Metallari Loro? Ma Per Piacere! Thin Lizzy – Rock Legends

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Thin Lizzy – Rock Legends – Universal 6CD/DVD Box Set

Nel mondo della musica internazionale una cosa che non ho mai potuto soffrire molto è la generalizzazione, specie in quel settore che oggi viene denominato per brevità “classic rock” ma che negli anni 70 e 80 era tutto “hard rock” o peggio ancora “heavy metal”, riunendo sotto lo stesso cappello band diverse come Black Sabbath, Blue Oyster Cult, Judas Priest e Iron Maiden, tanto per fare qualche nome. Un altro gruppo che ha sofferto di questo problema sono stati i Thin Lizzy, band originaria di Dublino che heavy metal non lo è mai stata, e pure sull’hard rock avrei qualcosa da ridire specie per la prima parte della carriera, mentre effettivamente negli anni dal 1976 al 1982 qualcosa di più duro nel loro sound c’era, specie nelle infuocate esibizioni dal vivo. Il loro carismatico leader, cantante e (grande) bassista Philip Lynott (già era raro avere una rock band dall’Irlanda all’epoca, più ancora con un frontman di colore) aveva infatti influenze disparate, tra le quali anche il compatriota Van Morrison (che però faceva parte dell’Irlanda “britannica”) per quanto riguardava lo stile compositivo, mentre il suono in seguito avrebbe affondato le sue radici addirittura nel rock americano di Bruce Springsteen e Bob Seger (anzi, per certi versi i Lizzy suonavano springsteeniani ancora prima del Boss) e nel funk-rock dei Little Feat.

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Una grande band quindi, alla quale la generalizzazione di cui dicevo prima non ha fatto certo del bene, e che nelle sue varie configurazioni ha sempre avuto fior di chitarristi, come Gary Moore (già con Lynott negli Skid Row – non quelli americani di Sebastian Bach – e poi nei Lizzy in tre diversi momenti), il fondatore Eric Bell, già con gli ultimi Them con Morrison nella line-up, il futuro collaboratore dei Pink Floyd (ma non solo) Snowy White, John Sykes, nome che gli appassionati di hard rock anni 80 conoscono benissimo essendo poi entrato a far parte di Tygers Of Pan Tang e Whitesnake, ed anche per un breve periodo Midge Ure, che diventerà famoso negli eighties come leader del gruppo synth-pop degli Ultravox. I Thin Lizzy sono stati quindi una splendida realtà del panorama rock internazionale con album di notevole livello come Jailbreak, Johnny The Fox, Black Rose e lo strepitoso Live And Dangerous (registrato appunto dal vivo), fino a quando Lynott non ha sciolto la compagnia nel 1984 per dare il via ad una carriera solista che non è mai decollata a causa della sua prematura scomparsa avvenuta nel 1986 a seguito di complicazioni dovute all’uso prolungato di sostanze proibite: in anni recenti la vecchia sigla è stata riattivata dall’altro chitarrista storico del gruppo, Scott Gorham, solo per qualche tour, mentre i nuovi album in studio sono stati pubblicati con il nome di Black Star Riders, band che non ha molto da spartire con i Lizzy storici.

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Per celebrare i 50 anni del gruppo di Dublino la Universal invece della solita antologia di cui il mercato è già saturo, ha da poco pubblicato uno splendido cofanetto dal titolo invero un po’ generico di Rock Legends, uno di quei rari casi in cui un box set può accontentare sia i neofiti che i fans. Infatti il manufatto (tra l’altro piuttosto oversize, con all’interno uno splendido libro che mette insieme tutti i tour programs del gruppo ed un altro con i crediti dei musicisti brano per brano) riunisce in sei CD ben 99 pezzi di cui 74 inediti assoluti, tra demo, versioni alternate e brani dal vivo, più un DVD invero abbastanza avaro (solo quattro canzoni registrate nello show televisivo di Rod Stewart A Night On The Town  https://www.youtube.com/watch?v=INiYaZKmeTo più un documentario di un’ora intitolato Bad Reputation, comunque non inedito). Dunque una collezione da leccarsi baffi e barba: peccato che il box, prodotto in quantità limitata, sia già praticamente introvabile, almeno a prezzo di listino (che comunque supera di slancio i cento euro), ma a breve, per chi se lo era perso, sarà disponibile una nuova tiratura limitata.

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Il primo CD è anche quello senza inediti in quanto è una sorta di greatest hits ma fatto esclusivamente con i singoli, nelle versioni appunto adattate per i 45 giri ed alcuni remixati, una chicca anche per i collezionisti. Un ripasso quindi di alcuni dei pezzi più noti del gruppo, come la strepitosa cover del traditional Whiskey In The Jar (il loro primo successo, ed anche quello salito più in alto in classifica https://www.youtube.com/watch?v=wyQ-tScuzwM ), The Rocker, le classiche The Boys Are Back In Town https://www.youtube.com/watch?v=hQo1HIcSVtg  e Jailbreak ed altri brani popolari del calibro di Don’t Believe A Word, Dancing In The Moonlight, Waiting For An Alibi https://www.youtube.com/watch?v=F9xT8p6L8Sc , Do Anything You Want To, Chinatown e Killer On The Loose. Ma anche canzoni come Randolph’s Tango (a proposito del primo Springsteen) https://www.youtube.com/watch?v=0Pwv0s7HHSk , il trascinante rock’n’roll con fiati Little Darling, la deliziosa Philomena, dedicata da Lynott a sua madre, la ruspante cover di Rosalie, uno dei pezzi meno noti di Bob Seger (presente in due versioni: quella del 1975 e dal vivo nel 1978 https://www.youtube.com/watch?v=cSo9CC2wKVI ), la splendida Wild One, altri due rock’n’roll di ottimo livello come Trouble Boys e Hollywood, fino al singolo finale del 1983 The Sun Goes Down.

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Il secondo dischetto, intitolato The Early Years, prende in esame appunto i primi passi di Philip e soci per la Decca dal 1970 (si erano formati l’anno prima) al gennaio del 1974, ed a parte il primissimo singolo The Farmer (ed il suo lato B I Need You, che però appare in CD per la prima volta) https://www.youtube.com/watch?v=3gTLni91vpc  è tutto materiale inedito. Oltre ad una manciata di missaggi alternativi il nucleo del dischetto è formato da due sessions radiofoniche alla RTE Radio Eireann (entrambe senza pubblico), rispettivamente del ’73 e ’74: come highlights abbiamo il roboante boogie 1969 Rock, con grandissimo lavoro di Bell alla solista https://www.youtube.com/watch?v=Jhcs2J75YVo , il tostissimo rock-blues Suicide, con lo stesso Bell che si sposta alla slide ma con medesimi risultati (all’epoca i nostri erano una sorta di power trio, non avevano ancora le “twin guitars”, ed è anche per questo che le dodici battute sono molto presenti in questo CD https://www.youtube.com/watch?v=UXG-xw3dOZU ), lo strepitoso blues afterhours Broken Dreams, di nuovo con Eric che offre una grande prestazione. Abbiamo anche il medley Eddie’s Blues/Blue Shadows, favolosa jam con ospite alla sei corde il grande bluesman Eddie Campbell https://www.youtube.com/watch?v=U7ADOyYuAfM , la sanguigna cover di Ghetto Woman di B.B. King, con Gary Moore protagonista https://www.youtube.com/watch?v=Q3QDdFLG84U . Il grande chitarrista dice la sua anche negli ultimi tre pezzi, la pulsante e rocknrollistica Things Ain’t Working Out Down At The Farm, una robusta rilettura del classico di Don Nix Going Down https://www.youtube.com/watch?v=2GIPDs6sLmU  e la formidabile Slow Blues, in cui il buon Gary offre una performance superba https://www.youtube.com/watch?v=FQ2uq2zo5sM .

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Il periodo più famoso dei nostri, quello alla Mercury, è l’argomento dei tre CD successivi, con una full immersion nel loro catalogo con tutte versioni inedite in gran parte demo, ma suonate come se fossero canzoni fatte e finite ed in molti casi ancora più ruspanti e dirette delle originali: nei primi due dischetti il connubio chitarristico è tra Gorham e Brian Robertson, mentre il terzo inizia con Moore, prosegue con White e termina con Sykes (tutti al posto di Robertson, Gorham è sempre presente). 45 canzoni in tutto, e per non fare una recensione a puntate mi “limito” a citare le coinvolgenti versioni strumentali di Rock And Roll With You e Cadillac, l’ottima rock ballad Banshee, con la parte vocale ancora da perfezionare ma quella chitarristica già sublime, lo squisito funk-rock-blues dal sapore quasi southern Nightlife, le “americane” Freedom Song e Kings Vengeance, la sempre strepitosa Suicide (sentite le chitarre) e l’altrettanto bella Cowboy Song, dai marcati echi springsteeniani https://www.youtube.com/watch?v=wmQjkHLzkqU . Il demo di The Boys Are Back In Town è perfino più potente e diretto della versione originale (e forse pure meglio) https://www.youtube.com/watch?v=rQMui7wrMto . Running Back è un godurioso rock’n’roll, Romeo And The Lonely Girl ricorda ancora il primo Boss (anche nel titolo) https://www.youtube.com/watch?v=BBEePBySEC4 , Emerald è una rock song travolgente e con parti di chitarra strepitose.

