Eccolo Qua, Puntuale Come Sempre, Per Fortuna Ogni Nove Anni Ritorna! Randy Newman – Dark Matter

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Randy Newman – Dark Matter – Nonesuch/Warner

Undici album di studio, compreso il nuovo, in circa cinquanta anni di carriera discografica, visto che il primo album omonimo risale al 1968 (ma già nel 1962 pubblicava un primo singolo), forse non sembrano molti: ma in mezzo ci sono stati anche due album dal vivo, i tre volumi della serie Songbook dove ha rivisitato parte del suo repertorio con nuove versioni incise per solo voce e piano, 3 antologie, un musical, Faust e una miriade di colonne sonore di film, si parla di almeno 24 film o serie televisive che hanno goduto delle delizie della penna di Randy Newman, perché di lui stiamo parlando, componente di una delle dinastie musicali più importanti proprio nell’ambito delle colonne sonore, con tre zii e quattro cugini impiegati a pieno regime dall’industria cinematografica per creare gli scores di una una infinita serie di film delle più disparate tipologie. Non a caso lo zio Alfred Newman ha vinto nove Oscar, l’altro zio Lionel un Oscar, e il terzo zio è stato “solo” nominato una volta, mentre tra i cugini solo nominations, con Randy che però due Oscar li ha vinti, per le canzoni di Monsters & Co Toy Story 3. Come ricordo nel titolo, casualmente, o forse no, gli ultimi tre album di Randy Newman sono stati tutti divisi da un arco temporale di nove anni: Bad Love uscito nel 1999, Harps And Angels uscito nel 2008, e ora questo Dark Matter nel 2017. Ancora una volta a produrre il disco ci sono Mitchell Froom e il veterano Lenny Waronker (ex presidente della Warner Bros Records e della Dreamworks), nonché, per l’occasione, anche l’ingegnere del suono David Boucher, mentre nel disco, come sempre, suona una pattuglia di eccellenti musicisti: oltre a Newman al piano e Mitchell Froom alle tastiere, Blake Mills alla chitarra, David Piltch al basso e Matt Chamberlain alla batteria, ma anche molti musicisti impiegati per le parti orchestrali e fiatistiche, e pure vocali, eleganti e complesse come di consueto: Ne consegue quindi un disco che è l’ennesimo gioiellino, raffinato e variegato, come d’uso nella discografia dell’occhialuto musicista di Los Angeles, uno dei più geniali, ironici, a volte sardonici, intelligenti e per certi versi, imprevedibili, artefici della musica popolare americana.

Nonostante questo curriculum strepitoso Randy Newman rimane fondamentalmente un artista di culto: solo Little Criminals, il suo disco del 1977 (e forse anche il migliore in assoluto, certo il più popolare, quello con Short People https://www.youtube.com/watch?v=8bfyS-S-IJs), è entrato nei Top 10 delle classifiche americane arrivando fino al nono posto, anche se la colonna sonora di Cars, che illustra il suo lato più ludico e divertente (insieme a molte altre realizzate per la Walt Disney/Pixar), è giunta nel 2006 fino al 6° posto delle charts. Ma questo ci interessa relativamente, quello che importa è che i suoi dischi siano belli e, salvo rare eccezioni, lo sono sempre stati e questo Dark Matter non fa eccezione. Il nostro amico plasma la “materia oscura” per renderla ancora una volta una opera di superbo artigianato, come vogliamo definirlo, pop cameristico, ricco di melodie, ma anche di sorprese, cinico ma con punte di sentimentalismo non bieco, piccoli racconti surreali (e manca quello sul “coso” di Trump, che si doveva chiamare What A Dick e così forse non sapremo mai se ce l’ha più grande di Putin, che invece nell’album la sua canzone ce l’ha, come pure i fratelli Kennedy e Sonny Boy Williamson); insomma, per fortuna, il “solito” Randy Newman. Si parte con The Great Debate, una sorta di mini-suite di oltre otto minuti, dai continui cambi di tempo e di atmosfera, con fiati in stile New Orelans, elementi blues, momenti sospesi tra “buie” esplosioni di archi quasi classicheggianti, improvvise scariche di neo-dixieland, gospel, intermezzi per voce e piano in cui dialoga con sé stesso sui grandi sistemi della religione, dei cambi climatici, dell’astrofisica, della politica, della scienza in generale, poi improvvise ripartenze gospel-soul degne del miglior Allen Toussaint o Dr. John, ma anche di Mister Newman, con i suoi musicisti sempre senza limiti di sorta nella loro calibrata e “scientifica” inventiva sonora.

