Dal Nostro Inviato Nel Passato! David Crosby – Live At The Matrix, December 1970

david crosby live at the matrix

DAVID CROSBY – Live At The Matrix, December 1970 – Keyhole Records

Ehm…ma come? Siamo già alle soglie del 1971? No…non è possibile, ho appena comprato Chunga’s Revenge ed il primo ottobre sono andato a vedere gli Stones al Palalido con mio padre (grazie Palo!)….vuoi mika dire che quel quadratino di umida carta assorbente, con il volto ghignante di Yuri Gagarin stampigliato sopra, mi abbia scombussolato così tanto???  Mah….non ho più il fisico, si vede…

*NDB Questo è il bootleg completo!

Comunque, al momento ho tra le mani questa registrazione pirata, ma con una buona qualità audio, di David Crosby & Friends. In  pratica un’anteprima live al Matrix di San Francisco del suo primo album solo, che dovrebbe uscire il prossimo anno e che si preannuncia molto, molto interessante. Accompagnato da Captain Trips in persona, Jerry Garcia, e da due suoi adepti quali Phil Lesh e Mickey Hart, ci propone alcune sue nuove composizioni, un brano già conosciuto ed alcuni pezzi degli stessi Grateful Dead.

david and the dorks live matrix 70

Il Matrix deve essere un bel posticino accogliente ed informale, al punto da mettere i 4 a loro agio ed in assoluto relax dato che, dopo una bluesata e preparatoria versione di Drop Down Mama, eseguono un meraviglioso brano, per ora inedito, dal titolo: Cowboy Movie. Crosby lo introduce ironizzando e dicendo che insieme ad amici, erano seduti sul divano di casa a guardare la televisione, a mangiarsi appunto una TV dinner e a vedere un B Movie su indiani & cowboys, che ha poi ispirato il pezzo. Trattasi di un vero e proprio capolavoro, che mette in pratica la cosiddetta Legge di Miles: less is more.

La voce di David è perfetta nel declamare le lente e sognanti strofe, che narrano la storia di alcuni banditi che, dopo una rapina al treno, tornano al loro accampamento e vengono traditi dalla bella squaw, che in realtà è una rinnegata dello sceriffo, insomma una della legge. E’ lei che distrae il nostro eroe con le solite moine, il quale, ferito e sconfitto, morirà tristemente alla periferia di Albuquerque, “nella più desolata visione che abbiate mai avuto”.

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Penso sinceramente che questa sia una delle canzoni più belle che abbia mai ascoltato in vita mia. Il basso di Lesh, con il suono fatto di  gomma liquida è grandioso, la batteria di Hart è discreta e  rarefatta, incalzante quando necessario. Ma è la chitarra davvero lisergica e lacerante di Garcia a definire l’atmosfera, insieme alla splendida voce di David, rendendo il brano praticamente un raga di oltre 9 minuti, che vorresti non finisse mai. Mi aspetto che, incisa in studio con tutti i crismi e gli arrangiamenti definitivi, questo pezzo diventi uno dei massimi esempi della musica rock contemporanea. Ma, almeno in questo caso, la bellezza non ha confini e si prosegue con un altro grande pezzo di Crosby, cioè quella Triad rifiutata dai Byrds (che poi ci hanno ripensato) ma registrata dai Jefferson Airplane nel loro album del ’68 Crown Of Creation, anche questa in una grande interpretazione, intensa, rilassata e fluida.

david crosby live matrix 2

Poi è il turno di The Wall Song, anch’essa inedita e forse non ancora debitamente compiuta, ma  sempre nel puro stile di Crosby; quindi Bertha e Deep Elem Blues, dal repertorio classico dei Dead. Quasi a chiudere, ma prima dell’ultima perla, una buona versione dello standard Motherless Children. Dulcis in fundo, il concerto termina con un altro fantastico inedito, Laughing, di 10 minuti abbondanti, in cui tutta la sensibilità e la classe dell’autore e della band che lo accompagna, si manifestano in un brano etereo e spirituale, quanto sublime. Alla fine non resta che rimettere la puntina sul primo solco e riascoltare il tutto ancora molte volte, quasi increduli, abbandonandoci alle paradisiache vibrazioni fluttuanti dallo stereo.