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Un cenno va anche all’orecchiabile Fool’s Gold, la suggestiva ballata Borderline, davvero bella, l’irresistibile Johnny, con altro assolo torcibudella https://www.youtube.com/watch?v=cqxHPK7QLp8 , la dura ma godibile Killer Without A Cause, la pulsante Are You Ready, puro “hard’n’roll”, lo splendido medley di arie tradizionali irlandesi Roisin Dubh (grandissimo Moore) https://www.youtube.com/watch?v=Tx2Q8El13B0 , le ottime e rockeggianti We Will Be Strong e Sweetheart, il boogie alla ZZ Top I’m Gonna Leave This Town, il rockabilly sotto steroidi Kill ed il blues cadenzato In The Delta, con Huey Lewis all’armonica https://www.youtube.com/watch?v=Uv-3do9RI1k . Il sesto ed ultimo CD presenta quindici brani live, sempre inediti, registrati durante il Chinatown Tour del 1980, con selezioni provenienti da due serate all’Hammersmith Odeon di Londra ed a Tralee (località irlandese); la formazione dei Lizzy in questa tournée comprendeva, oltre a Lynott, Gorham e White, Darren Wharton alle tastiere e Brian Downey alla batteria. Ed il CD è semplicemente esaltante nonostante un uso per fortuna molto parco dei synth, con i nostri che forniscono una prestazione esplosiva con versioni al fulmicotone di Are You Ready, Waiting For An Alibi https://www.youtube.com/watch?v=MhyOgB4cdwI , Jailbreak, The Boys Are Back In Town ed una sempre fantastica Suicide https://www.youtube.com/watch?v=JO6V_VwjrEw , ma non sono da meno le coinvolgenti Do Anything You Want To Do, Dear Miss Lonely Hearts, Chinatown e l’elegante ballata Still In Love With You, corredata da un notevole assolo https://www.youtube.com/watch?v=3Iq9n2YDECQ .

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Gran finale con due potenti e superlative riletture di Rosalie e Whiskey In The Jar, quest’ultima con l’apparizione a sorpresa di Bell sul palco. Se non conoscete a fondo i Thin Lizzy, o se anche per voi erano un gruppo di metallari, questo Rock Legends potrà rappresentare una rivelazione…ammesso che riusciate ancora a trovarlo.

Marco Verdi

Un Altro Piccolo Cofanetto Godurioso Per Il “Re Del Folk Irlandese”! Christy Moore – The Early Years 1969-81

christy moore the early years 1969-81

Christy Moore – The Early Years 1969-1981 – Tara Music/Universal Music Ireland 2CD + DVD – 2 CD

Nel 2017 e 2019, nel periodo appena prima del Natale, Christy Moore ha pubblicato due bellissimi album doppi dal vivo, On The Road https://discoclub.myblog.it/2018/01/14/supplemento-della-domenica-forse-il-miglior-disco-ufficiale-dal-vivo-del-2017-christy-moore-on-the-road/  e Magic Nights https://discoclub.myblog.it/2020/01/14/un-altro-doppio-cd-dal-vivo-formidabile-per-il-musicista-irlandese-christy-moore-magic-nights/ , poi uniti in un box Magic Nights On The Road, sempre edito dalla Columbia Sony irlandese. Anche quest’anno ne esce uno della rivale Universal Ireland, attraverso la propria etichetta Tara Music, che gestisce il catalogo del musicista dal 1969 al 1981, mentre gli anni centrali sono appannaggio della Wea, anche se il cofanetto da 6 CD The Box Set 1969-2004, copriva tutti i periodi. Vediamo cosa contiene The Early Years 1969-1981 (ricordando che ne esiste anche un versione solo con i 2 CD) https://www.youtube.com/watch?v=wlEg9Rz7cD8 .

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Partiamo dal DVD non lunghissimo, circa 73 minuti, ma con diverso prezioso materiale della RTE, la televisione irlandese e una breve session della BBC del 1979, il resto viene dal 1979-1980-1981, meno due brani registrati nel 1969. Una piccola miniera d’oro per gli appassionati del folk e di Christy Moore in particolare: i primi dieci brani, i più interessanti, sono due sessions alla Abbey Tavern di Dublino Nord del 1980, con Declan McNelis e il compianto Jimmy Faulkner che si alternano alle chitarre, materiale in gran parte tradizionale, ma ci sono un paio di brani scritti da Ewan MacColl, in tre pezzi Paul Brady è presente a piano, harmonium e chitarra acustica, in particolare in una versione bellissima a tre chitarre di The Ballad Of Tim Evans, con grande assolo di Brady https://www.youtube.com/watch?v=w6iPvBoUak4 , mentre in Dark Eyed Sailor l’angelica seconda voce è quella di una giovanissima Mary Black https://www.youtube.com/watch?v=b249xyB75j0 . In Saint Patrick Was A Gentleman ci sono gli Stockton Wings ad accompagnare un sudatissimo Christy, mentre tra i brani più belli anche The Raggle Taggle Gypsy dei Planxty, 1913 Massacre di Woody Guthrie https://www.youtube.com/watch?v=PvnazELFb5k , due brani antinucleari (erano gli anni) The Sun Is Burning e House Down In Carne (The Ballad Of Nuke Power).

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Negli altri segmenti del DVD spiccano una splendida Last Cold Kiss, il vecchio pezzo scritto da Gail Collins e Felix Pappalardi per i Mountain, una sontuosa Deportee (Plane Wreck At Los Gatos) di nuovo di Woody Guthrie https://www.youtube.com/watch?v=f-pdyXnv1wg , per la BBC, Wave Up In The Shore a cappella, scritta dal fratello Barry Moore, molto più noto a noi tutti come Luka Bloom, ma pure tutto il resto del contenuto è da godere. Io sarei già contento così, ma ci sono anche i due CD (che potete acquistare, come dettto, anche a parte), con ben 38 canzoni, delle quali 14 mai uscite in questo supporto, e tutte le altre comunque di difficile reperibilità, solo in Irlanda, peraltro su dischetti digitali. Sarebbe troppo lungo parlare dei contenuti completi comunque vediamo almeno una disamina delle cose più interessanti: come curiosità gli ultimi tre brani del secondo CD, che cronologicamente sono i più vecchi, tratti da Paddy On The Road del 1969, disponibile solo come CDR riversato da vinile sul suo sito, e dove Moore è accompagnato da un gruppo di vecchi jazzisti, che in comune con Christy avevano solo la passione per la birra, comunque piacevoli e la classe già si intravede, anche se sembra di ascoltare i Dubliners  . Tra gli “inediti”: da Whatever Tickles Your Fancy del 1975, l’intensa Home By Bearna che sembra una canzone dei Planxty, One Last Cold Kiss, in versione elettrica, con Jimmy Faulkner alla solista, che anticipa il sound dei Moving Hearts, grazie all’intreccio tra il violino di Kevin Burke della Bothy Band e la sezione ritmica più rock, con un sound che ricorda Fairport Convention e Steeleye Span https://www.youtube.com/watch?v=nvV0pUIRrtY , stesso discorso anche per The Ballad Of Tim Evans, il pezzo di MacColl e Peggy Seeger e la ballata What Put The Blood, peccato non ci sia dallo stesso album Van Diemen’s Land.

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Dal disco omonimo del 1976, registrato oltre che con Burke, con Andy Irvine e Donal Lunny, che segna un ritorno ad un suono più folk, molto belle Nancy Spain, la cover di Sacco & Vanzetti di nuovo di Woody Guthrie, i due brani tradzionali Boys Of Mullabawn e Galtee Mountain Boy, oltre a Dalesman’s Litany, dove c’è anche Jimmy Faulkner. Se dovessi fare un appunto, peccato che i brani non siano in ordine cronologico, ma assolutamente alla rinfusa: comunque ci sono anche ben cinque canzoni dal bellissimo Live In Dublin 1978, tra le quali una sublime Black Is The Colour Of My True Love’s Hair (anche nel repertorio del fratello Luka Bloom) https://www.youtube.com/watch?v=_BSayZKazMI , l’intensa Clyde’s Bonnie Banks e una intricata Bogey’s Bonnie Belle, con tre chitarre acustiche, altri cinque brani vengono da The Iron Behind The Velvet, la deliziosa musicalmente The Sun Is Burning, presente anche nel DVD https://www.youtube.com/watch?v=gg5UN8xoE00 , la sognante (visto il titolo) John O’Dreams, che non si trovava nel vinile originale, e il medley tra Trip To Jerusalem con Two Reels: The Mullingar Races; The Crooked Road, con una grande prestazione anche strumentale di Christy a chitarra e bouzouki, il fratello Barry alla chitarra, Andy Irvine al mandolino, Noel Hill alla concertina, Tony Linnane al violino, Gabriel McKeon alle uilieann pipes e Jimmy Faulkner alla chitarra, sentire per credere.