Brothers è un dialogo immaginario tra i fratelli John e Robert Kennedy che parlano dell’invasione della Baia dei Porci, con il primo che poi confessa di un suo particolare amore per la musica di Celia Cruz (?!?), con la musica che si dipana su temi quasi da musical, tra archi e fiati sontuosi, mentre la voce partecipe e quasi affettuosa di Randy ci narra di queste vicende di Jack e Bobby, inventate ma assai verosimili, con un finale a tempo di rumba o salsa dedicato alla Cruz, che parte quando viene nominata, il tutto di una raffinatezza quasi impossibile da qualcuno che non sia Newman. E siamo solo al secondo brano. Poi tocca a Putin, una satira-canzone pare ispirata da una “rara” foto del leader russo a torso nudo, che rimugina sul suo potere e quello della sua nazione, mentre la canzone miscela temi popolari simil-russi al pop raffinato tipico di Newman, passando di nuovo per il musical, questa volta in puro stile Broadway, mentre Randy declama e le voci femminili, le Putin Girls (ricorda qualcosa?), gli rispondono in un classico call and response giocato sul “Putin if you put it Will you put it next to me?”. Questo dovrebbe essere il singolo dell’album ed in effetti è uno dei brani più “spensierati”. Lost Without You è una delle due canzoni che trattano il tema della famiglia, una ballata malinconica e crepuscolare, con solo la voce e il piano di Newman sottolineati da una sezione di archi.

Sonny Boy è la storia di Sonny Boy Williamson, il grande bluesman nero, anzi dei due “grandi bluesmen” neri, perché quando Rice Miller viaggia verso il Nord scopre che ne esiste già uno: ma mentre il primo, che è la voce narrante, viene ucciso in una rapina nel 1948, il secondo trova fama e fortuna arrivando fino in Inghilterra dove viene omaggiato da band come gli Yardbirds e gli Animals che incidono con lui, ma nella canzone di Newman, tra marcetta e blues canonico fiatistico, quello che va in Paradiso, pare il primo bluesman ad entrarvi, è il primo dei due, perché leggenda vuole che le sue ultime parole furono “Lord have mercy e il Signore ricordò. It’s A Jungle Out There è uno dei brani più vivaci e tipici del canone sonoro più disimpegnato del cantautore californiano, piacevole ma forse non memorabile, anche se il piano comunque viaggia alla grande; She Chose Me è un’altra ballata orchestrale in cui come è noto il nostro eccelle, per una volta niente cinismo, ma solo una romantica melodia ,sempre ricca di raffinata melancolia e dedicata alla “most beautiful girl that I’ve ever seen”. Anche On The Beach ha quell’aria retrò ed old fashioned, un po’ jazz e un po’ café-chantant, con cui Newman di solito riveste le sue vignette, questa volta la storia di un vecchio “surfer” ormai fuori di testa che non si è mai mosso dalla sua spiaggia e ricorda ancora i Beatles e un passato nebuloso, forse perduto, ma mai dimenticato del tutto. Chiude l’album l’ultima delle ballate romantiche e tangenti, surreali persino, almeno nel testo, Wandering Boy, un’altra delle composizioni senza tempo, solo per voce e pianoforte, che sono da sempre la cifra stilistica del grande cantautore di LA, che ancora una volta a 73 anni conferma di non avere perso il suo speciale “magic touch”. Prossimo appuntamento nel 2026!

Bruno Conti

Eccolo Qua, Puntuale Come Sempre, Per Fortuna Ogni Nove Anni Ritorna! Randy Newman – Dark Matterultima modifica: 2017-08-18T15:21:52+02:00da bruno_conti
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