david crosby if i could only

Insomma questo 1970, già ricco di altri capolavori come American Beauty, Zeppelin III, Abbey Road, il Jack Johnson di Miles Davis, solo per citarne alcuni, finisce in grande bellezza, anche se lo scioglimento dei Fab Four, prorio all’inizio del nuovo decennio, mi ha causato una certa paranoia. Quindi non vedo l’ora di ascoltare questo primo album solista di Croz che, stando ad alcune indiscrezioni fatte filtrare dal settimanale Melody Maker, sarà affiancato da tutto il gotha musicale della West Coast. Si sussurra infatti delle collaborazioni di Young, Nash, Joni Mitchell, di alcuni membri dei Jefferson Airplane e dei Dead, altri amici e nomi illustri: insomma le basi per un album davvero epocale ci sono tutte e quindi basta solo attendere https://www.youtube.com/watch?v=Q18Tht5bBtg .

Buon 1971 a tutti & Happy Trails!

Un ringraziamento al mio amico Paolo Canevari, promettente chitarrista, per i suggerimenti storico-biografici.

Jimmy Ragazzon

 

P.s

Da una verifica casuale mi sono accorto che questo è il Post n° 2000 del Blog, e li trovate ancora tutti in rete, quindi tanti auguri in tutti i sensi!

Bruno il Blogger

Torna “Da Musicista A Musicista”. Jimmy Ragazzon Vs. Little Feat – Electrif Lycanthrope

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LITTLE FEAT – Electrif Lycanthrope – Ultrasonic Studio, New York, 1974 – Smokin’

Hola Amigos, Què Pasa?

E’ passato davvero troppo tempo dal mio ultimo contributo a questo bellissimo e libero blog, che il meritevole Bruno coltiva con amore e tanta, tanta passione. Per cui mi voglio scusare e fare ammenda, segnalandovi un piccolo gioiellino di una delle band a cui sono maggiormente affezionato,  i Little Feat del compianto Lowell George. Con la loro originale ed inconfondibile mistura di R&R, Blues, Folk, New Orleans Funk e Jazz-Rock Fusion, centellinati con cura nel loro suono, sono di certo tra i gruppi maggiormente sottovalutati di sempre. La voce, la slide e le inimitabili canzoni di Lowell, la chitarra di Paul Barrère, le tastiere senza limiti di Bill Payne ed una delle migliori sezioni ritmiche di tutti i tempi, cioè Richie Hayward alla batteria (R.I.P.)  Kenny Gradney al basso e Sam Clayton alle percussioni, sono stati, almeno fino alla prematura scomparsa di Lowell, quanto di meglio si potesse ascoltare, sempre se il vostro approccio alla musica fosse stato scevro da pregiudizi e/o chiusure mentali di qualsiasi tipo.

Little_Feat_-_Electrif_Lycanthrope-front-600x600 Copertina del vecchio bootleg

Tra i miei ricordi musicali più vividi c’è il momento in cui, a bordo di una Fiat 127 blu con un buon impianto stereo, ascoltavamo a manetta Waiting For Columbus appena uscito, posteggiati ai giardini della mia cittadina e spesso sloggiati dalle Gafe (i vigili urbani, in stretto slang vogherese) per il troppo baccano. Con l’aiuto di qualche blando tonificante, fu davvero una esperienza trascendentale ed indimenticabile, proprio per la massima energia, l’indiscutibile perizia tecnica dei musicisti (non dimentichiamoci la sezione fiati della Tower Of Power) e l’ironia, le storie e le battute contenute nei testi del Dottore del R&R. Il cambio di velocità in Tripe Face Boogie ci strappava letteralmente dai sedili, scagliandoci in mondi fantastici, più di qualsiasi additivo chimico-organico, anche di buona qualità…

little feat electrif ultrasonic

Come non ricordare personaggi come Juanita, la piccola tossica sexy, Monte 3 Carte, il camionista impasticcato di Willin’ (capolavoro!), Billy il Guercio e tutti gli altri tipi helzapoppiani, che si ritrovavano allo Spanish Moon, a Sausalito, in Bourbon Street o alla stazione merci di New Delhi…quanta bella roba e che tiro…(imprecazione/omissis)…

little feat 1

Beh, splendidi ricordi a parte, questo concerto del ’74, registrato piuttosto bene all’Ultrasonic Studio di New York e tramesso dalla WLIR  radio, riguarda il periodo intermedio della formazione suddetta, con brani tratti dai 4 album già realizzati, cioè da Sailing Shoes fino a Feats Don’t Fail Me Now.  Credo che questo sia un documento importante e consigliatissimo, con almeno lo stesso valore dei dischi in studio, e che dimostri (se ce ne fosse bisogno, ma non è questo il caso) la superba forza LIVE di questa band, riportandoci al periodo d’oro della musica rock, alla sua essenza stessa e ad una delle sue migliori espressioni in fatto di collettivo di musicisti.