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In gran parte di questi brani appariva come ingegnere del suono e produttore Nicky Ryan, eminenza grigia della musica irlandese e futura “mente” dei Clannad e di Enya. Le ultime due chicche sono le versioni in studio di House Down In Carne, (con Faulkner alla slide e Basil Kendricks alla pedal steel) https://www.youtube.com/watch?v=b_uFP_rh2l8  e 90 Miles To Dublin, i due brani antinucleari che ai tempi uscirono come singolo. Che dire, se volete conoscere il “primo” Christy Moore, quello che era più un interprete (ma poi nelle decadi successive avrebbe rimediato) che un autore, anche se tutti i brani tradizionali venivano arrangiati in preziose scritture dal musicista irlandese, e anche se avete già quasi tutto, vale le pena, perché il DVD è totalmente inedito e le canzoni, sentite tutte insieme, sono veramente rappresentative dell’arte di questo grande musicista. Quindi come lo giriate, ancora una volta un indispensabile ascolto per chi ama la buona musica.

Nei prossimi giorni anche un bel articolo retrospettivo sul grande folksinger irlandese.

Bruno Conti

A Parte Il Costo Alto E Le Molte Ripetizioni, Due Cofanetti Eccellenti. Cat Stevens – Mona Bone Jakon/Tea For The Tillerman Super Deluxe Editions

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Cat Stevens – Mona Bone Jakon – Island/Universal Deluxe 2CD – Super Deluxe 4CD/BluRay/LP/12” EP Box Set

Cat Stevens – Tea For The Tillerman – Island/Universal Deluxe 2CD – Super Deluxe 5CD/BluRay/LP/12” EP Box Set

Durante l’appena concluso 2020 ci siamo occupati spesso di Yusuf, cantautore inglese che tutto il mondo conosce come Cat Stevens: in agosto ho recensito il box dedicato a Back To Earth, suo ultimo album del 1978 prima di dedicarsi anima e corpo alla religione islamica https://discoclub.myblog.it/2020/08/08/e-finalmente-uscito-il-cofanetto-piu-rimandato-della-storia-cat-stevens-back-to-earth-super-deluxe-edition/ , poi a settembre Bruno ha parlato di Tea For The Tillerman 2, versione reincisa ex novo del suo capolavoro del 1970 https://discoclub.myblog.it/2020/10/19/anche-questo-disco-compie-50-anni-facciamolo-di-nuovo-cat-stevensyusuf-tea-for-the-tillerman2/ , aggiungendo poi una esauriente retrospettiva sull’artista in due puntate https://discoclub.myblog.it/2020/10/26/da-cat-stevens-a-yusuf-e-ritorno-parte-i/ . Evidentemente però Cat/Yusuf ha deciso di battere ogni record di pubblicazioni in un anno, in quanto ha appena immesso sul mercato due monumentali (e parecchio costosi, circa 140/150 euro l’uno) cofanetti che celebrano i cinquanta anni dei suoi due album usciti nel 1970, Mona Bone Jakon e appunto Tea For The Tillerman, con la stessa veste del box di Back To Earth (lasciando quindi presumere che l’operazione continuerà nei prossimi anni con il resto della sua discografia “classica”, saltando quindi i primi due album usciti per la Deram)  https://www.youtube.com/watch?v=TaYrqG0tpPM&feature=emb_logo.

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Detto che entrambi i cofanetti sono davvero eleganti e contengono uno splendido libro pieno di foto inedite e con molto materiale da leggere, mi soffermerò soltanto sui contenuti inediti dal momento che i due album originali sono stati già esaminati con dovizia di particolari da Bruno pochi mesi fa. Una cosa devo però dirla, e cioè che purtroppo tutti e due i box sono pieni di ripetizioni che servono solo a far lievitare il prezzo: nell’ordine abbiamo i primi due CD di ciascun cofanetto con il disco originale una volta rimasterizzato e l’altra remixato per l’occasione (con una fedeltà sonora devo dire spettacolare), poi lo stesso album è presente anche in vinile (nella versione remix) e nella parte audio del Blu-Ray in diverse configurazioni sonore, mentre le canzoni contenute nei due EP da dodici pollici sono presenti anche nella parte live dei CD. In più, il box di Tea For The Tillerman ha un CD in più che però non è altro che la nuova versione uscita a settembre, che tutti i fan del “Gatto” avevano già comprato ed ora è quindi praticamente inutile. Ma veniamo ai contenuti.

Cat Stevens Wearing Leather Jacket (Photo by © Shepard Sherbell/CORBIS/Corbis via Getty Images)

Cat Stevens Wearing Leather Jacket (Photo by © Shepard Sherbell/CORBIS/Corbis via Getty Images)

Il terzo CD del box di Mona Bone Jakon presenta nove demo acustici (e inediti), canzoni già molto belle in questa veste anche perché non è che le versioni finali fossero così tanto strumentate, con una menzione particolare per Maybe You’re Right, I Think I See The Light, Trouble e Katmandu https://www.youtube.com/watch?v=-QGaMRxwP3E . C’è anche un inedito assoluto: I Want Some Sun, una folk song allegra e solare che forse non è tra le canzoni migliore mai scritte dal nostro ma ci regala ottimi intrecci chitarristici tra Cat e Alun Davies ed un tamburello a scandire il ritmo, al punto che non sembra neanche un demo https://www.youtube.com/watch?v=MsaU6qBzZXQ . Il quarto CD presenta una selezione di brani dal vivo dell’epoca, anche qui inediti, alcuni con Stevens da solo con Davies ed altri con la band alle spalle. Ci sono pezzi presi da trasmissioni televisive come BBC Live In Concert https://www.youtube.com/watch?v=-oDCddzjju0 , Beat Club in Germania https://www.youtube.com/watch?v=upDra9zWqgg  e Pop Deux in Francia, e veri e propri concerti come i sei brani suonati al Plumpton Jazz & Blues Festival (che si ripetono nell’EP in vinile), che purtroppo sono l’unico caso dei due box di registrazione tipo bootleg, e pure di bassa qualità, al punto che mi chiedo se non ci fosse un altro show inciso meglio https://www.youtube.com/watch?v=sNn2q_E54GU .

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I brani sono tutti abbastanza simili all’arrangiamento originale ma sempre piacevoli, e non mancano diverse ripetizioni: abbiamo infatti ben quattro Lady D’Arbanville, tre Maybe You’re Right, due Katmandu e così via. Infine troviamo anche due pezzi in anteprima da Tea For The Tillerman (i futuri classici Where Do The Children Play e Father And Son) ed anche Changes IV da Teaser And The Firecat, anche se tutte e tre purtroppo provengono dal concerto di Plumpton.

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Passiamo al cofanetto di Tea For The Tillerman (a proposito, ascoltando uno in fila all’altro la versione originale del 1970 e quella rifatta del 2020 si notano ancora di più le differenze qualitative a favore della prima), che ha nel CD dedicato ai demo e takes alternate molte più canzoni rispetto a quello di Mona Bone Jakon, anche se gli inediti sono solo quattro: i demo di Don’t Be Shy e If You Want To Sing Out, Sing Out https://www.youtube.com/watch?v=43926A8jOM8 , due belle canzoni finite all’epoca nella colonna sonora del film Harold & Maude (e presenti anche nelle versioni originali) e soprattutto due brani mai sentiti prima, l’ottima ed orecchiabile folk song Can This Be Love?, eseguita con forza e pathos, e It’s So Good che invece è piuttosto nella media. Completano il tutto alcuni brani già apparsi nell’edizione doppia dell’album uscita nel 2008 e nello splendido box del 2001 dedicato alla carriera di Cat https://www.youtube.com/watch?v=WdF-Z9aRJHI : i demo di Wild World e Miles From Nowhere, pezzi rimasti fuori dall’album originale come The Joke, I’ve Got A Thing About Seeing My Grandson Grow Old e Love Lives In The Sky (che rispunterà nel 1975 con il titolo di Land O’ Freelove And Goodbye, forse l’unica bella canzone dell’album Numbers), la take alternata di But I Might Die Tonight usata nel film Deep End ed il grazioso duetto con Elton John in Honey Man https://www.youtube.com/watch?v=OgrNdWHC6xE .

