Recensioni Cofanetti Autunno-Inverno 3. Dedicato A Chi Non Li Considera(va) Una Grande Live Band! R.E.M. – At The BBC

Rem At The BBC

R.E.M. – At The BBC – Concord/Universal 2CD – 2LP – Box Set 8CD/DVD

Nel 2018 nessun album dei R.E.M. ha compiuto 25 anni (toccherà nel 2019 a Monster, disco peraltro non tra i migliori del gruppo di Athens), e quindi il “buco” di mercato viene coperto egregiamente da questo box di otto CD più un DVD intitolato At The BBC, che, come potete immaginare, ripercorre la storia delle partecipazioni del quartetto (trio dal 1998) alle trasmissioni della leggendaria emittente radio-televisiva britannica, siano esse esibizioni negli studi (con pubblico e senza), sia grandi concerti all’aperto che la BBC aveva trasmesso in esclusiva. Negli anni in molti, specie tra i detrattori del gruppo di Michael Stipe, Peter Buck e Mike Mills (oltre a Bill Berry), hanno pensato che i nostri fossero principalmente una band adatta a produrre ottimi album di studio, ma molto meno efficaci dal vivo.

Questo splendido box (esiste anche una versione ridotta a due CD, però a mio parere ce ne volevano almeno tre) smentisce clamorosamente questa teoria, nonostante le numerose canzoni che si ripetono al suo interno: i R.E.M. erano principalmente un gruppo di musicisti nel puro senso del temine, forse un po’ meno showmen, e quindi i loro concerti non erano il massimo dello spettacolo dal punto di vista visivo, ma quando si trattava di suonare eccome se ci davano dentro, riuscendo anche a cambiare gli arrangiamenti dei brani e ad entusiasmare il pubblico senza l’ausilio di effetti speciali, ma solo con la loro musica. Questo box, che è completato da un corposo libretto con le testimonianze di vari produttori e presentatori della BBC, prende in esame un arco di tempo decisamente ampio, che va dal 1984, quando i nostri erano ancora poco conosciuti anche in America, fino al 2008, anno in cui smisero di esibirsi dal vivo. Ecco una disamina dei contenuti disco per disco.

CD1: l’unico dei supporti audio ad avere materiale proveniente da varie fonti, e anche l’unico senza pubblico. I primi sei brani sono tratti da una splendida session acustica del 1991 per il programma Into The Night, dove spiccano una deliziosa World Leader Pretend, dal testo sempre attuale, la rara Fretless (presente solo nella colonna sonora di Until The End Of The World), l’allora nuovissima Losing My Religion, sempre una grande canzone anche in questa versione rallentata, ed una scintillante rilettura del classico dei Troggs Love Is All Around, cantata da Mills. Quattro pezzi vengono da una studio session per la trasmissione di John Peel e tutti quanti tratti da Up, uno dei rari passi falsi del gruppo, un disco quasi sperimentale e con largo uso di elettronica: dal vivo però le canzoni in questione vengono decisamente meglio, specie Daysleeper, una ballata distesa con melodia tipica di Stipe e soci ed una suggestiva slide alle spalle. Altri quattro brani sono dell’Ottobre del 2003, le splendide Man On The Moon e Imitation Of Life, tra le più belle del loro songbook, la frenetica Bad Day, in pratica una It’s The End Of The World As We Know It versione 2.0, ed una sontuosa Orange Crush, rock song di notevole spessore. Chiudono due pezzi incisi nel 2008: una cover di Munich, brano della band post-punk The Editors, ed una Supernatural Superserious in un’insolita veste acustica.