little feat 2

Inoltre in questo concerto, nel classico e grandioso medley costituito da Cold, Cold, Cold/Dixie Chicken/Tripe Face Boogie troviamo, solo abbozzati e non sviluppati appieno come in Columbus, certi arrangiamenti un poco arditi e chiaramente ispirati alla Fusion di quel periodo (Miles, Weather Report ecc.). Questa forma musicale derivante dal jazz, fu molto amata da Bill Payne e soci, cosa che creò contrasti interni con Lowell, molto più legato al Blues e al Roots. Vanno anche citate una eccellente versione di Willin’ dalle perfette armonie vocali (ed un piccolo scherzetto) https://www.youtube.com/watch?v=yze10kM1fyI  l’iniziale Rock & Roll Doctor https://www.youtube.com/watch?v=O3Ev0Hht01o , eseguita con un groove degno della migliore Black Music ed una grande versione di On Your Way Down, del Maestro Allen Toussaint https://www.youtube.com/watch?v=PqGatDm-Nqg .

Altri tempi ed altra classe amici, ed uno dei più grandi artisti del R&R a tutto tondo, che ci avrebbe sicuramente regalato altre perle, se solo avesse rallentato un poco. Di Highlanders come Keith ne nascono pochissimi, ma il valore dell’eredità musicale lasciataci da Lowell George è molto importante ed attualissimo.

Quindi mi sembra giusto ricordarlo, condividendo con voi le parole a lui dedicate dai suoi compagni di viaggio e di musica. Parole che ora valgono anche per Richie Hayward, scomparso nel 2010, dopo una lunga lotta contro un male incurabile. Necessitava di un trapianto ma, malgrado il crowdfunding messo in piedi dalla band, altri famosi musicisti ed amici, i soldi non sono arrivati in tempo: e gli USA sarebbero un paese da cui prendere esempio? e la mutua??  la legge Bacchelli???  no comment, fratelli. Meglio lasciarci con questi versi, sinceri e commoventi:

Hey old friend, it’s been such a long time

Since I saw your smilin’ face pressed against my window pane

Though it’s the middle of the night

And we were racin’ the light of the mornin’

All those new thoughts dawnin’

About the wrong and the right

We spent our money so fine

The girls were standing in line

Every other night

Was always the same Paradise without any shame

We’d stay up all night

Tryin’ to find just the right rhymes

And we were fightin’ the good fight

Hangin’ on to the good times

Jimmy Ragazzon

P.S.

little feat today

Comunque i Feat sono ancora in forma ed attivi: ogni anno tengono una specie di convention per amici, fans e chiunque voglia partecipare e addirittura suonare con loro in Jamaica, e dove sennò.

Il prossimo anno, il Ramble On The Island, sarà sulla spiaggia di Negril, dal 4 all’8 marzo, con tutte le info nel loro sito:  littlefeat.net…se solo avessi due lirette in più…

Doppia Razione di… Jono Manson – Angels On The Other Side

 

jono manson angels on the other side

JONO MANSON – Angels On The Other Side – Appaloosa/IRD

*NDB Aggiungo anche la mia “versione dei fatti” alle riflessioni del buon Jimmy che potete (ri)leggere a seguire. Il disco è bello e merita. Repetita iuvant. Buona lettura.

