenza della sezione ritmica. Chiusura con la hendrixiana Numb, altro rock blues torcibudella, con Gary che ci stende definitivamente con alcuni degli assoli più belli della serata.

Non ho molto altro da aggiungere, se non consigliarvi caldamente l’acquisto di questo CD, esprimendo nel contempo il mio rammarico al pensiero che il prossimo album di Gary Clark Jr. sarà in studio.

Marco Verdi

Dalla Lontana Australia “La Riunione E La Rinascita” Dei My Friend The Chocolate Cake – The Revival Meeting

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My Friend The Chocolate Cake – The Revival Meeting – Deluxe Edition – Self Released

Devo confessare che per i My Friend The Chocolate Cake sono di parte (sin da loro esordio agli inizi degli anni ’90), quindi chiedo il permesso di prendermi la libertà di fare una recensione con passione, con poca obiettività, ma con lo scopo specifico di far conoscere questo grande gruppo. I My Friend The Chocolate Cake sono di Melbourne, e rappresentano una costola degli ancor più sconosciuti (ma altrettanto bravi) Not Drowning Waving, nelle cui fila suonavano David Bridie e Helen Mountfort, gli stessi che nei ritagli del tempo libero e con altri amici musicisti, danno vita a questo “ensemble”, con una entità musicale tradizionalista, ma anche innovativa. Dall’esordio omonimo di My Friend The Chocolate Cake (91) in poi abbiamo assistito ad una netta e costante evoluzione delle strutture compositive, con sonorità legate ad un pop non completamente sgrezzato, che negli anni seguenti ha partorito lavori di livello come Brood (94), Good Luck (96), entrambi premiati agli Aria Music Awards Australiani, prima di arrivare al magnifico Live At The National Theatre (96), e dopo una breve pausa ritornare a tecniche lievemente sperimentali con 19 Easy Pieces (99), Curious (02), fino alle sonorità più tenue ed intimiste di Home Improvements(07) e Fiasco (11), intercalate da varie raccolte Review (97), Parade The Best (04) e Best (Cake) In Show (14). E così quando pensavo di averli persi per strada (anche per l’uscita dal gruppo del mandolinista Andrew Carswell), me li ritrovo ancora in pista e in studio per questo nuovo album The Revival Meeting, con la “line-up” composta oggi come ieri dai membri storici, a partire dal genio di David Bridie a pianoforte e voce, Helen Mountfort violoncello e voce (entrambi anche produttori del disco), Greg Patten alla batteria, il bravo Hope Csutoros al violino, Dean Addison al basso, Andrew Richardson alle chitarre e ukulele, e come ospiti musicali Anthony Shortie alle percussioni e la moglie Stella Bridie alle armonie vocali, oltre,  in due brani ,il mandolino di Carswell, in un percorso dove come sempre eccellono le trame strumentali; il tutto registrato negli accoglienti Haus Bilas Studios Thornbury della bella Victoria, nel sud dell’Australia, di fronte alla Tasmania.

La scelta che sta alla base di questo progetto (come dei precedenti) è l’uso esclusivo di strumenti acustici, che è fortemente caratterizzante, un suono unico che la band sviluppa in maniera articolata durante tutto il disco (17 brani nell’edizione Deluxe in questione): a partire dall’iniziale Poke Along Slowly, una struggente ballata barocca con pianoforte e violino ad accompagnare la voce di Bridie, a cui fanno seguito la meravigliosa Jeffrey Smart (Silver City), con le armonie vocali punteggiate dal violino lancinante di Hope Csutoros (che crea un incredibile senso di malinconia in tutto il disco), il folk arioso di  Sleep The Whole Night Through, lo spumeggiante strumentale Satellite Boy, e il pop “serioso” di Easter Parade. Si prosegue con un altro brano strumentale Cry Beloved Cry, su un tessuto straziante di violoncello e piano, mentre con Another Year si ritorna alla ballata tristissima e cupa (mi ricorda vagamente un brano degli irlandesi Four Men And A Dog), per poi riproporre un altro strumentale, la sinfonia “celtica” di una suadente Busojaras, il brillante “country-folk” di Are The Kids Alright?, con un intrigante coretto soul, e le dolci note pianistiche di una soave Middle Veldt. Con la filastrocca Stori Rabaul i My Friend The Chocolate Cake ripropongono il loro folk più accattivante e prezioso, mentre la suadente ballata The Prince per certi aspetti si può ricollegare ai Not Drowning Waving, più tenui e intimisti, seguita dallo strumentale solo piano e violino The Fortunate Isles, che sarebbe perfetta  per documentare le meraviglie dell’Irlanda, prima di versare delle lacrime per una romanza struggente e dolorosa come The Fire Turns To Embers, e finire con la melanconica Jim’s Refrain, dove si evidenzia la bravura al mandolino dell’amico Carswell. Le due bonus tracks sono la ripresa di Middle Veldt in una versione più sinfonica, e una ballata come Bubbles, di una creatività senza pari, dove gli archi e il pianoforte delineano trame sonore nelle quali si mischiano la tradizione folk e classica, generando un grande impatto emotivo. Sublime.

Il sestetto “australiano” rivela ad ogni disco una grande capacità di rigenerarsi e di rimettersi in discussione (e The Revival Meeting ne è il perfetto esempio), in quanto David Bridie continua a scrivere bellissime canzoni dalle incantevole melodie, malinconiche e umorali, dove ogni brano è un piccolo capolavoro, dove ogni ascolto è un imprevedibile crescendo di umori e sensazioni, con scenari che cambiano in continua e progressiva dissolvenza. Uno spettacolo per le mie orecchie, i My Friend The Chocolate Cake con The Revival Meeting hanno prodotto uno dei lori capolavori, la creazione di un sound composto da pianoforte, violoncello, violino, chitarra acustica, percussioni, mandolino, batteria, talvolta un basso e una voce ben impostata, piena e rotonda, che tocca il mio personale amore per questo tipo ldi musica, e poco importa se questo disco è stato fatto da una “aussie band” o da un gruppo del pavese (penso all’amico Ed Abbiati e ai suoi Lowlands), l’importante per quel che mi riguarda è quello che ci fanno provare a livello di emozioni, e non solo a livello auditivo. Da ascoltare.!

NDT: Come al solito questo CD è di difficile reperibilità (è uscito il 19 Maggio solo in Australia), ma per chi ama il genere e vuole approfondire questo gruppo, sulle varie piattaforme di vendita può trovare i primi album a prezzi più che  accessibili. Credetemi, ne vale la pena.

Tino Montanari

Un Sentito Omaggio Da Parte Di Un Grande Musicista Ad Un Grande Duo. Tom Russell – Play One More: The Songs Of Ian & Sylvia

Tom Russell Play One More

Tom Russell – Play One More: The Songs Of Ian & Sylvia – True North/Ird CD

Tom Russell è ormai diventato uno dei miei cantautori preferiti. Californiano di Los Angeles, ma con uno stile ed un suono decisamente texano, Tom è uno di quelli che in quasi quarant’anni non ha mai deluso, e soprattutto dagli anni novanta in poi ha sfornato un disco più bello dell’altro, album che rispondono ai titoli, solo per citare quelli che amo di più, di The Rose Of San Joaquin, The Long Way Around, The Man From God Knows Where (splendido), Borderland (ancora meglio), Indian Cowboys Horses Dogs e Mesabi  http://discoclub.myblog.it/2011/09/06/ma-allora-escono-ancora-dischi-belli-tom-russell-mesabi/ (solo un paio di lavori non mi avevano convinto più di tanto, il frammentario Hotwalker, quasi uno spoken word album, e l’esperimento con orchestra non pienamente riuscito Aztec Jazz). Dischi pieni di bellissime canzoni, di racconti sospesi tra folk, country, tex-mex (il confine col Messico è sempre stato molto presente in Russell) e cowboy songs, un artista talmente bravo che perfino le sue due antologie uscite quasi in contemporanea nel 2014 (Tonight We Ride e The Western Years) http://discoclub.myblog.it/2014/10/12/cowboys-tantissime-belle-canzoni-tom-russell-the-western-years/erano così belle da sembrare quasi due dischi nuovi. Quando sembrava che, dopo decenni di onorata carriera, Russell avesse già dato il suo meglio, ecco due anni fa l’uscita del suo capolavoro, The Rose Of Roscrae, un album formidabile, un disco straordinario che raccontava in due CD un’epopea western di grande intensità, un concept pieno di grandi canzoni e con una lista di ospiti da far tremare le gambe (Joe Ely, Jimmie Dale Gilmore, Augie Meyers, Jimmy LaFave, Ramblin’ Jack Elliott, John Trudell, Dan Penn, Ian Tyson e Guy Clark) http://discoclub.myblog.it/2015/04/29/epica-saga-del-west-lunga-quarantanni-tom-russell-the-rose-of-roscrae-ballad-of-the-west/ .

