Se Serve Un Armonicista Eccolo: E Si E’ Portato Pure Parecchi Amici! Bob Corritore & Friends – Do The Hip-Shake Baby

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Bob Corritore & Friends – Do The Hip-Shake Baby – VizzTone Label/SWMAF

Non vorrei esagerare dichiarando che l’armonicista di Chicago stia mettendosi in competizione con Bonamassa quanto a prolificità, ma certo Bob Corritore sta tenendo una bella media: quasi un album all’anno e con questo Do The Hip-Shake Baby siamo al quattordicesimo pubblicato in una ventina di anni di carriera solista (ma è dal 2007 che le uscite sono diventate molto più ravvicinate), senza contare soprattutto le numerosissime collaborazioni e partecipazioni a dischi di altri https://discoclub.myblog.it/2017/06/22/una-garanzia-nellambito-blues-e-dintorni-john-primer-bob-corritore-aint-nothing-you-can-do/ . Tra l’altro applicando spesso la formula del Corritore & Friends: lo aveva fatto anche di recente nel 2018, con il precedente Don’t Let The Devil Ride, di cui in effetti il nuovo CD è una sorta di estensione, riportando materiale registrato in diverse sedute di registrazione effettuate tra il 2016 ed il 2018, con la presenza di diversi ospiti “importanti”, in ambito blues naturalmente, che vediamo tra un attimo, ma scorrendo le note si vede che nel dischetto sono stati impiegati ben 39 musicisti. Il tutto poi è stato assemblato ai Greaseland Studios di San Jose, California, sotto la guida di Kim Andersen che ha anche co-prodotto l’album insieme allo stesso Corritore.

Per un disco che ancora una volta mescola abilmente tutte le musiche preferite dal buon Bob e dai suoi amici: R&B, R&R delle origini, un pizzico di soul e di gospel, e soprattutto tanto blues elettrico, con Corritore che come sappiamo non canta neanche sotto tortura e quindi si limita “solo” a suonare l’armonica in tutti i 13 pezzi di questa raccolta, lasciando la parti vocali ai vari friends. I brani non sono esattamente celeberrimi, con l’ eccezione di due o tre: proprio l’iniziale Shake Your Hips, una delle canzoni più famose di Slim Harpo, con i Fremonts e la voce solista di Mighty Joe Milsap, dal classico timbro “importante”, indica subito questo spirito da juke joint o live club degli anni ’60, con un sound volutamente vintage e vagamente tribale, poi ripetuto nell’altra cover di Harpo, sempre cantata da Milsap, ovvero l’altrettanto vibrante e mossa I’m Gonna Keep What I’ve Got. Alabama Mike ne canta ben quattro: la swingante Gonna Tell Your Mother di Jimmy McCracklin, con L.A. Jones alla chitarra, è blues con retrogusti R&R, Worried Blues, un intenso errebì con tracce gospel , sempre molto sixties, la famosissima Stand By Me che se mi passate il termine viene “bluesificata”, grazie all’armonica di Corritore, la chitarra di Anson Funderburgh ed una parte cantata che ricorda il primo Sam Cooke, niente male anche Few More Days, un oscuro brano di  Eddy Bell and The Bel-Aires, ammetto di averlo letto, non conoscevo prima, comunque fa la sua porca figura, con coretti tra doo-wop e R&R.

Oscar Wilson dei Cash Box Kings canta Bitter Seed di Jimmy Reed, un gagliardo shuffle che è puro Chicago blues, mentre il “giovane” Henry Gray (94 anni e non sentirli) si diverte con una brillante rilettura dell’altro brano molto famoso, una movimentata The Twist di Chubby Checker, dove Gray volteggia sui tasti del suo piano. Bill ‘Howl-N-Madd’ Perry, un personaggio quantomeno pittoresco, canta e suona la chitarra in You Better Slow Down, un suo brano che quanto ad intensità non ha nulla da invidiare a quelli di Muddy Waters, che appare poi come autore nella palpitante Love, Deep As The Ocean, dove John Primer è la voce solista e si impegna con merito anche alla slide. Altra bella accoppiata per Trying To Make A Living dove Sugaray Rayford si conferma vocalist di grande presenza e potenza, con Junior Watson che lo sostiene con impeto alla chitarra, e lo stesso Rayford riappare anche nella conclusiva Keep the Lord on With You!, questa volta con Kid Ramos alla solista, un devastante lungo blues elettrico scritto dallo stesso Ray, dove la quota gospel fa quasi a botte con un ardore direi hendrixiano, pezzo fantastico. Manca solo I Got The World in a Jug un pezzo cantato da Jimi “Primetime” Smith che è nuovamente puro Chicago Blues e conferma la validità di questa nuova proposta di Corritore, che suonerà anche “solo” l’armonica, ma certo sa scegliere i suoi collaboratori.

