Anche Senza Il Suo Pard Abituale, Sempre Un Gran Bel Sentire! Jim Cuddy – Constellation

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Jim Cuddy – Constellation – Warner Music Canada

Questo Constellation suona come un disco dei Blue Rodeo, quindi bello (lo ammetto sono di parte  http://discoclub.myblog.it/2016/12/06/volta-degni-della-fama-blue-rodeo-1000-arms/ ). D’altronde Jim Cuddy è uno dei due leader e componenti storici della band canadese: forse qualcuno poteva aspettarsi un suono diverso in un suo disco solista (ma anche i precedenti tre non deviavano molto o per nulla dal sound del gruppo madre). D’altronde il gruppo ha uno stile ben definito, acquisito in decenni di carriera, con elementi country, rock, rimandi ai gruppi storici West Coast e ai Beatles per l’uso spesso celestiale delle armonie vocali, come pure alla Band, di cui in Canada per certi versi vengono considerati tra i principali eredi. E’ difficile che deludano o che si lancino verso nuove sonorità, tipo quello sciagurate delle ultime prove di gente come Arcade Fire, Mumford And Sons ed altri: a Milano si dice “Ofelè fa el to mesté”, “pasticciere fai il tuo mestiere”, ovvero continua a fare quello che sei bravo a fare. Del resto, se escludiamo Greg Keelor (l’altra metà dei Blue Rodeo), la presenza della band è comunque massiccia: ci sono Colin Cripps, il nuovo chitarrista aggiunto da quando Keelor, per problemi uditivi, ha dovuto ridurre di molto sul palco l’uso delle chitarre elettriche, il bassista storico Bazil Donovan, e tra gli ospiti, in un paio di brani, il tastierista Michael Boguski, ma anche la violinista Anne Lindsay ha suonato spesso con loro. Ci sono pure altri musicisti della scena canadese, il batterista Joel Anderson nel giro Oh Susanna, presente in un paio di brani di questo Constellation e anche Jimmy Bowskill, nuovo chitarrista degli Sheepdogs (di cui è uscito di recente il nuovo eccellente Changing Colours http://discoclub.myblog.it/2018/03/04/canadesi-dal-cuore-e-dal-suono-sudista-the-sheepdogs-changing-colours/ ), impegnato a mandolino e pedal steel

. Il risultato è un buon disco, mancano forse le solite armonie vocali fantastiche e gli interscambi tra Cuddy e Keelor, come pure i brani più melanconici e sontuosi di Keelor, ma la vocalità calda e partecipe di Cuddy, vicina a quella di gente come Richie Furay dei Poco, Dan Fogelberg, persino Don Henley, tanto per non fare nomi, garantisce quella fusione di generi ricordata prima, dove le ballate, il country, ma anche il rock chitarristico classico americano sono elementi imprescindibili. La voce è sempre chiara e cristallina, anche se i 62 anni la rendono un filo più profonda e vissuta, ma quando intona la deliziosa While I Was Waiting, classico alt-country-rock con elementi Jayhawks o Wilco, si riconosce subito il suo timbro inconfondibile, e il dualismo piano-organo aggiunge profondità al jingle-jangle delle chitarre; Where You Gonna Run, con il mandolino aggiunto di Bowskill, sembra uno dei brani più country dei primi Poco, comunque belle le armonie vocali e il violino guizzante della Lindsay, come pure il tocco della chitarra acustica solista e del piano, mentre Constellations è una di quelle ballate pianistiche romantiche (diverse da quelle più malinconiche di Keelor) tipiche del repertorio del nostro, con Amy Laing aggiunta al cello, atmosfere che evocano gli sterminati paesaggi del territorio canadese. Beauty And Rage, introdotta da piano elettrico ed organo, ha un sapore più pop ed orecchiabile, meno soddisfacente di altri brani, come per esempio Lonely When You Leave, una delle classiche canzoni mid-tempo di Cuddy  con l’interscambio tipico tra chitarre acustiche, elettriche, piano, organo e violino, un brano che mescola musica roots e pop di qualità, cantato in modo impeccabile con deliziosi contrappunti vocali.

