Un Altro Dei Dischi Dell’Anno? Arcade Fire – The Suburbs

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Arcade Fire – The SuburbsMerge/Universal CD/2 LP

Già cominciano a circolare voci sul “tradimento” dell’etica indie da parte del gruppo di Montreal unite ad altre voci (la maggior parte) che parlano di questo The Suburbs, il loro terzo, come del migliore della loro discografia.

Un giorno mi diranno quale è questo cosidetto filone indie o alternative (ma rispetto a cosa?): in ogno caso io mi unisco al gruppo dei “favorevoli”, non sara un capolavoro assoluto, (ma quanti ne escono in un anno?) ma mi pare un ottimo CD proprio nella vecchia ottica dell’album, inteso come vinile, che sarebbe doppio.

Ci sono tutti i piccoli escamotages del caso, tipo il disco che esce con otto copertine diverse tra cui scegliere, il vinile con copertina gatefold, ma c’è anche sostanza.

Una delle solite critiche è che è troppo lungo. Ma benedetti uomini e donne, il vostro lettore CD è fornito della funzione skip, tac e si passa al brano successivo, al limite ci si ritorna in un altro momento quando l’umore è quello giusto, non per fare un discorso alla “Catalano”, ma meglio avere un album con sedici tracce da ascoltare ed eventualmente tre o quattro da scartare, piuttosto che uno con dieci o dodici brani che se ne trovi quattro o cinque che non ti piacciono son c… amari.

Ma comunque devo dire che il disco funziona proprio nella sua interezza: sentito parecchie volte, e in questi giorni l’ho fatto per il piacere dell’ascolto e non per il “dovere” della recensione, regge sia nell’insieme che nei singoli brani.

Al sottoscritto ha ricordato qualcosa di Spectoriano (nel senso di Phil Spector), quel “wall of sound”, muro del suono, che ha sempre caratterizzato il settetto di Montreal (intesa come “casa” del gruppo, ma i due fratelli Butler sono nativi della California del nord e hanno vissuto per molti anni nei “suburbs” di Houston, Texas da cui il titolo dell’album), quel di più è meglio si diceva, la tendenza di “caricare” i suoni il più possibile, senza mai esagerare (ma ogni tanto ci sta pure) e diversificare molto le atmosfere dei brani. Era una caratteristica che avevano anche alcuni artisti britannici dei primi anni ’70 e penso al primo David Bowie o ai Roxy Music dei primi dischi, la capacità di mescolare sonorità elettroniche non eccessive al meglio del rock classico, con quei “lustrini” del glam a stemperare le atmosfere.

Il co-produttore Marcus Dravs, che è lo stesso del precedente Neon Bible e che ha lavorato anche con James, Coldplay e Brian Eno, ha saputo unire questo presunto stadium rock, il rok classico degli anni ’70 e l”anima indie e alternative (e ridagli!) degli Arcade Fire per plasmare questo The Suburbs che accontenterà palati più raffinati e amanti del buon pop.

Il disco si apre, nella title-track, sul mellifluo falsetto di Wim Butler e su atmosfere che ricordano il Bowie di Hunky Dory, il perfetto singolino d accoppiare a Month Of May come hanno fatto nel 12″ pubblicato a maggio. Il suono è semplice e complesso al tempo stesso, con le tastiere di Regine Chassagne, la signora Butler a interagire con archi, intesi come violini, viole, violoncelli e contrabbassi suonati dai vari componenti del gruppo che anche dal vivo si scambiano le varie strumentazioni.

Ready to start è un altro singolo potenziale, con una ritmica urgente di stampo rock e un sound radiofonico “moderno”, con chitarre ruggenti, sintetizzatori e tastiere varie che accompagnano la voce filtrata di Butler, glam rock futuribile, i vecchi Roxy con le tastiere di Eno.

Modern Man ricorda vagamente Learning to Fly di Tom Petty con il suo ritmo incalzante e le sue atmosfere orecchiabili, e non è inteso come un’offesa, meno complessa nei suoni dei brani precedenti anche se definirla semplice è esagerare.