Oggi Tom ritorna con un lavoro diametralmente opposto, registrato quasi in perfetta solitudine, con l’ausilio unicamente di Grant Siemens alle chitarre acustiche ed elettriche e di Cindy Church alle armonie vocali: Play One More: The Songs Of Ian & Sylvia è, come recita il titolo, un omaggio da parte del nostro alle canzoni di Ian Tyson e Sylvia Fricker Tyson, duo folk canadese tra i più popolari negli anni sessanta, e da sempre tra le maggiori fonti di ispirazione di Tom. Ex marito e moglie nella vita, sia Tyson che la Fricker sono ancora tra noi, anzi Ian è ancora attivo musicalmente (Carnero Vaquero, il suo ultimo album uscito due anni fa, è molto bello http://discoclub.myblog.it/2015/07/10/vero-cowboy-canadese-ian-tyson-carnero-vaquero/ ), ma nel periodo di maggior successo hanno scritto davvero tante splendide canzoni, alcune delle quali sono state scelte da Tom per questo disco. E Russell ha fatto una scelta personale, omettendo i brani più noti, principalmente la leggendaria Four Strong Winds ma anche You Were On My Mind (sì, proprio la Io Ho In Mente Te dell’Equipe 84, non tutti sanno che è opera di Sylvia * NDB Grandissima la versione di Barry McGuire), ed optando per pagine più oscure del songbook dei due canadesi, ma non per questo meno interessanti (ci sono anche un paio di pezzi di cui Tom è co-autore, dato che conosce i due da anni), scegliendo di preservare la purezza delle melodie e non appesantirle con una strumentazione corposa: solo due chitarre e due voci, proprio come nei pezzi originali del duo.

Ed il disco, pur lontano dall’essere un’opera sul livello magnifico di The Rose Of Roscrae, funziona a meraviglia. Tom, oltre che un grande autore, si rivela un ottimo interprete, e l’idea di farsi doppiare in alcuni pezzi da una voce femminile, così da ricreare l’atmosfera originale, è vincente: in più, gli arrangiamenti scarni esaltano la purezza delle melodie, anche se forse qua e là una bella fisarmonica l’avrei inserita. L’album è decisamente unitario e compatto, e per questo non necessita a mio parere della solita disamina brano per brano, dato che le dodici canzoni presenti sono tutte allo stesso livello, siano esse delle ballate lente ed intense dal profumo di West (Wild Geese, Rio Grande, The Night The Chinese Restaurant Burned Down, splendida, la limpida cowboy song Old Cheyenne, o la cristallina Short Grass, dal pathos notevole, o ancora The Renegade, che sembra uscire dalla penna di Tom), oppure brani più vivaci, nei quali viene usata anche la chitarra elettrica (Thrown To The Wolves, Play One More, bellissima anche questa, o il quasi bluegrass Red Velvet). Per finire con la straordinaria When the Wolves No Longer Sing, forse la più bella di tutte le canzoni presenti, che non a caso è scritta insieme da Tyson e Russell. Come bonus finale, Tom ci regala due demo inediti di Ian & Sylvia, Grey Morning e la più nota The French Girl, nelle quali gli allora moglie e marito si dividono rispettivamente i compiti di voce solista.

Tom Russell proprio non ce la fa a fare dischi brutti e, anche se dopo il gran lavoro fatto con The Rose Of Roscrae si è preso una pausa dal songwriting, in Play One More abbiamo comunque il Tom performer, che non è di certo inferiore.

Marco Verdi

Passa Il Tempo, Ma Le Emozioni Rimangono, Anche Senza I Vecchi Amici. Robin Trower – Time And Emotion

robin trower time and emotion

Robin Trower – Time And Emotion – V12 Records

Il chitarrista inglese pratica, più o meno da sempre, una sua particolare forma di blues, liquido e sognante, per parafrasare il titolo di uno dei suoi album migliori (Long Misty Days) “nebbioso”, assai influenzato dallo stile Hendrixiano, di cui è stato uno degli epigoni migliori: all’incirca ogni anno, nonostante veleggi ormai per i 72 anni (anzi li ha superati), pubblica un nuovo album, e devo dire che se anche se qualcuno si perde un capitolo della sua epopea, sa che la volta successiva troverà il musicista londinese ancora alle prese con questo tipo di musica, un rock-blues energico e ricco di virtuosismo chitarristico. Viceversa dal lato vocale Robin Trower non è mai stato un fulmine di guerra, adeguato ma nulla più e anche questo Time And Emotion conferma pregi e difetti della sua lunga carriera: comunque sempre più i primi dei secondi. E quindi i suoi numerosi fans ancora una volta troveranno quello che si aspettano, ovvero undici nuove solide composizioni firmate dallo stesso Trower, a cui invero non difetta la vena compositiva, vista la prolificità delle sue proposte: la chitarra viaggia sempre spedita e sicura, il sound è brillante, co-prodotto dallo stesso Trower, insieme a Sam Winfield, ma in parte anche dal suo tastierista e bassista (quando non lo suona lo stesso Robin) Livingstone Brown: dove è stato inciso però? Con tipico british humor, ovviamente, al I Presume Studio (non arriva subito); completa il classico power trio Chris Taggart, ormai fisso sullo sgabello della batteria da quattro album.

Se il vecchio “amico” Gary Brooker quest’anno ha festeggiato i 50 anni di carriera con i Procol Harum http://discoclub.myblog.it/2017/05/07/il-ritorno-di-uno-dei-gruppi-simbolo-del-pop-anni-sessanta-procol-harum-novum/ , Trower si avvicina ai quarantacinque da solista, il primo album Twice Removed From Yesterday infatti è del 1973. Se in questo disco non troverete forse innovazioni o nuove idee, non troverete neppure un musicista bollito, anzi, ancora in grado di sorprendere con il suo tocco magico alla chitarra: prendete l’iniziale The Land Of Plenty, un vigoroso rock-blues dove la solista scorre sicura e carica di effetti sul sinuoso groove creato dalla sua band, e se la parte cantata non è memorabile i lunghi solo non mancano di interessare anche l’ascoltatore più distratto, e quando innesta il pedale del wah-wah non ce n’è per nessuno. What Was I Really Worth To You è ancora più nebbiosa e sognante, con la voce filtrata e il classico sound del miglior Trower, melodie non memorabili ma lavoro di fino della sua 6 corde, e forse una maggiore grinta rispetto ad altri recenti album http://discoclub.myblog.it/2015/04/06/altro-arzillo-70enne-robin-trower-somethings-about-to-change/ . Come certifica la “riffata” I’m Gone, l’unica firmata con Livingstone Browne, che mostra parecchie analogie con il sound da power trio dei vecchi Cream o degli Experience di Jimi Hendrix (ma anche del suo trio con un altro vecchio amico come Jack Bruce http://discoclub.myblog.it/2016/01/08/il-piu-grande-bassista-della-storia-del-rock-anche-il-chitarrista-era-male-jack-bruce-and-robin-trower-songs-from-the-road/), grazie all’uso dell’immancabile wah-wah, che imperversa puree nella successiva Bitten By The Snake, misto alla solista tradizionale, visto che Robin si doppia spesso alla chitarra.

Ma è nei  brani lunghi, lenti e dalle atmosfere sospese dove il nostro eccelle, come nell’ottima Returned In Kind, dove il cry baby crea sonorità stranianti e minacciose, prima di “perdersi” in una lunga improvvisazione; e anche la successiva If You Believe In Me supera i 7 minuti, un pezzo sempre intriso dallo spirito del blues elettrico pur contaminato con il rock, dove tutto è costruito attorno alla sempre prodigiosa perizia tecnica del chitarrista britannico. Se tutto il disco fosse sui livelli di questi due brani parleremmo di uno dei suoi migliori album degli ultimi anni, e per certi versi forse lo è: una ballata rock come You’re The One ha una bella melodia intrigante e che si memorizza con facilità, oltre ad un suono veramente splendido della chitarra, degno del suo “maestro” Jimi, e se come dice lui nella successiva Can’t Turn Back The Clock, forse lo si può fermare a quello splendido seventies rock che è il suo marchio di fabbrica, come l’immancabile wah-wah. Make Up Your Mind è un altro di quei blues futuribili dove Robin Trower eccelle, lenti e maestosi, suonati nel suo stile inconfondibile; Try Love tenta anche la strada di un funky-rock mosso e grintoso, che pur essendo meno nello sue corde non fa peraltro calare la tensione di questo Time And Emotion. Che si conclude con la title-track, forse la canzone meno convincente del lotto, una ballata fin troppo morbida ed irrisolta, anche con uso di tastiere, e dove l’assolo è meno convincente che negli altri brani.

Bruno Conti

L’Ultima Corsa Del Viaggiatore Di Mezzanotte: Ma La Strada Continua Per Sempre. Ci Ha Lasciato Anche Gregg Allman, Aveva 69 Anni.