You Be The Leaver è un’altra ballata acustica dolce ed avvolgente, forse un po’ di maniera ma efficace, giocata sul piano e sugli archi, fino ad un assolo di chitarra misurato e raffinato. One Thing Right, con Oh Susanna, Suzie Ungerleider alle armonie vocali, è più mossa e variegata, con mandolino e violino sempre in evidenza, sembra quasi un pezzo degli Eagles dei primi tempi, tra country e rock, Hands On The Glass è uno di quei brani rock e chitarristici che sono nel DNA di Cuddy, un tuffo negli anni ’70, con chitarre ruggenti, anche la pedal steel di Bowskill, in evidenza, come pure l’organo, e un bel crescendo strumentale nella parte centrale. Cold Cold Wind, parte lenta e circospetta, con chitarre acustiche, un mood country di vecchi tempi, poi entra le seconda voce di Oh Susanna, il violino della Lindsay, il mandolino e la canzone assume una pigra andatura “campagnola”, poi nel finale entra una slide, il suono si anima e parte una piccola jam elettrica bluesy tutta da gustare, Roses At You Feet, di nuovo un mid-tempo specifico dello stile di Cuddy, delicato e sognante, per quanto non memorabile, prima della conclusiva Thing Still Left Unsaid (forse un seguito di Things We Left Behind), uno dei brani migliori dell’album, dal ritmo febbrile e in crescendo incalzante https://www.youtube.com/watch?v=j4-V2p1DMOo , con l’organo di Boguski, il mandolino di Bowsill e le chitarre di Cuddy e Cripps che si scatenano nel finale, peccato che il brano si interrompa su una probabile jam che ci attendiamo nelle esibizioni live.

Bruno Conti

Ancora Una Volta Degni Della Loro Fama! Blue Rodeo – 1000 Arms

blue rodeo 1000 arms

Blue Rodeo – 1000 Arms – TeleSoul Records Canada

Ogni appassionato della buona musica ha una predilezione particolare per un gruppo o un solista, al di fuori dei grandi nomi più ricorrenti: il sottoscritto ce l’ha, tra gli altri, per i canadesi Blue Rodeo. Chi legge queste pagine virtuali avrà visto sempre giudizi più che lusinghieri di chi scrive per la band di Jim Cuddy e Greg Keelor, che considero una delle migliori in assoluto di quelle uscite nell’ultimo trentennio (come si vede dai video non sono più dei giovanotti), tra i migliori eredi della grande tradizione che ha avuto soprattutto nella Band l’esempio più fulgido nell’ambito Americana, country-rock, roots music, come diavolo volete chiamarlo, in generale tra i gruppi provenienti dal continente nord-americano. Dopo l’eccellente Live At Massey Hall dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2015/12/06/dei-migliori-album-dal-vivo-del-2015-blue-rodeo-live-at-massey-hall/ , i Blue Rodeo tornano con questo 1000 Arms, il loro quattordicesimo album di studio, che conferma una rinnovata verve del quintetto canadese, dopo le derive un filo più bucoliche del peraltro ottimo In Our Nature http://discoclub.myblog.it/2013/11/14/festeggiano-25-anni-e-spiccioli-di-carriera-con-un-grande-di/ , e del successivo album di carattere natalizio http://discoclub.myblog.it/2014/12/07/il-solito-disco-natalizio-blue-rodeo-merrie-christmas-to-you/ . Il gruppo raramente ha sbagliato un colpo, con loro si va a colpo quasi sicuro Nell’album in questione appare per l’ultima volta il membro aggiunto (ma in pratica fisso nella band da 17 anni) Bob Egan, sopraffino suonatore di pedal steel e mandolino fin dai tempi di Palace Of Gold. Ovviamente il gruppo ruota soprattutto intorno alle canzoni, alle voci e armonie vocali di Cuddy e Keelor, ma anche il secondo chitarrista (con Cuddy) Colin Cripps e il tastierista Michael Boguski contribuiscono con i loro tocchi di finezza al risultato finale, oltre al dancing bass inimitabile del veterano Bazil Donovan.