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Il quinto CD contiene una lunga serie di brani dal vivo registrati tra il 1970 e 1971, e rispetto al box precedente questi provengono solo dal disco che viene celebrato (l’annuncio ufficiale del cofanetto riportava in scaletta anche Changes IV, Moonshadow e Peace Train, ma in realtà non ci sono): sono presenti quindi tutte le canzoni di Tea For The Tillerman con l’eccezione di But I Might Die Tonight e, purtroppo, Sad Lisa (che è una delle mie preferite in assoluto del Gatto), mentre di Wild World ne compaiono ben cinque versioni. Tutti i brani sono inediti tranne due dei sette registrati al Troubadour di Los Angeles https://www.youtube.com/watch?v=C4tW42ZylO4  (che compaiono anche nell’EP a 12 pollici) che aprono il CD https://www.youtube.com/watch?v=Eo5xguHjo4M ; si prosegue poi con sei pezzi i KCET Studios sempre a L.A https://www.youtube.com/watch?v=Iz_x9WrSdOM ., tre alla BBC https://www.youtube.com/watch?v=xBjlKMGdjjA , due al Beat Club tedesco https://www.youtube.com/watch?v=8KZF9Yeu9GU , uno in Francia ed una fluida ed applauditissima Father And Son al Fillmore East https://www.youtube.com/watch?v=csiP8e-bc58 .

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Sono già in fremente attesa per il box dedicato a Teaser And The Firecat (album che forse preferisco leggermente anche a Tea For The Tillerman), che presumibilmente uscirà nel 2021, ma sono proprio curioso di sapere cosa si inventerà Cat Stevens nei prossimi anni per rendere interessanti dischi come Numbers o Izitso. Quindi, concludendo, lasciamo a Cat Stevens la paternità nel 2020 dell’Year Of The Cat, anche perché nel 2021 il vero detentore del titolo, Al Stewart, pubblicherà l’album omonimo sotto forma di cofanetto, per l’uscita nel 45° Anniversario del disco.

Marco Verdi

Ma Non Lo Avevo Già Recensito Un Anno Fa? The Who – WHO/Live At Kingston

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The Who – WHO/Live At Kingston – Polydor/Universal 2CD

Uno degli eventi musicali del 2019 è stato senza dubbio il ritorno degli Who con un nuovo album di inediti: WHO era un buon disco, non un capolavoro ma un CD che vedeva Roger Daltrey e Pete Townshend in forma più che accettabile sia dal punto di vista strettamente musicale che, nel caso di Townshend, del songwriting (e questa era la cosa sulla quale avevo più dubbi). In pratica, il loro album migliore da Who Are You del 1978 https://discoclub.myblog.it/2019/12/15/indovinate-un-po-chi-e-tornato-a-fare-dischi-the-who-who/ : detto così potrebbe sembrare un’esagerazione, ma poi se andiamo a vedere nelle ultime quattro decadi la storica band britannica aveva pubblicato solo i discontinui Face Dances e It’s Hard nei primi anni ottanta e Endless Wire nel 2006, discreto ma nulla più. A distanza di un anno WHO viene ripubblicato con una bonus track, una versione alternata di Beads On One String più aderente al demo originale di Townshend, ma soprattutto con un CD aggiuntivo intitolato Live At Kingston (che è Kingston-upon-Thames, non la capitale della Giamaica), registrazione di un mini-concerto acustico che i nostri hanno tenuto in un piccolo teatro della cittadina inglese il 14 febbraio di quest’anno, cioè a 50 anni esatti dal mitico show di Live At Leeds e pochi giorni prima che il mondo, Cina esclusa, sprofondasse in un’apocalisse pandemico-economica.

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Personalmente detesto questa pratica sempre più comune di costringere i fans a ricomprare a poco tempo di distanza dall’uscita originale gli stessi dischi arricchendoli di contenuti inediti, ma devo ammettere che dopo aver ascoltato Live At Kingston posso affermare che ci troviamo di fronte ad un mini-album (che comunque dura 37 minuti) davvero bello e riuscito, un concerto godibile, grintoso ed energico da parte di un gruppo (anzi, ormai sono un duo) in forma eccellente, al punto che dopo pochi minuti non vi accorgerete neppure che la spina è staccata: diciamo solo che avrebbero potuto metterlo in commercio da solo e non con un album che tutti i fan della band avevano già comprato. Roger e Pete, entrambi alla chitarra acustica, sono accompagnati da Simon Townshend, fratello di Pete ed anche lui alla sei corde, Phil Spalding al basso, Jody Linscott alle percussioni e Billy Nicholls alle armonie vocali. Dopo un’introduzione parlata molto ironica e divertente, i nostri mettono subito in chiaro il loro stato di forma con Substitute, eseguita in maniera potente e con un uso molto pronunciato del basso, che insieme alle percussioni, alle tre chitarre ed alla voce stentorea di Daltrey riesce a creare un muro del suono di notevole impatto https://www.youtube.com/watch?v=oKB3Ri50lKA .

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Squeeze Box è sempre stata una delle migliori canzoni degli Who tra quelle uscite negli anni settanta e la veste acustica le si addice particolarmente, melodia contagiosa ed accompagnamento strumentale decisamente trascinante, mentre Tattoo non è famosissima (era su Sell Out, ed i nostri non la suonavano dal 2008), ma è comunque un brano notevole, con gli stacchi chitarristici tipici di Pete e quell’approccio tra rock e teatralità che avrà la sua massima espressione in Tommy. The Kids Are Alright è sempre una grande canzone comunque la si faccia, con i suoi cori molto anni sessanta ed il ritmo travolgente https://youtu.be/wQfvHtDNGc8 , e precede due tra i brani più riusciti dell’ultimo album, cioè la deliziosa Break The News, che qui assume tonalità country-rock, e la ballata She Rocked My World, dal mood spagnoleggiante https://www.youtube.com/watch?v=cn9XVEVwbu0 . Finale con la classica Won’t Get Fooled Again, un brano che non ha certo bisogno di presentazioni e che fa la sua bella figura anche in questa rilettura stripped-down e leggermente rallentata, con solo Roger e Pete sul palco https://www.youtube.com/watch?v=UqJni3pC2hg  (già che c’erano potevano pubblicare il concerto completo, dal momento che hanno lasciato fuori pezzi come Behind Blue Eyes e Pinball Wizard). Quindi un dischetto ottimo e coinvolgente, diverso dai soliti live degli Who: peccato che per averlo dovrete ricomprare un album che possedete già. In poche parole: quattro stelle a Live At Kingston, due all’operazione commerciale.

Marco Verdi

Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 2: No Trendy Réchauffé

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David Bowie – No Trendy Réchauffé – Parlophone/Warner CD – 2LP

Secondo appuntamento con il box “a rate” Brilliant Live Adventures, che raccoglierà sei concerti che David Bowie tenne negli anni 90, anche se per la maggior parte dei fans il cofanetto, nel senso di contenitore dei CD o LP, rischia di restare virtuale in quanto è esaurito praticamente da subito (e lo facevano pure pagare). Ad ottobre era uscito Ouvrez Le Chien, che documentava uno show del Duca Bianco a Dallas nel 1995 durante il tour di Outside, mentre oggi mi occupo di No Trendy Réchauffé, dedicato ad una serata sempre dalla stessa tournée ma inerente alla parte europea, e precisamente quella del 13 dicembre 1995 al National Exhibition Centre di Birmingham, ultimo concerto di quell’anno e che sarebbe dovuto uscire all’epoca come live album ma poi non se ne fece più niente (ancora non si sa nulla del terzo volume, che è previsto entro fine 2020, ma voci di corridoio indicano Something In The Air, un live del 1999 già uscito l’estate scorsa solo come download).

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Facendo parte dello stesso tour ed essendo stato registrato esattamente due mesi dopo lo show di Dallas, questo No Trendy Réchauffé ha parecchi punti di contatto con Ouvrez Le Chien: in primis la band, che è la stessa (e nella quale spiccano i due chitarristi Reeves Gabriels e Carlos Alomar, la bassista e cantante Gail Ann Dorsey ed il pianista Mike Garson), ed in secondo luogo la setlist, che è per circa metà identica. Infatti questa serata a Birmingham condivide con Dallas ben otto canzoni, tutte in versioni abbastanza simili: Look Back In Anger, The Voyeur Of Utter Distruction (As Beauty), The Man Who Sold The World, I Have Not Been To Oxford Town, Breaking Glass, Teenage Wildlife, Under Pressure e We Prick You. Come punto a favore di questo secondo volume mi sembra di notare una maggiore amalgama di gruppo, un Bowie più convinto e grintoso ed un suono più potente e coinvolgente, tutte cose che rendono quindi No Trendy Réchauffé leggermente superiore a Ouvrez Le Chien. Ci sono sei canzoni diverse rispetto al primo volume (sarebbero sette, ma una come vedremo tra poco è ripetuta), che partono con Scary Monsters (And Super Creeps) in una versione molto energica e nervosa, quasi pressante e decisamente più rock che sul disco originale del 1980, grazie anche all’apporto chitarristico di Gabriels.