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Devo constatare purtroppo una ripresa dell’attività da parte di “The Reaper” (cioè la morte secondo i Blue Oyster Cult): dopo un periodo di relativa calma: nella stessa settimana della scomparsa di Jimmy LaFave ci ha lasciato, proprio ieri, in seguito a complicazioni dovute, pare, al cancro al fegato con cui aveva già lottato in passato e per cui aveva subito anche un trapianto, una vera e propria leggenda (e questa volta il termine non è usato a sproposito),Gregory LeNoir, in arte Gregg, Allman. Se dovessi dire che la notizia mi ha colto impreparato direi una mezza bugia: da tempo infatti il biondo tastierista e chitarrista nativo di Nashville, ma georgiano di adozione soffriva di vari problemi di salute, e l’annullamento di tutti i concerti programmati per il 2017 con conseguente rimborso dei biglietti, e senza nessun aggiornamento successivo, non era certo un buon segnale.

Figura fondamentale per la musica rock americana, Gregg è stato si può dire (con il fratello Duane) l’inventore del genere denominato southern rock, una miscela di rock e blues con implicazioni, a seconda del gruppo di appartenenza, soul, country, jazz e gospel: grande appassionato di blues fin dalla giovane età, Gregg muove i primi passi negli anni sessanta proprio insieme al citato fratello Duane, che si rivelerà a breve come uno tra i migliori chitarristi del suo tempo (e di sempre), prima in diverse band giovanili, per poi avere qualche minimo successo prima con gli Allman Joys, che si evolveranno negli Hour Glass e poi definitivamente nella leggendaria Allman Brothers Band (nella quale sarà presente in tutte le configurazioni, unico elemento insieme a Butch Trucks e Jaimoe), semplicemente uno dei più grandi gruppi di sempre, e non solo in ambito southern rock. Se siete abituali frequentatori di questo blog, ma anche occasionali, non devo star qui a spiegarvi di chi stiamo parlando, ma giova ricordare che, a mio parere ma non solo mio, il loro Live At Fillmore East è probabilmente il più grande disco dal vivo mai pubblicato, un album che ha beneficiato di una serie infinita di ristampe ma che ogni volta che lo si ascolta è come se fosse la prima volta, un lavoro epocale nel quale l’organo e la voce “nera” di Gregg erano delle parti fondamentali, insieme alle formidabili chitarre di Duane e Dickey Betts e ad una sezione ritmica incredibile formata dai due batteristi e dal bassista Berry Oakley.

In quegli anni Gregg riesce a tenere insieme il gruppo ed a registrare anche splendidi album di studio, nonostante problemi sempre crescenti con le droghe e soprattutto superando anche le tragiche scomparse prima del fratello Duane e poi di Oakley, entrambi morti in incidenti motociclistici incredibilmente simili: album come Idlewild South, Eat A Peach (in parte live) e Brothers And Sisters (nel quale Betts assume in pratica la leadership del gruppo, e dove vengono introdotti elementi country) sono dischi di un livello che poche band al mondo possono vantare. Problemi all’interno del gruppo, causati in minima parte anche dalle situazioni personali del nostro (in quegli anni protagonista di una relazione parecchio tribolata con Cher), portano Allman prima a sciogliere il gruppo per un anno (1977) e poi a riformarlo con alcune modifiche nella line-up, pubblicando altri album discreti ma senza quel sacro fuoco che era presente nei loro capolavori, fino ad un break-up nel 1982 che sembra definitivo. La band però si riunisce a sorpresa nella formazione “quasi” originale nel 1990 (e con l’ingresso in formazione del grande Warren Haynes, allora sconosciuto, ed autore proprio ieri di un toccante quanto lungo omaggio a Gregg pubblicato sul suo Facebook https://www.facebook.com/warrenhaynes/posts/10154722537472799 ), con due splendidi album, Seven Turns e Shades Of Two Worlds nel 1991, e soprattutto ricominciando a dare i loro proverbiali concerti, documentati da alcuni bellissimi album live, fino al 2014, anno della separazione definitiva per impossibilità di reggere certi ritmi dovuta all’età (e nel frattempo c’era stata anche la defezione di Betts, con il quale Allman non si lasciò benissimo, sostituito in maniera degnissima dal giovane Derek Trucks).

Gregg ha negli anni portato avanti anche una carriera solista, inizialmente abbastanza simile allo stile del suo gruppo madre, anche se più da cantautore rock e meno blues, con il bellissimo Laid Back (che contiene il suo brano più famoso, Midnight Rider, già inciso in precedenza con gli Allman), seguito dopo quattro anni dal meno riuscito Playin’ Up A Storm e negli anni ottanta da altri due lavori contraddistinti da sonorità piuttosto mainstream (I’m No Angel e Just Before The Bullet Fly), per tacere del disco del 1977 in coppia con Cher, Two The Hard Way, che è meglio dimenticare. Nel 2011 Gregg pubblica il bellissimo Low Country Blues, il suo disco in assoluto più “allmaniano” (nel senso di ABB) http://discoclub.myblog.it/2011/01/12/il-notaio-conferma-grande-disco-gregg-allman-low-country-blu/ , seguito nel 2015 dallo splendido live Back To Macon  http://discoclub.myblog.it/2015/09/01/anche-senza-fratelli-ed-amici-sempre-grande-musica-gregg-allman-live-back-to-macon-ga/ (e non dimentichiamo lo stupendo tributo al nostro, sempre dal vivo, All My Friends, uscito nel 2014): dovrebbe essere tra l’altro imminente l’uscita di un album di studio nuovo di zecca di Gregg, Southern Blood, da tempo in preparazione e prodotto da Don Was, disco che a questo punto uscirà postumo (nel suo sito è già in preordine). Che altro dire? Ci mancheranno la sua figura carismatica, ma anche la sua eccezionale abilità come organista e la sua capacità di aver letteralmente creato un suono ed un genere, il southern rock, che ha avuto decine di epigoni più o meno bravi, ma mai nessuno al livello della ABB: una menzione anche per la sua grande voce, una caratteristica del nostro mai troppo lodata, una voce potente, nera, piena di soul ed in grado di emozionare ogni volta, come ha fatto notare Haynes nel suo sentito tributo.

Riposa In Pace, vecchio Midnight Rider: ho un po’ di invidia per gli angeli, che stasera assisteranno ad una fantastica jam tra te, Duane, Berry e Butch.

Marco Verdi

*NDB

Dal concerto ai CMT Music Awards di inizio giugno.

Alcune Prossime Interessanti Uscite Estive, Parte II. Beach Boys, Jason Isbell, Joe Bonamassa, Jeff Tweedy, Willie Nile, Peter Perrett, Sonny Landreth

jason isbell the nashville sound

Proseguiamo con la disamina delle prossime uscite, sempre quelle in uscita dopo il 15 giugno. Le altre, tipo Roger Waters, Fleet Foxes (entrambe già pronte le recensioni), Gov’t Mule (in preparazione), Buckingham-McVie, Chuck Berry, e altre, le leggerete quanto prima sul Blog. Oggi partiamo con il nuovo album solista dell’ex Drive-by-Truckers.

Jason Isbell And The 400 Unit – Nashville Sound – Southeastern/Thirty Tigers

Contrariamente a quanto potrebbe far supporre il titolo, questo nuovo disco di Isbell è annunciato come il più rock e tirato della sua carriera solista (ma non mancano le ballate), l’aggancio con Nashville è dato dal fatto che l’album è stato registrato al famoso RCA Studio A, appunto nella capitale del Tennessee, con la produzione di Dave Cobb (ultimamente forse si fa prima a dire quelli che non ha prodotto), sinonimo di garanzia, e già dietro la consolle anche nei due precedenti dischi di Isbell. Lo accompagnano i 400 Unit: il tastierista Derry deBorja, il batterista Chad Gamble, il bassista Jimbo Hart, l’atro chitarrista Sadler Vaden e la violinista, nonché moglie di Jason, Amada Shires. Dieci brani nuovi, composti per l’occasione, dal due volte vincitore di Grammy, Jason Isbell.

Ecco i titoli dei brani del CD, previsto in uscita il 16 giugno:

1. Last Of My Kind
2. Cumberland Gap
3. Tupelo
4. White Man’s World
5. If We Were Vampires
6. Anxiety
7. Molotov
8. Chaos And Clothes
9. Hope The High Road
10. Something To Love

Dai tre brani che potete vedere ed ascoltare qui sopra mi sembra ottimo.

Joe Bonamassa Live At Carnegie Hall An Acoustic Evening

Il 23 giugno uscirà anche il nuovo Joe Bonamassa Live At Carnegie Hall: An Acoustic Evening, etichetta Mascot/Provogue/J&R Adventures, Sono già passati ben otto mesi, anzi quasi nove, dal precedente disco http://discoclub.myblog.it/2016/10/03/finche-fa-dischi-cosi-belli-puo-farne-quanti-ne-vuole-joe-bonamassa-live-at-the-greek-theater/ , ma il chitarrista di New York ci stupisce ancora una volta con un eccellente disco dal vivo, forse il migliore della sua carriera (e ne ha fatti parecchi “non male”, per usare un eufemismo, sempre molto diversi tra loro). Per l’occasione il concerto verrà pubblicato in tre diversi formati separati: doppio CD, doppio DVD o Blu-Ray.

