Ancora Dell’Ottimo Gospel Soul Da Memphis. Sensational Barnes Brothers – Nobody’s Fault But My Own

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Sensational Barnes Brothers – Nobody’s Fault But My Own – Bible And Tire Recording Co./Big Legal Mess/Fat Possum

Ammetto che fino a pochi tempo fa ignoravo l’esistenza dei Sensational Barnes Brothers, ma visto che uno dei piaceri dello scrivere di musica è anche quello di scoprire nuovi nomi, e poi condividerli con chi legge, eccoci a parlare di Nobody’s Fault But My Own, eccellente esordio di questa coppia di fratelli, peraltro comunque sconosciuta ai più. Alcuni indizi: vengono da Memphis, dove ai Delta-Sonic Studios è stato registrato questo album, provengono da una famiglia che ha sempre gravitato nell’area della musica gospel, il babbo Calvin “Duke” Barnes, scomparso improvvisamente di recente,  aveva un duo con la moglie Deborah (che in passato era stata una delle Raelettes di Ray Charles), i due figli Chris (appassionato del rock di Disturbed e Dream Theater) & Courtney,  suonano anche nei Black Cream, un gruppo nello stile classico del power trio, rivisto in ottica nera, aiutati da parenti assortiti, Calvin Barnes II suona nel disco all’organo, Sister Carla, l’unica ad avere lasciato Memphis, canta pure lei, quindi la musica è un affare di famiglia.

Il disco non riporta il nome degli autori dei brani, ma tutto il materiale proviene dal catalogo della Designer Records, una sconosciuta etichetta degli anni ’70 specializzata in soul e gospel,benché nelle parole dei due fratelli avrebbe potuto essere stato scritto dalla loro famiglia, visto che coincide con quella visione musicale e religiosa. Possiamo aggiungere che il disco è prodotto da Bruce Watson (anche chitarrista e polistrumentista, nonché fondatore della Fat Possum)), uno che ha lavorato con Don Bryant (marito di Ann Peebles), nello splendido Don’t Give Up On Love, con Jd Wilkes, con Jimbo Mathus, che appare nel disco come organista aggiunto, anche con R.L. Burnside e Jumior Kimbrough, e moltissimi altri. Nel CD suonano Will Sexton alla chitarra, George Sluppick alla batteria, Mark Stuart al basso, Kell Kellum alla pedal steel, oltre agli ottimi Jim Spake e Art Edmaiston ai fiati, a dimostrazione dell’assunto che elencare i nomi dei musicisti magari può essere didattico e didascalico, ma aiuta a capire cosa stiamo per ascoltare, e come detto all’inizio si parla di deep soul gospel o Stax sound della prima ora, insomma “old school” come si suole dire: pescando a caso dal disco abbiamo la fiatistica e corale I’m Trying To Go Home, anche con coretti deliziosi femminili e un suono che sembra uscire dai Fame Studios, mentre i due fratelli “testimoniano” alla grande https://www.youtube.com/watch?v=7WlVzsCtB8M , la splendida ballata Let It Be Good. cantata divinamente dal babbo Calvin “Duke” Barnes, anche con arditi falsetti, e chitarre e organo, oltre agli immancabili coretti e il supporto del figlio Chris, tutti che agiscono in pura modalità sudista.

Why Am I Treated So Bad, con riff di fiati all’unisono, e una melodia che potrebbe rimandare a Sam & Dave, se avessero deciso di darsi al gospel anziché al soul, sempre con quel falsetto ricorrente, I Made It Over, dal ritmo incalzante ed estatico del miglior gospel quando si “ispira” anche ad una soul music più carnale, oppure Nobody’s Fault My Own (che qualche parentela, quantomeno a livello di testo) con Nobody’s Fault But Mine ce l’ha, è un R&B sincopato che istiga a muovere mani e piedi in un florilegio di chitarrine e ritmi scatenati, che accelerano e accelerano fino al classico call and response del finale. E prima ancora un’altra bellissima ballata in puro spirito sudista come I Feel Good, sempre sognante e serena, attraverso l’uso di complessi arrangiamenti vocali, I Won’t Have To Cry No More potrebbe essere un esempio di come avrebbero potuto suonare i primi Staples Singers se Pops Staples invece di una pattuglia di figlie, si fosse trovato con altrettanti figli, oppure con i Soul Stirrers di Sam Cooke. E anche It’s Your Life è un altro mid-tempo tra soul e gospel cantato con grande passione dai due fratelli, come pure la incantevole Try The Lord, con Kell Kellum ad accarezzare la sua pedal steel https://www.youtube.com/watch?v=21TJawoVGZk , ma in tutto il disco vi sfido a trovare un brano scarso, solo del sano buon vecchio soul, a tinte gospel.

