Come Un Fulmine A Ciel Sereno! Ben Bedford – The Pilot And The Flying Machine

ben bedford the pilot

Ben Bedford – The Pilot And The Flying Machine – Waterbug Records/CSC Continental Song City/Ird CD

Questo disco in realtà è uscito nella tarda primavera dello scorso anno ma, un po’ perché non ne ha parlato quasi nessuno (almeno dalle nostre parti), un po’ perché da noi è stato distribuito lo scorso autunno, non credo sia troppo tardi se me ne occupo adesso…soprattutto perché è un album che merita davvero! Anzi, già dopo un ascolto il CD ha scatenato in me quello che chiamo “l’effetto Garnet Rogers” (vado a spiegare per chi non ne ha mai sentito parlare, cioè tutti: anni fa avevo comprato All That Is, antologia del cantautore canadese in questione, di cui colpevolmente non avevo mai sentito parlare, e l’ascolto mi aveva entusiasmato a tal punto che avevo subito ordinato sul suo sito la discografia integrale). Per Ben Bedford, cantautore dell’Illinois, mi è capitata quasi la stessa cosa: una volta ultimato l’ascolto di The Pilot And The Flying Machine, mi è venuta la voglia di approfondire il discorso con i suoi primi tre album. Bedford è un songwriter molto classico, dalla marcata vena poetica e con un gusto innato per la melodia, con le influenze giuste (Townes Van Zandt su tutte, ma io direi anche Jackson Browne, anche per il timbro di voce simile, e Gordon Lightfoot, mentre non ho trovato tracce dei pianisti Vladimir Horowitz e Thelonious Monk citati sul suo sito) ed un feeling non comune.

Ma ciò che colpisce di più in questo CD è che Ben non ha scelto la via più facile, cioè accompagnare le sue composizioni con una band canonica e dando loro un sapore roots (soluzione che sarebbe comunque stata ben accetta), bensì le ha avvolte con arrangiamenti classicheggianti, quasi cameristici. Non spaventatevi, in quanto la scelta si è rivelata vincente, e le canzoni, già belle di loro, hanno assunto uno spessore ed un’intensità ancora maggiore, per di più senza rischiare di annoiare l’ascoltatore. Merito, oltre che dell’abilità notevole del nostro come autore e performer, anche del ristretto gruppo di musicisti che lo ha accompagnato: oltre a Ben stesso alla chitarra acustica, troviamo la moglie Kari Bedford alle armonie vocali, Ethan Jodziewicz al contrabbasso e soprattutto il bravissimo Diederik Van Wassenaer, che non è il discendente di qualche gerarca nazista ma un formidabile violinista (e violista, nel senso che suona anche la viola) dall’impostazione classica, il vero tocco in più strumentale delle undici canzoni del disco. Un disco, ripeto, sorprendente, anche se siamo lontanissimi da atmosfere di stampo rock, al massimo io avrei aggiunto un pianoforte ogni tanto.

A me è bastato sentire poche note della title track, posta all’inizio del lavoro, per entrare subito dentro all’album, un suggestivo mix sonoro tra arpeggio chitarristico e lo strepitoso violino di Van Wassenaer, con qualche tocco di basso ogni tanto ed una melodia purissima e toccante, di chiaro stampo cantautorale. Letters From The Earth è semplicemente splendida, e bisogna fare tanto di cappello per il geniale arrangiamento cameristico scelto, dato che sarebbe stato più facile ma anche più scontato utilizzare basso elettrico e batteria: il violino sopperisce alla mancanza di una strumentazione “rock” con una prestazione straordinaria. High And Low è solo voce e chitarra, ma non per questo è meno intensa: Bedford riesce a tenere desta l’attenzione, scrive melodie di grande impatto e le esegue con disarmante semplicità; e che dire della struggente The Fox? Un motivo puro e limpido, di derivazione folk, alla quale la viola dona un sapore antico, per un risultato finale da pelle d’oca. La lunga e distesa The Voyage Of John And Emma sembra provenire direttamente dal songbook degli anni settanta di qualche songwriter blasonato, così come Blood On Missouri (bellissima), che proietta l’album addirittura una decade prima, in pieno folk revival. Grandissima musica in ogni caso. Orrery è un intenso strumentale tra folk e musica classica, gradevole e per nulla ostico, e precede gli ultimi quattro pezzi (tra cui una ripresa leggermente diversa della title track), il migliore dei quali è senz’altro la profonda ed avvolgente Long Blue Hills, che chiude il CD in purezza.

Ben Bedford è uno davvero bravo, e questo disco, se mi crederete, potrà farvi compagnia a lungo.

Marco Verdi