La recensione la leggerete in anteprima sul Buscadero di giugno (sì, l’ho scritta io) e poi a seguire sul Blog. Nel frattempo ecco la lista completa dei brani:

[CD1]
1. This Train
2. Drive
3. The Valley Runs Low
4. Dust Bowl
5. Driving Towards The Daylight
6. Black Lung Heartache
7. Blue And Evil
8. Livin’ Easy
9. Get Back My Tomorrow

[CD2]
1. Mountain Time
2. How Can A Poor Man Stand Such Times And Live
3. Song Of Yesterday
4. Woke Up Dreaming
5. Hummingbird
6. The Rose

E i nomi dei musicisti impegnati nel concerto: Mahalia Barnes alla guida dei 3 backing vocalists australiani (gli altri due Juanita Tippins e Gary Pinto) , la cellista acustica ed elettrica di origine cinese Tina Guo (impegnata anche al erhu) e il percussionista egiziano Hossan Ramzy (che era quello utilizzato da Page & Plant per l’album No Quarter e nel Unledded Tour). Nella band di Bonamassa a fianco dei soliti Reese Wynans (piano), e Anton Fig batteria), troviamo anche Eric Bazilian, l’eccellente multistrumentista degli Hooters). Il concerto è fantastico ed elettrizzante, come si desume dai due video inseriti nel Post.

jeff tweedy together at last

“Strano” disco solista per Jeff Tweedy dei Wilco, Together At Last, in uscita il 23 giugno prossimo per la Anti/Epitaph, conterrà rivisitazioni acustiche di brani già incisi dal nostro con i gruppi in cui ha militato, Wilco appunto, Loose Fur e Golden Smog. Quest’anno anche il musicista di Belleville, Illinois (ma residente a Chicago) taglia anche lui il traguardo dei 50 anni ad agosto e decide di pubblicare questo disco particolare, forse non del tutto comprensibile, o forse sì. anche alla luce dell’ultimo Wilco Schmilco che era già un album intimista e a tratti acustico, ma questa volta Tweedy è proprio da solo, e si dovrebbe trattare del primo di una serie di album chiamati Loft Acoustic Sessions, Produce lo stesso Jeff, insieme a Tom Schick, per un totale di 11 brani.

1. Via Chicago
2. Laminated Cat
3. Lost Love
4. Muzzle Of Bees
5. Ashes Of American Flags
6. Dawned On Me
7. In A Future Age
8. I Am Trying To Break Your Heart
9. Hummingbird
10. I’m Always In Love
11. Sky Blue Sky

Sembra interessante, lo preferisco in versione elettrica, o quantomeno accompagnato da una band, ma comunque il primo brano rilasciato non è affatto male.

willie nile positively bob

Disco nuovo, sempre previsto per il 23 giugno, anche per Willie Nile: il titolo, e pure il sottotitolo, dicono tutto. Positively Bob, Willie Nile Sings Bob Dylan, autofinanziato con il solito sistema del crowdfunding via Pledge Music, parte dei proventi andrà alla The Light Of Day Foundation. Si sa abbastanza poco del disco, che uscirà su etichetta River House Records, ma dal teaser video qui sotto, sembra un album elettrico.

Nove brani in tutto, direi tutte prime scelte, ecco i titoli:

1. The Times Are A’ Changin’
2. Rainy Day Women #12 & 35
3. Blowin’ In The Wind
4. A Hard Rain’s A’ Gonna Fall
5. I Want You
6. Subterranean Homesick Blues
7. Love Minus Zero, No Limit
8. Every Grain Of Sand
9. You Ain’t Goin’ Nowhere

peter perrett how the west was won

Il prossimo album, previsto per il 30 giugno in questo caso, è quello di un’artista ignoto ai più, ma che al sottoscritto è sempre piaciuto molto: Peter Perrett, leader sul finire degli anni ’70 di una delle migliori e più misconosciute band inglesi dell’epoca, gli Only Ones, autori di alcuni splendidi album, dove a fianco della voce di Perrett si apprezzava anche il grande lavoro alla chitarra di John Perry. Senti che musica.

Tre dischi, tra il 1978 e il 1980, se vi capita cercateli, si trovano ancora facilmente in giro, poi tentativi di reunion varie, carriere soliste mai decollate per entrambi (in effetti Perrett avrebbe pubblicato nel 1996 anche un disco come Peter Perrett in The One – Woke Up Sticky, che non era neppure male, ma se ne sono accorti in pochi); per cui How The West Was Won deve essere considerato il suo esordio da solista. Non ho sentito l’album integralmente, ma a giudicare dallo splendida title track, che potete ascoltare di seguito, e anche da An Epic Story, mi sembra abbia tutte le carte in regola, se non per vendere, quanto meno per allietare le giornate degli appassionati della buona musica. Prodotto da Chris Kimsey (esatto, quello dei Rolling Stones), esce su etichetta Domino.

Accompagnato dai figli Jamie and Peter Jr., il disco ci propone dieci splendide canzoni (vado sulla fiducia, ma la classe non è acqua):

1. How The West Was Won
2. An Epic Story
3. Hard To Say No
4. Troika
5. Living In My Head
6. Man Of Extremes
7. Sweet Endeavour
8. C Voyeurger
9. Something In My Brain
10. Take Me Home

beach boys sunshine tomorrow

Nel post precedente, di due o tre giorni fa, dedicato soprattutto alle ristampe, questo era sfuggito: però a ben vedere, visto che uscirà il 30 giugno, per la Capitol/Universal, Sunshine Tomorrow dei Beach Boys è destinata a diventare un’altra delle ristampe più attese e sorprendenti della prossima estate: Un altro disco dei Beach Boys? Ebbene sì: si tratta della versione stereo del disco del 1967 Wild Honey, ma arricchito da una pletora di brani provenienti da varie fonti. Outtakes da quel album, ma anche da Smiley Smile, pezzi dal vivo registrati tra le Hawaii, Washington, DC e Boston, e tantissimo altro.

Leggete i contenuti, 65, dicasi, sessantacinque brani, tra cui moltissimo materiale inedito:

CD 1

Wild Honey (New Stereo Mix) (original mix released as Capitol ST 2859, 1967)
(New stereo mix, except as noted *. Recorded September 15 to November 15, 1967 at Brian Wilson’s house and at Wally Heider Recording in Hollywood, California)

1. Wild Honey (2:45)
2. Aren’t You Glad (2:16)
3. I Was Made To Love Her (2:07)
4. Country Air (2:21)
5. A Thing Or Two (2:42)
6. Darlin’ (2:14)
7. I’d Love Just Once To See You (1:49)
8. Here Comes The Night (2:44)
9. Let The Wind Blow (2:23)
10. How She Boogalooed It (1:59)
11. Mama Says * (Original Mono Mix) (1:08)

Wild Honey Sessions: September – November 1967 (Previously Unreleased)
12. Lonely Days (Alternate Version) (1:45)
13. Cool Cool Water (Alternate Early Version) (2:08)
14. Time To Get Alone (Alternate Early Version) (3:08)
15. Can’t Wait Too Long (Alternate Early Version) (2:49)
16. I’d Love Just Once To See You (Alternate Version) (2:22)
17. I Was Made To Love Her (Vocal Insert Session) (1:35)
18. I Was Made To Love Her (Long Version) (2:35)
19. Hide Go Seek (0:51)
20. Honey Get Home (1:22)
21. Wild Honey (Session Highlights) (5:39)
22. Aren’t You Glad (Session Highlights) (4:21)
23. A Thing Or Two (Track And Backing Vocals) (1:01)
24. Darlin’ (Session Highlights) (4:36)
25. Let The Wind Blow (Session Highlights) (4:14)

Wild Honey Live: 1967 – 1970 (Previously Unreleased)
26. Wild Honey (Live) (2:53) – recorded in Detroit, November 17, 1967
27. Country Air (Live) (2:20) – recorded in Detroit, November 17, 1967
28. Darlin’ (Live) (2:25) – recorded in Pittsburgh, November 22, 1967
29. How She Boogalooed It (Live) (2:43) – recorded in Detroit, November 17, 1967
30. Aren’t You Glad (Live) (3:12) – recorded in 1970, location unknown

31. Mama Says (Session Highlights) (3:08)
(Previously unreleased vocal session highlights. Recorded at Wally Heider Recording, November 1967)

