Cofanetti Autunno-Inverno 19. Un Box Con Tante Luci E Qualche Ombra…Ma Le Luci Sono Abbaglianti! Little Steven – Rock’n’Roll Rebel: The Early Work

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Little Steven – Rock’n’Roll Rebel: The Early Work – Wicked Cool/Universal 7LP/4CD Box Set

L’ottimo successo di pubblico e critica degli ultimi due album di Little Steven Soulfire e Summer Of Sorcery (unito al fatto che erano due dischi splendidi) ha convinto il rocker di origine italiana a rinfrescare la sua discografia passata, ma nel farlo il nostro ha deciso di regalare ai fans (si fa per dire, visto il costo del box) una cospicua serie di brani inediti. Rock’n’Roll Rebel: The Early Work ha però una struttura molto particolare: se infatti la maggior parte dei cofanetti che comprende sia CD che LP si limita a ripetere sul vinile quello che c’è sui supporti digitali, qui è stato scelto di includere i cinque album pubblicati da Van Zandt tra il 1982 ed il 1999 (più un “intruso”, come vedremo) solo in LP rimasterizzati e presentati in splendidi vinili colorati dal look “marmoreo”, e di lasciare le bonus tracks a parte in ben quattro CD. Un box spettacolare dal punto di vista visivo, che come vedremo ha qualche pecca dal lato musicale, attribuibile più che altro alle scelte artistiche del nostro negli anni ottanta, pecche che vengono però ampiamente bilanciate dal contenuto inedito dei CD, che per circa metà arriva a sfiorare le cinque stelle (specialmente nel primo). Ma bando alle ciance e vediamo nel dettaglio cosa contiene il box (NDM: la versione “fisica” del cofanetto, acquistabile solo online, è purtroppo già esaurita, comunque provate qui https://shop.udiscovermusic.com/products/rock-n-roll-rebel-the-early-work-box-set ma se volete è disponibile il download dei singoli album, con le bonus tracks divise per ognuno di essi e non a parte come nel cofanetto, anche se con qualche importante mancanza).

Men Without Women (1982). Steve Van Zandt, fino ad allora chitarrista della E Street Band e produttore di Southside Johnny & The Asbury Jukes e del comeback album di Gary U.S.Bonds Dedicated, decide di intraprendere la carriera solista cambiando il suo nome in Little Steven un po’ per distinguersi dal gruppo di Bruce Springsteen ed un po’ come omaggio a Little Richard e Little Walter. Men Without Women è accreditato a Steven ed ai Disciples Of Soul, un gruppo di romantici straccioni che mette su disco una perfetta riproduzione del “Jersey Sound”, cioè una miscela ad alto tasso energico di rock’n’roll, soul, R&B e doo-wop con largo uso di fiati (la sezione di cinque elementi di Richie “LA Bamba” Rosenberg): il disco è splendido, a tutt’oggi il migliore di Steven fino a Soulfire del 2017, che infatti ne ricalca le sonorità ed è inciso con una formazione aggiornata dei DOS. Si inizia con la trascinante Lyin’ In A Bed Of Fire, dalla melodia irresistibile, e si prosegue senza cadute di tono con highlights come lo scintillante errebi bianco Inside Of Me, la calda soul ballad Until The Good Is Gone, puro Jersey Sound, la bellissima e quasi dylaniana title track, Save Me, saltellante e vigorosa ma con una melodia d’altri tempi, la splendida e toccante Princess Of Little Italy, in cui viene fuori il ruvido romanticismo di questa band di pirati, la coloratissima e coinvolgente Angel Eyes. E mi fermo qui per non citarle tutte.

Voice Of America (1984). Con questo album Steve inizia a produrre canzoni dai testi arrabbiati a sfondo politico e sociale (principalmente ispirati dalla politica estera di Reagan), un andazzo che proseguirà per il resto della decade. Ma soprattutto, e purtroppo, si cominciano a palesare sonorità in voga in quel periodo, fatte di suoni gonfi e sintetizzati che in questo album finiscono per spersonalizzare l’apporto dei Disciples Of Soul (dove sono i fiati?) a favore di un rock sound piuttosto qualunque. Ma il disco si mantiene a galla grazie alla bontà di alcune composizioni: il brano più noto è l’orecchiabile reggae I Am A Patriot (che Jackson Browne farà sua di lì a poco), e non male sono la stonesiana Justice, pur con il suo suono eighties, Out Of The Darkness, che sarebbe una grande rock song se al posto dei synth ci fossero i fiati, e Los Desaparecidos che ha un bel tiro nonostante il suono gonfio. Per contro, la title track è un brano rock potente e diretto ma non eccelso, Checkpoint Charlie una ballata piuttosto qualunque, mentre Fear è brutta e basta. Un album comunque ben al di sopra della sufficienza considerando cosa verrà dopo

