Non Un Capolavoro Assoluto Come I Primi Due Album, Ma Come Ristampa La Migliore Delle Tre Uscite Finora. The Band – Stage Fright 50th Anniversary

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The Band – Stage Fright 50th Anniversary – Capitol/Universal 2CD Deluxe – 2CD/BluRay/LP/45rpm Super Deluxe Box Set

Se l’edizione per il cinquantesimo anniversario di Music From Big Pink, mitico esordio discografico di The Band, era stata una mezza truffa, quella del loro secondo disco omonimo (conosciuto anche come The Brown Album) era decisamente più appetibile dal momento che presentava l’intera esibizione del gruppo canadese al leggendario Festival di Woodstock del 1969,  inedita per tutti ma non per il sottoscritto ed altre 1968 persone nel mondo che si erano accaparrate il megabox dedicato all’evento rock più famoso di sempre  https://discoclub.myblog.it/tag/richard-manuel/. Ora è la volta del terzo disco di Robbie Robertson e compagni, ovvero Stage Fright del 1970, e la ristampa (rimandata di qualche mese a causa del Covid) è quella finora che offre più chicche, dal momento che oltre al disco originale e ad un paio di takes alternate offre una session rarissima e molto particolare sul primo CD ed uno splendido concerto inedito sul secondo (come nei primi due casi, il box è praticamente inutile nonché molto costoso, visto che il doppio CD presenta comunque i contenuti musicali al completo).

the band stage fright 50 anniversary box set

Ma andiamo con ordine: si sa che nel mondo del rock non è mai facile dare seguito ad un album che viene unanimemente considerato un capolavoro, figuriamoci quando i capolavori sono due di fila. Questo è quello che successe nel 1970 con la Band, che aveva all’attivo due album che ancora oggi sono guardati come pietre miliari della storia del rock (Music From Big Pink e The Band, appunto), due lavori che si contrapponevano decisamente alla psichedelia ed alle filosofie hippy tanto in voga introducendo un suono completamente nuovo che mescolava rock, blues, country, folk, jazz, errebi, soul e dixieland in un modo totalmente inedito, introducendo in un certo senso quello che oggi viene definito Americana Sound, il tutto con testi che parlavano di semplici storie di tutti i giorni quando non di eventi della Guerra di Secessione, ed i cinque si presentavano con un look da signori di campagna del 1900 molto distante da quello della Summer Of Love. In quel 1970 Robertson, da sempre il principale quando non unico autore del gruppo, era giustamente visto come uno dei massimi songwriters in circolazione al pari di Van Morrison, John Fogerty e Paul Simon (che infatti proprio quell’anno daranno alle stampe i capolavori Moondance, Cosmo’s Factory e Bridge Over Troubled Water) e superiore anche a Bob Dylan e Brian Wilson che in quel momento non stavano vivendo la loro stagione migliore.

Color-Photo-Credit-Norman-Seeff

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Stage Fright però non nacque sotto una buona stella: inizialmente i nostri pensavano infatti di registrarlo dal vivo alla Woodstock Playhouse di fronte ad un pubblico, ma le autorità locali non diedero il permesso in quanto ancora scosse dall’invasione di hippies del ’69, e così Robertson e soci dovettero far buon viso a cattivo gioco riuscendo almeno a strappare il permesso di usare la medesima location per le sessions. L’album fu anche il primo in cui i nostri si autoprodussero (quindi niente John Simon come nei primi due dischi), facendo però mixare le varie canzoni prima ad un giovane Todd Rundgren e poi, forse per insicurezza sul risultato, al già più esperto Glyn Johns: il problema è che non si saprà mai quale mix finirà sul disco, anche se la versione più attendibile parla di un insieme di entrambi! Come se non bastasse, sia Levon Helm che Rick Danko e Richard Manuel (le tre voci soliste del gruppo) in quel periodo avevano cominciato a far uso di droghe pesanti, con il risultato di non essere sempre in palla durante le sessions (spesso si addormentavano, con tanto di materassi e cuscini portati in loco) e di contribuire molto poco in sede di songwriting, con un solo pezzo co-firmato da Helm insieme a Robbie e due da Manuel (che saranno addirittura gli ultimi della carriera del cantante e pianista).

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Toccò quindi a Robertson e Garth Hudson, entrambi refrattari alle droghe, tenere la barra dritta per condurre il disco in porto, ed il risultato fu un altro grande album che aveva il solo difetto di arrivare dopo due vere opere d’arte come i primi lavori del gruppo, con un’altra serie di canzoni splendide che confermavano la vena apparentemente inesauribile di Robbie (e vedremo tra poco che invece si stava esaurendo) ed il fatto che, nonostante le prime crepe, i cinque erano ancora eccellenti musicisti. Il suono di Stage Fright è più orientato al rock dei suoi due predecessori e presenta meno stili diversi, ma è comunque sempre un bel sentire, con almeno tre classici assoluti: la rockeggiante The W.S. Walcott Medicine Show, colorata dai sax tenore e baritono di Hudson e John Simon (nel suo unico intervento in tutto il disco) e con Helm e Danko a duettare https://www.youtube.com/watch?v=NlBzt_vyehQ , la diretta e trascinante The Shape I’m In, con Garth strepitoso all’organo https://www.youtube.com/watch?v=Z9ghyKPtb50 , e la luccicante rock ballad che intitola l’album  https://www.youtube.com/watch?v=f1DI5Ht7K7E. Ma le canzoni splendide non finiscono certo qui, in quanto abbiamo ancora la countreggiante Daniel And The Sacred Harp, fenomenale, la pacata e fluida The Rumor, dalla veste sonora raffinata, lo scoppiettante singolo Time To Kill, che uno come Tom Petty deve aver ascoltato fino alla nausea, la soulful e calda Just Another Whistle Stop, con bell’assolo chitarristico di Robbie, e le toccanti All La Glory (scritta da Robertson per la figlia appena nata) e Sleeping, inframezzate dal rock’n’roll dal sapore di Louisiana Strawberry Wine.

