Classico Blues Elettrico, Ottimo Ed Abbondante! Sugar Ray And The Bluetones – Too Far From The Bar

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Sugar Ray And The Bluetones Featuring Little Charlie – Too Far From The Bar – Severn Records

In un 2020 nel quale se ne sono andati molti musicisti a causa del Covid, sono morti anche altri “amici” per malattie diverse. Little Charlie Baty ci ha lasciato per un infarto a marzo dello scorso anno, proprio nelle fasi finali di preparazione di questo Too Far The Bar, disco di Sugar Ray And The Bluetones, nel quale lui era uno degli interpreti. Il “vecchio” Charlie Baty (67 anni ancora da compiere) era stato, insieme a Rick Estrin, uno dei fondatori di Little Charlie & The Nightcats, tra le migliori formazioni del classico blues elettrico, ma aveva problemi di salute da molto tempo, ed in virtù di questa situazione aveva lasciato la band nel 2008 (che poi ha comunque continuato in modo gagliardo come Rick Estrin & The Nightcats), per rallentare la sua attività nel mondo della musica, e in seguito aveva ripreso, sia pure in misura ridotta, a deliziare gli amanti delle 12 battute di classe, con collaborazioni saltuarie con JW-Jones, Junior Watson e Sugar Ray Norcia..

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Per l’occasione Norcia ha anche riunito la prima formazione classica dei Bluetones, già in attività da metà anni ‘90, ovvero Anthony Geraci al piano, Michael Mudcat Ward al basso e Neil Gouvin alla batteria, senza dimenticare che alla produzione è stato chiamato il grande Duke Robillard, che già che c’era ha suonato la chitarra in quattro brani. Il risultato è uno dei migliori dischi di blues dell’annata appena trascorsa, in un giusto equilibrio di brani originali e “piccoli” classici del blues: Baty, non prevedendo la sua dipartita, ha firmato anche le note del CD, insieme a Robillard, ricordando vari aneddoti della sua lunga carriera. Comunque è la musica quella che meglio lo ricorda: Don’t Give No More Than You Can Take, scritta da Lowman Pauling, è uno dei tanti gioiellini dei “5” Royales, maestri del R&B, qui trasformata in un delizioso shuffle swingato, dove si apprezzano la voce vibrante di Norcia, anche all’armonica e la chitarra pungente di Little Charlie e il pianino di Geraci https://www.youtube.com/watch?v=hwhUWKKYx08 , a seguire Bluebird Blues di Sonny Boy Williamson, il classico lentone dove Sugar Ray può mettere in mostra tutta la sua maestria alla mouth harp https://www.youtube.com/watch?v=zHf-LdBE3oc ; eccellente anche la divertente title track, dove si va di scatenato jump blues, come se non ci fosse un futuro, e le mani di Geraci volano sul piano, con Baty che risponde colpo su colpo https://www.youtube.com/watch?v=HICirHvhi3c .

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.Non manca una ballata romantica come Too Little To Late, dove Norcia si presenta anche come crooner di lusso, per poi scatenare la sua prodigiosa tecnica all’armonica nello strumentale vorticoso Reel Burner https://www.youtube.com/watch?v=At2GbHj__Sk , poi ribadita nella cover di Can’t Hold Out No Much Longer di Little Walter, un Chicago Blues marca Chess, di quelli duri e puri, Numb And Dumb uno dei tanti originali di Sugar Ray è un altro esempio della sua padronanza delle 12 battute, poi sublimata nella frenetica ripresa di My Next Door Neighbor di Jerry McCain, dove si va di boogie con Little Charlie https://www.youtube.com/watch?v=6t3oNyzJZBo . What I Put You Through è il contributo del bassista Michael Ward, un brano notturno che è il veicolo perfetto per il raffinato tocco di Duke Robillard, con la band che poi affronta un brano di Otis Spann come What Will Become Of Me, di nuovo con il piano di Geraci in evidenza in questo lungo slow, seguito dalla classica I Gotta Right To Sing The Blues, con Robillard che rilascia un altro assolo di rara finezza https://www.youtube.com/watch?v=JefmxcVL8ck , e anche Norcia lo segue con assoluta nonchalance sfoderando di nuovo il suo mood da crooner. Poi è il turno di Geraci come autore nella vivace From The Horses Mouth e di nuovo Ward nella divertente The Night I Got Pulled Over, dove Norcia racconta di un incontro con le forze dell’ordine in un fumoso locale evocato anche dal mood del brano e dalla chitarra di Robillard. Chiude Walk Me Home un altro shuffle che è l’occasione per ascoltare ancora una volta tutti i brillanti solisti presenti in questo album https://www.youtube.com/watch?v=K8xX4bLaXEE , che riporta pure in chiusura una alternate take di Reel Burner. Come si suol dire, ottimo ed abbondante.

