Dischi Di Fine Stagione: Belli Ma Dimenticati! (1) – David Ford – Let The Hard Times Roll

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David Ford – Let The Hard Times Roll – Magnolia/Original Signal Records

“Non è mai troppo tardi” recitava una vecchia trasmissione del maestro Manzi nella televisione italiana degli anni ’60. Quel detto si applica a meraviglia ad una serie di dischi, belli ma dimenticati, dico nel titolo di questo post: ma non nel senso di negletti o boicottati, no proprio nel senso letterale, dischi usciti nel corso di questo anno che per un motivo o per l’altro mi sono proprio dimenticato di recensire. Questo del disco di David Ford Let The Hard Times Roll è un caso addirittura eclatante (per esagerare): nel mese di maggio ne annunciavo l’uscita fisica nel mese di luglio e dicevo che non sapevo se avrei resistito fino a quella data prima di parlarne, poi il silenzio. Devo dire che c’è stata una catena di avvenimenti che ha fatto sì che questo avvenisse, l’etichetta che doveva pubblicarlo è fallita pochi giorni prima dell’uscita, il CD veniva annunciato nei grandi siti che vendono musica ma non era mai disponibile e poi, lo ammetto, arrivata l’estate me ne sono dimenticato. In questa fine anno di classifiche e ripensamenti me lo sono ritrovato davanti e il disco, un po’ a fatica, si riesce ad ordinare in internet. Ho rinnovato la conoscenza con l’album e a distanza di qualche mese non ha perso un briciolo del suo fascino.

E’ il terzo album di questo bravissimo cantautore inglese di nascita ma americano fino al midollo nella musica che ci regala ( o almeno così sembra al sottoscritto); già il precedente album Songs For The Road aveva fatto gridare, giustamente, al miracolo (esageriamo di nuovo!) molti recensori ed era stato pubblicato dall’etichetta Independendiente con la distribuzione di una major, entrambe lo hanno mollato quasi subito dopo un tour in America nella primavera del 2008. David Ford evidentemente non se l’è presa più di tanto ed applicando la famosa tecnica del DIY (per chi se lo chiede spesso sta per “Do It Yourself”, Fattelo da Solo, quei termini un po’ mitici tipo AKA, Also Known As, ovvero conosciuto con un altro nome o PD, Public Dominion, Dominio Pubblico, quindi non becchi più una lira, un recensore didascalico nei “5 secondi della cultura”) e registrando con pazienza certosina tutti gli strumenti nell’arco di alcuni mesi ha partorito all’inizio del 2010 questo po’ po’ di disco. Qualcuno ha visto delle analogie anche con l’altro David, Gray per il lato non americano della sua ispirazione e per la voce e in parte ci sta.

Ma sin dall’iniziale, epica Panic la musica citata è universale, dall’ambiente del brano che mi ha ricordato nei suoi crescendi drammatici la vecchia Seasons in the sun di Terry Jacks, che era già un riadattamento della vecchia Le Moribond di Jacques Brel, ma ci ha aggiunto citazioni di Start dei Jam, per i più giovani, e in questa catena di citazioni Taxman dei Beatles con il suo riff inconfondibile. E il bello è che il risultato finale risulta un brano originale bellissimo, epico, drammatico, trascinante ma anche orecchiabile. Cè anche qualcosa dei Decemberists in questo melting pot sonoro in continua evoluzione e cantato con grande partecipazione, che è un po’ la caratteristica di tutto il disco e della sua produzione in generale.

Se qualcuno rileva influenze springsteeniane anni ’70 nella successiva Making Up For Lost Time, l’evidente impegno e l’ardore più un’armonica sbarazzina non può fare a meno di notare anche evidenti analogie con il primo Billy Joel quello che univa all’amore per la melodia un drive rock a sua volta derivato dal primo Elton John, con il Tom Waits degli anni ’70 aggiunto per buona misura,  sulla carta suona come una copiatura unica o un pasticcio inestricabile ma vi assicuro che ascoltandolo sembra solo “buona musica”, anzi ottima, quegli incroci tra piano, organo e chitarre sono sempre affascinanti. Waiting For The Storm rallenta i tempi e diventa una bellissima ballata, ancora con l’armonica e le chitarre acustiche che si sovrappongono alle tastiere per creare un background sonoro ideale per il cantato nuovamente appassionato di David Ford che ti fa desiderare di ascoltarlo nuovamente e poi ancora.

Surfin’ Guantanamo Bay segnala un improvviso e drammatico cambio di sonorità, si piomba in un plumbeo blues alla Tom Waits, con la voce più sottile di Ford che lotta per emergere vittoriosa in questo ritmato e scandito blues caratterizzato da una chitarra arrotata mentre To Hell With The World è un’altra drammatica ballata pianistica, intensa e avvolgente con un testo molto interessante.

Stephen raccolta la tragica storia, con omicidio incluso, di un episodio vero avvenuto nella martoriata Irlanda del Nord, lo fa con gusto e misura sia a livello di testi che di musica, meno maestosa che in altri brani, più contenuta ma sempre soddisfacente. Nothin’ at all coniuga ancora Tom Waits questa volta con singalong da pub irlandese (o scozzese o inglese, dove preferite) in un breve quadretto sonoro che parte cattivo e si apre a delle belle melodie che sono il marchio di fabbrica di David Ford.

Sylvia è una deliziosa canzoncina vagamente vaudeville, leggera ma delicata mentre Meet Me In The Middle è un altro brano Waitsiano ma questa volta è una ballata fumosa e vagamente country, non dico tipo gli Eagles di Ol’ 55 ma un violino e l’armonica nuovamente aggiungono un’aria “paesana” e demodé. Missouri è un breve intermezzo, un’intramuscolo di meno di un minuto e mezzo, uno spiritual corale affascinante che sparisce prima che tu te ne accorga. She’s Not The One For me con la sua apertura quasi comica “Holy Cow, I Need To Get My Shit Together, ‘cause She’s not the one for me” ha un ritmo più brillante e ondulato ma non brilla (piaciuto?), scanzonata e leggerina ma poco incisiva, d’altronde tutte belle sarebbe impossibile.

Hurricane peraltro è il brano migliore di questa raccolta, un altro brano epico e pianistico (alla Billy Joel di Piano man) cita frammenti di famose canzone di protesta dei tempi che furono, da This land is your land a God Save The Queen passando per The Times The’re A Changin’ ad altre che passano in un baleno il tutto inserito in un testo complesso ed immaginifico come la musica che accompagna, veramente un piccolo capolavoro. Conclude le operazioni una bellissima love song, Call To Arms, dolce e tenera ma ancora con quelle improvvise aperture melodiche epiche, splendida conclusione per un album che ci segnala ancora una volta un piccolo grande talento che vive ai margini della declinante industria discografica e cerca di insinuarsi nella vostra vita di fruitori di buona musica. Qui ce n’è parecchia!

Potevo lasciarvi senza la versione originale di studio di Panic. Certo che no, quindi…

Bruno Conti

Dischi Di Fine Stagione: Belli Ma Dimenticati! (1) – David Ford – Let The Hard Times Rollultima modifica: 2010-12-08T19:25:00+01:00da bruno_conti
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