Un Altro Strano “Disco” Che Circola In Rete: Rare Perle Live Recuperate Di Una Grande Cantante. Natalie Merchant – In Isolation

natalie merchant in isolation

Natalie Merchant – In Isolation – The Broadcast Collection – Download/Streaming

Come pochi forse sanno, ma lo si intuisce, nell’ambiente musicale Natalie Merchant è famosa per la sua parsimonia musicale, e sarà anche per questo che in poco più di quindici anni abbia dato alle stampe solo quattro dischi ufficiali in studio, l’ottimo The House Carpenter’s Daughter (03), Leave Your Sleep (10), Natalie Merchant (14) https://discoclub.myblog.it/2014/05/25/il-disco-della-domenica-del-mese-forse-dellanno-natalie-merchant/ , Paradise Is There (15), più lo spendido box https://discoclub.myblog.it/2017/07/23/supplemento-della-domenica-il-giusto-modo-di-celebrare-una-grande-cantautrice-natalie-merchant-the-natalie-merchant-collection/ e quindi il CD di cui stiamo per parlare colma una lacuna ventennale dal precedente bellissimo Live In Concert (99). La “tracklist” che compone questo disco Ufficiale (?!?) raccoglie delle esibizioni live pescate da materiale eseguito nel corso della decade 1995-2005, e recuperate in buona parte da diversi broadcast: dal David Letterman Show, da un concerto tenuto a Bristol nel ’98, una versione estratta dalla versione Dvd del Live In Concert, accompagnata (penso, ma non è dato sapere) come al solito dai suoi fidati musicisti del periodo che erano Graham Maby al basso, Erik Della Penna alle chitarre, Peter Yanowitz alla batteria, e Susan McKeown come “vocalist” aggiunta.

La sequenza di queste “perle” si apre con tre brani recuperati dal suo primo album da solista, dopo l’(in)atteso scioglimento dal suo gruppo 10.000 Maniacs, quindi da Tigerlily (95) ecco la brillante Wonder, la dolce e introspettiva River con un bel tocco di pianoforte (ripresa dal concerto di Bristol), e la lunga cadenzata “liturgia” di una bellissima I May Know The World (cantata con il cuore in mano e dove si nota nella parte finale la bravura del chitarrista Erik Della Penna). Con Sympathy For The Devil dei Rolling Stones arriva la chicca del disco (la si trova solamente sull’introvabile e costoso singolo Jealousy), che in questa occasione viene rifatta in una forma trascinante e quasi “caraibica”, a cui segue una sempre robusta e intrigante Carnival, per poi recuperare dal repertorio con i Maniacs la deliziosa e carezzevole Don’t Talk (la trovate su In My Tribe (87).

Le ultime canzoni appartengono ad apparizioni al famoso David Letterman Show, con la pianistica Gold Rush Brides (da OurTime In Eden (92), (un brano inedito che era nella raccolta Campfire Songs dei 10.000 Maniacs (04)Everyday Is Like Sunday, una canzone di Morrissey, e la conclusiva Because The Night di Springsteen, nonostante le tante versioni fatte nel corso degli anni trovo in quella della Merchant in modo particolare un “certo non so che” che mi emoziona sempre. Per chi scrive Natalie Merchant è una delle indiscusse regine “folk-rock” del panorama musicale americano, e dopo la sua uscita dal gruppo che l’aveva lanciata ha comunque dimostrato nel corso degli anni sensibili miglioramenti interpretativi e poetici, che sono ben evidenziati nella sua attuale carriera solista, e anche in questa raccolta dove la sua straordinaria classe le permette di alternare brani “pop-rock” dei 10.000 Maniacs, canzoni del suo repertorio solo e note “covers”, rese in modo raffinato e cristallino in tutta la sua purezza stilistica.