Bruno Conti

Una “Nuova” Band Strepitosa, Tra Le Migliori Attualmente In Circolazione. The Proven Ones – You Ain’t Done

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The Proven Ones – You Ain’t Done – Gulf Coast Records

Come appare ormai chiaro, Mike Zito appartiene alla categoria di coloro che una ne pensano e cento ne fanno: anche se per ora nel 2020 a causa della situazione generale ha dovuto trattenersi parecchio. Rispetto allo scorso anno dove tra produzioni, album a nome proprio (il Tributo a Chuck Berry) e partecipazioni varie, era apparso in una decina di dischi, per ora questo album dei Proven Ones è “solo” il secondo disco in cui appare come produttore, dopo il recente ottimo album Live di Albert Castiglia https://discoclub.myblog.it/2020/05/09/un-album-dal-vivo-veramente-selvaggio-albert-castiglia-wild-and-free/ , tra l’altro entrambi pubblicati dalla etichetta personale di Zito, la Gulf Coast Records, che comincia ad avere un consistente roster di artisti (ops, dimenticavo anche questo https://discoclub.myblog.it/2020/05/03/un-irruento-fulmine-di-guerra-della-chitarra-anche-troppo-tyler-morris-living-in-the-shadows/ ). Diciamo che se non possiamo definire quello dei Proven Ones un supergruppo si tratta comunque di una band dove militano alcuni “veterani” del Blues e del Rock di comprovata qualità: la voce solista e l’armonica sono affidate a Brian Templeton, leader in passato degli ottimi Radio Kings, e che ha diviso i palchi anche con Clapton e Muddy Waters, alle tastiere Anthony Geraci, spesso e volentieri nei credits di album di Ronnie Earl, Robillard, Sugar Ray e decine di altri, alla chitarra solista Kid Ramos, anche lui con innumerevoli collaborazioni, tra cui Mannish Boys, Fabulous Thunderbirds, Roomful Blues e con una manciata di album a nome proprio.

A completare la formazione la sezione ritmica Jimi Bott alla batteria e Willie J. Campbell al basso, entrambi spesso in azione con Mannish Boys, Thunderbirds e altri di quelli citati: ed in oltre la metà dei brani anche una piccola sezione fiati, pezzi tutti firmati a rotazione dai vari componenti e con la (co)produzione di Zito, insieme al batterista Bott. Il suono è gagliardo e tirato, come dimostra subito alla grande Get Love, dove, dopo una breve intro psych, la voce potente di Templeton si incrocia con la chitarra tirata e fumante di Kid Ramos, piano e organo di Geraci, la sezione fiati a sottolineare un blues-rock palpitante dove anche la ritmica non scherza. Gone To Stay è un’altra potente stilettata sempre di stampo rock, bella riffata e con tutta la band che tira di brutto, soprattutto Templeton veramente in grande spolvero e un Kid Ramos al meglio delle sue possibilità. La title track è addirittura stonesiana nella sua andatura, con Bott e Ramos (alla slide) che “citano” rispettivamente Watts e Richards con libidine, sembrano pure i migliori Fabulous Thunderbirds o la J. Geils Band, mentre fiati e organo imperversano sempre e ci sono pure delle voci femminili di supporto; anche Already Gone va di rock a tutto riff, il titolo ricorda il brano degli Eagles, e anche i coretti iniziali, ma lo stile è più alla Lynyrd Skynyrd, con Geraci impeccabile al piano.