CD2: una session completa (e con pubblico) per John Peel, leggendario DJ che pare non amasse i nostri alla follia. Dodici brani, di cui la metà da Up (non male Lotus, dalle vaghe reminescenze bowiane, e la gentile pop song At My Most Beautiful, con echi invece di Beach Boys); per il resto un paio di classici (Losing My Religion, che apre lo show, e Man On The Moon, che lo chiude), le poco eseguite New Test Leper (limpida folk-rock ballad) e Perfect Circle (lenta ed interiore), la fluida e pianistica Electrolite, molto apprezzata dal pubblico, ed una spettacolare Country Feedback che supera i sette minuti e da sola vale il dischetto. CD3: uno show a Nottingham del 1984, quando i nostri erano ancora giovani, affamati e decisamente diretti ed immediati, un set fortemente elettrico con diversi classici della prima ora (Hyena, So. Central Rain, Gardening At Night, Radio Free Europe, Carnival Of Sorts), ma soprattutto gemme oggi quasi dimenticate come la travolgente Second Guessing, puro rock’n’roll, le mosse e godibili Talk About The Passion e (Don’t Go Back To) Rockville, entrambe con ampio uso di jingle-jangle sound, la sinuosa Old Man Kensey, con il suo chitarrone twang, la trascinante e corale Pretty Persuasion ed il ficcante medley 9-9/Hey Diddle Diddle/Feeling Gravitys Pull, suonato con foga da punk band.

CD4-5: i migliori due dischetti del box documentano uno splendido concerto tenutosi a Milton Keynes nel 1995, uno show decisamente elettrico e con molti pezzi reinventati e diversi dagli originali: perfino Losing My Religion non ha mai suonato così rock. La serata inizia con i due brani migliori di Monster, cioè l’orecchiabile What’s The Frequency Kenneth? e soprattutto la roboante Crush With Eyeliner, grande rock song influenzata da Lou Reed, per poi presentarci Drive, uno dei loro capolavori assoluti in una versione completamente diversa, molto più elettrica e forse con meno pathos dell’originale. Altri highlighs di un concerto che non dà un attimo di tregua (non le cito tutte perché ci vorrebbe una recensione a parte) sono il coinvolgente rock’n’roll di I Took Your Name, la bellissima slow ballad Strange Currencies, ancora migliorata da questo arrangiamento più elettrico, la soulful Tongue, la sempre magistrale Country Feedback, una formidabile Everybody Hurts di sette minuti e la byrdsiana Fall On Me.

CD6-7: registrato al famoso Festival di Glastonbury nel Giugno del 1999, questo è un altro bel concerto, elettrico e vibrante, leggermente inferiore al precedente più che altro per la presenza di troppi brani da Up (ma Daysleeper si conferma una gran bella canzone): finalmente sentamo anche The One I Love, uno dei più bei brani dei REM degli anni ottanta, e le solite ottime What’s The Frequency Kenneth?, Fall On Me, Sweetness Follows, Everybody Hurts e Crush With Eyeliner, ed una conclusiva It’s The End Of The World As We Know It anch’essa di sette minuti. E pure la poco nota So Fast, So Numb è una rock song coi fiocchi. CD8: un’esibizione del 2004 nella sconsacrata St. James’ Church di Londra, solo undici brani ma altra grande performance. Oltre a Losing My Religion e Man On The Moon non ci sono molti altri classici della band, ma abbiamo la deliziosa Leaving New York, il pop-rock solare di Imitation Of Life e soprattutto la splendida e suggestiva E-Bow The Letter, pezzo centrale di quel mezzo capolavoro che era New Adventures In Hi-Fi, con Thom Yorke dei Radioheads che sostituisce Patti Smith alla seconda voce. Tra le meno note, spicca lo scintillante folk-rock di Aftermath.

DVD: il fulcro dell’unico dischetto video è un documentario intitolato Accelerating Backwards, che raccoglie performance prese da anni diversi (tra cui una bizzarra rilettura del classico Moon River), e soprattutto tredici canzoni tratte da Later…With Jools Holland del 1998, uno show impeccabile nonostante anche qui la presenza di brani di Up sia massiccia, ma con una irresistibile rilettura della grande The Passenger di Iggy Pop, leggermente accelerata (ed uscita all’epoca su un CD singolo oggi ormai introvabile se non a prezzi proibitivi). Un bellissimo cofanetto quindi, che mi sento di consigliare visto che forse offre la panoramica più completa dal vivo ad oggi dei R.E.M.: con circa 60/65 euro è vostro.

