Un “Piccolo” Grande Cantautore E Quattro Ristampe Per Ricordarlo. Steve Goodman – Artistic Hair/Affordable Art/Santa Ana Winds/Unfinished Business

steve goodman photo

Steve Goodman – Artistic Hair – Omnivore CD

Steve Goodman – Affordable Art – Omnivore CD

Steve Goodman – Santa Ana Winds – Omnivore CD

Steve Goodman – Unfinished Business – Omnivore CD

Oggi purtroppo in pochi si ricordano di Steve Goodman, bravissimo cantautore originario di Chicago che, dopo una decina di pregevoli album pubblicati tra gli anni settanta ed i primi anni ottanta, ci ha lasciato a soli trentasei anni a causa di una leucemia che lo aveva accompagnato per tutta la sua breve vita, fin dalla scoperta avvenuta a Chicago nel 1968, ma che non gli aveva impedito di sposarsi ed avere tre figlie, tanto che si faceva chiamare con il nomignolo di “Cool Hand Leuk”. Eppure molti di voi avranno ascoltato almeno una volta la splendida City Of New Orleans o nella rilettura di Arlo Guthrie o in quella di Willie Nelson (solo per citare le due più conosciute): ebbene, il brano in questione è stato scritto proprio da Goodman, anche se della sua versione originale del 1971 si ricordano in pochi. Questa è stata un po’ la storia della carriera di Steve, che ha attraversato i seventies ed i primi eighties in punta di piedi, con la massima discrezione, pubblicando ottimi dischi e scrivendo diverse bellissime canzoni, ma senza mai assaporare il successo in prima persona, se non già verso la fine dei suoi giorni quando compose Go Cubs Go, che divenne in breve tempo l’inno della squadra di baseball dei Chicago Cubs. Goodman era però molto stimato dai colleghi: grande amico del concittadino John Prine, che nel corso degli anni scrisse e cantò con lui più di una canzone, Steve aveva tra i suoi fans gente del calibro di Jimmy Buffett, che deve molto al suo stile scanzonato ed ironico e ha inciso più di un suo brano, tra cui Banana Republic (proprio quella tradotta in italiano da Dalla e De Gregori), Johnny Cash, Kris Kristofferson e perfino Bob Dylan, che addirittura nel 1972 si scomodò per partecipare nel secondo album Somebody Else’s Troubles, ai cori in un brano e al piano in due, sotto lo pseudonimo di .Robert Milkwood Thomas.

Oggi la benemerita Omnivore ristampa i quattro album finali della carriera di Steve, in eleganti edizioni in digipak, con nuove liner notes e, cosa più importante, diverse bonus tracks inedite; in realtà solo due di questi lavori furono pubblicati da Goodman quando era ancora in vita, cioè il live Artistic Hair ed Affordable Art, mentre Santa Ana Winds e Unfinished Business sono entrambi usciti postumi (ma mentre il primo era già pronto per essere immesso sul mercato, copertina compresa, il secondo è stato un lavoro di produzione fatto su pezzi lascati in un cassetto). Ed è un grande piacere ascoltare (o ri-ascoltare) questi album, in quanto ci mostrano un cantautore dal tocco gentile e raffinato, ma anche profondamente ironico e diretto (in questo aveva molto di Prine); Steve in quegli anni era in ottima forma, e questi album sono considerati (soprattutto Santa Ana Winds) tra i migliori della sua discografia: non nascondo che ascoltandoli ho provato una certa malinconia per il fatto che un talento simile ci sia stato portato via così presto. Ma andiamo ad esaminare nel dettaglio queste ristampe, cercando da parte mia di non nominare tutte le canzoni anche se lo meriterebbero.

steve goodman artistic hair

Artistic Hair (1983). Album dal vivo che riepilogava la carriera di Steve fino a quel momento. Registrato in varie location e con alle spalle una band perlopiù acustica, Artistic Hair ci mostra l’umiltà di Goodman, che nonostante fosse un songwriter di prima fascia nei suoi concerti suonava anche parecchie canzoni non sue. Così, vicino a classici autografi del calibro di City Of New Orleans (sempre un capolavoro), della splendida You Never Even Called Me By My Name (scritta con Prine e portata al successo nei settanta da David Allan Coe), il quasi rock’n’roll Elvis Imitators e l’applaudita Chicken Cordon Bleus, abbiamo proposte “alternative” come l’umoristica Let’s Have A Party di Carl Martin, il noto strumentale di origine brasiliana Tico Tico (pezzo di bravura di Jethro Burns al mandolino), una scherzosa rivisitazione del classico natalizio Winter Wonderland ed una più seria del traditional The Water Is Wide. Il tutto proposto in maniera coinvolgente da parte di un artista che sapeva stare sul palco e che era dotato di un senso dell’umorismo non comune.