CD 2

Smiley Smile Sessions: June – July 1967 (Previously Unreleased)
(Recorded June and July 1967 at Brian Wilson’s house, Western Recorders, SRS, and/or Columbia Studios, except as noted *)
1. Heroes And Villains (Single Version Backing Track) (3:38)
2. Vegetables (Long Version) (2:55)
3. Fall Breaks And Back To Winter (Alternate Mix) (2:28)
4. Wind Chimes (Alternate Tag Section) (0:48)
5. Wonderful (Backing Track) (2:23)
6. With Me Tonight (Alternate Version With Session Intro) (0:51)
7. Little Pad (Backing Track) (2:40)
8. All Day All Night (Whistle In) (Alternate Version 1) (1:04)
9. All Day All Night (Whistle In) (Alternate Version 2) (0:50)
10. Untitled (Redwood) * (0:35)
(Previously unreleased instrumental fragment. Studio and exact recording date unknown. Discovered in tape box labeled “Redwood”)

Lei’d In Hawaii “Live” Album: September 1967 (Previously Unreleased)
(Recorded September 11, 1967 at Wally Heider Recording in Hollywood, CA, with additional recording September 29, 1967 (except as noted *). Original mono mixes from assembled master ½” reel, dated September 29, 1967, discovered in the Brother Records Archives.)
11. Fred Vail Intro (0:24)
12. The Letter (1:54)
13. You’re So Good To Me (2:31)
14. Help Me, Rhonda (2:24)
15. California Girls (2:30)
16. Surfer Girl (2:17)
17. Sloop John B (2:50)
18. With A Little Help From My Friends * (2:21)
(Recorded at Brian Wilson’s house, September 23, 1967)
19. Their Hearts Were Full Of Spring * (2:33)
(Recorded during rehearsal, August 26, 1967, Honolulu, Hawaii)
20. God Only Knows (2:45)
21. Good Vibrations (4:13)
22. Game Of Love (2:11)
23. The Letter (Alternate Take) (1:56)
24. With A Little Help From My Friends (Stereo Mix) (2:21)

Live In Hawaii: August 1967 (Previously Unreleased)
(The Beach Boys recorded two complete concerts and rehearsals in Honolulu on August 25 and 26, 1967. Brian Wilson rejoined the group onstage for these shows; Bruce Johnston was not present. The following tracks derive from the original 1″ 8-track master reels discovered in the Brother Records Archives.)
25. Hawthorne Boulevard (1:05)
26. Surfin’ (1:40)
27. Gettin’ Hungry (3:19)
28. Hawaii (Rehearsal Take) (1:11)
29. Heroes And Villains (Rehearsal) (4:45)

Thanksgiving Tour 1967: Live In Washington, D.C. & Boston (Previously Unreleased)
(The touring Beach Boys – Mike, Carl, Dennis, Al, and Bruce – embarked on a Thanksgiving Tour immediately after delivering the finished Wild Honey album to Capitol Records. For this tour, the band was augmented by Ron Brown on bass and Daryl Dragon on keyboards.)
30. California Girls (Live) (2:32) – recorded in Washington, DC, November 19, 1967
31. Graduation Day (Live) (2:56) – recorded in Washington, DC, November 19, 1967
32. I Get Around (Live) (2:53) – recorded in Boston, November 23, 1967

Additional 1967 Studio Recordings (Previously Unreleased)
33. Surf’s Up (1967 Version) (5:25)
(Recorded during the Wild Honey sessions in November 1967)
34. Surfer Girl (1967 A Capella Mix) (2:17)
(Previously unreleased mix of Lei’d In Hawaii take from the Wally Heider Recording sessions in September 1967)

Per la gioia di grandi e piccini, ed estratti dal periodo più fertile e creativo della band di Brian Wilson, e avrà pure un prezzo speciale, un doppio CD al costo di uno. Non ci sono ancora video specifici dedicati a questa ristampa, ma due o tre canzoni (!!!) tra cui scegliere mi sembra si possano trovare

sonny landreth recorded live in lafayette

Un’altra uscita interessante prevista per il 30 giugno è questo Live In Lafayette, doppio CD dal vivo per uno dei migliori chitarristi in circolazione, maestro della slide guitar e non solo, Sonny Landreth registra questo album proprio nella sua città adottiva (perché, per la precisione, è nato a Canton, Mississippi). Un album con un disco acustico ed uno elettrico, pubblicato dalla Mascot/Provogue:

CD1: Acoustic]
1. Blues Attack
2. Hell At Home
3. Key To The Highway
4. Creole Angel
5. A World Away
6. The High Side
7. Bound By The Blues
8. The U.S.S. Zydecoldsmobile

[CD2: Electric]
1. Back To Bayou Teche
2. True Blue
3. The Milky Way Home
4. Brave New Girl
5. Überesso
6. Soul Salvation
7. Walkin’ Blues
8. The One And Only Truth

Peccato che non sia stato accluso anche un video con le riprese del concerto, visto che a giudicare dal filmato qui sopra, pare esista.

Fine della seconda parte, alla prossima.

Bruno Conti

Per Una Volta Il Boss E’ Lui! Little Steven – Soulfire

little steven soulfire

Little Steven – Soulfire – Universal CD

Erano anni che Little Steven, nome d’arte di Steven Van Zandt, a sua volta nome d’arte di Steven Lento (ed è conosciuto anche come Miami Steve, probabilmente è l’uomo con più nicknames sulla terra) non pubblicava un album a suo nome, per l’esattezza dal non indispensabile Born Again Savage del 1999. Come tutti sanno, il suo lavoro principale è fare il chitarrista e braccio destro di Bruce Springsteen nella E Street Band, ma negli ultimi anni, oltre a condurre un programma radiofonico a sfondo musicale, si è reinventato anche attore per serie di successo come The Sopranos o Lilyhammer (e lo scorso anno ha splendidamente prodotto il bellissimo comeback album di Darlene Love), lasciando pochissimo spazio, anzi nullo, per la sua carriera solista. A dire il vero non è mai stato attivissimo, se si escludono gli anni ottanta (anche perché, all’indomani dell’uscita di Born In The U.S.A., lasciò Bruce e la band), che erano partiti benissimo con l’ottimo Men Without Women ma poi c’era stato un costante peggioramento con l’incerto Voice Of America ed i pessimi Freedom-No Compromise (nel quale era presente il suo più grande successo, Bitter Fruit, esatto, Prendilo Tu Questo Frutto Amaro non è di Venditti!) e Revolution, due album privi di canzoni valide ed in più con un terribile suono elettro-pop anni ottanta.

Oggi, approfittando di una lunga pausa, sia di Springsteen sia dei suoi doveri di attore, Steven pubblica finalmente il seguito di Born Again Savage, cioè Soulfire, che si ricollega però direttamente al suono di Men Without Women, cioè quel misto di rock’n’roll ed errebi che è la musica con il quale è cresciuto, e che veniva suonata nei primi, bellissimi dischi anni settanta di Southside Johnny & The Asbury Jukes, lavori che erano infatti prodotti da Steven, e che per i quali aveva scritto una grande quantità di canzoni. Per Soulfire Van Zandt riforma anche i mitici Disciples Of Soul, anche se con membri totalmente nuovi rispetto agli anni ottanta (Marc Ribler alle chitarre, Rich Mercurio alla batteria, Jack Daley al basso ed Andy Burton alle tastiere), ma con la stessa attitudine rock’n’soul calda e “grassa”, e si circonda di una enorme quantità di fiati (e qui qualche nome già presente nel 1982 c’è, per esempio, il sax baritono e tenore di Eddie Manion e Stan Harrison) e cori, tra i quali i Persuasions, leggendario gruppo vocale di Brooklyn. Nelle dodici canzoni di Soulfire quindi, oltre a tornare alle origini di un suono che ha formato le carriere sia di Southside Johnny che in misura minore di Springsteen stesso (ed entrambi stranamente mancano nel disco), Steven fa praticamente un omaggio a sé stesso, cantando per la prima volta brani che negli anni ha scritto e prodotto per altri artisti, oltre ad inserire qualche pezzo nuovo ed un paio di cover di canzoni tra le sue preferite. Un ritorno in grande stile quindi, con il nostro in grado ancora di graffiare, trascinare ed in certi momenti perfino entusiasmare, circondandosi di un suono caldissimo, vibrante, dal gran ritmo e con il fine principale di divertire e divertirsi, un suono nel quale la voce ancora grintosa di Steven e la sua abilità chitarristica si inseriscono alla perfezione, il tutto grazie anche alla sua ormai risaputa esperienza come produttore (qui coadiuvato da Geoff Sanoff).