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La versione estesa presenta un nuovo mix di Bob Clearmountain, una nuova copertina e la sequenza delle canzoni cambiata da Robbie secondo l’idea originale; nel primo CD come bonus troviamo due missaggi diversi di Strawberry Wine e Sleeping, dall’impianto più acustico, e soprattutto una rara session sempre del 1970 chiamata The Calgary Hotel Room Recordings, registrata appunto nella camera di un albergo della località canadese durante una tappa del Festival Express  https://www.youtube.com/watch?v=7-XmvrZRKGc (il famoso “treno rock” che attraversò il Canada con concerti decisi all’ultimo momento a seconda delle fermate – una specie di antenato della Rolling Thunder Revue di Bob Dylan – al quale parteciparono oltre alla Band i Grateful Dead, Janis Joplin, Buddy Guy, Delaney & Bonnie ed i Flying Burrito Brothershttps://discoclub.myblog.it/2012/08/30/ieri-e-oggi-festival-express-big-easy-express-41-anni-dopo-t/ , sette improvvisazioni acustiche con la presenza dei soli Robertson, Danko e Manuel (e Robbie partecipa anche come cantante) con una qualità di registrazione più che accettabile vista l’informalità del luogo: i brani suonati sono due versioni di Get Up Jake, uno veloce ed una più lenta, The W.S. Walcott Medicine Show https://www.youtube.com/watch?v=tTKo0TyMnPk , un’improvvisazione intitolata Calgary Blues https://www.youtube.com/watch?v=jTeGFyUfF3s  e le cover di Rockin’ Pneumonia And The Boogie Woogie Flu di Huey “Piano” Smith, Before You Accuse Me di Bo Diddley e Mojo Hannah di Tami Lynn https://www.youtube.com/watch?v=QiPrNM8laOo .

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Ma il vero fiore all’occhiello di questa ristampa è il concerto inedito sul secondo dischetto, registrato alla Royal Albert Hall di Londra nel giugno del 1971, venti canzoni per quasi 80 minuti di musica che rappresentano un tipico show completo dei nostri in quell’epoca (è bizzarro come una volta, quando i musicisti erano più giovani e nel pieno delle loro forze, i concerti durassero molto meno di oggi). Lo spettacolo in questione è considerato dai fans di Robertson e compagni uno dei loro migliori di sempre, e dopo averlo ascoltato non posso che confermare: il quintetto infatti ci regala formidabili esecuzioni del meglio del proprio repertorio, riletto in maniera concisa (non erano un gruppo da jam session) ma con grande forza e feeling, e con le ben note e strepitose armonie vocali in gran spolvero. Stage Fright è rappresentato per metà, con versioni assolutamente coinvolgenti dei pezzi più adatti alla dimensione live: la title track https://www.youtube.com/watch?v=B-O-MLif5oY , The Shape I’m In https://www.youtube.com/watch?v=t8caX3tBkEM , The W.S. Walcott Medicine Show, Time To Kill e Strawberry Wine.

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Non mancano ovviamente i classici immortali dei nostri (The Weight https://www.youtube.com/watch?v=7yilhWNEPeo , Up On Cripple Creek, King Harvest (Has Surely Come), la dylaniana I Shall Be Released – sentite come canta Manuel https://www.youtube.com/watch?v=BbYOjtzTffo  – Across The Great Divide e The Night They Drove Old Dixie Down https://www.youtube.com/watch?v=pO06Ow1kmZU ), ma neppure alcune bellissime “deep cuts” come Rockin’ Chair, Look Out Cleveland, We Can Talk e The Unfaithful Servant https://www.youtube.com/watch?v=XQfESdJZ0iE . Detto di un paio di sanguigne cover tipiche delle loro setlist (Loving You Is Sweeter Than Ever dei Four Tops e Don’t Do It di Marvin Gaye), la serata termina in crescendo con il famoso assolo di tastiere di Hudson intitolato The Genetic Method che confluisce nella potente Chest Fever, e con il gioioso cajun-rock di Rag Mama Rag https://www.youtube.com/watch?v=dC7n_0A_eAE . Da Stage Fright in poi l’ispirazione di Robertson calerà improvvisamente, e dopo il parzialmente deludente Cahoots del 1971 non ci saranno nuove canzoni originali di The Band fino al 1975, quando uscirà il peraltro magnifico Northern Lights-Southern Cross, che è anche il mio preferito dopo i primi due. Ma queste sono altre storie.

Marco Verdi

Non Un Capolavoro Assoluto Come I Primi Due Album, Ma Come Ristampa La Migliore Delle Tre Uscite Finora. The Band – Stage Fright 50th Anniversaryultima modifica: 2021-02-27T19:18:08+01:00da bruno_conti
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