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Hallo Spaceboy è un brano ancora dalla ritmica sostenuta ed un mood abbastanza straniante ed ossessivo, anche se una delle qualità di Bowie era quella di riuscire a rendere sufficientemente fruibili anche pezzi all’apparenza ostici: in fondo al concerto i nostri la suonano di nuovo per quello che nelle intenzioni doveva essere il videoclip del nuovo singolo, immagini che però poi non verranno usate. La funkeggiante Strangers When We Meet è molto più diretta ed orecchiabile, una pop song di classe tipica di Bowie con qualche rimando a Heroes https://www.youtube.com/watch?v=TOz4G01rjYU , mentre la lenta The Motel dopo un inizio piuttosto cupo si sviluppa distesa e viene impreziosita da un eccellente uso del pianoforte da parte di Garson. Restano ancora da menzionare la danzereccia Jump They Say, non esattamente una grande canzone, e la classica Moonage Daydream (uno dei brani di punta di Ziggy Stardust https://www.youtube.com/watch?v=BWEnkX0fgoY ), che invece è splendida ed è ulteriormente migliorata da una strepitosa coda chitarristica di Gabriels, nella parte che in origine era di Mick Ronson.

Marco Verdi

Un Ritorno Al Passato Per Il Grande Cantautore…Purtroppo Anche Nel Suono! Neil Diamond – Classic Diamonds

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Neil Diamond With The London Symphony Orchestra – Classic Diamonds – Capitol/Universal CD

Una delle ultime mode del mercato discografico, specie in prossimità delle feste natalizie, è prendere incisioni originali di grandi artisti e rivestirle con arrangiamenti orchestrali registrati ad hoc, quasi sempre con risultati discutibili se non di cattivo gusto. L’onore, sia fa per dire, di questo tipo di operazione è stato riservato ad Elvis Presley (tre volte), Roy Orbison, Buddy Holly (l’unica ben fatta a mio parere), ma anche con cantanti ancora più o meno in attività ma sempre con tracce vocali “vintage”, come Rod Stewart, Beach Boys ed Aretha Franklin (poco prima della sua scomparsa), mentre al momento di scrivere queste righe è in uscita un episodio analogo dedicato a Johnny Cash, uno che ha sempre fatto dell’essenzialità del suono una ragione di vita e che quindi non aveva certo bisogno di orchestrazioni. Uno che invece in un certo tipo di sonorità ci ha sempre sguazzato mani e piedi è Neil Diamond, che solo in anni recenti ha intrapreso un percorso di canzoni arrangiate in maniera più sobria grazie all’aiuto di Rick Rubin, che ha rilanciato nel 2005 la sua carriera proprio come aveva fatto con Cash negli anni novanta.

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Ma in passato il cantautore newyorkese aveva quasi sempre badato più alla forma che alla sostanza, annegando i suoi brani in un mare di melassa (tranne che negli esordi degli anni sessanta ed in qualche album qua e là, come Beautiful Noise del 1976, prodotto da Robbie Robertson) a discapito delle canzoni stesse, che avrebbero meritato una mano più leggera in quanto il nostro come songwriter non ha mai avuto paura di nessuno. Quest’anno il presidente della Capitol Records, Steve Barnett, ha avuto l’idea di pubblicare un disco con alcuni evergreen di Diamond arrangiati con un’orchestra, ma questa volta si è deciso di coinvolgere lo stesso artista per fargli incidere le parti vocali ex novo. Diamond ha ancora una grande voce nonostante il Parkinson che lo ha costretto al ritiro dai concerti (ma che evidentemente non gli impedisce di cantare), e si è prestato volentieri all’operazione, nella quale è stata coinvolta la London Symphony Orchestra https://www.youtube.com/watch?v=rp80xRD1U-E , un gruppo filarmonico di 70 elementi che si è riunito negli studi di Abbey Road a registrare nuove partiture sotto la produzione di Walter Afanasieff, uno che nel suo curriculum ha dei nomi che mi tremano i polsi solo a scriverli: Mariah Carey, Celine Dion (c’era lui dietro la consolle in My Heart Will Go On), Kenny G ed i New Kids On The Block.

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Il problema principale di Classic Diamonds sono quindi gli arrangiamenti, decisamente melensi e magniloquenti, in cui spesso la voce di Neil è accompagnata solo dall’orchestra e senza chitarre o sezione ritmica rendendo l’ascolto a lungo andare piuttosto pesante: è un peccato dal momento che le grandi canzoni non mancherebbero, titoli che non hanno bisogno di presentazioni come Beautiful Noise, I Am…I Said, I’m A Believer, Holly Holy, Love On The Rocks e Sweet Caroline   ma la veste sonora greve affossa tutto come in Hello Again o nella già citata I’m A Believer, che è rallentata all’inverosimile diventando una ballata soporifera https://www.youtube.com/watch?v=HfmmZUVPf00 , o le ridondanti Song Sung Blue e America https://www.youtube.com/watch?v=_HM5FOXWeBo . Alcuni pezzi erano già poco digeribili nelle loro versioni originali (September Morn, You Don’t Bring Me Flowers, Play Me), e questo trattamento non può che peggiorare le cose. Alla fine gli episodi migliori sono quelli in cui l’orchestra non è troppo invadente o quando la voce del leader è affiancata da una strumentazione “rock” (termine da prendere con le molle), come nel caso di I Am…I Said, Holly Holy, con un bel coro gospel alle spalle (forse la rivisitazione più azzeccata), Love On The Rocks, che se lasciamo da parte l’arrangiamento è una ballata coi fiocchi, o la conclusiva Sweet Caroline, che comunque la si faccia rimane una grande canzone https://www.youtube.com/watch?v=_HM5FOXWeBo .

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Classic Diamonds è dunque l’ennesima operazione voce/orchestra poco riuscita, e piacerà solo ai fans del Neil Diamond più sdolcinato ed enfatico.

Marco Verdi

Un Piacevole “Scherzetto” Da Parte Dello Zio Bob: Il 26 Febbraio Esce Il Triplo “ Bob Dylan 1970”.

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Bob Dylan – 1970 – Sony 3CD 26/02/2021

A partire dal 2012, con cadenza annuale, la Sony ha immesso a sorpresa una serie di album multipli, inizialmente in LP e poi in CD, che riguardavano tutto ciò di inedito a livello di sessions che Bob Dylan aveva inciso 50 anni prima, allo scopo di proteggere il copyright (che in Europa scade appunto dopo mezzo secolo) e di evitare il proliferare di bootleg che altrimenti sarebbero stati perfettamente legali. Il problema che queste pubblicazioni non sono state pensate per una commercializzazione su larga scala, e quindi vengono immesse senza alcun battage pubblicitario, sempre verso fine anno ed in pochissimi negozi inglesi, francesi e se non sbaglio anche olandesi, diventando in breve degli ambitissimi oggetti da collezione e raggiungendo cifre da capogiro su Ebay. Ciò è avvenuto appunto nel 2012, 2013 e 2014 (rispettivamente per gli anni 1962, 1963 e 1964), mentre per il bienno 1965-66 ci hanno pensato la versione limitata “Big Blue” del dodicesimo episodio delle Bootleg Series dylaniane The Cutting Edge ed il “cubo” con le registrazioni complete del tour del 1966. Stessa cosa per i Basement Tapes, riepilogati nel Bootleg Series Vol. 11, mentre le poche sessions inedite di John Wesley Harding sono finite lo scorso anno in Travelin’ Thru insieme a quelle di Nashville Skyline (con e senza Johnny Cash) ed in parte Self Portrait.

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Nel 2019 però è ricominciata la prassi di far uscire senza preavviso la Copyright Collection (e dallo scorso anno pochissime copie sono state messe in vendita anche sul sito inglese Badlands) con tutte le sessions del 1969 che non erano finite su Travelin’ Thru e su Another Self Portrait, un dischetto interessante ma forse non indispensabile dal momento che il meglio era già stato pubblicato. Quest’anno è successo ancora, ma a differenza del 1969 le sessions del 1970 erano ancora per certi versi inesplorate, in quanto vertevano più che altro sull’album New Morning che era stato appena sfiorato dai Bootleg Series passati (anche se non manca ancora qualcosa da Self Portrait), ma soprattutto c’erano le nove canzoni incise il primo maggio insieme a George Harrison, una sessione più volte mitizzata e piratata. Inutile dire che sul sito della Badlands il triplo CD (72 canzoni), messo in commercio di punto in bianco lo scorso 30 novembre, è andato esaurito praticamente in due minuti, ma dato l’alto interesse musicale oltre che collezionistico della pubblicazione (che vede Dylan reincidere anche brani del suo periodo folk ed affrontare gustose ed inattese cover) in questa occasione le quotazioni su Ebay hanno toccato livelli di assoluta follia, partendo da basi d’asta di circa 500 euro fino ad arrivare a chiusure che si aggiravano sui duemila euro. La cosa deve aver attirato non poco l’attenzione della Sony (e forse dello stesso Dylan), in quanto con una mossa senza precedenti pochi giorni fa è stata annunciata l’uscita per il prossimo 26 febbraio di 1970, una versione della Copyright Collection disponibile su larga scala e con una nuova copertina, un evento abbastanza unico e per certi versi insperato dal momento che non farà parte delle Bootleg Series ma rimarrà un episodio a sé stante (ed il tempo ci dirà se sarà il primo di una nuova serie).