Tino Montanari

Supplemento Della Domenica: Il Giusto Modo Di Celebrare Una Grande Cantautrice! Natalie Merchant – The Natalie Merchant Collection

natalie merchant the collection

Natalie Merchant – The Natalie Merchant Collection – Nonesuch/Warner 10CD Box Set

Non so in quanti, all’indomani dello scioglimento dei 10.000 Maniacs, gruppo pop-rock di culto degli anni ottanta separatosi dopo il live MTV Unplugged del 1993, avrebbero previsto una carriera luminosa alla cantante della band, Natalie Merchant: ebbene, quasi un quarto di secolo dopo bisogna riconoscere oggi che Natalie è tra le artiste più brave e complete nel panorama internazionale. Non ha inciso molto, solo sette album, ma sempre con una qualità media altissima, e con in mezzo due-tre dischi che non è fuori luogo definire capolavori: oggi la Nonesuch celebra la carriera solista della Merchant, con l’aiuto di Natalie stessa, con questo succulento boxettino di dieci CD intitolato The Natalie Merchant Collection, che comprende tutti e sette gli album della cantante di Jamestown (Leave Your Sleep era doppio) aggiungendo altri due dischetti esclusivi per il box, uno nuovo di zecca (Butterfly) ed un altro, intitolato Rarities 1998-2017, che è appunto una compilation di brani rari ed inediti (ma manca l’album live del 1999: perché?). Reputo quindi doveroso omaggiare questa bravissima musicista con una veloce panoramica dei dischetti contenuti nel cofanetto.

Tigerlily (1995): Natalie fa subito centro con un album che sarà anche il suo più venduto, grazie anche ai tre singoli, Wonder, Carnival e Jealousy, esempi di perfetto pop-rock di gran classe. Ma la Merchant ci regala altre perle, come l’opening track San Andreas Fault, la pianistica Beloved Wife, splendida e struggente, la raffinatissima River, la lunga I May Know The Word, più di otto intensissimi minuti e con una strepitosa coda chitarristica. Natalie mostra da subito un talento che verrà fuori prepotentemente nei dischi successivi.

Ophelia (1998): altro ottimo lavoro, che rappresenta una transizione tra il pop-rock adulto dell’esordio e la Merchant raffinata musicista dei dischi che seguiranno. Numerose le canzoni bellissime, partendo dalla straordinaria title track, un brano dal pathos incredibile, e continuando con la sontuosa ballad Life Is Sweet, la toccante My Skin, nella quale Natalie dà un saggio della sua notevole tecnica pianistica, la splendida King Of May (che classe) e la vibrante Thick As Thieves, con Daniel Lanois alla chitarra elettrica (ed è poco bella The Living?).

Motherland (2001): dopo due album quasi ottimi, Natalie sale ad un livello addirittura superiore: prodotto da T-Bone Burnett, Motherland è un disco più introspettivo nei testi ma musicalmente ricco e variegato. Si passa dalla suggestiva This House Is On Fire, intrigante commistione tra reggae e musica mediorientale, alla stupenda Motherland, una drammatica ballata con un’atmosfera quasi da chanteuse francese, ed una melodia da pelle d’oca d’ispirazione coheniana (una delle canzoni più belle di sempre della Merchant), passando per il folk-blues Saint Judas, con Mavis Staples alla seconda voce, la languida e suadente Put The Law On You, la raffinata rock ballad Build A Levee, e, giusto per non citarle tutte, la tersa e scintillante Not In This Life. Questo sarà per molto tempo l’ultimo disco di canzoni originali per Natalie, ma non per questo i prossimi saranno meno belli (anzi).

The House Carpenter’s Daughter (2003): un album meraviglioso, il più bello di Natalie se non ci fosse il successivo, una serie di interpretazioni strepitose di traditionals, canzoni popolari antiche e (poche) più recenti, con splendidi arrangiamenti in puro stile folk-rock (un paragone? I migliori Waterboys, solo un filo meno rock). Un capolavoro, con titoli celeberrimi che nelle mani della Merchant assumono nuova vita, come Which Side Are You On?, Bury Me Under The Weeping Willow (Carter Family, fantastica), House Carpenter, Down On Penny’s Farm, Poor Wayfaring Stranger, meno noti ma sempre splendidi come Soldier, Soldier ed Owensboro, o addirittura un classico dei Fairport Convention come Crazy Man Michael. E la voce di Natalie è sempre più bella, disco dopo disco.