Bruno Conti

Un “Finto” Giovane E I Suoi Maturi Amici Bluesmen. Big Jon Atkinson & Bob Corritore – House Party At Big Jon’s

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Big Jon Atkinson & Bob Corritore – House Party At Big Jon’s – Delta Groove/Ird      

Questo è un disco di cosiddetto “blues old school”, non per l’età del protagonista principale, Big Jon Atkinson (di recente sentito con Kim Wilson nel tributo a Big Walter http://discoclub.myblog.it/2016/06/07/il-piccolo-volta-tocca-al-grande-walter-various-artists-blues-for-big-walter/ ), che quando è stato registrato questo disco di anni ne aveva solo 26, ed ora ne ho 28, quanto per la modalità usata nella registrazione e per il tipo di suono che si è cercato di realizzare. L’album è stato concepito nello studio casalingo di Atkinson, il Big Tone in quel di San Diego, California, da qui il titolo House Party At Big Jon’s. Quindi pochi mezzi, apparecchiature vintage atte a ricreare il sound dei dischi di blues classico, volutamente scarno e con una tecnica sonora per certi versi primordiale. E’ anche un disco multi generazionale , perché l’età dei musicisti impiegati oscilla dai meno di 30 di Atkinson ai quasi 80 di Willie Buck, fino agli 87 di Tomcat Courtney, passando per i 60 del contitolare di questo album, Bob Corritore, che di solito ultimamente partecipava a molte produzioni all stars, ma questa volta si è calato a fondo nel mood voluto da Big Jon Atkinson, che per questa registrazione ha voluto ricreare il suono dei vecchi dischi di Chicago blues degli anni ’40 e ’50, un sound volutamente crudo e vintage, in un certo senso dando vita in musica alla sua passione per il restauro, il commercio e la vendita di vecchi strumenti e amplificatori, che è quello che Atkinson fa di mestiere per vivere.

Che poi questo giovanottone abbia anche una ottima tecnica alla chitarra e una voce gagliarda e vissuta sicuramente non guasta: in effetti il nostro canta 8 dei 16 brani presenti, un misto di materiale originale e vecchi brani blues, spesso oscuri, lasciandone sette ai vocalist ospiti, oltre ai citati Buck e Courtney, anche Dave Riley e Alabama Mike. Il suono forse è fin troppo filologico, a differenza delle abituali produzioni della Delta Groove, che di solito sono caratterizzate da un sound nitido e molto presente, ma per dare ancora maggiore autenticità a questo omaggio alle radici delle dodici battute in chiave elettrica si è preferito optare per questa scelta. Quindi solo voce, due chitarre, una solista ed una ritmica, armonica ed una sezione ritmica “analogica” con vari musicisti che si alternano a seconda dei brani, sia che siano originali di Atkinson o Corritore, sia in brani di Lightnin’ Slim, She’s My Crazy Little Baby, oppure ancora brani oscuri come At The Meeting di Charles Johnson, cantata da Dave RileyMojo Hand di Lightnin’ Hopkins, cantata da Alabama Mike, tutti suonano assolutamente autentici.

Tom(cat) Courtney porta al party (scusate il bisticcio) una Mojo In My Bread che non sarebbe stata fuori posto in qualche registrazione di Muddy Waters o John Lee Hooker degli anni ’40. Corritore, in tutti i brani fa con impegno il Big o Little Walter della situazione e in Mad About It, da lui firmata, dà una dimostrazione della sua eccellente tecnica allo strumento, poi ribadita nello strumentale latineggiante El Centro, anche se poi la parte vocale è di Atkinson, perché il lo strumentista di Chicago, ma trapiantato a Phoenix, non canta neanche se gli sparano. Empty Bedroom, un vecchio brano di Sonny Boy Williamson e I’m A King Bee, forse l’unico brano famoso di questa raccolta, cantata con impeto da Willie Buck, sono altri ottimi esempi della ricreazione di un vecchio sound che si riteneva perduto. Mentre Somebody Done Changed The Lock, cantata di nuovo da Alabama Mike, si arrampica anche sugli impervi sentieri del primo B.B. King, uno slow blues di quelli torridi dove Big Jon Atkinson si impegna con ottimi risultati pure alla slide. E anche i primi due o tre brani, quelli firmati da Atkinson o Corritore, tra cui la poderosa Goin’ Back To Tennessee sono altrettanto “vissuti”.  Insomma, senza citare tutti i brani, ce n’è per tutti i gusti, soprattutto per gli amanti del “vecchio” Blues, quello con la B maiuscola, magari fin troppo integralista nel suo dipanarsi, ma sicuramente questo House Party At Big Jon’s è un eccellente disco, vecchia scuola sì, ma non ancora defunta.

Bruno Conti