Soulfire è quindi un gran disco di rock’n’roll meets soul, come oggi purtroppo nessuno fa più, superiore anche alle ultime prove di Southside Johnny (anche se Soultime! del 2015 era ottimo) e direi meglio anche della media degli ultimi dischi in studio del Boss, Wrecking Ball escluso. La title track dà il via al CD con il ritmo subito alto, chitarra ficcante, un insinuante organo ed un’esplosione di suoni e colori, un rock-soul gustoso e con Steve che mostra di avere ancora una gran voce ed una grinta immutata, e con le chitarre che vogliono dire la loro: negli anni settanta un pezzo così sarebbe stato un sicuro hit. I’m Coming Back è già una splendida canzone (era su Better Days, l’ultimo grande disco di Southside Johnny, targato 1991), con un scintillante suono à la E Street Band ed un ritornello killer, ed il binomio chitarre-fiati a creare un background unico; Blues Is My Business, un brano del 2003 di Etta James, è un saltellante pezzo tra blues e soul, con il nostro che arrota mica male, il solito trattamento deluxe a base di fiati e cori femminili ed un assolo di organo davvero “caliente”. I Saw The Light non è il classico di Hank Williams, bensì una canzone nuova, un irresistibile e ballabile (in senso buono) brano ancora tra errebi e rock’n’roll, una miscela vincente che pezzo dopo pezzo coinvolge sempre di più; Some Things Just Don’t Change (dall’album del 1977 ancora di Southside Johnny This Time It’s For Real) vede i fiati più protagonisti che mai, per un lento pieno d’anima, un blue-eyed soul sanguigno e vibrante, suonato alla grande e con la sezione ritmica inappuntabile, mentre Love On The Wrong Side Of Town, ancora originariamente sull’album del 1977 di John Lyon ed i suoi Jukes, e scritta da Steve insieme a Bruce Springsteen, ha una melodia che risente (e ci mancherebbe) della mano del Boss, ed un arrangiamento potente e “spectoriano”, ma per nulla ridondante.

The City Weeps Tonight (con i Persuasions ai cori) è un lento da ballo della mattonella che fa scaturire l’anima da straccione romantico del pirata Steve, un pezzo tra doo-wop e Roy Orbison, delizioso; Down And Out In New York City (cover di un pezzo del 1972 di James Brown) ha un suono che più anni settanta non si può, un errebi-funky con tanto di archi pre-disco, un pezzo di pura blaxploitation, ancora con sonorità caldissime, quasi bollenti (ed i fiati si superano), mentre Standing In The Line Of Fire (che dava il titolo ad un album del 1984 di Gary U.S. Bonds) sembra presa pari pari da un western con colonna sonora di Ennio Morricone, con la sua chitarra twang, le campane e l’assolo di tromba, uno dei pezzi migliori e più coinvolgenti del disco. La fluida e diretta Saint Valentine’s Day, scritta dal nostro nel 2009 per le Cocktail Slippers, una rock band al femminile di Oslo, è un’altra notevole rock song in odore di Springsteen, tra le più orecchiabili, e precede l’imperdibile I Don’t Want To Go Home, il pezzo più noto contenuto in Soulfire (era la title track del mitico esordio datato 1976 di Southside Johnny, ed anche il primo brano mai scritto da Steve), una canzone che non ha bisogno di presentazioni, splendida era quarant’anni fa e splendida rimane oggi; il CD si chiude con Ride The Night Away (incisa da Jimmy Barnes nel 1985 ed ancora da Southside nel 1991), altro ottimo rock-soul dal tempo spedito e melodia vincente, ennesimo tourbillon di suoni che non può che creare dispiacere per la fine del disco.

Un grande ritorno da parte di Little Steven, ed un disco che secondo me ci ritroveremo “tra i piedi” nelle classifiche di fine anno: speriamo che il prossimo esca un po’ più ravvicinato, anche per ragioni di età del nostro (e degli ascoltatori).

Marco Verdi

Non Ci Posso Credere, Lo Hanno Fatto Pure Con Lui, Anche Peggio Di Elvis! Il 3 Novembre Esce “A Love So Beautiful: Roy Orbison With The Royal Philarmonic Orchestra”.

roy orbison a love so beautiful

Ho notato questa notizia tra le news e sono inorridito a tal punto da non poter esimermi dallo scrivere due righe, anche se come vedremo l’uscita è tra molti mesi: non contenti dello scempio fatto con Elvis Presley, del quale due anni orsono sono state prese alcune tracce vocali ed appiccicate su accompagnamenti orchestrali incisi per l’occasione con esiti, come direbbe un noto allenatore, “agghiaggiandi” (If I Can Dream, del quale mi ero sincerato di parlare malissimo proprio qui sul blog http://discoclub.myblog.it/2015/11/05/questanno-natale-bella-seduta-spiritica-elvis-presley-with-the-royal-philarmonic-orchestra-if-i-can-dream/ , bissato l’anno scorso da The Wonder Of You, per il quale invece non avevo voluto infierire preferendo ignorarlo), la Sony ha annunciato che il 3 Novembre uscirà A Love So Beautiful: Roy Orbison With The Royal Philarmonic Orchestra, altra incredibile tamarrata nella quale la voce inimitabile del grande cantante scomparso da diversi anni verrà letteralmente sepolta da arrangiamenti ridondanti e pacchiani. Come aggravante, la base strumentale dei brani sarà risuonata ex novo (orrore!) dai tre figli di Roy, meglio noti come i Roy’s Boys, che da qualche anno sono diventati i curatori degli archivi del padre: un’operazione demenziale che però temo, come è già successo con Elvis, sarà incensata da una certa stampa allineata e “marchettara” e venderà copiosamente, in quanto il pubblico è ormai sempre più attratto dal kitsch fine a sé stesso. Per puro dovere di cronaca, ecco i titoli dei brani inclusi nel CD:

  1. In Dreams
  2. Crying
  3. I’m Hurtin’
  4. Oh, Pretty Woman
  5. It’s Over
  6. Dream Baby
  7. Blue Angel
  8. Love Hurts
  9. Mean Woman Blues
  10. Uptown
  11. Running Scared
  12. Only The Lonely
  13. I Drove All Night
  14. You Got It
  15. A Love So Beautiful
  16. Pretty Paper

Fa specie trovare all’interno anche pezzi originariamente prodotti dal mio “amico” Jeff Lynne, che quindi ha dato il suo benestare ad un’operazione che definire una porcata non è assolutamente fuori luogo, ancor più sorprendente dato che riguarda un artista che in vita non si sarebbe certo prestato a cose del genere (mentre su Elvis qualche piccolo dubbio ce l’avrei…). Dispiace dirlo, ma con Barbara Orbison ancora tra noi questo non sarebbe successo.

Marco Verdi

Alcune Prossime Interessanti Uscite Estive, Parte I. Delaney And Bonnie With Eric Clapton, Radiohead, Prince, Neil Young, Natalie Merchant.

delaney and bonnie & friends on tour

Come i lettori più attenti del Blog avranno notato, ultimamente la rubrica delle anticipazioni discografiche appare più raramente (a parte per alcune uscite particolarmente importanti), ma si sono intensificate di parecchio le recensioni delle novità e delle ristampe che ci sembrano più valide, secondo i nostri gusti, cercando di essere tempestivi ove possibile, ma non dimenticando anche dischi magari non recenti ma di indubbio valore, oltre alle ristampe più intriganti o (in)utili, senza dimenticare i nomi emergenti. Però, visto che si avvicina la stagione estiva, due o tre Post sulle uscite prossime venture più interessanti e sfiziose mi paiono doverosi, anche se le recensioni continueranno a ritmo continuo. Diciamo che l’arco temporale in esame è, più o meno, quello compreso tra la metà di giugno e la fine di luglio, ovviamente rispetto agli album di cui è già nota la data di uscita. Partiamo con un cofanetto, della serie a volte ritornano, in tutti i sensi.

Delaney And Bonnie And Friends – On Tour With Eric Clapton – Warner/Rhino 4 CD 

Questo cofanetto in versione espansa era già uscito nel 2010: lo so perché lo avevo acquistato ai tempi e ne avevo già parlato sul Blog. Purtroppo all’epoca, pubblicato dalla Rhino Handmade, era a tiratura limitata e di conseguenza costava molto caro, anche se il contenuto musicale, pur nella sua ripetitività, era fantastico. Tratto da 3 concerti registrati nel dicembre del 1969, a fianco di Delaney & Bonnie Bramlett e della loro band, ci sono tre chitarristi aggiunti non male: Eric Clapton, Dave Mason George Harrison. Il resto lo leggete qui http://discoclub.myblog.it/2010/07/06/prima-e-dopo-la-cura-delaney-bonnie-on-tour-with-eric-clapto/ , aggiungo che la nuova edizione, in uscita il 16 giugno, sarà a prezzo speciale, e che il contenuto è il seguente, lo stesso di sette anni fa ma a un terzo del prezzo!