Leave Your Sleep (2010): ben sette anni di attesa, ma ne valeva la pena: Leave Your Sleep è un doppio album, ben 26 canzoni, in cui Natalie alza ancora l’asticella e si conferma come una delle migliori artiste in circolazione. La Merchant prende una serie di poesie per bambini scritte da autori dell’800 e del 900, aggiunge le musiche scritte di suo pugno e mette a punto un’operazione culturale di altissimo livello e musicalmente sublime. Senza dubbio il suo disco più bello, ma anche uno dei più importanti in assoluto della decade, inutile nominare un brano piuttosto che un altro; dentro c’è di tutto: rock (poco), folk, musica irlandese, blues, old time music, dixieland, pop, country, reggae, e perfino kletzmer e musica da camera, il tutto condito da melodie imperdibili e da una classe inimitabile.http://discoclub.myblog.it/2010/04/14/l-ultima-grande-cantautrice-americana-natalie-merchant-leave/

Natalie Merchant (2014): primo disco di canzoni originali da Motherland ed altro grande album, anche se forse un gradino sotto gli ultimi due (che però sono dei capolavori): Ladybird, che apre il disco, è un’eccellente ballata pianistica dal motivo decisamente bello, ma ci sono anche l’intensa e roots-oriented Texas, la soulful (e splendida) Go Down Moses, in duetto con Corliss Stafford, l’emozionante, quasi da pelle d’oca, Seven Deadly Sins, la jazzata e sensuale Black Sheephttp://discoclub.myblog.it/2014/05/25/il-disco-della-domenica-del-mese-forse-dellanno-natalie-merchant/

Paradise Is There: The New Tigerlily Recordings (2015): Natalie celebra i vent’anni di Tigerlily, il suo disco più famoso, re-incidendolo da capo a piedi (ma cambiando l’ordine della tracklist) con lo stile odierno. Paradise Is There ricalca quindi la Natalie Merchant del 2015, meno pop-rock e più musicista a 360 gradi: le canzoni sono sempre belle (soprattutto, a mio parere, San Andreas Fault, Beloved Wife, River e I May Know The Word, che poi erano le mie preferite anche nel disco originale), ma i nuovi arrangiamenti e la maggiore esperienza di Natalie fanno la differenza.

Butterly (2017): un disco nuovo di zecca, nel quale Natalie re-interpreta sei canzoni del suo songbook e ne aggiunge quattro nuove, con l’ausilio di una band ridotta all’osso e con un quartetto d’archi in ogni pezzo. Un esperimento decisamente interessante e riuscito, che dona uno spessore diverso ai pezzi già noti (The Worst Thing e The Man In The Wilderness, con nuovi arrangiamenti tra Spagna e Messico, sono addirittura meglio degli originali) e fa brillare anche i brani nuovi: la cupa e drammatica Butterfly, dal pathos notevole, la jazzata She Devil, che rimanda a certe cose di Joni Mitchell, la dolcissima ninna nanna Baby Mine e la struggente Andalucia, davvero bella.

Rarities 1998-2017 (2017): formidabile compilation che ha, tra l’altro, solo due brani in comune con il secondo dischetto dell’antologia A Retrospective, uscita nel 2005 e con appunto il secondo CD dedicato alle rarità. Ben otto brani su quindici totali sono inediti, e due di essi sono rifacimenti di brani già noti, Saint Judas e Build A Levee, entrambi con Amy Helm ospite ed entrambi incisi quest’anno. Gli altri sei: il primo è una meravigliosa versione di The Village Green Preservation Society dei Kinks, una rilettura fluida, pianistica e coinvolgente, che da sola vale gran parte del prezzo richiesto; poi abbiamo lo slow raffinato Too Long At The Fair (scritto dal misconosciuto cantautore Joel Zoss), l’intensa e folkie Sonnet 73, adattamento musicale di un sonetto di Shakespeare, la deliziosa ninna nanna My Little Sweet Baby, un demo casalingo del traditional Sit Down, Sister ed il breve e bizzarro strumentale Portofino, che ha il profumo della musica folk nostrana. Tra i brani già editi meritano una citazione il brano dei Cowboy Junkies To Love Is To Bury, tratto da Trinity Revisited, un’intensissima Learning The Game di Buddy Holly, il testo di Woody Guthrie Birds & Ships, cantata con l’accompagnamento chitarristico di Billy Bragg (da Mermaid Avenue), la splendida The Lowlands Of Holland insieme ai Chieftains ed una rarissima versione voce e piano della divertente Political Science di Randy Newman, presa da una session pubblicata anni fa su ITunes, solo per download.