Whom My Soul Loves è una bellissima deep soul ballad, con fiati e piano in evidenza, cantata a due voci dall’ospite Ruthie Foster e da Brian Templeton, un piccolo gioiellino con eccellenti assoli di organo, sax e della slide di Kid Ramos, e anche Milinda è una ottima ballata country oriented quasi alla Allman Brothers, di nuovo con Ramos eccellente alla lap steel e in Nothing Left To Give, firmata da Geraci, ci sono addirittura elementi di latin rock santaneggianti, sempre con la solista del Kid che interagisce in maniera brillante con l’organo e con i fiati, il buon Anthony scrive anche la successiva She’ll Never Know ,un’altra ballata blues dove si apprezza la calda vocalità di Templeton, veramente un signor cantante e Kid Ramos rilascia un ennesimo assolo ricco di feeling, prima di cantare l’ondeggiante I Ain’t Good For Nothin’, che ricorda un poco Holy Cow di Allen Toussaint, anche per il tocco bluesy dell’armonica di Templeton e quello jazzato di fiati, piano e chitarra bottleneck accarezzata in citazioni di New Orleans sound. Fallen torna al rock ruvido tra J. Geils e Stones, sempre grintosa, ma non priva di passaggi raffinati e in chiusura Favorite Dress è un ennesimo ottimo esempio del Rock And Roll fiatistico e vibrante della band, che si presenta come delle migliori band classiche americane attualmente in circolazione.

Assolutamente consigliato.

Bruno Conti

Electric Blues Di Classe: Con Un Piccolo Aiuto Dai Loro Amici. Kilborn Alley Blues Band Presents The Tolono Tapes

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Kilborn Alley Blues Band Presents The Tolono Tapes – Run It Back Records            

Secondo logica se il precedente album di questa band si chiamava Four, il nuovo Tolono Tapes dovrebbe essere il quinto album di studio del gruppo di Champaign, Illinois. E invece esiste un primo album, inciso nel 2003 a livello indipendente (o meglio ancora più indipendente dei successivi) che scombina la carte. Quello che è certo è che la Kilborn Alley Blues Band è sulle scene dal 2000, quindi 17 anni di onorata carriera, nell’ambito soprattutto del Chicago Blues elettrico (visto anche lo stato da cui provengono e la dichiarata presenza delle 12 battute nel loro moniker): al momento un quartetto, ma a lungo hanno avuto anche un armonicista in formazione, nel loro stile confluiscono comunque pure elementi soul, funky e R&B naturalmente, per quanto nel nuovo disco, grazie alla presenza di numerosi ospiti che si sono alternati in tre serie di sessions, tra il febbraio 2015 e il settembre 2016, all’Earth Analog Sudio, appunto di Tolono, nei pressi di Champaign, per l’occasione facendo pendere la bilancia del sound decisamente ancor più verso il blues.

Andrew Duncanson, in qualità di voce solista e chitarrista, è il leader della band, ma i brani vengono firmati collettivamente da tutto il gruppo, Josh Rasner-Stimmel alla seconda chitarra, Chris Breen al basso e Aaron “atrain” Wilson, batteria; il loro vecchio armonicista Joe Asselin è presente in qualità di “ospite” in un brano. Come si diceva i brani se li firmano in proprio, o al limite in collaborazione con i molti ospiti presenti in queste sessions registrate in presa diretta, e che vediamo ora brano per brano. I nomi sono tutti piuttosto conosciuti (e ricorrenti) in ambito blues: in effetti anche in altri dischi del genere in oggetto, recensiti di recente dal sottoscritto, appaiono di frequente. A partire da Monster Mike Welch, seconda chitarra aggiunta nella potente Fire With Fire che apre l’album, e si avvale anche del piano di Antony Geraci, Duncanson, che ha pure una bella voce, in questo pezzo, un solido shuffle, canta soltanto, mentre nella successiva Going Hard si produce anche ottimamente alla chitarra, per un intenso slow blues, dove si apprezza l’armonica Ronnie Shellist e Andrew si conferma cantante di vaglia. Molto buona anche Misti, firmata collettivamente con Gerry Hundt  e con l’artista Delmark Corey Dennison, rispettivamente alla chitarra e seconda voce solista, per un brano che vira verso dell’errebì di eccellente fattura;: Jackie Scott, che firma Been Trying To Figure Out, è una di quelle grandi e “sconosciute” voci femminili che costellano la musica nera, tra blues e soul e fa veramente un gran lavoro in questo pezzo, notevole anche l’interplay tra le due chitarre.