[CD1]
1. Intro/Tuning (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
2. Opening Jam (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
3. Gimme some Lovin’ (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
4. Band Introductions (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
5. Only You Know And I Know (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
6. Medley: Poor Elijah/Tribute To Johnson (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
7. Get Ourselves Together (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
8. I Don’t Know Why (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
9. Where There’s A Will, There’s A Way (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
10. That’s What My Man Is For (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
11. Medley: Pour Your Love On Me/Just Plain Beautiful (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
12. Everybody Loves A Winner (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
13. Things Get Better (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
14. Coming Home (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
15. I Don’t Want To Discuss It (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
16. Little Richard Medley: Tutti Frutti/The Girl Can’t Help It/Long Tall Sally/Jenny Jenny (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)
17. My Baby Specializes (Live at Royal Albert Hall on 12/1/1969)

[CD2]
1. Intro/Tuning (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
2. Opening Jam (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
3. Gimme Some Lovin’ (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
4. Things Get Better (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
5. Medley: Poor Elijah/Tribute To Johnson (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
6. I Don’t Know Why (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
7. Medley: Pour Your Love On Me/Just Plain Beautiful (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
8. Where There’s A Will, There’s A Way (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
9. Coming Home (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
10. Little Richard Medley: Tutti Frutti/The Girl Can’t Help It/Long Tall Sally/Jenny Jenny (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
11. I Don’t Want To Discuss It (Live at Colston Hall on 12/2/1969)
12. Crowd/Announcement (Live at Colston Hall on 12/2/1969)

[CD3]
1. Intro/Tuning (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
2. Gimme Some Lovin’ (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
3. Introduction (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
4. Things Get Better (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
5. Medley: Poor Elijah/Tribute To Johnson (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
6. I Don’t Know Why (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
7. Where There’s A Will, There’s A Way (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
8. That’s What My Man Is For (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
9. I Don’t Want To Discuss It (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)
10. Coming Home (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 1st Show)

[CD4]
1. Intro/Tuning (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
2. Gimme Some Lovin’ (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
3. Pigmy (Instrumental) [Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show]
4. Introductions (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
5. Things Get Better (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
6. Medley: Poor Elijah/Tribute To Johnson (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
7. Only You Know And I Know (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
8. Will The Circle Be Unbroken (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
9. Where There’s A Will, There’s A Way (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
10. I Don’t Know Why (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
11. That’s What My Man Is For (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
12. Coming Home (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)
13. LIttle Richard Medley: Tutti Frutti/The Girl Can’t Help It/Long Tall Sally/Jenny Jenny (Live at Fairfield Hall on 12/7/1969 – 2nd Show)

All’epoca fecero anche un breve tour europeo, tramandato ai posteri dalla televisione danese. Inutile dire che, se non lo avete già, è assolutamente imperdibile.

Radiohead OKNOTOK (OK Computer 20th Anniversary EditionRadiohead OKNOTOK (OK Computer 20th Anniversary Edition boxed edition

Il 23 giugno, per la XL Records, uscirà l’edizione doppia espansa di Ok Computer dei Radiohead, con il titolo OKNOTOK (OK Computer 20th Anniversary Edition). Per i fans più facoltosi (ma molto facoltosi) ne esce anche una versione acquistabile solo sul loro sito (la seconda che vedete qui sopra) https://oknotok17-us.wasteheadquarters.com/products/boxed-edition oppure http://www.oknotok.co.uk/ ai link potete leggere il contenuto, ma come si intuisce comprende tre vinili, un notebook, una musicassetta, un altro libretto e il codice per il download. Per chi si “accontenta” ,l’album in doppio CD contiene il disco originale e un secondo dischetto con 8 B-sides uscite all’epoca e tre brani inediti.

[CD1]

1. Airbag
2. Paranoid Android
3. Subterranean Homesick Alien
4. Exit Music (For A Film)
5. Let Down
6. Karma Police
7. Fitter Happier
8. Electioneering
9. Climbing Up the Walls
10. No Surprises
11. Lucky
12. The Tourist

[CD2]
1. I Promise
2. Man Of War
3. Lift
4. Lull
5. Meeting In The Aisle
6. Melatonin
7. A Reminder
8. Polyethylene (Parts 1 & 2)
9. Pearly*
10. Palo Alto
11. How I Made My Millions

prince purple rain

Sempre il 23 giugno, per la NPG/Rhino/Warner, escono varie edizioni della ristampa di Purple Rain di Prince And The Revolution: non si festeggia o commemora nessuna ricorrenza in particolare. Sono 33 anni dalla di uscita dell’album originale, la data della scomparsa dell’artista di Minneapolis è il 21 aprile dello scorso anno, la data di nascita era il 7 giugno del 1958, quindi semplicemente viene ripubblicato uno dei dischi più popolari di sempre, con oltre venti milioni di copie vendute in tutto il mondo. La nuova versione riporta un remaster dei nastri originali curato dallo stesso Prince nei Paisley Park Studios nel 2015, oltre ad un intero CD il secondo, con materiale d’archivio ed inedito, un terzo CD con le versioni dei singoli e le B-sides, e infine un DVD con un concerto di Prince & Revolution del 1985. Questo è il cofanetto quadruplo, poi ci sarà un vinile sia normale che picture disc limited, e infine una versione in doppio CD con i primi due dischetti. Ecco il contenuto completo.

[CD1: Original Album (2015 Paisley Park Remaster)]
1. Let’s Go Crazy
2. Take Me With U
3. The Beautiful Ones
4. Computer Blue
5. Darling Nikki
6. When Doves Cry
7. I Would Die 4 U
8. Baby I’m A Star
9. Purple Rain

[CD2: From The Vault & Previously Unreleased]
1. The Dance Electric
2. Love And Sex
3. Computer Blue (“Hallway Speech” Version)
4. Electric Intercourse (Studio)
5. Our Destiny / Roadhouse Garden
6. Possessed (1983 Version)
7. Wonderful Ass
8. Velvet Kitty Cat
9. Katrina’s Paper Dolls
10. We Can Fuck
11. Father’s Song

[CD3: Single Edits & B-Sides]
1. When Doves Cry (Edit)
2. 17 Days
3. Let’s Go Crazy (Edit)
4. Let’s Go Crazy (Special Dance Mix)
5. Erotic City
6. Erotic City (“Make Love Not War Erotic City Come Alive”)
7. Purple Rain (Edit)
8. God
9. God (Love Theme From Purple Rain)
10. Another Lonely Christmas
11. Another Lonely Christmas (Extended Version)
12. I Would Die 4 U (Edit)
13. I Would Die 4 U (Extended Version)
14. Baby I’m A Star (Edit)
15. Take Me With U (Edit)

[DVD: Prince And The Revolution, Live At The Carrier Dome, Syracuse, NY, March 30, 1985]
1. Let’s Go Crazy
2. Delirious
3. 1999
4. Little Red Corvette
5. Take Me With U
6. Do Me, Baby
7. Irresistible Bitch
8. Possessed
9. How Come U Don’t Call Me Anymore?
10. Let’s Pretend We’re Married
11. International Lover
12. God
13. Computer Blue
14. Darling Nikki
15. The Beautiful Ones
16. When Doves Cry
17. I Would Die 4 U
18. Baby I’m A Star

neil young decade

Tra le ristampe francamente inutili, o comunque poco interessanti, per il sottoscritto ovviamente, c’è quella di Decade di Neil Young. Già pubblicata in vinile ad aprile per il Record Store Day, con un nuovo remastering preparato appositamente per il triplo LP, però questa uscita fa slittare i due cofanetti da quattro CD ciascuno Official Release Series Discs 5-8 And Discs 8.5-12previsti prima per il 19 maggio, poi per il 23 giugno e spostati, per il momento, all’otto settembre. Bah, è il “solito” Neil Young!. Comunque il contenuto è sempre lo stesso, l’etichetta Reprise/Rhino pure, e anche la data, il 23 giugno.

[CD1]
1. Down to the Wire
2. Burned
3. Mr. Soul
4. Broken Arrow
5. Expecting to Fly
6. Sugar Mountain
7. I Am a Child
8. The Loner
9. The Old Laughing Lady
10. Cinnamon Girl
11. Down By the River
12. Cowgirl In the Sand
13. I Believe in You
14. After the Gold Rush
15. Southern Man
16. Helpless

[CD2]
1. Ohio
2. Soldier
3. Old Man
4. A Man Needs a Maid
5. Harvest
6. Heart of Gold
7. Star of Bethlehem
8. The Needle and the Damage Done
9. Tonight’s the Night, Pt. 1
10. Tired Eyes
11. Walk On
12. For the Turnstiles
13. Winterlong
14. Deep Forbidden Lake
15. Like a Hurricane
16. Love Is a Rose
17. Cortez the Killer
18. Campaigner
19. Long May You Run

natalie merchant the collection

Ancora Warner, ma su etichetta Nonesuch, per la serie non facciamoci mancare nulla, di nuovo il 23 giugno, è prevista anche l’uscita di un cofanetto da 10 CD The Collection, dedicato a Natalie Merchant. Lati positivi: primo, un giusto tributo a quella che personalmente considero una della cantautrici nella Top Ten della qualità, secondo, il cofanetto avrà un prezzo abbastanza contenuto per dieci dischetti (si parla di una cifra indicativa tra i 50 e i 60 euro), terzo, nel box ci sono due CD, il nono e il decimo, di materiale raro o completamente inedito. Lato negativo: uno, il fatto di doversi ricomprare gli altri otto album. Però, se non li avete tutti, o ve ne mancano alcuni, è un “sacrificio” che potrebbe valere la pena di fare. Il disco nove si intitola Butterfly, è un album nuovo, con quattro canzoni inedite e sei re-interpretate, accompagnata da un quartetto d’archi (ma si sente anche una sezione ritmica, il piano e delle voci di supporto). Il disco dieci Rarities, è piuttosto chiaro cosa conterrà. Sperando che poi non verranno pubblicati in futuro anche al di fuori dal cofanetto. C’è da crederci? Uhm!!! Comunque ecco il contenuto completo.