Bruno Conti

Né Levrieri, Né Autobus, Solo Un Duo Texano: Ma Che Genere Fanno, Boh! Greyhounds – Cheyenne Valley Drive

greyhounds cheyenne valley drive

Greyhounds – Cheyenne Valley Drive – Bud’s Recording Services   

Conoscevo la compagnia di autobus americana e la razza di levrieri, ma ammetto che i Greyhounds come band mi mancavano: eppure sono su piazza, a Austin, Texas, da una ventina di anni, e pare abbiano già inciso sei  album, gli ultimi due per la rinata Ardent Records (ma altre discografie ne riportano solo quattro in tutto). Riconosco di conoscerli poco, ma quello che ho ascoltato in questo Cheyenne Valley Drive ha quanto meno acceso il mio interesse per un sound “diverso” dal solito. Intanto sono un duo, formato da Anthony Farrell, tastiere e voce, e Andrew Trube, chitarra e voce, che spesso si accompagnano con un batterista, che cambia a seconda degli album, per l’occasione Ed Miles. Quindi niente bassista, ma come insegna la storia, non è una novità, sin dai tempi dei Doors, nei Greyhounds la presenza di una tastiera permette di duplicarne le funzioni, ma per l’assenza del basso sono stati avvicinati a White Stripes e Black Keys, per quanto ascoltando l’album mi sembra che più correttamente si possa parlare di una fusione di soul raffinato (molto blue-eyed, ma anche nero), blues , funky e qualche piccolo elemento di rock sudista, in fondo risiedono in Texas.

Ascoltando il primo pezzo Learning How To Love mi è venuto da pensare a Gil Scott-Heron, un pezzo come The Revolution Will Not Be Televised, magari non a livello testi,  un bel piano elettrico, l’organo e il vocione di Farrell che accenna anche qualche falsetto, la chitarra insinuante di Trube, per una miscela quanto meno non molto frequentata di rock e musica nera https://www.youtube.com/watch?v=IMPQP_UkV88 . Nella successiva No Other Woman, abbiamo anche la presenza del sax di Art Edmaiston, che ricorda vecchie collaborazioni live dei due con la band di Jj Grey & Mofro, e quindi il blues-rock si fa più incalzante e sudista, con chitarre e tastiere più “cattive”. Space Song inizia con il riff di People Get Ready, ma è un attimo, anche se l’aria funky-soul-blaxploitation-space rock, grazie alla chitarra con wah-wah (che potrebbe essere di Will Sexton, presente come ospite nell’album, insieme alla moglie Amy LaVere), con tastiere appunto spaziali, visto il titolo della traccia, e la chitarra abbastanza presente e impegnata, creano sonorità interessanti. Ci sono momenti più orientati verso la canzone tradizionale, con nella piacevole melodia della morbida WMD, ritmi smussati e addolciti, quasi levigati.

Non è da trascurare che comunque l’album sia stato registrato ai Sam Phillips Recording Studios di Memphis, dopo gli album se etichetta Ardent ci può stare, se vuoi affrontare il crocevia tra la musica nera e quella bianca. Nel caso in oggetto di questo Cheyenne Valley Drive (che è l’indirizzo di casa del batterista), per quanto interessante, mi pare a tratti un po’ all’acqua di rose: alcuni cronisti fantasiosi hanno definito il loro sound “ZZ Top meets Hall & Oates”, e per quanto sui secondi possa concordare, i tre barbuti texani non li vedo molto tra le loro influenze, almeno al livello di grinta, ma ognuno ci vede (e ci sente) quello che vuole. Poi per confondere ulteriormente le idee nel loro CV viene detto che hanno scritto canzoni per Tedeschi Trucks, può essere ma sinceramente non ne ho trovate, mentre hanno aperto per i loro tour, e quindi una notizia non sicura poi per voce di popolo diventa certa, fine parentesi, torniamo al CD. Get Away Clean è un altro moderno R&B, con la giusta miscela di elementi più morbidi e altri ruvidi, pochi dei secondi, e anche 12th Street è levigata, ma con un bel assolo di Trube che illustra il lato più blues della loro musica; All We Are è un altro blue-eyed soul, con qualche elemento alla Doobie Brothers del periodo Michael McDonald e Rocky Love è di nuovo più bluesy, vagamente alla Steve Miller Band anni ‘70, con una bella chitarra di nuovo in modalità wah-wah, Goodbye è più grintosa e rock, mentre la conclusiva Credo è nuovamente una morbida soul  ballad https://www.youtube.com/watch?v=pqhmuuVa-HI . Insomma se avete capito che genere fanno beati voi, comunque piacevole e inconsueto nell’insieme.