Di nuovo Ronnie Shellist all’armonica, per il classico blues di una poderosa Terre Haute, mentre in Christmas In County tornano Welch e Geraci, per un altro super slow di quelli torridi, con Duncanson che canta sempre alla grande e Welch strepitoso alla solista. Vi pareva che in un disco di Chicago Blues (ma non solo) non fosse prevista anche la presenza di Bob Corritore all’armonica e Henry Gray al piano? Certo che no, e infatti ci sono entrambi in un vorticoso shuffle intitolato Home To My Baby; in Town Saint ritorna Shellist all’armonica per un delizioso funky-soul-blues di pregevole fattura, sempre ben cantato da Duncanson che, insieme a Stimmel, titilla dolcemente anche le chitarre. Avendo a disposizione un grande come Henry Gray perché non fargli cantare almeno un brano? Missione compiuta in Cold Chills, firmata dallo stesso, e che prevede di nuovo la presenza di Corritore all’armonica, la voce è vissuta, ma sempre vibrante in questo lento d’atmosfera. Per Easy To Love  torna di nuovo la bravissima Jackie Scott, nell’unico brano che prevede la presenza del loro vecchio armonicista Assselin, un blues pimpante che conferma il valore della Kilborn Alley Blues Band. E splendida anche Sure is Hot, una magnifica soul ballad, dove appare anche tale Cerbo, che nonostante la sua “rappata”, non riesce a rovinare questo brano cantato con grande intensità da Duncanson. Per concludere in bellezza una “strana” Night Creeper, un funky blues che prevede del talking da parte dei protagonisti e rievoca certe cose di Rufus Thomas del periodo Stax. Direi complessivamente un ottimo disco, tra i migliori in ambito electric blues di questo 2017.

Bruno Conti

Sempre Più Un “Mostro” (Della Chitarra). Monster Mike Welch And Mike Ledbetter – Right Place, Right Time

monster mike welch & mike ledbetter - right place, right time

Monster Mike Welch And Mike Ledbetter – Right Place, Right Time – Delta Groove Music/Ird

Mike Welch ha avuto il suo nomignolo di Monster, da Dan Aykroyd, circa 25 anni fa, quando era un ragazzino di 13, ma era già un “mostro” alla chitarra. Ora che di anni ne ha 37 è diventato uno dei più rispettati chitarristi di blues, il cui nome ricorre in moltissimi album del genere: con Sugar Ray & The Bluetones, con i Mannish Boys, di recente nei Knickerbocker All-Stars, insieme a Jimmie Vaughan e Duke Robillard, oltre ad avere pubblicato sei album a proprio nome (ma erano dieci anni che non usciva un disco a nome suo). In passato mi è capitato di recensire spesso album dove appare il chitarrista nato ad Austin, ma attivo soprattutto nell’area di Boston, oltre che a Chicago e in California, dove si trova la Delta Groove, l’etichetta che pubblica questo disco. Welch, che non è un gran cantante, saggiamente ha evitato, quando è stato possibile, di occuparsi del lato vocale dei dischi dove appariva, e anche in questa occasione si appoggia ad uno che invece ha una voce strepitosa, Mike Ledbetter. Anche lui un “habitué” negli album che ruotano intorno al blues, ma anche nel soul, nel gospel, nel r&b, nel rock, persino nell’opera, calcando i teatri dell’area di Chicago, e, soprattutto, collaborando per otto anni nella band del suo mentore Nick Moss http://discoclub.myblog.it/2016/07/13/breve-gustosa-storia-del-blues-rock-due-dischi-nick-moss-band-from-the-root-to-the-fruit/ , altro grande chitarrista (ma lo ricordo anche con Ronnie Earl e Anson Funderburgh, altri due chitarristi che non cantano). Lui comunque se la cava anche alla chitarra, ma nel nuovo album in coppia con Welch, la suona solo in un pezzo, “ubi major, minor cessat”, ovvero, ad ognuno il proprio mestiere.