Marco Verdi

Torna Il Ragazzo “Salvato” Dal Folk. Micah P. Hinson – At The British Broadcasting Corporation

micah p. hinson at the bbc

Micah P. Hinson – At The British Broadcasting Corporation – Full Time Hobby

Il titolo di questo “post”, per chi ci segue e ha letto le precedenti recensioni, fa riferimento alla sua sfera personale, in quanto questo ragazzo (ormai diventato uomo), da giovane ha avuto molte vicissitudini: seri problemi di droga, si è anche ritrovato in bancarotta, è finito in carcere per vagabondaggio, e per non farsi mancare nulla, nel 2014 pure un incidente d’auto che gli ha provocato la paralisi momentanea delle braccia, con serie conseguenze, prima di poter riprendere a suonare la chitarra. Comunque, a pochi mesi di distanza dal recente Presents The Holy Strangers, targato 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/09/10/una-geniale-e-moderna-opera-folk-micah-p-hinson-presents-the-holy-strangers/ , arriva un po’ a sorpresa questo nuovo lavoro (ed essendo in effetti questo nuovo album uscito a marzo, i mesi erano proprio pochi), disco che documenta le varie esibizioni di Micah P. Hinson per la trasmissione di Marc Riley alla British Broadcasting Corporatio (BBC), nel corso degli ultimi quindici anni, con i propri brani preferiti e scelti dallo stesso autore, riproposti in versioni altamente alternative.

Per chi conosce questo geniale cantautore nato a Memphis ma trasferitosi presto ad Abilene, Texas, il primo album di riferimento non poteva che essere uno dei “capolavori” iniziali, ovvero brani tratti da Micah P. Hinson And The Gospel Of Progress (04), con le prime due tracce del disco, il valzer acustico di una sempre strepitosa Stand In My Way, e la litania recitativa della spettrale I Still Remember, cantata in duetto con Sara Lowes, e di nuovo “perdere” la testa e aprire i cuori quando viene riproposta l’intensa bellezza di una meravigliosa Beneath The Rose. Dall’interlocutorio Micah P. Hinson And The Pioneer Saboteurs (10), Micah rilegge il folk-elettronico di una acustica 2’s + 3’s, la personale vicenda familiare della classica Seven Horses Seen, sino ad arrivare al country-folk di Take Of That Dress For Me, cantata quasi con sofferenza dall’autore. Dal successivo Micah P. Hinson And The Nothing vengono recuperati il folk-gospel campagnolo God Is Good, e una The Life, Living, Death And Dying Of A Certain And Peciluar L.J.Nichols (non vorrei sbagliare ma è uno dei titoli più lunghi e strani che mi ricordi), riletta e cantata su un ritmo scheletrico. Dall’ultimo lavoro in studio The Holy Strangers Micah ripropone il fantasma di Johnny Cash nella moderna serenata country di Lover’s Lane, e la ninna-nanna poco ortodossa di Oh, Spaceman (dedicata al figlio primogenito Wiley T.).

L’avvertenza è di considerare questa recensione (come ho già detto in altre occasioni) ad alto rischio di faziosità, ma questo ultimo lavoro di Micah P. Hinson è un disco che assomiglia a quegli album di famiglia, dove riguardando le pagine passate il protagonista di volta in volta decide di dare un taglio attuale e più moderno al suo “songbook”, mantenendo però le atmosfere di un vecchio “juke-box”. Micah P. Hinson nel corso del tempo si è costruito un solido seguito (anche in Italia), status che viene certificato anche da questo Micah P. Hinson At The BBC, undici vecchi e nuovi meravigliosi bozzetti acustici, con una voce che sembra venire dal profondo del cuore, in quanto la musica si può misurare solo attraverso le emozioni che riesce a regalare, e credetemi questo piccolo genio del “neo-folk” si rivela ancora una volta, magari anche a chi non lo conosce, come un autore intimo, e nonostante la traversie varie citate all’inizio, sempre più ispirato.