Jono Manson è newyorkese per nascita, residente a Santa Fè, New Mexico, anzi Chupadero (ve lo ricordate il disco della Barnetti Bros Band?) dove si trova il suo studio di registrazione, Kitchen Sink, “americano” puro per il genere di musica che fa e infine italiano d’adozione perché ci ha vissuto e ci viene spesso per fare concerti e produrre dischi di altri, un cittadino del mondo quindi. Ma soprattutto, ed è quello che ci interessa, un bravo musicista: forse non sarà, come si usa dire, di primissima fascia, ma nella sua lunga carriera discografica, che ormai si snoda lungo quattro decadi diverse, prima indipendente ed autogestito negli anni ’80, poi solista con One Horse Town nel 1994 (ripubblicato nel 1998 in Italia dalla Club De Musique), il passaggio molto veloce attraverso una major con Almost Home, uscito come Jono Manson Band per la A&M nel 1995, che lo avrebbe poi scaricato in un nanosecondo, nonostante le ottime critiche ricevute dal disco.

Senza addentrarci in tutta la discografia ha pubblicato anche un disco nel 2003, Gamblers, con Paolo Bonfanti, dove ha esplicitato anche il suo amore per il blues, sempre presente nella sua musica. E poi ha collaborato, sotto varie forme, con decine, anzi centinaia di artisti, la lista è più lunga dell’elenco telefonico, se volete la trovate sul suo sito, http://www.jonomanson.com/discography/. come produttore, ingegnere del suono, musicista, autore, le sue attitudini sono molteplici: giusto per citarne alcune tra le ultime, ha prodotto il bellissimo Far Out dei Mandolin’ Brothers, ha scritto alcune canzoni per Crystal Bowersox, nel CD d’esordio, All That For This per la finalista di American Idol (non storcete il naso, da lì spesso escono buoni cantanti, non è come X Factor!) e una anche per l’ultimo Blues Traveler, Suzie Crack The Whips, e poteva John Popper non ricambiare il favore suonando l’armonica nel disco di Jono?

Jono_Manson

Certo che no, e infatti c’è, con il suo suono inconfondibile, in una bella ballata come Silver Lining. Certo saprete delle altre frequentazioni di Manson che è cugino dei fratelli Ethan e Joel Cohen e buon amico di Kevin Costner a cui ha insegnato a suonare la chitarra, con risultati apprezzabili poi riscontrati nei dischi dei Modern West. Ma veniamo alla nuova prova di Jono Manson, questo Angels On The Other Side che si colloca tra i suoi migliori album in assoluto di sempre: c’è rock, c’è blues, alternanza di pezzi tirati e ballate, un pizzico di folk e country, ma soprattutto tante belle canzoni, scaturite evidentemente da un momento di buona ispirazione e poi realizzate con grande perizia in un disco che non ha nulla da invidiare alla grandi produzioni, anzi, con un suono più ruspante, genuino, direi analogico, rispetto al suono sintetico di molti dischi che escono ultimamente anche da parte di artisti da cui ti aspetteresti ben altro, non faccio nomi!

E così scorrono brani come la stupenda ballata iniziale che dà il titolo al disco, Angel On The Other Side, dove alla slide c’è Jay Boy Adams (scusate ma mi scappa la citazione, questo signore ha fatto due album bellissimi tra il 1977 e il ’78, dove appaiono come ospiti Jackson Browne e David Lindley, e si trovano su CD per la Wounded Bird): qualcuno mi ha detto che questo brano gli ha ricordato John Hiatt, e non credo sia un’offesa, non è che uno si sveglia la mattina e dice, cià faccio un brano come John Hiatt, provaci! Honky Tonky On My Mind, presumo con l’aiuto degli ottimi texani Shurman, ha una bella andatura rock and blues, con la chitarra che taglia il brano in due e Jono che canta veramente bene. Altra ballata sontuosa con The Frame dove la pedal steel e il mandolino di John Egenes dettano il suono, per non dire della roccata There’s A Whole World On Fire, grande suono d’insieme e le derive country di un’altra ballata molto bella come Together Again, perfetta american music con un bel dobro a dare il tocco d’autore.

Snowed In è un’altra piccola lezione su come si deve fare della musica rock d’autore (pensate sempre a quel signore che si chiama John, siamo su quei livelli), con un suono chitarristico che è una goduria. Di Silver Lining si è detto, I’m Gonna Get It va giù di brutto, chitarre, chitarre e ancora chitarre. Angelica, altra bella ballata con la bella voce di supporto di Larkin Gayl, non cede di un millimetro come qualità, The Other Yesterday è un buon mid-tempo e niente male neppure la mandolinata Everything In Me, prima della poderosa conclusione con l’eccellente Grateful, che sono certo Levon Helm avrebbe apprezzato e poi l’organo Hammond è da sballo. Ma non è finita, l’edizione italiana Appaloosa, oltre al libretto con testi e traduzioni in italiano contiene anche una bonus track, Never Never Land che è proprio L’Isola Che Non C’è di Edoardo Bennato, solo voce, piano e chitarra acustica, anche questa sarebbe piaciuta a John Hiatt. Tutto l’insieme piace parecchio a noi ascoltatori, e bravo Jono!