Il CD presenta ben dieci bonus track, in pratica un altro live, che però non sono inedite in quanto incluse nel 1994 nell’antologia No Big Surprise, con titoli che sono già uno spasso da leggere (The I Don’t Know Where I’m Goin’ But I’m Goin’ Nowhere In A Hurry Blues, Wonderful World Of Sex, Men Who Love Women Who Love Men) ed ancora di più da ascoltare.

steve goodman affordable art

Affordable Art (1984). Un album riuscito e molto piacevole, con brani in studio intervallati da qualche episodio live. Proprio dal vivo sono i tre brani iniziali, acustici: If Jethro Were Here, un pregevole strumentale dal sapore vagamente irlandese, seguito dalla godibilissima Vegematic, dal testo umoristico che manda in visibilio il pubblico, e dalla splendida Old Smoothies, una vera delizia di canzone. Talk Backward è uno squisito pezzo ricco di swing con tanto di fiati, che dimostra la versatilità del nostro, capace anche di incursioni nel rock come nell’irresistibile How Much Tequila (Did I Drink Last Night?), brano scanzonato e ricco di ritmo nello stile di Buffett e scritto ancora a quattro mani con Prine. E l’amico John compare in duetto, due voci e due chitarre, in una limpida versione della sua Souvenirs (sempre un grande brano), mentre il country fa capolino nella scintillante When My Rowboat Comes In, che vede Marty Stuart al mandolino e Jerry Douglas al dobro.

Goodman era anche un grande appassionato di baseball, tifoso dei Chicago Cubs, e qui abbiamo ben tre pezzi a tema sportivo: una guizzante cover dello standard Take Me Out To The Ball Game, la spiritosa A Dying Cub’s Fan Last Request (dal titolo sinistramente premonitore) e, come prima bonus track, il già citato inno Go Cubs Go, che ancora oggi viene suonato allo stadio di Chicago quando i padroni di casa vincono. Alla fine le sto citando quasi tutte lo stesso, ma come faccio a non nominare la trascinante Watchin’ Joey Glow, brano tra folk e country che è anche uno dei più belli del CD? Sette le bonus tracks (otto con Go Cubs Go), tutti demo inediti per voce e chitarra tra i quali spiccano le versioni in studio di Vegematic e Old Smoothies ed una deliziosa e limpida cover di Streets Of London di Ralph McTell.

steve goodman santa ana winds

Santa Ana Winds (1984). Steve in quel periodo era anche prolifico, e Santa Ana Winds è un album stupendo, uno dei suoi migliori: peccato che quando uscì il suo autore non era già più tra noi. Accompagnato da una solida band con all’interno tra gli altri George Marinelli alla chitarra, Byron Berline al violino, Steve Fishell alla steel e Jim Rothermel al sax, il disco inizia con la splendida Face On The Cutting Room Floor, una squisita ballata, ariosa e limpida, scritta con Jeff Hanna e Jimmy Ibbotson della Nitty Gritty Dirt Band (e si sente) e con il contributo vocale di Kris Kristofferson, seguita dal travolgente country-rock Telephone Answering Tape, composto assieme a David Grisman e vera delizia per le orecchie. Altri brani degni di nota di un disco comunque senza sbavature sono la bellissima e toccante The One That Got Away, puro songwriting di alto livello, la coinvolgente Queen Of The Road, rara ma riuscita incursione del nostro nel rock’n’roll, la solare country ballad Fourteen Days, con Emmylou Harris ospite, la cadenzata e bluesata Hot Tub Refugee e la jazzata e raffinatissima title track.

Anche qui otto bonus tracks, di cui sei inedite (Where’s The Party e I Just Keep Falling In Love erano già uscite sulla già citata antologia del 1994): una più bella dell’altra, con menzioni speciali per la versione acustica e lenta di Telephone Answering Tape, forse anche più bella dell’originale, e per le elettriche Homo Sapiens e Outside Of Nashville.

steve goodman unfinished business

Unfinished Business (1987). Nell’ultimo periodo della sua vita Steve era diventato decisamente prolifico, e questa collezione di demo alla quale il produttore Peter Bunetta ha aggiunto varie sovrincisioni sembra proprio un disco fatto e finito, al punto che fruttò al suo autore un Grammy postumo.

Arrangiamenti rispettosi delle incisioni originali, come nella gradevole pop song d’apertura, Whispering Man, gentile e raffinata, o nell’irresistibile Mind Over Matter, tra swing e rock’n’roll (un piacere per le orecchie), o ancora nella deliziosa God Bless Our Mobile Home, splendida canzone dal sapore folk. Millie Make Some Chili è ancora uno spigliato e trascinante rockabilly, In Real Life è sofisticata ed elegante, mentre la rockeggiante Don’t Get Sand In It ha una melodia di quelle che piacciono al primo ascolto. Ben nove qui le bonus track (otto inedite), tutte voce e chitarra: splendida Don’t Get Sand In It anche senza band alle spalle e molto bella anche l’intensa You’re The Girl I Love.

Quattro ristampe che definirei quindi imperdibili, sia per la bontà delle canzoni presenti che per la quantità di inediti, che ci fanno riscoprire la figura di Steve Goodman, cantautore sfortunatissimo e colpevolmente sottovalutato.

Marco Verdi

Un “Piccolo” Grande Cantautore E Quattro Ristampe Per Ricordarlo. Steve Goodman – Artistic Hair/Affordable Art/Santa Ana Winds/Unfinished Businessultima modifica: 2019-09-18T10:39:37+02:00da bruno_conti
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