Tino Montanari

Piacessero o Meno, Dal Vivo Non Avevano Paura Di Nessuno! Queen – On Air

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Queen – On Air – Virgin Emi/Hollywood/Universal 2CD – Deluxe 6CD Box Set

I Queen sono, da almeno quarant’anni, una delle band più popolari del pianeta, e di conseguenza una gallina dalle uova d’oro per le varie case discografiche che sono state proprietarie del loro catalogo nel corso degli anni (principalmente la EMI, da tempo passata in parte al gruppo Universal): quale migliore occasione quindi alll’avvicinarsi delle feste natalizie, oltre al 25° anniversario della morte del frontman dal gruppo Freddie Mercury (avvenuta il 24 Novembre del 1991 a causa dell’AIDS) per immettere sul mercato un nuovo prodotto del celebre quartetto inglese? Non essendoci, pare, altri inediti di studio, e non volendo pubblicare l’ennesimo concerto d’archivio, si è optato (ed è strano che non ci avessero pensato prima) per rendere disponibili tutte le sessions effettuate dai nostri negli anni settanta per la mitica BBC, in un doppio CD che rende praticamente inutile l’album del 1989 Queen At The Beeb, che conteneva appena otto pezzi. Esiste anche una bella versione in sei CD (che è quella di cui mi occupo oggi), in un pratico ed elegante boxettino e con l’aggiunta di un terzo dischetto con frammenti di tre concerti del 1973, 1981 e 1986, non incisi dal vivo in studio come i primi due, ma veri e propri live con il pubblico, che però all’epoca erano stati passati in diretta radiofonica; purtroppo però nel cofanetto trovano posto altri tre CD quasi completamente inutili, che servono solo a far salire il prezzo, in quanto sono interamente composti da interviste rilasciate dai membri della band tra il 1976 ed il 1992, quasi quattro ore che sfido chiunque, anche chi capisce l’inglese alla perfezione, ad ascoltare per intero.

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Ma di musica comunque ce n’è a sufficienza, anche per chi non ha mai digerito la svolta commerciale dei quattro: si sa infatti che, dopo gli inizi quasi hard rock, il gruppo ha presto differenziato (ed ammorbidito) le sonorità in modo da vendere più dischi possibili, sfruttando anche le indubbie capacità di tutti e quattro i componenti di scrivere hits come se piovesse; su una cosa però c’è quasi unanimità, e cioè che sul palco i nostri fossero formidabili, una vera e propria macchina da guerra (basti ascoltare Live Killers, uno dei migliori album dal vivo dei tardi anni settanta), grazie alle loro enormi doti tecniche individuali. Oltre a Mercury, un animale da palcoscenico come ce ne sono stati pochi (a quei livelli mi vengono in mente solo Mick Jagger e, forse, Bruce Springsteen), ed in più dotato di una delle più formidabili voci che il panorama rock ricordi, non bisogna dimenticare la sopraffina tecnica chitarristica di Brian May, dotato di un fraseggio unico e capace di passare con disinvoltura dai toni più duri a quelli più raffinati, oltre alla potenza di Roger Taylor, uno dei migliori batteristi rock di sempre (e dotato anche di un ottima voce) ed alla precisione di John Deacon, bassista silenzioso e riservato ma indispensabile nelle dinamiche del gruppo. Il primo CD è interamente basato su sessions del 1973, gli otto brani incisi a Febbraio e Dicembre che costituivano Queen At The Beeb più quattro inediti provenienti da registrazioni di Luglio: i nostri hanno all’attivo un solo album, l’omonimo Queen, e tutti i pezzi sono tratti da quel disco, tranne Ogre Battle che è un antipasto di Queen II, e le sonorità sono quelle tipiche degli inizi, dure, quasi grezze in alcuni momenti, a metà tra l’hard rock di gruppi come i Deep Purple e tentazioni prog, ma con più di un’avvisaglia delle potenzialità dei quattro, soprattutto nelle performance di May (grande protagonista del suono dei primi Queen) e di un Mercury già pronto al grande salto.