Bruno Conti

Conflitto d’interessi?…What?

Credo sia il dubbio che potrebbe sorgere in molte menti, leggendo questa mia recensione – riflessione sul nuovo album di Jono Manson, amico e produttore artistico anche dell’ultima fatica della band di cui faccio parte. Ma sinceramente non credo che questo possa inficiare il mio parere e quindi me ne faccio una ragione e comincio col dirvi che trattasi di ottima musica. La cosa è facilmente deducibile sin dalla title  track che apre l’album, fine ballata in inconfondibile Jono’ style, con un testo evocativo e dolci chitarre a stendere un delicato tappeto sonoro sotto ai versi che, come in buona parte del cd, riflettono il momento di grazia e felicità dell’autore

 

A partire dalla prima strofa emergono l’ottimismo per questo positivo periodo di vita, l’amore per la sua famiglia e per la musica che lo accompagna sempre. Penso che questo brano potrebbe essere inserito in una immaginaria mini-suite, insieme a The Frame, Together Again (la mia preferita ed impeccabile ballata) e Grateful che, in vario modo e con diverse sfumature musicali,  ribadiscono la sensazione di gioia e pace interiore. Mi riferisco in particolare ai testi, alle parole che, malgrado il T9 e tutte le infernali tecnologiche innovazioni del momento, se sono pensate e sentite hanno ancora un importante e fondamentale significato, sia nel ristretto ambito di una canzone, sia nella vita di tutti i giorni. Ma tutti abbiamo (chi più, chi meno) un Honky Tonk In Our Mind, un lato ribelle, al quale va dato ampio margine di manovra, proprio per rimanere sani di mente e sfogarci ogni tanto o anche spesso. E tutto questo malgrado ci sia A Whole World On Fire intorno a noi e si cerchi di salvare almeno qualcosa di buono e di dire qualcosa di giusto. Ballate sapienti come Silver Lining, con un grande e misurato John Popper all’armonica, ma anche del sano R&R, come in Snowed In e I’m Gonna Get It.

 

Una citazione particolare va fatta per Never Never Land, versione inglese del successo di Edoardo Bennato, L’Isola Che Non C’è. Il brano, presente solo nell’edizione italiana dell’album, è rivisitato con gusto ed originalità, voce pianoforte e chitarra acustica, in una personale e sensibile versione, che non mancherà di stupire. Unico mio rammarico è l’assenza di un pezzo come The Man On The Moon che, finito di comporre sul divano di casa mia in un gelido e nevoso mattino di marzo, mi aveva lasciato letteralmente a bocca aperta (*NDB. Rettifica in tempo reale, l’autore dice che il brano nel frattempo è diventato Bring The Man Down, e noi aggiorniamo). Fortunatamente avremo modo di ascoltarlo sia live, nel corso del suo attuale tour italiano, sia nel progetto Brothers Keeper, in uscita in primavera http://www.youtube.com/watch?v=jjCuVOb_VF0 .

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Una ennesima conferma del talento di Mr. Manson (*NDB. Qui sopra con l’altro autore dei brani, anzi autrice mi dicono!), con un album che piacerà a tutti i suoi estimatori, ma consigliato soprattutto a chi ancora non lo conosce: vi perdete buona musica, duro lavoro, sincerità e tanta, tanta passione. In chiusura un saluto alla rinata e gloriosa etichetta Appaloosa, sinonimo di musica di qualità, alla quale auguro tutto il meglio.

Jimmy Ragazzon

Una Nuova “Visita” Del Dottor Jimmy! Buddy Guy And Junior Wells – Play The Blues

buddy guy and junior wells play the bluesbuddy guy junior wells inside

*NDB Ormai la rubrica entra nel vivo, siamo alla seconda puntata, il buon Jimmy Ragazzon è lanciato, tra una data e l’altra del suo tour con i Mandolin’ Brothers (e Jono Manson ogni tanto) prosegue la sua collaborazione con il Blog, in attesa di altri capitoli, buona lettura!