Il cofanetto costa tra i quarantacinque e i cinquanta euro: sta a voi decidere se farlo vostro, ma è certo che se di Natalie Merchant possedete solo qualche disco, la parola imperdibile è l’unica che mi viene in mente.

Marco Verdi

Ascoltate Ancora Un “Buon Consiglio”! Basia Bulat – Good Advice

basia bulat good advice

Basia Bulat – Good Advice – Secret City Records

Prosegue la carriera della bionda e non più giovanissima canadese Basia Bulat , membro onorario della comunità polacca dell’Ontario, che con Good Advice giunge al quarto capitolo discografico, un disco che segna un’ulteriore cambio di genere dopo il folk raffinato dei primi due album Oh, My Darling e Heart Of My Own, e il seguente Tall Tall Shadow dalla forma classica cantautorale, si giunge a questo ultimo lavoro che spazia anche nel pop d’autore (Sarah Blasko o in tempi meno recenti Stevie Nicks). Sorprendentemente la produzione dell’album, voluta dalla stessa Bulat, è affidata a Jim James dei My Morning Jacket, che suona pure gran parte degli strumenti, e che riesce a dare ai dieci brani di Good Advice un suono particolarmente ricco e vario (come succede sempre anche negli album della sua band), con arrangiamenti dai leggeri tratti“sixties” che valorizzano il nuovo percorso musicale di Basia.

Il brano d’apertura La La Lie  è trascinante con una forte connotazione relativa a quel periodo, a cui fanno seguito una ballabile Long Goodbye (perfetta forse per una discoteca alternativa), il sincopato disordine di Let Me In, passando per una perfetta “pop song” come In The Name Of, e per la più dolce. variegata  ed ammaliante Time. Si prosegue con la title track Good Advice forse il brano meno convincente del disco, per poi dare spazio ai due singoli tratti dall’album (firmati dalla stessa Bulat), una tambureggiante Infamous e la gioiosa e cadenzata Fool, condensando nelle ultime due tracce le cose migliori, una eterea e molto profonda The Garden, e una lunga e meravigliosa ballata quasi “gospel” come Someday Soon https://www.youtube.com/watch?v=nP7YMzPkoOw .

Le canzoni di Good Advice sono state arrangiate e registrate seguendo certe regole di quello che viene considerato il miglior “indie pop” del momento, e anche se personalmente la preferivo nelle versioni precedenti,meno alla moda e glamour (come ricorda pure l’immagine della copertina del disco), questo ultimo lavoro ascolto dopo ascolto riesce comunque ad attirare la giusta attenzione,  per merito della bella voce e della personalità di questa ragazza, a riprova di un talento che meriterebbe magari una maggiore attenzione da parte del pubblico e della critica di settore, che pure ha sempre guardato con favore ai suoi dischi (noi compresi http://discoclub.myblog.it/2010/02/24/piccoli-talenti-crescono-basia-bulat-heart-of-my-own/ e http://discoclub.myblog.it/2013/11/08/due-fanciulle-che-meritano-attenzione-basia-bulat-e-star-ann/).

Negli ultimi anni Basia Bulat ha condiviso il palco con colleghi affermati come gli Arcade Fire, i National, Nick Cave, Daniel Lanois, Sufjan Stevens, Andrew Bird, e altri meno noti tra i quali Beirut, Destroyer, Tune-Yards, Sondre Lerche e Owen Pallett, a dimostrazione che questa “biondina” di Toronto ne ha fatta di strada dal folk intimista degli esordi (quando veniva spesso paragonata alla grande Joni Mitchell https://www.youtube.com/watch?v=GPpcmqcqKZM ), fino ad arrivare a questo tentativo di pop in forma “elegante”, che rimanda sicuramente, per chi scrive, a Natalie Merchant e ai suoi 10.000 Maniacs.

Tino Montanari