Italiani Per Caso, Californiani Per Elezione! Stefano Frollano – Sense Of You

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Stefano Frollano – Sense Of You – Terre Sommerse

Come chi legge il sottoscritto abitualmente sa, di solito non tratto (per scelta e per gusti personali) la musica italiana. Ma come si intuisce dal titolo dell’articolo, in questo caso, la musica italiana c’entra molto poco, anzi, quando alcune sere fa ho avuto una breve conversazione telefonica con Stefano Frollano, l’autore del CD (che non conoscevo), ad una obiezione sulla mia scarsa dimestichezza con la musica italiana giustamente mi è stato fatto notare (e anche con una punta di sorpresa) che questo album Sense Of You viene da altri universi sonori. Principalmente dalla West Coast (intesa come genere musicale) e dalla California in particolare, per affinità elettive, amore profondo (e dichiarato nel libretto) per Crosby, Stills and Nash, Neil Young, Joni Mitchell, Jefferson Airplane, Jerry Garcia & Grateful Dead (e moltissimi altri, sottintesi).

Intanto diciamolo a chiare lettere, fin da subito, il disco (termine che evoca passati gloriosi) mi piace, innanzitutto ha una bel suono, professionale, da prodotto di qualità, con una serie di musicisti (italiani, ma sempre per caso) e un paio di ospiti stranieri, il figlio di David Crosby, James Raymond alle tastiere e, sempre dai CPR, Jeff Pevar alle chitarre soliste e slide. E d’altronde non potevano aspettarci lo zio di Lady Gaga o il cugino di Simon Le Bon. Ma anche gli italiani, soprattutto la sezione ritmica formata dal bassista Marco Vannozzi (che ha suonato nel gruppo di Venditti) e dal batterista Francesco Isola e una nutrita serie di voci femminili (cinque, brave e carine, come si desume dall’ascolto del CD per la prima affermazione e dalle foto contenute nel “lussuoso” libretto o dovrei dire booklet, per la seconda affermazione). Il CD è contenuto in una confezione Tunnel, giuro, si chiama così, vuol dire che il jewel box è infilato in una sovracopertina rigida, tecnicamente si chiama in questo modo! Voi per il momento fidatevi del vostro recensore preferito, poi quando avrete l’occasione di ascoltare e vedere l’album in questione mi darete ragione.

Anche se qui incontriamo il primo ostacolo: il nostro amico Stefano e l’etichetta che produce il CD si trovano entrambi a Roma, chi vi scrive è a Milano e vi assicuro che purtroppo in Italia fare “viaggiare” e trovare i dischi autoprodotti vive soprattutto sulla buona volontà degli appassionati e sul passaparola (anche in questo caso, su “suggerimento” di un amico), in caso contrario è più facile trovare i dischi di importazione dalla Nuova Zelanda o dal Giappone. E non è un fatto solo italiano, se siete negli States e cercate a New York un disco “indipendente” prodotto in California o viceversa, come chi ha provato avrà avuto modo di constatare spesso è più facile cercarlo e trovarlo , paradossalmente, in Italia. Fine della digressione.

Per quella che riguarda il suo CV, come musicista, giornalista e scrittore, senza dilungarmi troppo ve lo potete andare a leggere direttamente sul suo sito (dove per ovviare all’inconveniente appena citato potete anche acquistare il CD) index.html.

A questo punto però vi devo convincere. Vediamo un po’: pensate a tutti quei signori citati prima, shakerateli vivacemente e aggiungete delle abbondanti spruzzate di soft rock, lo so che qui vado sullo specializzato ma se no non sareste in questo Blog, la prima aggiunta che mi viene in mente è quello stile alla Michael Franks, Bill Labounty, certe raffinatezze alla Robben Ford o alla Larry Carlton (ma meno jazzate), ma anche Mark-Almond o il Jon Mark solo più raffinato e soffuso, o nomi che potrebbero non dirvi (ma dicono a me) come Ned Doheny, Terence Boylan, i vari componenti della famiglia Taylor e altri Californiani vari, o quando la slide di Pevar allunga le note certi passaggi alla Lindley o alla Lowell George (e qui mi piace citare un “certo” Tom Jans che ha fatto dei dischi magnifici negli anni ’70 e che pochi conoscono). Ma anche un “fratello perduto” nordista di Frollano e che anni fa raccontavo sul Buscadero, Max Meazza, altro musicista innamorato della musica america e inglese di qualità.

Le armonie vocali femminili rievocano anche l’universo del primo Dan Fogelberg o dell’Eric Andersen di Blue River con la voce aggiunta di Joni Mitchell. Forse sto esagerando leggermente (ma quel giusto che basta per intrigare il potenziale acquirente) ma è per darvi l’idea che qui siamo di fronte a musica che è fatta con passione e grande amore (anche per l’universo femminile citato prima), oltre alla professionalità e alla cura nei dettagli già ricordata e tutto questo traspare anche nei testi (che si ispirano pure alla SF del Philip P. Dick di A Scanner Darkly, citato nel libretto, tutto rigorosamente in inglese).