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E’ ovvio che il pensiero, non senza una punta di perfida soddisfazione, è andato verso quelli che hanno investito un capitale per accaparrarsi la versione “limitata” qui sopra, ed ora la vedono alla portata di tutti per la modica cifra di circa 30 euro, ma più ancora avrei voluto vedere la faccia di quelli che avevano ancora in essere una scommessa su Ebay e magari alla scadenza sono riusciti a vincerla essendo così costretti a strapagare una cosa che fra due mesi avrebbero potuto avere con il costo di una cena in pizzeria per due persone. E per aggiungere un’ulteriore beffa, 1970 conterrà due canzoni in più della versione del copyright! Ma entriamo nel dettaglio della pubblicazione. Come ho scritto poc’anzi, il grosso di queste sedute riguarda l’album New Morning che uscirà verso la fine del ‘70, ma alcune cose faranno in tempo a finire (non in queste versioni) su Self Portrait ed altre ancora come Lily Of The West, Spanish Is The Loving Tongue, l’hit di Elvis Presley Can’t Help Falling In Love e Sarah Jane verranno inserite sull’album “rinnegato” Dylan (ma qui abbiamo comunque takes alternate). Nei vari momenti suonano con Bob diversi musicisti di nome: nelle sessions di marzo troviamo David Bromberg alla chitarra e Al Kooper all’organo, che torneranno a giugno con una nuova sezione ritmica formata da Charlie Daniels al basso e Russ Kunkel alla batteria (con Ron Cornelius come chitarrista aggiunto).

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E poi c’è la già citata seduta del primo maggio, con Harrison alla solista https://www.youtube.com/watch?v=EKEGgIfIrUE&feature=emb_logo  e dietro le spalle Daniels e Kunkel (oltre al produttore Bob Johnston al piano): dopo un breve rehersal di Time Passes Slowly, Bob e George si divertono a suonare cose per il puro piacere di farlo, dato che era chiaro che il nuovo album non avrebbe avuto al suo interno nuove riletture full band di classici dylaniani della prima ora come Mama, You’ve Been On My Mind, It Ain’t Me, Babe, One Too Many Mornings e Gates Of Eden, né l’uno-due di brani di Carl Perkins (di cui George era grande fan) Matchbox e Your True Love, l’evergreen degli Everly Brothers All You Have To Do Is Dream o addirittura un divertente medley di due hit delle “girl groups” Shirelles e Crystals I Met Him On A Sunday/Da Doo Ron Ron. Ma oltre a Harrison c’è molto di più, e forse la parte meno interessante sono proprio le takes alternate dei brani di New Morning (con l’eccezione di If Not For You, della quale c’erano versioni migliori di quella poi finita sul disco originale), in quanto Bob si lancia in godibili riletture di canzoni che non ti aspetti da lui come Yesterday dei Beatles (sempre il primo maggio ma senza George), I Forgot To Remember To Forget di Elvis, Cupid di Sam Cooke, Universal Soldier di Buffy Sainte-Marie, Jamaica Farewell di Harry Belafonte ed Alligator Man di Jimmy C. Newman, quest’ultima in due gustose versioni, una rock’n’roll ed una country.

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Detto di un paio di strumentali senza titolo, più un riscaldamento che brani veri e propri, e della ripresa di altre canzoni passate del songbook dylaniano (Just Like Tom Thumb’s Blues, Rainy Day Women # 12 & 35, I Don’t Believe You, I Threw It All Away, Tomorrow Is A Long Time e perfino Song To Woody), una buona parte del triplo è occupata dalle versioni da parte di Bob di pezzi della tradizione ed altri che lo sono diventati, con menzioni particolari per Come All You Fair And Tender Ladies, Little Moses, Long Black Veil, ed il gospel Bring Me Little Water, Sylvie. Il triplo si chiude con tre canzoni prese da una session abbastanza misteriosa del 12 agosto con Buzzy Feiten alla chitarra e tutti gli altri musicisti sconosciuti, che comprende due ulteriori If Not For You e la non imperdibile Day Of The Locusts. Devo dire che la Sony e Bob Dylan hanno fatto bene a decidere di rendere queste sessioni disponibili al grande pubblico: 1970 è un triplo album perfetto per accompagnare Travelin’ Thru del 2019, e mette la parola fine alle prolifiche sedute del biennio 1969-70.

Ecco la lista completa delle canzoni, dei musicisti e degli autori dei brani presenti nel triplo CD.

[CD1]

March 3, 1970

I Can’t Help but Wonder Where I’m Bound
Universal Soldier – Take 1
Spanish Is the Loving Tongue – Take 1
Went to See the Gypsy – Take 2
Went to See the Gypsy – Take 3
Woogie Boogie

March 4, 1970
Went to See the Gypsy – Take 4
Thirsty Boots – Take 1

March 5, 1970
Little Moses – Take 1
Alberta – Take 2
Come All You Fair and Tender Ladies – Take 1
Things About Comin’ My Way – Takes 2 & 3
Went to See the Gypsy – Take 6
Untitled 1970 Instrumental #1
Come a Little Bit Closer – Take 2
Alberta – Take 5

Bob Dylan – vocals, guitar, piano
David Bromberg – guitar, dobro, bass
Al Kooper – organ, piano
Emanuel Green – violin
Stu Woods – bass
Alvin Rogers – drums
Hilda Harris, Albertine Robinson, Maeretha Stewart – background vocals

May 1, 1970
Sign on the Window – Take 2
Sign on the Window – Takes 3-5
If Not for You – Take 1
Time Passes Slowly – Rehearsal
If Not for You – Take 2
If Not for You – Take 3
Song to Woody – Take 1
Mama, You Been on My Mind – Take 1
Yesterday – Take 1

[CD2]

Just Like Tom Thumb’s Blues – Take 1
Medley: I Met Him on a Sunday (Ronde-Ronde)/Da Doo Ron Ron – Take 1
One Too Many Mornings – Take 1
Ghost Riders in the Sky – Take 1
Cupid – Take 1
All I Have to Do Is Dream – Take 1
Gates of Eden – Take 1
I Threw It All Away – Take 1
I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have Met) – Take 1
Matchbox – Take 1
Your True Love – Take 1
Telephone Wire – Take 1
Fishing Blues – Take 1
Honey, Just Allow Me One More Chance – Take 1
Rainy Day Women #12 & 35 – Take 1
It Ain’t Me Babe
If Not for You
Sign on the Window – Take 1
Sign on the Window – Take 2
Sign on the Window – Take 3

Bob Dylan – vocals, guitar, piano, harmonica
George Harrison – guitar, vocals (Disc 1, Tracks 20 & 24 and Disc 2, Tracks 2-3, 6-7, 10-11, & 16)
Bob Johnston – piano (Disc 1, Tracks 24-25 and Disc 2, Tracks 1-3)
Charlie Daniels – bass
Russ Kunkel – drums

June 1, 1970
Alligator Man
Alligator Man [rock version]
Alligator Man [country version]
Sarah Jane 1
Sign on the Window
Sarah Jane 2

[CD3]

June 2, 1970
If Not for You – Take 1
If Not for You – Take 2

June 3, 1970
Jamaica Farewell
Can’t Help Falling in Love
Long Black Veil
One More Weekend

June 4, 1970
Bring Me Little Water, Sylvie – Take 1
Three Angels
Tomorrow Is a Long Time – Take 1
Tomorrow Is a Long Time – Take 2
New Morning
Untitled 1970 Instrumental #2

June 5, 1970
Went to See the Gypsy
Sign on the Window – stereo mix
Winterlude
I Forgot to Remember to Forget 1
I Forgot to Remember to Forget 2
Lily of the West – Take 2
Father of Night – rehearsal
Lily of the West

Bob Dylan – vocals, guitar, piano, harmonica
David Bromberg – guitar, dobro, mandolin
Ron Cornelius – guitar
Al Kooper – organ
Charlie Daniels – bass, guitar
Russ Kunkel – drums
Background vocalists unknown

August 12, 1970
If Not for You – Take 1
If Not for You – Take 2
Day of the Locusts – Take 2

Bob Dylan – vocals, guitar, harmonica
Buzzy Feiten – guitar
Other musicians unknown

March 3-5 and May 1, 1970 sessions took place at Studio B, Columbia Recording Studios, New York City, New York
June 1-5 and August 12, 1970 sessions took place at Studio E, Columbia Recording Studios, New York City, New York

All songs written by Bob Dylan, except: “I Can’t Help but Wonder Where I’m Bound” by Tom Paxton; “Universal Soldier” by Buffy Sainte-Marie; “Spanish Is the Loving Tongue,” “Alberta,” “Come All You Fair and Tender Ladies,” “Things About Comin’ My Way,” “Fishing Blues,” “Honey, Just Allow Me One More Chance,” “Bring Me Little Water, Sylvie,” “Lily of the West” traditional, arranged by Bob Dylan; “Little Moses” by A.P. Carter; “Thirsty Boots” by Eric Andersen; “Come a Little Bit Closer” by Tommy Boyce, Bobby Hart, and Wes Farrell; “Yesterday” by John Lennon and Paul McCartney; “I Met Him on a Sunday (Ronde-Ronde)” by Shirley Owens, Beverly Lee, Addie Harris, and Doris Coley; “Da Doo Ron Ron” by Phil Spector, Jeff Barry, and Ellie Greenwich; “Ghost Riders in the Sky” by Stan Jones; “Cupid” by Sam Cooke; “All I Have to Do Is Dream” by Boudleaux Bryant; “Matchbox” and “Your True Love” by Carl Perkins; “Alligator Man” by Jimmy C. Newman and Floyd Chance; “Jamaica Farewell” by Irving Burgie; “Can’t Help Falling in Love” by Hugo Peretti, Luigi Creatore, and George David Weiss; “Long Black Veil” by Marijohn Wilkin and Danny Dill; and “I Forgot to Remember to Forget” by Charlie Feathers and Stan Kesler.