[CD1: Tigerlily]
1. San Andreas Fault
2. Wonder
3. Beloved Wife
4. River
5. Carnival
6. I May Know the Word
7. The Letter
8. Cowboy Romance
9. Jealousy
10. Where I Go
11. Seven Years

[CD2: Ophelia]
1. Ophelia
2. Life Is Sweet
3. Kind And Generous
4. Frozen Charlotte
5. My Skin
6. Break Your Heart
7. King Of May
8. Thick As Thieves
9. Effigy
10. The Living
11. When They Ring Them Golden Bells

[CD3: Motherland]
1. This House Is On Fire
2. Motherland
3. Saint Judas
4. Put The Law On You
5. Build A Levee
6. Golden Boy
7. Henry Darger
8. The Worst Thing
9. Tell Yourself
10. Just Can’t Last
11. Not In This Life
12. I’m Not Gonna Beg

[CD4: The House Carpenter’s Daughter]
1. Sally Ann
2. Which Side Are You On?
3. Crazy Man Michael
4. Diver Boy
5. Weeping Pilgrim
6. Soldier, Soldier
7. Bury Me Under The Willow
8. House Carpenter
9. Owensboro
10. Down On Penny’s Farm
11. Poor Wayfaring Stranger

[CD5: Leave Your Sleep]
1. Nursery Rhyme Of Innocence And Experience
2. Equestrienne
3. Calico Pie
4. Bleezer’s Ice-Cream
5. It Makes A Change
6. The King Of China’s Daughter
7. The Dancing Bear
8. Topsyturvey-World
9. The Janitor’s Boy
10. The Man In The Wilderness
11. Maggie And Milly And Molly And May
12. If No One Ever Marries Me
13. The Sleepy Giant

[CD6: Leave Your Sleep]
1. The Peppery Man
2. The Blind Men And The Elephant
3. Adventures Of Isabel
4. The Walloping Window Blind
5. Griselda
6. The Land Of Nod
7. Vain And Careless
8. Crying, My Little One
9. Sweet & A Lullaby
10. I Saw A Ship A-Sailing
11. Autumn Lullaby
12. Spring And Fall: To A Young Child
13. Indian Names

[CD7: Natalie Merchant]
1. Ladybird
2. Maggie Said
3. Texas
4. Go Down Moses
5. Seven Deadly Sins
6. Giving Up Everything
7. Black Sheep
8. It’s A-Coming
9. Lulu (Introduction)
10. Lulu
11. The End

[CD8: Paradise Is There]
1. San Andreas Fault
2. Beloved Wife
3. Carnival
4. River
5. The Letter
6. Where I Go
7. I May Know the Word
8. Seven Years
9. Cowboy Romance
10. Jealousy
11. Wonder

[CD9: Butterfly]
1. Butterfly
2. She Devil
3. Baby Mine
4. Frozen Charlotte
5. Ophelia
6. The Worst Thing
7. The Man In The Wilderness
8. My Skin
9. Vain And Careless
10. Andalucia

[CD10: Rarities (1998-2017)]
1. The Village Green Preservation Society(Ray Davies)
2. Too Long At The Fair(Joel Zoss)
3. Order 1081(David Byrne)
4. To Love Is To Bury(Mike Timmins & Margo Timmins)
5. Saint Judas
6. Birds & Ships(Woody Guthrie)
7. The Lowlands Of Holland(Traditional Arr. Paddy Maloney)
8. Sonnet 73(William Shakespeare Arr. Natalie Merchant)
9. Learning The Game(Buddy Holly)
10. My Little Sweet Baby(Traditional)
11. Political Science(Randy Newman)
12. Build A Levee
13. Sit Down Sister(Traditional)
14. The Gulf Of Araby(Katell Keineg)
15. Portofino

Fine della prima parte, nei prossimi giorni il seguito con le altre uscite.

Bruno Conti

A Parte Il Cognome “Pericoloso”, Un Bel Dischetto. Angaleena Presley – Wrangled

angaleena presley wrangled

Angaleena Presley – Wrangled – Thirty Tigers/IRD CD

Angaleena Presley (nessuna parentela con Elvis, il padre è un ex minatore del Kentucky), è un po’ considerata la parte “debole” del popolare trio country delle Pistol Annies (che vanta tra i suoi fans un certo Neil Young): Miranda Lambert è indubbiamente di un altro livello, ed il vantaggio è aumentato con la pubblicazione dell’ultimo, bellissimo, The Weight Of These Wings, ma anche Ashley Monroe ha una carriera di tutto rispetto (il suo ultimo CD, The Blade, ha avuto ottime vendite nel 2015). La Presley sta però tentando di recuperare il terreno perduto, avendo esordito come solista tre anni orsono con American Middle Class, che ha ottenuto un moderato successo e critiche positive http://discoclub.myblog.it/2014/11/10/cognome-importante-pero-parenti-angaleena-presley-american-middle-class/ , ed ora bissando con Wrangled, un disco più riuscito del precedente e che sicuramente le darà un’esposizione maggiore, pur essendo costituito da musica per nulla commerciale. Angaleena infatti è un’artista particolare, che va per la sua strada e fa una musica mai prevedibile e con molte sfaccettature: se la base di partenza è il country tradizionale delle Loretta Lynn e Tammy Wynette, la nostra inserisce spesso nel suono chitarre elettriche e momenti decisamente più rock, quasi fosse una Wanda Jackson 2.0 (ed un brano di Wrangled, Good Girl Down, è scritto proprio insieme alla Queen Of Rockabilly), rendendo l’ascolto stimolante ed interessante, oltre che mai scontato.

Wrangled è prodotto da Angaleena insieme ad Oran Thornton e, oltre ad una serie di musicisti di cui purtroppo mi mancano i dettagli, vanta alcune collaborazioni di vaglia, tra le quali la più importante riguarda la bellissima Cheer Up Little Darling, scritta a quattro mani con Guy Clark, che è anche l’ultima canzone creata dal grande songwriter texano prima della scomparsa avvenuta lo scorso anno: il brano, che vede la partecipazione del partner musicale di Guy, Shawn Camp (il quale suona la chitarra usata da Clark per comporre il pezzo), è un tipico racconto nella vena del grande cantautore, con un refrain splendido, la voce gentile di Angaleena che canta non priva di una certa emozione, e come ciliegina una breve introduzione parlata con la voce profonda di Guy stesso, da pelle d’oca. Il resto del CD non è a questo livello (se no staremmo parlando di un mezzo capolavoro), ma ha diversi punti di interesse, a partire dall’iniziale Dreams Don’t Come True, una languida e profonda country ballad d’altri tempi, nella quale si riuniscono per l’occasione le Pistol Annies al completo, sia come songwriting sia come presenza fisica, e le tre voci interagiscono in maniera limpida. High School si apre con una chitarra twang con tanto di effetto tremolo, che fa molto Chris Isaak, ed anche il resto del brano ha un delizioso sapore sixties, dove il country non è nemmeno così protagonista; viceversa, Only Blood (scritta con Chris Stapleton, e con la di lui moglie Morgane ai cori) è un honky-tonk suonato in punta di dita, una boccata d’aria fresca con la voce di Angaleena perfettamente in parte.

Country, nonostante il titolo, non è un brano accomodante, bensì un rockabilly stralunato suonato con foga da punk band, un’iniezione di modernità che ci dice che la Presley non vuole essere prevedibile (anche se l’intermezzo rap da parte dell’artista hip hop Yelawolf ce lo poteva risparmiare), mentre Wrangled è una ballata classica, con reminiscenze anni settanta, piacevole e ben costruita; Bless My Heart è tutta incentrata sulla voce di Angaleena e su pochi strumenti, ma funziona, grazie anche ad una melodia diretta ed immediata, ed è seguita a ruota dalla gradevole Outlaw, ancora con un’atmosfera vintage ed un bel ritornello. Mama I Tried, una canzone di “risposta” al classico di Merle Haggard, è decisamente elettrica e rock, ma il pezzo in sé non è un granché,  di Cheer Up Little Darling ho già detto, un highlight assoluto, ed anche Groundswell è una bella canzone, una cristallina country ballad strumentata con gusto ed eseguita con bravura, intelligentemente posta subito dopo il brano migliore. Il disco si chiude con l’accattivante Good Girl Down, tra jazz, blues e old time music, e con il country’n’roll un po’ sghembo di Motel Bible. Escluse un paio di incertezze, con Wrangled Angaleena Presley si è definitivamente incanalata sui binari giusti. A parte la copertina, che è davvero brutta.

Marco Verdi