E i due insieme il loro mestiere lo sanno fare alla grande in questo Right Place, Right Time, dove sono aiutati da una band con i controfiocchi, dove brillano le tastiere di Anthony Geraci, altro veterano della scena blues, che lo scorso anno ha pubblicato un album sempre per la Delta Groove e suona al momento nella band di Sugar Ray, ma in passato anche con Ronnie Earl e Debbie Davies, tra i tanti. A completare la formazione Ronnie James Weber al basso e Marty Richards, alla batteria. Sarò didascalico, ma i nomi contano, e quindi aggiungiamo anche quelli degli ospiti Laura Chavez (ex chitarrista di Candye Kane e di recente anche con Vanessa Collier e Ina Forsman), nonché la sezione fiati di Sax Gordon e Doug James, in quattro brani. Ledbetter firma tre brani e Welch un paio, quindi non manca il materiale originale, ma neppure alcune ottime cover di brani non celeberrimi: a partire dalla ottima Cry For Me Baby, un brano di Melvin London che faceva parte del repertorio di Elmore James, cantata con la consueta voce stentorea (una delle migliori attualmente in circolazione) da Mike Ledbetter e con Mike Welch e Anthony Geraci subito brillantissimi ai rispettivi strumenti, blues puro. Quando si aggiungono i fiati, come nella successiva cover di I Can’t Please You, si sfiora il soul e l’errebì, se non fosse per la chitarra del Monster che inizia a fare mirabilie, confermando i lusinghieri paragoni che ai tempi lo avevano indicato come uno dei possibili eredi di Stevie Ray Vaughan,  e di altri grandi delle 12 battute. Kay Marie, porta la firma di Ledbetter, che canta sempre splendidamente, ma è anche l’occasione per un duello di chitarre fluidissimo tra Welch e Laura Chavez a tempo di shuflle https://www.youtube.com/watch?v=Xub4cUwJ77A .

E il blues domina anche in I Can’t Stop Baby un brano di Willie Dixon scritto per Otis Rush, un lento torrido con uso di fiati dove entrambi i protagonisti sono assolutamente in evidenza, soprattutto Welch che strapazza la sua solista con libidine. Ancora stessa formula con fiati anche per la cover di Down Home Girl, che forse qualcuno ricorda su The Rolling Stones No. 2, in una versione più cruda, mentre qui prevale il R&B cadenzato ma lancinante. Torna Laura Chavez per un altro duetto di 6 corde in How Long Can This Go On un brano minore di Little Junior Parker che è un’altra occasione per ascoltare in azione Mike, una vera iradiddio alla chitarra, ma anche la Chavez si difende, canzone fantastica comunque. Ottima anche la seconda composizione di Ledbetter, Big Mama, altro Chicago Blues di grande intensità, di nuovo con la Chavez in formazione; e poi Monster Mike Welch si scatena di nuovo in I’m Gonna Move To Another Country, uno slow blues che ricorda il miglior Bloomfield. Ed eccellente anche l’ultimo contributo di Ledbetter Can’t Sit Down, ma non ci sono brani deboli in questo album, uno meglio dell’altro, qui fantastico pure Geraci. Anche nell’omaggio a B.B. King Cryng Won’t Help You, di nuovo con fiati d’ordinanza, la band non scherza un c…o.  Come pure in un altro splendido lento di Elmore James come Goodbye Baby e nella conclusione affidata ad uno strumentale vibrante di Welch, Brewster Avenue Bump, dove Mike e la Chavez si sfidano ancora a colpi di chitarra, ben coadiuvati da Geraci e con Ledbetter che tiene pure lui il colpo, alla fine vince solo l’ascoltatore.

Bruno Conti