BUDDY GUY & JUNIOR WELLS:  PLAY THE BLUES 2 CD Deluxe Edition  Friday Music

Istruzioni Preliminari

-non fate caso alla puzza di zolfo

-pulitevi accuratamente le scarpe sullo zerbino

-controllate il vostro aspetto nello specchio dell’atrio

-accendetevi una sigaretta e versatevi una generosa dose del vostro veleno preferito,

  attingendo liberamente dal ricco mobile bar, posto sotto lo specchio suddetto.

buddy guy junior wells muddy

State per entrare nel palazzo della Royal Family del Blues: non siate timidi, ma solo molto molto rispettosi, perché questi non scherzano. All’inizio vi sentirete un poco sperduti, dato che le stanze sono numerose e vorreste entrare in ognuna di esse per soffermarvi ad ascoltare  tutti i Reali presenti; ma per questa volta accontentatevi dell’ampio e lussuoso piano terra e dei due pischelli (all’epoca) Buddy & Junior: ne rimarrete più che soddisfatti.

Buddy Guy & Eric Clapton

Infatti questo è uno dei più blasonati album di blues elettrico di sempre, voluto fortemente da Eric Clapton, grande estimatore del duo e che vede la partecipazione anche di Dr. John e della sezione ritmica di Derek & The Dominos. Inoltre dopo aver registrato con questa formazione le prime 8 tracce nel ‘70 ai Criteria Studios di Miami, nel ’72 venne coinvolta  anche la J. Geils Band (ascoltatevi il loro grandissimo Live) per registrare altri 2 pezzi e chiudere il progetto, con la supervisione artistica e la produzione di Tom Dowd e del Big Boss dell’Atlantic, Ahmet Ertegun.

buddy guy junior wells 1

Buddy & Junior avevano appena terminato il tour con gli Stones ed erano in splendida forma, fatto dimostrato dalle brillanti versioni di  T-Bone Shuffle, My Baby She Left Me (di Sonny Boy Williamson) e del classico di Otis Redding  A Man of Many Words. Ma tutto l’album è un vero capolavoro che scorre come un fiume in piena con  Bad Bad Whiskey, Messin With The Blues, una non scontata  Sweet Home Chicago (registrata in Mono) il vibrante slow blues Stone Crazy e la mia preferita, cioè Dirty Mother For You (di Memphis Minnie) superbo esempio di come si debba “portare” uno shuffle ed  il cui testo fu originariamente rivisto, per non incappare nelle ire dei  benpensanti. Blues at his best si può tranquillamente affermare, suonato e cantato in maniera ruvida e decisa, senza fronzoli o inutili abbellimenti ed un groove impressionante, con il marchio di fabbrica chitarristico e vocale di Buddy Guy  ed un Junior Wells sempre preciso e mai fuori dalle righe, nel suo inconfondibile stile di armonicista e cantante. Arricchita da 13 inedite bonus tracks e dalle note esplicative di Johnny Winter, questa doppia ristampa è quindi un gioiello imperdibile, per chiunque ami la grande musica: il Blues.

buddy guy junior wells 2

P.S. Uscite con discrezione, chiudete il ligneo portone, ma non scordatevi di chiedere il pass (ammesso che ve lo diano) perché qui ci torneremo…

Un libro per accompagnare il tutto?

eccolo:

hoochie koochie man libro

Hoochie Coochie Man

La vita e i tempi di Muddy Waters (prefazione di Keith Richards)

Arcana

Jimmy Ragazzon

Da Musicista a Musicista. Dr. Jimmy Ragazzon “visita” Snakefinger’s History Of The Blues: Live In Europe

snakefinger live in europe

*NDB. Era da un po’ che rompevo le balle a Jimmy Ragazzon dei Mandolin’ Brothers (che in passato aveva peraltro manifestato il suo interesse), per scrivere qualcosa per il Blog, ora che il loro nuovo disco Far Out è uscito, sono tornato alla carica, da “editore”, proponendogli un disco “strano”, proprio tipico di Disco Club, da “carbonari” appassionati di musica, e questo è il risultato. Sperando che ci siano dei seguiti, la parola a Jimmy!