Sun City (1985). L’inclusione di questo album nel box è un po’ una forzatura, dato che trattasi di una compilation intestata al supergruppo United Artists Against Apartheid (una moda dell’epoca, basti pensare agli USA For Africa e ai britannici Band Aid). Ma Steve è l’ideatore e regista dell’operazione, nonché autore della title track, un brano di feroce protesta contro la segregazione razziale in Sudafrica (Sun City era – ed è ancora – un resort di lusso che allora era aperto solo ai bianchi). L’iniziativa è quindi più che lodevole, ma il risultato finale non è il massimo in gran parte a causa della produzione pesantemente anni ottanta di Arthur Baker e ad una scelta di pezzi non proprio impeccabile. La stessa Sun City non è una grande canzone (ed infatti il successo fu deludente), ma è supportata da un suggestivo video girato da Jonathan Demme in cui vediamo interagire insieme, e non succede tutti i giorni, gente del calibro di Bob Dylan, Bruce Springsteen, Miles Davis, Lou Reed, Pete Townshend, Peter Gabriel, Bono, Joey Ramone, Jimmy Cliff, Hall & Oates, Jackson Browne, Bonnie Raitt, Bobby Womack e molti altri (e purtroppo anche diversi rappers).

Il resto dell’album è di dubbio livello, a partire da No More Apartheid, in cui un Peter Gabriel in ciabatte si limita a gorgheggiare su una base musicale da mani nei capelli, mentre Revolutionary Situation è un collage quasi inascoltabile di suoni, rumori e dichiarazioni estrapolate da discorsi di politici ed attivisti. Let Me See Your I.D. è puro rap (genere che odio), The Struggle Continues un discreto pezzo di jazz-rock dominato dalla tromba di Davis e dal piano di Herbie Hancock (e con la sezione ritmica dei grandi Ron Carter e Tony Williams); il brano migliore è Silver And Gold, una rock song diretta, cadenzata e con elementi blues scritta e cantata da Bono ed eseguita con l’aiuto di Keith Richards, Ronnie Wood e Steve Jordan. Album che era comunque fuori catalogo dai primi anni novanta.

Freedom-No Compromise (1987). Il disco più venduto di Steve grazie al successo del singolo Bitter Fruit, un pop-rock orecchiabile che all’epoca si sentiva ovunque (ricordo che il nostro lo presentò anche al Festivalbar e ci fu una versione itailana di Antonello Venditi ). L’elettronica ha ormai preso il sopravvento sul rock (ed il songwriting non è dei migliori), e del resto del disco salvo solo Trail Of Broken Treaties, che pur essendo infarcita di sonorità finte ha un ritornello corale piacevole, e la solare ballata reggae Native American, con la seconda voce di Springsteen. Pollice verso per il resto, in cui il nostro assomiglia al peggior Prince.

Revolution (1989). Se il precedente era un album largamente insufficiente, di fronte a questa schifezza è un mezzo capolavoro: qui le poche idee affogano in un marasma di suoni orrendi, e qualcuno all’epoca aveva pensato che il buon Van Zandt ce lo fossimo giocati definitivamente. Non c’è molto altro da dire, se non che l’unico momento in cui affiora una parvenza di musica è nel solito reggae di Leonard Peltier, dedicato al protagonista di uno dei più scottanti e controversi casi di cronanca nera dei seventies. Tutto il resto è quasi inascoltabile. Born Again Savage (1999). Dopo dieci anni di silenzio, un deciso ritorno alla musica, un disco ispirato alle band rock e hard rock come Cream, Who, Jeff Beck Group e Led Zeppelin: un suono essenziale da power trio chitarra-basso-batteria, con il nostro aiutato dal bassista degli U2 Adam Clayton e dai tamburi di Jason Bonham. Non un capolavoro, ma una boccata d’aria fresca con strumenti veri e brani diretti, potenti ed essenziali (e testi a sfondo religioso) come il rock’n’roll sotto steroidi Camouflage Of Righteousness, il roboante e riffato hard blues Guns, Drugs And Gasoline, l’ottima rock ballad zeppeliniana Face Of God, la lunga ed epica Saint Francis, la stonesiana Salvation, la ritmata e trascinante Flesheater e gli otto strepitosi minuti della conclusiva Tongues Of Angels. Prima stampa in assoluto in (doppio) LP per questo album.