Produced for release by Jeff Rosen and Steve Berkowitz
Sessions originally produced by Bob Johnston

Marco Verdi

La Fattoria Non E’ Molto Prolifica, Ma Sforna Prodotti Di Prima Qualità! John Fogerty – Fogerty’s Factory

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John Fogerty – Fogerty’s Factory – BMG Rights Management CD

Quando alcune settimane fa ho letto la notizia che John Fogerty avrebbe pubblicato su CD una selezione dei brani registrati a casa sua con i suoi figli durante il lockdown primaverile e mandati in onda su YouTube ad uno ad uno ogni venerdì sotto il nome di Fogerty’s Factory, ho provato quello che gli anglosassoni chiamano “mixed feelings”: da una parte c’era la soddisfazione di avere un disco nuovo di uno dei miei musicisti preferiti in assoluto, dall’altra non ho potuto nascondere un moto di disappunto per il fatto che per l’ennesima volta l’ex leader dei Creedence Clearwater Revival stava più o meno riproponendo sempre le stesse canzoni. Infatti dal 1997 ad oggi (cioè da quando ha ripreso a fare dischi – lo splendido Blue Moon Swamp – ed esibirsi dal vivo con una certa costanza) il rocker californiano ha spesso “riciclato” i suoi classici pubblicando ben quattro album dal vivo, un’antologia ed un disco di duetti, e l’ultimo lavoro formato da soli pezzi inediti, Revival, risale ormai a 13 anni fa.

In più, memore dell’esperienza low-fi dell’EP The Bridge di Neil Young, temevo che anche Fogerty’s Factory risentisse degli stessi problemi di fedeltà audio. Niente di più sbagliato, in quanto il CD è inciso in maniera decisamente professionale e prodotto con tutti i crismi, e sembra davvero di avere John ed i suoi tre figli (Shane, Tyler e la giovanissima Kelsy Fogerty, tutti alle chitarre, Shane e Tyler anche al basso, Tyler all’organo in un pezzo e Kelsy alla batteria in due) nel salotto di casa nostra. Ma non solo, in quanto l’ascolto dell’album (che celebra i 50 anni del capolavoro dei CCR Cosmo’s Factory sia nel titolo che nella foto di copertina, ora come allora scattata dal fratello di John, Bob Fogerty) si rivela estremamente piacevole e gradito, e dopo pochi secondi che il CD è entrato nel lettore mi sono dimenticato delle mie riserve iniziali. L’album era uscito qualche mese fa sotto forma di EP di sette canzoni ma solo in digitale, ed ora è stato aumentato a 12 (ma rispetto all’EP sono state escluse Down On The Corner e Long As I Can See The Light: perché?) per un totale di 42 minuti di durata.

Queste riletture intime dei vari brani sono quindi molto piacevoli, anche perché i quattro Fogerty se la cavano più che bene alle chitarre e John ha ancora una voce formidabile: l’unico problema può essere l’assenza della batteria in 10 brani su 12, uno strumento molto importante nell’economia delle canzoni di John, ma vista la tecnica piuttosto rudimentale di Kelsy nei due pezzi in cui i tamburi ci sono forse va bene così. I classici del nostro riguardano sia la carriera solista che il periodo CCR: Have You Ever Seen The Rain, Proud Mary, Bad Moon Rising, Fortunate Son e Centerfield, l’unica questa a non essere stata registrata in casa ma in un Dodgers Stadium di Los Angeles completamente vuoto lo scorso 28 maggio, giorno del settantacinquesimo compleanno di John.

Dal repertorio post-Creedence abbiamo anche il rock’n’roll Hot Rod Heart, forse quella che insieme a Fortunate Son soffre di più l’assenza di un batterista, la deliziosa country ballad Blue Moon Nights, la swamp tune Blueboy, uno dei due pezzi in cui Kelsy siede ai tamburi, e la bella Don’t You Wish It Was True, che sembra in tutto e per tutto una outtake dei CCR.

La storica band di Fogerty è rappresentata anche dalla meno nota Tombstone Shadow, roccioso rock-blues con bella prestazione chitarristica ed un drumming piuttosto scolastico, mentre come chicca finale ci sono anche due cover inedite: la splendida City Of New Orleans di Steve Goodman è rallentata e suonata in punta di dita in modo da far uscire la celebre melodia, ed ancora meglio è la rilettura del classico di Bill Withers Lean On Me (in omaggio al suo autore, scomparso lo scorso 30 marzo), una versione magnifica, suonata e cantata splendidamente. Fogerty’s Factory è quindi un piacevolissimo e riuscito intermezzo nella carriera di John Fogerty, anche se prossimamente vorrei davvero leggere il suo nome vicino a nuove composizioni.

Marco Verdi

Un Bel Regalo Di Natale Per Gli Amici Di Reginald! Elton John – Jewel Box

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Elton John – Jewel Box – 8CD Box set Universal/EMI

Di Reginald Dwight, in arte Elton John, anzi Sir Elton John, non esistono molti cofanetti, anzi a memoria ne ricordo solo uno, …To Be Continued, mentre di antologie, a parte le innumerevoli raccolte di successi, ricordo solo la doppia Rare Masters, entrambe uscite negli anni ‘90: quindi questo Jewel Box è una gradita sorpresa per i fans dell’occhialuto cantante, a parte per il prezzo, che dovrebbe essere di circa un centone di euro, benché la confezione sia lussuosa, con un bellissimo librone rilegato inserito nella confezione. Se ne parlava da tempo, ma alla fine l’uscita è stata fissata per il 13 novembre, per inserirsi nell’appetito periodo natalizio, dove le pubblicazione, soprattutto di box, si moltiplicano: negli 8 CD ci sono 148 brani, di cui 60 completamente inediti e altri comunque rari, mai usciti su compact.

Approfondiamo velocemente (anche se per ascoltare il tutto ci ho messo una decina di ore) per vedere se i contenuti valgono la spesa, anche per il fan non accanito. I primi due CD Deep Cuts, presentano una selezione di brani scelti dallo stesso Elton tra la sua sterminata produzione, 31 canzone pescate tra quelle non famosissime, più con un criterio che premia la qualità, scelte tra gli album e non inserite in ordine cronologico, ce ne sono tre estratte dall’album con Leon Russell, altre, molto belle, prese da Tumbleweed Connection, Captain Fantastic, Blue Moves, Goodbye Yellow Brickroad, il disco Duets, da cui proviene The Power con Little Richard e altri album storici, ma Too Low For Zero;, Stones Throw From Hurtin? con un falsetto irritante (anche se l’assolo di Davey Johnstone…) e altre tre o quattro, grazie ma anche no.

Dal terzo CD parte una serie definita Rarities 1965-1971, e qui c’è trippa per gatti: Come Back Baby con i Bluesology, del 1965, è la prima canzone scritta da Elton e la prima incisa in assoluto, Mr. Frantic sempre da quel periodo è del discreto pop/R&B d’epoca, Scarecrow del 1967, il primo brano in assoluto composto con Bernie Taupin, è un demo solo piano e tamburino, seguito da una lunga serie di demo per voce e pianoforte (sedici in tutto), registrati nel 1968, embrionali ma interessanti, qualità sonora buona e già con lo stile del nostro quasi formato, ad occhio, anzi orecchio, nessuno immancabile, alcuni quasi.

Più godibili invece le canzoni incise con una band, sia in forma di demo che versioni compiute, 25 o 26 in tutto (le ho contate), inframmezzate ad altre solo voce e piano: alcune sono le prime versioni alternate di futuri capolavori, come My Father’s Gun, Burn Down The Mission, Madman Across The Water, altre chicche assolute del 67-68 Nina, dedicata alla Simone, da sempre una delle preferite di Elton John, che suona l’organo, la ritmata Thank You For All Your Loving, la complessa Watching The Planes Go By, il piacevole pop di When The First Tear Shows, con uso di fiati, Tartan Coloured Lady, sullo stile di Empty Sky. Nel CD dedicato al 1968 piacevole Hourglass, 71-75 New Oxford Street dall’incedere rock, Turn To me più pop, insomma tutti brani gradevoli, ma forse nulla di indimenticabile,anche se la stoffa si vede, come dimostra il demo di Skyline Pigeon, ma il nostro è ancora acerbo. Dal terzo dischetto di rarities 1968-1971, oltre ai classici citati, Sing Me No Sad Songs, con qualche citazione di future hits.