SNAKEFINGER – Snakefinger’s History of the Blues: Live in Europe – Promising Music

Un gran bel disco che evoca in me sia bei ricordi, sia altri meno edificanti. Diciamo solo che ero nel mio periodo Amsterdammed e proprio nel bad retiro olandese mi trovavo, a coltivare i miei pessimi hobbies, quando uscì questo album originariamente per la Rough Trade, nel 1984. Finalmente qualcuno si è ricordato di rimasterizzarlo in cd, aggiungerci diverse preziose outtakes e rimetterlo in circolazione in un piacevole packaging, riproponendo un vero e proprio bigino della storia del Blues, consigliato a tutti http://www.youtube.com/watch?v=3ATANNVpCLg .

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Il grande ed ingiustamente dimenticato chitarrista inglese, Philip “Snakefinger” Lithman, scomparso nel 1987 in seguito ad un attacco cardiaco, si fece le ossa con l’avanguardia musicale del tempo, The Residents ed i pub rockers Chili Willi & The Red Hot Peppers, ma decise di prendersi una pausa  e tornò al suo primo amore, il Blues, con una band di 8 elementi completa di horn section, che registrò questo album live in giro per l’Europa.

snakefinger residents

Nei primi anni ‘80 Lithman era il chitarrista di riferimento per la cosiddetta musica sperimentale e, oltre a registrare i suoi album, collaborava con The Mutants e l’ex tastierista di Captain Beefheart, Eric Drew Feldman. Ma le sue radici erano proprio nel British Blues, dove militava dai primi anni ’60 e decise di rivisitarle e riproporle, assemblando paradossalmente una band di musicisti californiani di San Francisco, città cult dell’epoca dove si era trasferito nel frattempo e tra cui spiccavano appunto Eric Feldman (qui al basso) e l’ex Stooges, Steve Mackay. Il risultato che venne inciso su vinile fu un’ora di grande traditional Blues, suonato ed interpretato come si dovrebbe fare sempre, con passione e sudore http://www.youtube.com/watch?v=atYJUq-FjOg , che passa da quello acustico di Creeper Blues e You Can’t Get The Stuff No More, allo swing old fashion di You Upsets Me Baby e Natural Ball, alle sfumature jazzy di Stolen Moments http://www.youtube.com/watch?v=TXW9y–Ovec , a quello venato di rock di Crosscut Saw http://www.youtube.com/watch?v=-AVD_1gwgg8  , in un’impeccabile show in cui troviamo anche una splendida versione di 36 22 36 di Bobby Bland, direi perfetta.

snakefinger 3

L’album si apre con una breve ma istruttiva introduzione parlata sulla storia del Blues e su uno dei suoi padri, Furry Lewis, e ripercorre, brano dopo brano, tutta l’evoluzione della musica che è alla radice di tutto il rock & affini che abbiamo ascoltato fino ad ora. Si passa quindi dalle roventi pianure del Mississippi seguendo il percorso della grande migrazione verso il nord, Chicago e Memphis in particolare, attraverso le visioni di Robert Johnson,  la ruvidezza di Tampa Red, l’eleganza di Skip James, il più classico e fondamentale Muddy Waters, fino a Big Joe Turner e ai tre King, seguendo un rigoroso percorso storico-musicale, come solo un profondo, sincero ed appassionato conoscitore può fare. Infatti ogni singolo pezzo viene inquadrato e spiegato brevemente da Mr. Snakefinger, senza per altro nulla  togliere al fluire del concerto e al suo groove. Insomma blues stuff al suo meglio in una attesa e doverosa ristampa, che oltre a far tornare indietro nel tempo con nostalgia e piacere coloro che già la conoscono, può costituire un quanto mai necessario strumento, utile ai più giovani, per scoprire The Real Blues Thing.

 

snakefinger 2

E, per chi ne volesse sapere di più sulla tribolata storia del popolo afroamericano e sulla sua cultura, mi permetto di consigliare anche un libro eccezionale (aggettivo in questo caso assolutamente corretto) da abbinare all’ascolto del buon Snakefinger

Isabel wilkerson al calore di soli

 Al Calore di Soli Lontani

Il racconto epico della grande migrazione afroamericana

di Isabel Wilkerson

Il Saggiatore

Please, enjoy the ride…

Jimmy Ragazzon