Ed ecco una disamina degli inediti e rarità nei quattro CD, che sono divisi per periodi.

CD1 – Men And Women (And Before). Dopo l’inedita Rock’n’Roll Rebel, brano invero bruttino e pieno di synth del 1983, andiamo indietro nel tempo per ben nove pezzi (esclusivi per questo box, nel senso che non fanno parte dei downloads), a partire da una rarissima performance del 1973 del duo Southside Johnny & The Kid (un country-blues acustico intitolato Who Told You?), dove The Kid è proprio Steve, e seguiti da otto canzoni unreleased registrate fra il 1976 ed il 1977 da Southside Johnny & The Asbury Jukes ma con Steve alla voce solista, tra demos, rehearsals, brani live (That’s How It Feels allo Stone Pony) e versioni alternate di titoli come When You Dance, Little Darlin’, Ain’t No Lady, Love On The Wrong Side Of Town, Little Girl So Fine, Some Things Just Don’t Change e She Got Me Where She Wants Me: inutile dire che è tutto imperdibile, nonostante l’incisione non sempre impeccabile. Poi abbiamo quattro scintillanti versioni live in studio di brani di Men And Women per un film musicale “alla Purple Rain” poi abortito (Angel Eyes, Forever, Until The Good Is Gone e Save Me), una early take di I’ve Been Waiting, il lato B Caravan (classico di Duke Ellington che Steve trasforma in un omaggio a Beck’s Bolero) ed il bellissimo inedito assoluto Time, outtake di Voice Of America che è meglio di molto materiale finito sull’album.

CD2 – Voice Of America. Tre splendidi brani dal vivo al Marquee di Londra nell’82 (This Time It’s For Real, Caravan ed una strepitosa I Don’t Want To Go Home), l’inedita It’s Possible, rock song dal sound bombastico ma coinvolgente, ma anche brutture come il singolo anti-Reagan Vote! (proposto in ben cinque versioni quando una bastava ed avanzava) o il remix danzereccio per il dodici pollici di Out Of The Darkness. Però abbiamo anche una rara performance solitaria per voce e piano (l’unica della carriera dal vivo di Steve) di Inside Of Me per una TV francese, e soprattutto il work in progress della canzone Alive For The First Time, una vera e propria writing session di dieci minuti, ancora con Steve al piano, in cui vediamo letteralmente nascere il brano a poco a poco.CD3 – Sun City. Sette lunghi brani, il dischetto meno interessante in quanto lo spazio è occupato da ben tre remix della pessima Let Me See Your I.D. e due della title track, in cui impazza l’arte, si fa per dire, di Baker. Molto interessante invece l’inedita Soweto Nights, una spettacolare e fluida jam tra Hancock, Carter e Williams nella miglior tradizione dei trii jazz (con Herbie fenomenale), mentre chiude il dischetto una The Struggle Continues “extended” in cui il solo intervento di Miles Davis supera i sei minuti.

CD4 – Freedom-No Compromise, Revolution (And Later). Anche qui gran parte del contenuto è dimenticabile, con tre remix dance di Bitter Fruit ed una versione in spagnolo della stessa canzone, più due altrettanto superflue No More Party’s (la prima più rock dell’originale e con la parte vocale ricantata); Vote Jesse In è un brano inedito scritto da Steve per la campagna presidenziale di Jesse Jackson ma non usato da quest’ultimo (e chiediamoci il perché), e poi ci sono altri due missaggi alternativi dell’orribile Revolution, entrambi con l’aggiunta del sax del grande Maceo Parker (che spreco!). Il finale per fortuna è in deciso crescendo con due deliziosi pezzi dal vivo acusitci in quartetto incisi nel 1995 per una trasmissione del noto DJ Vin Scelsa (I Wish It Would Rain dei Temptations ed una Princess Of Little Italy più struggente che mai), e l’evocativa ed intensa It’s Been A Long Time, incisa da Steve solo con la sua chitarra nel 2019 apposta per questo box.

Un cofanetto quindi dalla qualità altalenante specie per quanto riguarda gli LP degli anni ottanta (escluso il primo e parte del secondo), ma bilanciato dalla bellezza di molti inediti contenuti nei CD: se non verrà ristampato, potrebbe essere una delle rare volte in cui vi potete accontentare del download, anche perché così non siete costretti a prendervi tutto il blocco.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 19. Un Box Con Tante Luci E Qualche Ombra…Ma Le Luci Sono Abbaglianti! Little Steven – Rock’n’Roll Rebel: The Early Workultima modifica: 2020-02-19T10:12:35+01:00da bruno_conti
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