Mentre decisamente più interessanti sono i due CD di B-Sides: in ordine cronologico, il primo dal 1976 al 1984 contiene il duetto con Kiki Dee Snow Queen, una bella ballata romantica, le due collaborazioni con la cantante francese France Gall, cantate in francese, un altro brano in francese, la bella ballata Conquer The Sun, cito alla rinfusa, perché le canzoni sono veramente tante, lo strumentale Tactics del 1980, la quasi funky Fools In fashion del 1981, e la ritmata Hey Papa Legba, lato B di Blue Eyes del 1982, con la danzerecca Take Me Down To the Ocean dallo stesso 12”, mentre molto bella in chiusura A Simple Man.

Nel CD 1984-2005 lo strumentale per synth Highlander, salterei il materiale anni ‘80, e anche sui primi anni ‘90 stenderei un velo pietoso, appena discreta I Know Why I’m Love dalla raccolta Love Songs del 1997, meglio il rock Big Man In A Little Suit del 1998, molto bella The North Star del 2001, una rara b-side da Songs From The West Coast, quando la qualità della sua musica riprende a salire, e buona anche Did Anybody Sleep With Joan Of Arc dello stesso anno, come pure la bellissima country song con pedal steel So Sad The Renegade del 2004 e sempre dai lati B di Peachtree Road l’ottimo filotto di canzoni A Little Peace, Keep It A Mystery, How’s Tomorrow, Peter’s Song e Things Only Get Better With Love, che alzano drasticamente la qualità delle rarità.

L’ultimo CD ...And This Is Me è una scusa per Elton John per scegliere altre celebri canzoni dal suo songbook, citate peraltro nel sua biografia Me, in uscita sempre in questo periodo (ah il marketing!): Empty Sky, Lady Samantha, Border Song, My Father’s Gun, Philadelphia Freedom, Son For Guy, fino ad arrivare al duetto con Taron Engerton I’m Gonna Love Me Again, dalla colonna sonora di Rocketman. Libro molto bello rilegato, come detto, con la presentazione dello stesso Elton dei brani da Deep Cuts, per cui alla fine della storia diciamo consigliato, ma con riserva, soprattutto per fan appassionati, magari proprio a Natale, come regalo e finanze permettendo, ci si potrà fare un pensierino.

Bruno Conti

Replay: Un Grandissimo Disco…Che Per Ora Non “Esiste”! Phish – Sigma Oasis. “Ora Anche In Formato Fisico”

phish sigma oasis

*NDB L’album è stato pubblicato in questi giorni anche come doppio vinile e, ma solo sul sito della band  https://drygoods.phish.com/product/PHCD247/sigma-oasis-cd-dry-goods-exclusive?cp=null anche come CD. Per cui vi riproponiamo la recensione, uscita il 13 aprile.

Phish – Sigma Oasis – JEMP/ATO Records Download

Lo scorso 2 aprile i Phish, band del Vermont che ormai possiamo definire storica esistendo dal 1983, ha deciso di fare una sorpresa ai suoi fans pubblicando senza alcun battage pubblicitario un nuovo album, intitolato Sigma Oasis. Probabilmente la cosa era già nei piani del quartetto (Trey Anastasio, Mike Gordon, Page McConnell e Jon Fishman), ma l’emergenza coronavirus li ha spinti a bruciare le tappe in modo da dare al loro pubblico della nuova musica per questo lungo periodo di quarantena: purtroppo al momento l’album è disponibile soltanto come download (a pagamento) sulle principali piattaforme, e non è ancora stata resa nota una data di pubblicazione di un eventuale supporto fisico. Sarebbe un vero peccato se non potessimo avere a breve anche il CD tra le mani (parlo ovviamente di chi come il sottoscritto predilige ancora la fruizione vecchio stile, “da divano”), perché già dal primo ascolto Sigma Oasis si rivela non solo superiore al precedente e già ottimo Big Boat https://discoclub.myblog.it/2016/10/18/allora-sanno-grandi-dischi-phish-big-boat/ , e neanche semplicemente l’episodio migliore dalla reunion del gruppo avvenuta nel 2009, ma addirittura al livello dei loro lavori più belli come Rift, Hoist o Billy Breathes.

Registrato in presa diretta nel loro studio The Barn, e anche Sputnik Sound (Nashville TN), Brighter Shade Studios (Atlanta GA) e Flux Studios (New York NY), con la co-produzione di Vance Powell (già collaboratore di Chris Stapleton, Sturgill Simpson, Jack White e Buddy Guy), Sigma Oasis è formato da nove brani che i fans americani della band conoscono già in quanto presenti nelle setilist dei concerti del gruppo da diversi anni (in un caso, Steam, addirittura dal 2011, mentre altri due pezzi, Mercury e Shade, erano stati anche insisi per Big Boat ma poi lasciati in un cassetto), ma che per la maggior parte degli ascoltatori sono inediti. Ebbene, sarà perché i nostri conoscono già queste canzoni a menadito, sarà per la bontà assoluta delle composizioni (tutte a firma di Anastasio con il suo consueto paroliere Tom Marshall, e se non sbaglio è la prima volta in un disco dei Phish), ma Sigma Oasis è un album straordinario, un lavoro in cui il mix di rock, funky, ballate, progressive e tendenza alla jam di Anastasio e soci è a livelli eccellenti, in più con una serie di canzoni di prima categoria (non me ne voglia Gordon, ma Trey è sempre stato il compositore migliore del quartetto): un vero disco rock, con brani spesso lunghi e fluenti in cui i nostri suonano come se fossero nel bel mezzo di un concerto, al massimo della loro ispirazione e creatività.

L’album si apre proprio con la title track, una rock ballad fluida dal suono pieno e potente, con reminiscenze dei Grateful Dead (specie nell’insistito riff di chitarra), un ritornello disteso e godibile ed un’ottima coda strumentale: il disco (scusate se ogni tanto lo chiamo così) si mette fin da subito sui binari giusti. Leaves inizia come uno slow pianistico, poi entra una chitarra acustica e la voce di McConnell che duetta con quella di Anastasio e la melodia si sviluppa sontuosa ed in continuo crescendo, con un bellissimo gioco di voci che si rincorrono ed anche l’aggiunta di un background orchestrale, il tutto condito dalla splendida chitarra di Trey e dalle nitide note del pianoforte di Page: sette minuti fantastici. Everything’s Right di minuti ne dura più di dodici, ed è un gustoso midtempo rock dal ritmo cadenzato con un refrain corale ed un tappeto sonoro leggermente funky: Phish sound al 100%, un brano epico che dal vivo può toccare anche minutaggi maggiori, dato che dal sesto minuto diventa una straordinaria jam con McConnell che si alterna superbamente a piano ed organo e Trey che suona in modalità wah-wah.

Ancora più funky è Mercury, canzone godibile dal ritornello ripetitivo che però entra in testa subito ed ancora elementi “deaddiani” (periodo Shakedown Street), per altri sette minuti e mezzo di musica ad alti livelli; Shade è un toccante lento pianistico sul genere di classici passati del gruppo come Wading In The Velvet Sea, ancora con un emozionante intervento orchestrale ed Anastasio che canta molto bene una melodia non facile, rilasciando nel finale un assolo decisamente lirico, mentre Evening Song, che con i suoi tre minuti e venti è la più breve del lotto, è una rock song rilassata e dal motivo diretto ed accattivante, di nuovo con piano e chitarra in evidenza ed un ritornello corale molto bello. Con i quasi otto minuti di Steam ci rituffiamo in una miscela robusta ma assai fruibile di rock e funky, un suono che ormai è il marchio di fabbrica dei quattro, con Page e Trey strepitosi ai rispettivi strumenti: si sente che i brani di questo album sono già nel loro repertorio da tempo, in quanto si percepisce la sensazione di una coesione e compattezza del suono perfino maggiori del solito.

A Life Beyond The Dream conferma che i Phish sono un gruppo capace di sfornare anche ballate coi fiocchi, e forse questa è la migliore di tutte: sei minuti e mezzo splendidi, con un motivo intenso e profondo ed un accompagnamento molto anni settanta, con organo ed un coro femminile a dare un tocco southern soul ed un finale maestoso tra rock e gospel. Il CD (ehm…volevo dire lo streaming) si chiude alla grande con gli undici minuti della potente Thread, un pezzo creativo e pieno di idee, cambi di ritmo e melodia a go-go ed ennesima prestazione strumentale di valore assoluto, un brano che denota l’influenza che Frank Zappa ha avuto sui nostri. Sigma Oasis è quindi un lavoro eccellente, tra i migliori dei Phish se non addirittura il migliore: spero vivamente che prima o poi esca anche in CD, così avrò meno remore ad inserirlo nella mia Top Ten annuale.

Marco Verdi