Qualcuno ha paragonato questo disco nel suo insieme al ciclo di poemi di William Blake, Songs Of Innocence and Experience ma mi sembra un po’ esagerato, e perchè non la Divina Commedia o Romeo e Giulietta, in fondo trattasi di canzonette. Rococo, con la voce di Regine a doppiare quella del marito ricorda certi eccessi pop, ma quelli più gloriosi, degli ELO, tamto bistrattati e poi rivalutati, strati su strati di strumenti per un suono iper-raffinatissimo e un finale con chitarra in feedback.

Empty Room con la sottile voce di Regine Chassagne a guidare le danze ha comunque una energia synth-rock di grande appeal, con il solito muro di chitarre e tastiere e la ritmica in overdrive. City with no children aldilà del titolo visionario è uno dei brani più classici di rock dell’album, potrebbe essere su un album di Springsteen o degli Hold Steady e farebbe la sua bella figura. Half light, ancora con la voce della Chassagne a guidare il gruppo, si apre con un fade-in ed è un brano piacevole ma non memorabile, funzionale all’album nel suo insieme e qui ha un senso, ma non fondamentale, forse superfluo è eccessivo, magari ai prossimi ascolti potrei rivalutarla, gli arrangiamenti sono sempre maestosi e con quei crescendi tipici degli Arcade Fire.

Il battito elettronico di Half Light II ci introduce ad atmosfere che ricordano i Depeche Mode o gli U2 (che sono dei grandi fans e usavano Wake Up come brano intro dei loro concerti) fase 2 della produzione Eno/Lanois, “moderna ma con giudizio”. Suburban War con una bella chitarra con riverbero in evidenza è uno dei brani migliori dell’album, malinconica e appassionata ricorda certe cose più intimiste dei R.E.M. di Automatic for The People o dei primi Smiths, ma riviste nell’ottica inconfondibile degli Arcade Fire, con continui cambi di tempo e aperture orchestrate quasi eccessive ma vincenti all’ascolto.

Month of May è l’altro singolo e unisce un ritmo veloce quasi punk alla Ramones a sonorità electro-pop, tipo i primi Roxy Music di Virginia Plain, una strana alchimia che però funziona.

Wasted Hours è uno dei pochi brani lenti, visto che nella musica degli Arcade Fire non c’è posto per le ballate questo brano è la massima approssimazione ad un brano del “connazionale” Neil Young che ci potremo mai aspettare e questo si ricollega a certi giudizii che hanno paragonato questo album ad un incontro tra Neil Young e Depeche Mode. Altri lo hanno definito il loro OK Computer, ma superiore, confontato con i Radiohead oltre ai già citati R.E.M. di Automatic. Deep Blue è un altro dei brani definiti non indispensabili dalla critica ma al sottoscritto non dispiace, semplice e con un coretto pop nel ritornello.

We used to wait ricorda molto, ma molto da vicino, sarà il pianino insinuante, i Supertramp. ebbene sì, ma quelli migliori di Crime of the century, proprio il gruppo che era bello “odiare” negli anni ’70 e che periodicamente fanno capolino nella musica di qualche gruppo contemporaneo, anche loro maniaci della perfezione sonora e vocale e che ricevono un “omaggio” inatteso in questo brano. Sprawl è il secondo brano diviso in due parti, distinte e molto diverse tra loro, il primo è una ballata (no, non si può dire!) malinconica e raccolta, mentre la parte II, cantata dalla Regine Chassagne, sembra una traccia perduta della produzione dei Blondie, anche vagamente danzereccia, che sicuramente avrà i suoi estimatori ma non il sottoscritto.

Per concludere rimane The Suburbs (Continued) che riprende il tema del brano iniziale in un breve intramuscolo che nulla aggiunge e nulla toglie al disco nel suo insieme, fine della track-by-track.

Da domani nei negozi!

Capolavoro o disco normale? Ai posteri l’ardua sentenza! E con questa sentenza Pilatesca me ne lavo le mani. Anzi no, normale capolavoro potrebbe andare?

Bruno Conti

Un Altro Dei Dischi Dell’Anno? Arcade Fire – The Suburbsultima modifica: 2010-08-02T19:31:00+02:00da bruno_conti
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