Al solito Jim Cuddy è quello dalla voce più solare, giovanile, che rimanda a Paul Cotton o Richie Furay dei Poco, mentre Greg Keelor ha un timbro più roco e crepuscolare, anche se il meglio lo danno, come di consueto, negli splendidi intrecci vocali che sono il loro marchio di fabbrica. E le canzoni di qualità non mancano neppure in questa occasione: che sia il country-rock riflessivo dell’iniziale splendida Hard To Remember, con il marchio di Keelor, tocchi jingle-jangle quasi byrdsiani, quelle armonie vocali immancabili e un suono caldo ed avvolgente https://www.youtube.com/watch?v=j44YVch6Qbk , oppure una solare I Can’t Hide This Anymore, un brano di Cuddy, che con il suo mandolino e le chitarre acustiche ed elettriche, sembra uscito da uno dei primi dischi dei Poco o degli Eagles. Molto bella anche la mossa Jimmy Fall Down dove fa capolino anche una armonica https://www.youtube.com/watch?v=dg0B_-eX-6I  o la riflessiva Long Hard Life, dove Jim Cuddy racconta di una relazione finita male con la consueta passione. Rabbit’s Foot di nuovo a guida Keelor, vira decisamente verso il rock, sembra un pezzo, e pure di quelli belli, di Tom Petty con gli Heartbreakers, di nuovo chitarre tintinnanti, ritmi incalzanti e intrecci vocali splendidi, fino ad un break chitarristico da manuale; 1000 Arms è una delle consuete ballate strappacuore di Cuddy, con la pedal steel sugli scudi, come se il country-rock degli anni ’70 non fosse mai tramontato.

Dust To Gold viceversa è uno di quei pezzi più “lunatici” ed ombrosi di Greg Keelor, con la pedal steel, l’organo e il piano a sottolineare l’atmosfera più cupa della canzone, sempre infiorata dalle loro armonie vocali inconfondibili https://www.youtube.com/watch?v=E4ZhU8aQEZ4 . Superstar, con un corno francese ad arricchire il sound, è uno dei consueti tuffi di Cuddy nell’amato songbook beatlesiano, a passo di carica e con una melodia accattivante, controcanti vorticosi ed interventi chitarristici e pianistici ficcanti https://www.youtube.com/watch?v=SXDSLFQv5NI ; Mascara Tears con Cuddy al Wurlitzer, è pero un brano crepuscolare di Keelor che sembra uscire da On The Beach di Neil Young, tra pedal steel e organo “piangenti”. Can’t Find My Way Back To You, un altro resoconto su un amore finito male di Cuddy (sono sfortunati questi ragazzi!) ha però una bella melodia vivace e mossa, ancora con tocchi younghiani, ma anche aperture country-blues deliziose, mentre So Hard To See è un’altra delicata ballata, questa volta di impianto decisamente acustico, con una spennellata di guitar-synth che fa le veci di una sezione archi e il piano e le chitarre acustiche a caratterizzarne il sound. A chiudere il solito pezzo epico che i Blue Rodeo ci riservano sempre per il gran finale: The Flame è uno dei loro classici brani in crescendo, firmato da Keelor (anche se sul disco tutte le canzoni sono marchiate Cuddy-Keelor), un organo quasi doorsiano, la solita pedal steel e le chitarre che scaldano l’atmosfera nella vibrante parte centrale strumentale. Gran finale per un ottimo album, ancora una volta degno della loro fama.

Bruno Conti