Bruno Conti

Dal Boogie Blues Del Mississippi Agli Ardent Studios Di Memphis, Con Ottimi Risultati. Reed Turchi – Speaking In Shadows

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Reed Turchi – Speaking In Shadows – Devil Down Records/Ird 

Dal blues delle colline del Mississippi e dal kudzu boogie agli Ardent Studios di Memphis, il passo potrebbe sembrare lungo, ma Reed Turchi lo ha compiuto senza apparente sforzo, regalandoci un disco che, pur sempre imbevuto di blues, ha comunque molte altre frecce al suo arco: ballate (?!?), pezzi quasi Stonesiani o sudisti, ritmi funky-rock sghembi, intermezzi dal sound più “moderno” e lavorato, un suono spesso più complesso e meno “selvaggio” dei lavori come band, ma agli occhi di chi scrive più interessanti e meno monocordi del suono del gruppo, anche se ogni tanto forse ci mancano quelle sgroppate chitarristiche selvagge e distorte (ma appena un poco). In fondo se il sound non cambiava che senso aveva fare un disco come solista: disco solo ma non solitario, nell’album appaiono ben 11 musicisti, non contemporaneamente in tutti i pezzi. L’unica costante è Paul Taylor che suona sia basso che, soprattutto, batteria e percussioni, oltre al co-produttore Billy Bennett (MGMT, The Whigs) che suona tastiere e synth in sei brani.

Per il resto, in ordine di apparizione, troviamo Heather Moulder, che è la deliziosa voce duettante nella delicata ballata Pass It Over, un brano che ricorda qualcosa addirittura dei Big Star, che registrarono i loro dischi proprio negli antenati dei leggendari Ardent Studios di Memphis, chitarre sospese per un pop-rock dal suono avvolgente. Fosse tutto così il disco sarebbe un mezzo capolavoro, ma alla fine potrebbe forse risultare noioso. Ed ecco allora la stonesiana Everybody’s Waiting (For Me To Come), con il sax di Art Edmaiston (della Gregg Allman Band) che duetta con la slide di Turchi e con Adrian Hill, aggiunto alla chitarra, come pure le tastiere di Bennett, e niente male anche Juggling Knives, dai solidi riff, dove Reed duetta con la chitarra del Bud Spencer Blues Explosion, l’italiano Adriano Viterbini, per un brano che suona come un blues (rock) per il 21° secolo. Atmosfere più sospese, ma sempre affascinanti, per una sognante e leggermente psych Texas Mist, dove le nebbie non sono così profonde, ma sporcano il sound, con una voce carica di riverbero, il Fender Rhodes di Anthony Farrell che lavora sullo sfondo ed un acidissimo solo in modalità slide di Reed Turchi.

E la slide è di nuovo protagonista in primo piano anche in Offamymimd, un bel pezzo di blues-rock chitarristico, tirato e classico, senza la ricerca delle asprezze sonore del passato, ma la solista tira comunque alla grande e tutta la band gira alla perfezione in un brano che si rifà ai classici del passato. Ima Bore, di nuovo in accoppiata con Viterbini, (mi) ricorda il sound dei primi brani dei Modern Lovers di Jonathan Richman, quando facevano ancora rock, grazie anche alla voce sottile e particolare di Turchi, mentre musicalmente c’è qualche parentela anche con l’altro Reed, Lou e Drawn And Quartered, grazie agli interventi delle sghembe tastiere di Bennett, percussioni minimali e di nuovo quella voce acerba, per strane associazioni di idee mi ha ricordato il Donovan del periodo psichedelico. La batteria elettronica di A Course To Stay, accoppiata ad una chitarra solista assai lavorata, sfocia quasi in un rock industriale e futuristico, dove le voci di supporto di Leigh Lucas e Steph Wells, rendono il tutto straniante, anche se è uno dei brani che mi piace meno. Floristella è forse il brano che più racconta il vecchio sound: una chitarra distorta, come pure la voce, sostenute da folate di organo e dal sax “maligno” di Edmaiston rendono l’atmosfera inquieta e a tratti quasi free, mentre Looking Up Past Midnight ricorda forse il desert rock introspettivo dei Thin White Rope, di nuovo con organo e sax a farsi largo in una ritmica spezzata e contorta, mentre la chitarra si tiene ai margini. A chiudere, torna il dualismo fra sax e chitarra slide e wah-wah in una Flash Of Gold dai ritmi funky e contorti, di nuovo vicini al suono dei vecchi Turchi, e forse per questo meno convincenti per il sottoscritto. Finale con Reed Turchi che duetta con sé stesso in uno strumentale dall’atmosfera folk-blues, solo due chitarre, una acustica e una slide, con un suono che ricorda quello delle colonne sonore di Ry Cooder. Dodici brani, solo 37  minuti, ma un disco interessante ed intenso che non mi aspettavo.

Bruno Conti