Avendo parlato di tutto magari due parole sul protagonista sarebbe anche il caso di dirle. La voce di Stefano Frollano, che non sarà, ovviamente, quella di David Crosby è comunque ampiamente adeguata alla bisogna, spesso miscelata con le voci femminili ad armonizzare in puro stile westcoastiano, ha un suo fascino e unito ad una indubbia perizia tecnica alle chitarre sia elettriche (dove la passione per il Neil Young solista più melodico viene spesso a galla) che acustiche garantisce che l’interesse dell’ascoltatore sia sempre vivo.

Introdotto da un breve frammento acustico di Hello! che poi ritorna a fine album in versione completa ancorché sempre acustica con la bella voce di Gabriella Paravati sottolineata dal tappeto misurato e crosbyano delle chitarre di Frollano, il disco si apre con le melodie ariose e tipicamente da highway californiana dell’iniziale (She Won’t) Fly Away con la seconda voce di Daria Venuto e la slide pungente di Jeff Pevar che sottolineano un brano che avrebbe fatto la sua bella figura su Running On Empty. In Believe affascina l’abbrivio chitarristico dello stesso Frollano che si conferma chitarrista misurato e melodico dal tocco leggero con la solista che costruisce ripetuti interventi solistici alla Neil Young sui morbidi intrecci delle voci dello stesso Stefano e della già citata Paravati.

Chagall’s Song, con i ripetuti vocalizzi di Chiara De Nardis che sottolineano il tessuto sonoro del brano, si appoggia sulle tastiere di James Raymond, piano e synth e sulle percussioni di Luca Scorziello che gli donano quell’aria blue-eyed soul vagamente jazzata. The Dance, ancora con le due chitarre di Frollano e Pevar accarezzate con voluttà, mette in evidenza anche il Fender Rhodes di Raymond e la tromba dell’ospite Franco Piana e la bella voce di Paola Casella (ancora una diversa, ma quante ne conosce?), il tutto si dipana con felpata raffinatezza degna del miglior Michael Franks o del Robben Ford meno bluesato con qualche richiamo alla Joni Mitchell più disimpegnata. Bella musica per una piacevole serata in compagnia di amici.

Northern Lights con un bel arrangiamento che mette in evidenza l’arpa di Giuliana De Donno posata su un tappeto di piccole percussioni introduce l’ennesima voce femminile, Laura Visconti, che duetta languidamente con il nostro amico Frollano in un brano che ricorda i brani del Crosby degli ultimi anni, quello dei CPR, meno ricerca vocale e sonora ma molta serenità. Molto piacevoli anche le trame sonore della lunga e pianistica Your Eyes, ennesimo duetto con Gabriella Paravati che sottolinea con le sue armonie una delle migliori interpretazioni vocali dell’autore che si cimenta con profitto anche all’armonica, tutto sempre molto raffinato e di gran classe.

Fallin’ apart con un bel organo Hammond che accompagna e arricchisce le raffinate evoluzioni della solista aggiungendo un tocco di maggior vigore ad un sound che forse, a tratti, è fin troppo morbido, se vogliamo trovare un difetto al disco. Memory Of Your Love con la chitarra elettrica che centellina delle piccole cascate di note è un’altra bella ballata dall’aria vagamente jazzata e notturna sottolineata anche dal flicorno di Franco Piana che introduce ulteriori strati di raffinatezza al procedere delle operazioni musicali.

Per la title-track Sense of You torna la slide di Jeff Pevar che dona un senso di maggiore grinta e urgenza al brano, con tante chitarre e le tastiere di Raymond che, strato dopo strato, completano la densità del suono mentre nella parte centrale non ci facciamo mancare un ulteriore duetto con Daria Venuto, prima della bella coda strumentale dove gli assoli si susseguono senza soluzione di continuità e poi sfumano lentamente nel silenzio, la vedo bene nelle serate dal vivo.

Di Hello! in versione acustica abbiamo già detto, come bonus c’è anche un Radio Edit, ovvero una versione più breve della lunga The Dance nella speranza che qualche radio, magari Californiana (ma anche italiana) la trasmetta.

Tra l’altro, spesso, Stefano Frollano si esibisce in coppia con Francesco Lucarelli che non da molto ha pubblicato il suo disco di esordio intitolato Find The Light, al quale partecipa anche Graham Nash. Questo per chiudere il cerchio o se preferite, un colpo al cerchio e uno alla botte.

Ovviamente non siamo di fronte ad un capolavoro assoluto che salverà le sorti della industria discografica mondiale ma, per chi ama il genere, un album piacevole e onesto molto migliore di molto pattume che circola in questo momento e per il quale auguro all’autore le migliori fortune.

Bruno Conti

Italiani Per Caso, Californiani Per Elezione! Stefano Frollano – Sense Of Youultima modifica: 2011-05-11T17:40:00+02:00da bruno_conti
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