C’è da dire che, specie nel primo CD, è presente qualche sovrincisione, specie per quanto riguarda i multitrack chitarristici e vocali, ma si tratta di dettagli; in aggiunta, ma solo nella versione sestupla, tra un brano e l’altro possiamo ascoltare i brevi ma significativi commenti del leggendario DJ John Peel. Tra gli highlights troviamo due versioni del loro primo successo minore, la veloce e chitarristica Keep Yourself Alive, le potenti Liar e Son And Daughter (anch’esse in doppia rilettura), con un’ottima prova di May, l’opening track My Fairy King, con Freddie debordante ed eccellente anche al piano, e la rara See What A Fool I’ve Been, originariamente pubblicata solo su una B-side ed in assoluto il brano più blues della carriera della Regina, suonato con grande forza. Il secondo dischetto presenta sette pezzi incisi nel 1974, con estratti dai primi due album ma anche dal terzo, Sheer Heart Attack, tra cui la maestosa White Queen, la bellissima ancorché breve Nevermore, la possente Now I’m Here, perfetto showcase per l’abilità di May, e la dura Stone Cold Crazy, quasi un brano trash ante-litteram (ed infatti i Metallica la adorano), ed altre cinque canzoni del 1977, con i nostri già affermate superstar e decisamente più sgamati anche dal vivo: oltre alla bella e solare Spread Your Wings (con uno strepitoso finale accelerato non presente nell’originale in studio), la chicca del CD è una versione velocissima e molto rock’n’roll del superclassico We Will Rock You (presente comunque anche nell’arrangiamento conosciuto), che all’epoca veniva suonata come apertura dei concerti ma in studio è una vera rarità, e che da sola vale buona parte del prezzo richiesto.

Il terzo CD, quello esclusivo del box, è diviso in tre parti, con la prima ancora appannaggio del 1973 (otto pezzi registrati al Golden Hyppodrome di Londra), con i nostri parecchio aggressivi e con un May superlativo, e come ciliegina una versione a mille all’ora del classico di Elvis Presley Jailhouse Rock, purtroppo sfumata dopo un solo minuto https://www.youtube.com/watch?v=nso4IHBTWv0 . Poi abbiamo sette canzoni a San Paolo in Brasile nel 1981, con l’epica I’m In Love With My Car, cantata da Taylor, e la sempre commovente Love Of My Life, ed infine sei brani incisi nel 1986 (più un’improvvisazione vocale ed il classico finale sulle note pre-registrate di God Save The Queen) a Mannheim in Germania, in quello che sarà l’ultimo tour dei Queen (ma all’epoca non lo potevano sapere), e forse nel loro momento di maggior successo commerciale: dal vivo erano comunque sempre formidabili, basti ascoltare come viene trasformata A Kind Of Magic in un quasi rock’n’roll e come acquisti potenza un pezzo in origine funkeggiante come Under Pressure, per finire con un gradevole medley elettroacustico tra due classici del passato come (You’re So Square) Baby I Don’t Care (ancora Elvis) e Hello, Mary Lou (Goodbye Heart) (scritta da Gene Pitney ma portata al successo da Ricky Nelson) e con la sempre trascinante Crazy Little Thing Called Love.

Se vi piacciono i Queen, ma preferite quelli più genuini degli anni settanta, questo On Air fa per voi, e forse vi può bastare anche la versione doppia: il terzo dischetto comunque merita, ma dovete fare i conti con il fatto che comprerete altri tre CD (le interviste) che non ascolterete mai.

Marco Verdi